di
Vito Todeschini
Da tempo alcuni governi considerano l’eventualità di condurre un intervento militare in Siria. Tale minaccia ha assunto concretezza in seguito alle notizie secondo cui il governo di Bashar al-Assad avrebbe compiuto un attacco di vaste proporzioni contro la popolazione utilizzando armi chimiche, superando così quella ‘linea rossa’ che secondo il presidente degli Stati Uniti legittimerebbe una risposta di carattere militare. Di fronte alla crescente probabilità che un azione militare abbia luogo, anche in assenza di una avallo delle Nazioni Unite, diviene necessario affrontare la questione della legalità di un tale intervento alla luce del diritto internazionale.
Questo
articolo si propone di analizzare tre temi:
- le norme internazionali che disciplinano gli interventi militari;
- la rilevanza al riguardo dell’utilizzo di armi chimiche;
- la dottrina dei c.d. interventi umanitari.
L’uso
della forza nel diritto internazionale
La
legalità di qualsiasi intervento militare va valutata alla luce
delle norme internazionali che regolano l’uso della forza tra
Stati. Al riguardo va fatto riferimento all’articolo
2 paragrafo 4 della Carta
delle Nazioni Unite, il quale stabilisce una
regola fondamentale: il divieto della minaccia
o dell’uso della forza. Il testo
dell’articolo dispone che:
“I
Membri [delle Nazioni Unite] devono astenersi nelle loro relazioni
internazionali dalla minaccia o dall'uso della forza, sia contro
l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi
Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle
Nazioni Unite”(1).
Il
divieto in questione
costituisce il cardine del mantenimento della
pace e della sicurezza internazionali, e
tutti gli Stati hanno l’obbligo di
rispettarlo.
La
Carta prevede due sole eccezioni:
la legittima difesa (articolo
51), secondo cui ogni Stato ha il diritto di utilizzare la forza in
risposta a un attacco armato nei propri confronti; e l’autorizzazione
da parte del Consiglio di Sicurezza (articoli
39 e seguenti).
Il
Consiglio di Sicurezza, infatti, ha facoltà di adottare una serie di
misure – di carattere diplomatico, economico e/o militare – ogni
qual volta accerti “l'esistenza di una minaccia alla pace, di una
violazione della pace, o di un atto di aggressione” al fine di
ristabilire la pace e la sicurezza internazionali. La norma che vieta
l’uso della forza, e le sue eccezioni, costituiscono il c.d. jus
ad bellum – il quadro normativo che regola
l’uso della forza a livello internazionale. Dal punto di vista del
diritto internazionale, quindi, qualsiasi
intervento militare che non rispetti tale sistema di regole risulta
illegale.
Il
caso della Siria
Esclusa
la possibilità per gli Stati interventisti di invocare la legittima
difesa, questi ultimi necessiterebbero di
un’autorizzazione da
parte del Consiglio di Sicurezza,
unico modo per rendere legale qualsiasi azione militare in Siria.
Russia
e Cina,
tuttavia, minacciano costantemente di porre il veto su qualsiasi
risoluzione che intenda autorizzare l’uso della forza contro il
governo di Assad. La questione
da chiarire
diviene allora se un eventuale
utilizzo delle armi chimiche possa
giustificare
un intervento militare che
scavalchi lo stallo in seno al Consiglio di sicurezza. La
risposta è negativa.
L’uso delle armi chimiche è vietato
dal diritto internazionale umanitario – o jus
in bello,
il sistema di norme che regola i conflitti armati(2) – e
costituisce un crimine di guerra ai sensi dello Statuto della Corte
Penale Internazionale.
La
commissione di tale crimine, tuttavia, non incide di per sé sulla
legalità dell’uso della forza, ossia di intraprendere un
intervento militare.
Per
chiarire questo punto è necessario spiegare quale sia il rapporto
tra i sistemi di jus ad bellum
e di jus in bello.
Lo
jus ad bellum detta le
regole riguardanti la possibilità di iniziare
un conflitto armato, stabilendo quando sia permesso ad uno Stato
utilizzare la forza armata contro un altro Stato; lo jus
in bello disciplina invece la conduzione
delle ostilità nel corso
dei conflitti armati, ossia fissa quali mezzi e metodi di
combattimento possano utilizzarsi per sconfiggere l’avversario.
Di
conseguenza mentre il conflitto tra il governo siriano e i ribelli va
analizzato alla luce dello jus in bello,
l’eventuale uso della forza da parte degli Stati Uniti o di Stati
europei contro il governo di Assad va valutato alla luce dello jus
ad bellum.
Nonostante
esistano possibilità di interazione tra i due sistemi,
l’applicazione delle rispettive regole va
tenuta rigorosamente distinta. La separazione
tra i due sistemi normativi, a propria volta, comporta che una
qualsiasi violazione dello jus in bello
da parte del governo siriano, come l’uso di armi chimiche, non
influisca sulla legalità di un intervento militare straniero. Solo
il Consiglio di sicurezza può stabilire che l’utilizzo di armi
chimiche costituisce un pericolo per la pace e la sicurezza
internazionali, e quindi adottare una
risoluzione che autorizzi l’uso della forza
per risolvere la situazione. In mancanza
di quest’ultima, un intervento militare in
Siria risulterebbe quindi illegale.
Intervento
umanitario?
In
assenza di una risoluzione del Consiglio di sicurezza, Stati
Uniti,
Regno
Unito
e Francia
hanno manifestato l’intenzione di condurre un’azione militare in
Siria sulla base della dottrina
dell’intervento umanitario,
la quale trova un precedente
nella campagna di bombardamenti contro la Serbia avvenuta nel 1999.
Secondo tale dottrina, propugnata in particolare dal Regno Unito, il diritto internazionale permetterebbe l’uso della
forza armata allo scopo di porre fine a violazioni
gravi e sistematiche dei diritti umani anche
in
assenza di un’autorizzazione
del Consiglio di sicurezza. Si tratterebbe in definitiva di
un’ulteriore eccezione alla norma che vieta l’uso della forza,
giustificata dalla estrema gravità della situazione umanitaria che
affligge la popolazione civile di un paese.
Va
tuttavia notato che ai sensi del diritto internazionale gli
interventi umanitari restano illegali.
Le
regole di jus
ad bellum,
aventi valenza generale, non permettono infatti la conduzione di
interventi militari a scopo umanitario, ossia non contemplano la
protezione dei diritti umani come eccezione al divieto dell’uso
della forza. È possibile che in futuro le regole cambino, se e
quando gli Stati che supportano la legalità degli interventi
umanitari sapranno persuadere in tal senso gli Stati che invece vi si
oppongono. Le norme di diritto internazionale si formano e cambiano
anche attraverso la prassi degli Stati (3).
Eppure
è degno di nota il fatto che il giorno
stesso in
cui il governo britannico ha reso pubblica la propria posizione sulla
legalità degli interventi militari a scopo umanitario privi
dell’autorizzazione del Consiglio di sicurezza, il parlamento
abbia espresso un voto contrario
al coinvolgimento del Regno Unito in azioni militari in Siria. Ciò
probabilmente avrà riflessi sulla possibilità che nel medio periodo
gli interventi umanitari divengano parte del diritto internazionale.
Conclusioni
La
disamina delle norme internazionali riguardanti la legalità dell’uso
della forza ha mostrato come un eventuale intervento militare in
Siria necessiti di un’autorizzazione
del Consiglio di sicurezza. L’uso delle armi chimiche, anche se
provato, non cambierebbe la situazione. Nemmeno un ricorso alla
dottrina degli interventi umanitari
potrebbe essere d’aiuto, essendo questi ultimi attualmente vietati
dal diritto internazionale. Qualsiasi uso
della forza armata che violasse le regole dello jus
ad bellum sopra esposte, quindi, potrebbe
qualificarsi come un atto di aggressione.
Questo è quanto il diritto internazionale stabilisce riguardo alla
legalità di un intervento militare in Siria.
Sebbene
la questione sia stata analizzata da un punto di vista prettamente
giuridico, va detto che chi scrive è fortemente contrario a un
qualsiasi intervento militare in Siria, con o senza l’avallo del
Consiglio di sicurezza, il quale potrebbe avere ripercussioni gravi e
incalcolabili sul paese e sull’intera regione. Una
soluzione di lungo termine,
data l’estrema complessità della situazione, non
può che essere di natura politica e
deve necessariamente tenere conto delle rivendicazioni e delle
aspirazioni di tutti i siriani, compresi coloro che hanno deciso di
prendere le armi contro Assad.
Nota:
Questo
articolo ha scopo meramente divulgativo. Per facilitarne la lettura,
si è ridotto al minimo l’utilizzo delle note e delle fonti. Chi
desiderasse approfondire qualsiasi questione, può contattarmi al
seguente indirizzo: vito.todeschini@libero.it.
(1)
Tutte le traduzioni sono a cura della Confederazione svizzera e sono
reperibili all’indirizzo
http://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/20012770/index.html.
(2)
Le norme fondamentali del diritto internazionale umanitario sono
contenute nei regolamenti dell’Aia del 1907, nelle Convenzioni di
Ginevra del 1949 e nei Protocolli aggiuntivi del 1977. Per una lista
completa dei trattati e delle norme consuetudinarie che danno corpo
all’intero sistema di diritto internazionale umanitario, si invita
a consultare il sito del Comitato Internazionale della Croce Rossa:
http://www.icrc.org/eng/war-and-law/treaties-customary-law/index.jsp.
(3)
Per una
panoramica riguardante le caratteristiche del diritto internazionale
e la formazione delle norme internazionali, può consultarsi la
relativa pagina di Wikipedia:
http://it.wikipedia.org/wiki/Diritto_internazionale#Le_fonti.
Per
approfondimenti:
- Natalino Ronzitti, Siria: le labili ragioni di un intervento, Affari Internazionali, 30/08/2013
- Dapo Akande, The Legality of Military Action in Syria: Humanitarian Intervention and Responsibility to Protect, EJIL Talk!, 28/08/2013.
- Milena Sterio, Military Intervention in Syria: The International Law Framework, IntLawGrrls, 27/08/2013.
- Dapo Akande, Does Use of Chemical Weapons Justify Intervention in Syria?, EJIL Talk!, 27/04/2013.
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