1 settembre 2013

Sulla legalità di un intervento militare in Siria

di Vito Todeschini


Da tempo alcuni governi considerano l’eventualità di condurre un intervento militare in Siria. Tale minaccia ha assunto concretezza in seguito alle notizie secondo cui il governo di Bashar al-Assad avrebbe compiuto un attacco di vaste proporzioni contro la popolazione utilizzando armi chimiche, superando così quella ‘linea rossa’ che secondo il presidente degli Stati Uniti legittimerebbe una risposta di carattere militare. Di fronte alla crescente probabilità che un azione militare abbia luogo, anche in assenza di una avallo delle Nazioni Unite, diviene necessario affrontare la questione della legalità di un tale intervento alla luce del diritto internazionale.

Questo articolo si propone di analizzare tre temi:
    1. le norme internazionali che disciplinano gli interventi militari;
    1. la rilevanza al riguardo dell’utilizzo di armi chimiche;
    2. la dottrina dei c.d. interventi umanitari.

L’uso della forza nel diritto internazionale
La legalità di qualsiasi intervento militare va valutata alla luce delle norme internazionali che regolano l’uso della forza tra Stati. Al riguardo va fatto riferimento all’articolo 2 paragrafo 4 della Carta delle Nazioni Unite, il quale stabilisce una regola fondamentale: il divieto della minaccia o dell’uso della forza. Il testo dell’articolo dispone che:
I Membri [delle Nazioni Unite] devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall'uso della forza, sia contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”(1).
Il divieto in questione costituisce il cardine del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, e tutti gli Stati hanno l’obbligo di rispettarlo.
La Carta prevede due sole eccezioni: la legittima difesa (articolo 51), secondo cui ogni Stato ha il diritto di utilizzare la forza in risposta a un attacco armato nei propri confronti; e l’autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza (articoli 39 e seguenti).
Il Consiglio di Sicurezza, infatti, ha facoltà di adottare una serie di misure – di carattere diplomatico, economico e/o militare – ogni qual volta accerti “l'esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione” al fine di ristabilire la pace e la sicurezza internazionali. La norma che vieta l’uso della forza, e le sue eccezioni, costituiscono il c.d. jus ad bellum – il quadro normativo che regola l’uso della forza a livello internazionale. Dal punto di vista del diritto internazionale, quindi, qualsiasi intervento militare che non rispetti tale sistema di regole risulta illegale.

Il caso della Siria
Esclusa la possibilità per gli Stati interventisti di invocare la legittima difesa, questi ultimi necessiterebbero di un’autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza, unico modo per rendere legale qualsiasi azione militare in Siria.
Russia e Cina, tuttavia, minacciano costantemente di porre il veto su qualsiasi risoluzione che intenda autorizzare l’uso della forza contro il governo di Assad. La questione da chiarire diviene allora se un eventuale utilizzo delle armi chimiche possa giustificare un intervento militare che scavalchi lo stallo in seno al Consiglio di sicurezza. La risposta è negativa. L’uso delle armi chimiche è vietato dal diritto internazionale umanitario – o jus in bello, il sistema di norme che regola i conflitti armati(2) – e costituisce un crimine di guerra ai sensi dello Statuto della Corte Penale Internazionale.
La commissione di tale crimine, tuttavia, non incide di per sé sulla legalità dell’uso della forza, ossia di intraprendere un intervento militare.
Per chiarire questo punto è necessario spiegare quale sia il rapporto tra i sistemi di jus ad bellum e di jus in bello.
Lo jus ad bellum detta le regole riguardanti la possibilità di iniziare un conflitto armato, stabilendo quando sia permesso ad uno Stato utilizzare la forza armata contro un altro Stato; lo jus in bello disciplina invece la conduzione delle ostilità nel corso dei conflitti armati, ossia fissa quali mezzi e metodi di combattimento possano utilizzarsi per sconfiggere l’avversario.
Di conseguenza mentre il conflitto tra il governo siriano e i ribelli va analizzato alla luce dello jus in bello, l’eventuale uso della forza da parte degli Stati Uniti o di Stati europei contro il governo di Assad va valutato alla luce dello jus ad bellum.
Nonostante esistano possibilità di interazione tra i due sistemi, l’applicazione delle rispettive regole va tenuta rigorosamente distinta. La separazione tra i due sistemi normativi, a propria volta, comporta che una qualsiasi violazione dello jus in bello da parte del governo siriano, come l’uso di armi chimiche, non influisca sulla legalità di un intervento militare straniero. Solo il Consiglio di sicurezza può stabilire che l’utilizzo di armi chimiche costituisce un pericolo per la pace e la sicurezza internazionali, e quindi adottare una risoluzione che autorizzi l’uso della forza per risolvere la situazione. In mancanza di quest’ultima, un intervento militare in Siria risulterebbe quindi illegale.

Intervento umanitario?
In assenza di una risoluzione del Consiglio di sicurezza, Stati Uniti, Regno Unito e Francia hanno manifestato l’intenzione di condurre un’azione militare in Siria sulla base della dottrina dell’intervento umanitario, la quale trova un precedente nella campagna di bombardamenti contro la Serbia avvenuta nel 1999. Secondo tale dottrina, propugnata in particolare dal Regno Unito, il diritto internazionale permetterebbe l’uso della forza armata allo scopo di porre fine a violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani anche in assenza di un’autorizzazione del Consiglio di sicurezza. Si tratterebbe in definitiva di un’ulteriore eccezione alla norma che vieta l’uso della forza, giustificata dalla estrema gravità della situazione umanitaria che affligge la popolazione civile di un paese.
Va tuttavia notato che ai sensi del diritto internazionale gli interventi umanitari restano illegali.
Le regole di jus ad bellum, aventi valenza generale, non permettono infatti la conduzione di interventi militari a scopo umanitario, ossia non contemplano la protezione dei diritti umani come eccezione al divieto dell’uso della forza. È possibile che in futuro le regole cambino, se e quando gli Stati che supportano la legalità degli interventi umanitari sapranno persuadere in tal senso gli Stati che invece vi si oppongono. Le norme di diritto internazionale si formano e cambiano anche attraverso la prassi degli Stati (3).
Eppure è degno di nota il fatto che il giorno stesso in cui il governo britannico ha reso pubblica la propria posizione sulla legalità degli interventi militari a scopo umanitario privi dell’autorizzazione del Consiglio di sicurezza, il parlamento abbia espresso un voto contrario al coinvolgimento del Regno Unito in azioni militari in Siria. Ciò probabilmente avrà riflessi sulla possibilità che nel medio periodo gli interventi umanitari divengano parte del diritto internazionale.

Conclusioni
La disamina delle norme internazionali riguardanti la legalità dell’uso della forza ha mostrato come un eventuale intervento militare in Siria necessiti di un’autorizzazione del Consiglio di sicurezza. L’uso delle armi chimiche, anche se provato, non cambierebbe la situazione. Nemmeno un ricorso alla dottrina degli interventi umanitari potrebbe essere d’aiuto, essendo questi ultimi attualmente vietati dal diritto internazionale. Qualsiasi uso della forza armata che violasse le regole dello jus ad bellum sopra esposte, quindi, potrebbe qualificarsi come un atto di aggressione. Questo è quanto il diritto internazionale stabilisce riguardo alla legalità di un intervento militare in Siria.
Sebbene la questione sia stata analizzata da un punto di vista prettamente giuridico, va detto che chi scrive è fortemente contrario a un qualsiasi intervento militare in Siria, con o senza l’avallo del Consiglio di sicurezza, il quale potrebbe avere ripercussioni gravi e incalcolabili sul paese e sull’intera regione. Una soluzione di lungo termine, data l’estrema complessità della situazione, non può che essere di natura politica e deve necessariamente tenere conto delle rivendicazioni e delle aspirazioni di tutti i siriani, compresi coloro che hanno deciso di prendere le armi contro Assad.



Nota: Questo articolo ha scopo meramente divulgativo. Per facilitarne la lettura, si è ridotto al minimo l’utilizzo delle note e delle fonti. Chi desiderasse approfondire qualsiasi questione, può contattarmi al seguente indirizzo: vito.todeschini@libero.it.

(1) Tutte le traduzioni sono a cura della Confederazione svizzera e sono reperibili all’indirizzo http://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/20012770/index.html.
(2) Le norme fondamentali del diritto internazionale umanitario sono contenute nei regolamenti dell’Aia del 1907, nelle Convenzioni di Ginevra del 1949 e nei Protocolli aggiuntivi del 1977. Per una lista completa dei trattati e delle norme consuetudinarie che danno corpo all’intero sistema di diritto internazionale umanitario, si invita a consultare il sito del Comitato Internazionale della Croce Rossa: http://www.icrc.org/eng/war-and-law/treaties-customary-law/index.jsp.
(3) Per una panoramica riguardante le caratteristiche del diritto internazionale e la formazione delle norme internazionali, può consultarsi la relativa pagina di Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Diritto_internazionale#Le_fonti.

Per approfondimenti:

Fonte: http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=85443&typeb=0&Sulla-legalita-di-un-intervento-militare-in-Siria.


Nessun commento: