23 ottobre 2012
18 ottobre 2012
Eutelsat apaga as mídias iranianas. Censura sem precedentes
por Pino Cabras - Megachip.
A decisão da EUTELSAT obedeceu uma requisição do Conselho Superior Audiovisual da França (CSA) quanto ao estoque de novas sanções anti-iranianas decididas em sede europeia.
Assim, de agora em diante, o éter europeu será apagado para os canais Al-Alam, Press TV, Sahar 1 e 2, Jam-e-Jam 1 e 2, a cadeia sobreo Corão e outros, ainda. Entre rádios e TVs, são 19 canais.
Por enquanto o fato, por si só gravíssimo, é ignorado pelos principais órgãos de informação ocidentais. Um silêncio muito revelador. Se tentarão falar, terão muito trabalho para justificar a censura sem cair em gigantescas contradições com qualquer proclamação sobre a liberdade de imprensa estilo ocidental. Fim das transmissões, sem debate.
Qualquer representação autônoma dos interesses e das visões de um inteiro grande país, como o Irã, está agora totalmente impedida no terreno dos grandes meios de comunicação de massas generalistas. A censura tem o sabor de uma reação e de um experimento a respeito dos novos equilíbrios que se estavam formando na informação global.
Nesses últimos anos, diversos países provaram construir um seu ponto de vista autônomo, respeito aos fluxos informativos hegemonizados pelas potências anglo-saxônicas. Paradoxalmente, mas não muito, o fizeram com o uso da língua inglesa, além de outras línguas. Não devemos nos escandalizar com o fato de que os canais emergentes não tenham participado com um ponto de vista “neutro”, no jogo das comunicações. Justamente por isso, representando interesses “outros”, conseguiram marcar pontos impressionantes.
Basta pensar que em apenas pouquíssimos anos a RT, a tevê russa em inglês, ultrapassou a BBC como primeiro canal estrangeiro junto ao público televisivo dos EUA. Sinal de que a oferta “outra” responde a uma demanda que não existia: uma demanda por “outra” informação que a nossa fábrica de mídia, no Ocidente, não sabia e – sobretudo – não queria fornecer.
Os canais emergentes transmitidos por países antes sem voz – apesar de sua “não neutralidade” (mas quem seria neutro? A CNN, por acaso? falemos sério…) – conseguiam ser, relativamente a muitos argumentos, fontes mais confiáveis se confrontados com a propaganda homologada que passava no outro lado. Antes de degenerar em um MinCulPop das belicosas petro-monarquias do Golfo, e antes de degringolar com diretores enquadrados na CIA, até a Aljazeera tinha aberto espirais informativas inéditas.
E assim nos encontramos com menos vozes. Qual será a próxima etapa? Sem um sistema autônomo de transmissão, até a Rússia ficará vulnerável com relação às decisões bélicas sobre os meios tomadas por algum recente prêmio Nobel para a paz. E até as nossas já enquadradas oficinas da mentira serão sempre mais uniformes, porque a ditadura terá menos necessidade de mascará-las sob trajes civis.
Muito terá que ser feito para conquistar o pluralismo, garantindo as vozes dissonantes. A nossa liberdade corre muito mais perigo do que pode parecer à primeira vista. Por enquanto, não se vê grande coisa para defende-la. Partamos de um primeiro pequeno passo, difundido a primeira petição de IRIB.
Para quem não entendeu, esta ditadura está só em seu começo, e não se saciará, como não se sacia em campo financeiro. Combatê-la tem a ver com o bem mais precioso que devemos defender: o ponto de vista do outro, como garantia do nosso ponto de vista.
Tradução em Português do Brasil por: Mario S. Mieli - ciranda.net.
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16 ottobre 2012
Festival della Storia 2012
Festival della Storia 2012
VI Edizione
Levi Strauss
Progetto culturale tra Carbonia e Iglesias - Associazione Figli d'Arte Medas
17, 18, 19 OTTOBRE 2012
Carbonia – Iglesias
Tre
giorni: di tanto tempo disporremo per conversare, discutere e
confrontarci su un tema che da millenni tiene compagnia all’uomo,
insinuandosi nei suoi pensieri dacché questi iniziò a interrogarsi sul
proprio essere al mondo: la Fine.
Tale sarà infatti il tema centrale del Festival della Storia, Manifestazione organizzata dall’Associazione Figli d’Arte Medas grazie all’appoggio della Provincia di Carbonia Iglesias, della Fondazione Banco di Sardegna e che si avvarrà del Patrocinio delle Amministrazioni del Comune di Carbonia e del Comune di Iglesias e dell’appoggio, oltre che della Regione Autonoma della Sardegna, del Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna.
Il 17, il 18 e il 19 Ottobre saranno così giornate dedicate interamente alla riflessione sull’ “ultima meta”, portata avanti attraverso delle Conversazioni: affermati studiosi saranno chiamati a parlare del compimento del mondo e delle teorie sul cosiddetto al di là restando però al di qua della cattedra, e dunque in modo familiare, coinvolgente, fruibile.
Un
evento ricco di domande, più che di risposte, pensato con l’intento di
avvicinare giovani e non agli interrogativi ancestrali dell’uomo,
affinché i dubbi su quel che sarà poi permettano di acquisire maggiore coscienza su quel che siamo adesso,
stuzzicandoci e sollecitandoci vedere come il futuro cominci ora, come
il presente non possa essere una pietra isolata scagliata nella storia,
ma sia bensì parte e momento di un disegno più ampio, di rigenerazione e
mutamento.
Molteplici gli ospiti coinvolti: Stefano Selvatici e Ollinatl Contreras, coordinati da Giacomo Serreli, ci terranno compagnia nel primo appuntamento del 17 Ottobre avente il titolo Dai Nativi d’America agli Amerindi: la Fine di un Mondo;
Placido Cherchi e Pino Cabras, guidati nei loro interventi da Manuela Vacca, rifletteranno invece il 18 Ottobre su Collassi: il Mondo si rinnova;
il 19 Ottobre, ultima giornata del Festival, vedrà invece protagonisti Daniele Barbieri e Don Gian Franco Saba, i contributi dei quali saranno coordinati da Gianni Zanata.
Al
termine di ciascuna delle tre giornate verrà proposto uno spettacolo
teatrale, inerente anch’esso al tema dell’appuntamento del giorno e
pensato al fine di esserne il giusto compimento; anche in questo caso
saranno diversi i talenti artistici presenti: Gianluca Medas (Direttore Artistico dell’Associazione Figli d’Arte Medas nonché
ideatore del Progetto del Festival della Storia) porterà in scena due
dei tre Spettacoli allestiti: il primo giorno interpreterà “Quetzalcóatl – Il Serpente Piumato: La Caduta dell'Impero Azteco”, accompagnato dalle musiche della formazione Gastropod (Juri Deidda - sax tenore e soprano, Andrea Congia - chitarra classica, Roberto Cau - basso elettrico, Alessandro Marras - percussioni); il terzo giorno avrà luogo invece “Apocalisse - Rivelazioni di un Visionario”, scritto e diretto anch’esso da Gianluca Medas, incorniciato questa volta dalla Musica degli Skull Cowboys (Mario Pierno - chitarra elettrica, Andrea Congia - chitarra classica, Mauro Pes - tastiere, Marco Loddo - basso elettrico, Roberto Matzuzzi - batteria). I progetti musicali di entrambi gli Spettacoli sono stati curati da Andrea Congia (Direttore
Musicale dell'Associazione Figli d'Arte Medas). Il secondo giorno,
invece, la giornata troverà il suo compimento nello Spettacolo “Flusso”, di e con Raffaello Ugo, e organizzato dalla Compagnia Origamundi.
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Eutelsat spegne i media iraniani. Censura senza precedenti
di Pino Cabras - da Megachip.
Lunedì
15 ottobre 2012, con un tratto di penna, l’Europa delle comunicazioni
ha deciso di cancellare la voce di un paese di oltre settanta milioni di
abitanti, l’Iran. È il primo atto di guerra deciso nel
cuore dell’Unione europea, dopo il suo brindisi per il Nobel per la
pace. Se non vi bastava il senso di soffocamento delle dittature
finanziarie in veste di governi tecnici, eccovi anche il bavaglio della
censura più estrema. Il giustiziere delle tv e radio iraniane nel mondo
ha il volto di Eutelsat, uno dei tre maggiori operatori
satellitari del pianeta, nato come consorzio intergovernativo, ora
“privatizzato”, con sede a Parigi. È bastato un rigo decretato dai
padroni della comunicazione, e sulla piattaforma HOTBIRD i canali in lingue straniere realizzati dall'Iran sono stati tutti bannati (QUI la notizia su IRIB - Islamic Republic of Iran Broadcasting).
La
decisione di Eutelsat ha ottemperato a una richiesta del Consiglio
Superiore Audiovisivo della Francia (CSA) sulla scorta delle nuove sanzioni anti-iraniane decise in sede europea.
L’etere
europeo dunque sarà d’ora in poi oscurato per i canali Al-Alam, Press
TV, Sahar 1 e 2, Jam-e-Jam 1 e 2, la catena sul Corano e altri ancora.
Tra radio e TV sono 19 canali.
Per ora il fatto, di per sé gravissimo, è taciuto dai principali organi di informazione occidentali. Un silenzio che dice già tutto.
Se proveranno a parlarne, dovranno faticare assai per giustificare la
censura senza cadere in gigantesche contraddizioni con qualsiasi
proclamazione sulla libertà di stampa in stile occidentale. Fine delle
trasmissioni, senza dibattito.
Qualsiasi rappresentazione autonoma degli interessi e delle visioni
di un intero grande paese, qual è l’Iran, è ora totalmente impedita sul
terreno dei grandi mass media generalisti. La censura ha il sapore di
una reazione e di un esperimento rispetto a nuovi equilibri che si stavano formando nell’informazione globale.
In questi ultimi anni, diversi paesi hanno provato a costruirsi un punto di vista autonomo
rispetto al flusso informativo egemonizzato dalle potenze anglosassoni.
Paradossalmente, ma non troppo, lo hanno fatto con canali in lingua
inglese, oltre che in altre lingue. Non ci deve scandalizzare il fatto
che i canali emergenti non abbiano partecipato con un punto di vista
“neutro” al gioco della comunicazione. Proprio per questo,
rappresentando interessi “altri”, hanno segnato punti impressionanti.
Si pensi che nel giro di pochissimi anni RT, la tv russa in inglese, ha scalzato la BBC quale primo canale straniero presso il pubblico televisivo USA.
Segno che l’offerta “altra” risponde a una domanda che c’era: una
domanda di “altra” informazione che la fabbrica dei media nostrana, in
Occidente, non sapeva e – soprattutto - non voleva fornire.
I
canali emergenti trasmessi da paesi un tempo senza voce - al netto
della loro “non neutralità” (ma chi sarebbe neutrale, forse la CNN?, non
scherziamo) - riuscivano a essere per molti argomenti fonti più attendibili
rispetto alla propaganda omologata che passava dall’altra parte. Prima
di degenerare a MinCulPop delle bellicose petro-monarchie del Golfo, e
prima di farsi sputtanare con direttori inquadrati nella CIA, perfino
Al Jazeera aveva aperto spiragli informativi inediti.
E così ci ritroviamo con meno voci.
Qual è la prossima tappa? Senza un sistema autonomo di trasmissione,
anche la Russia sarà vulnerabile rispetto alle decisioni belliche sui
media prese da qualche recente Nobel per la pace. E perfino le nostre
già inquadrate officine della menzogna saranno sempre più in uniforme, perché la dittatura avrà meno bisogno di maschere in borghese.
Occorrerà fare molto per conquistare il pluralismo, garantendo proprio le voci dissonanti.
La nostra libertà è molto più in pericolo di quanto non appaia a prima
vista. Non si vede molto in giro, al momento, a sua difesa. Partiamo
comunque da un piccolissimo passo, diffondendo la prima petizione di IRIB.
Per
chi non lo avesse capito, questa dittatura è solo agli inizi, e non si
sazierà come non si sazia in campo finanziario. Combatterla ha a che
fare con il bene più prezioso che dobbiamo difendere: il punto di vista altrui come garanzia del punto di vista nostro.
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4 ottobre 2012
Estelle va a Gaza: la speranza salpa da Napoli
Intervista a Paola Mandato e Fortuna Sarnataro a cura di Pino Cabras – Megachip.
Estelle,
il veliero svedese che vuole rompere il lungo assedio di Gaza, si trova
in acque italiane, dopo un vero e proprio periplo dell’Europa.
Arriva
oggi a Napoli, da dove salperà il 6 ottobre alla volta di Gaza. Sarà
quella la parte più difficile del viaggio, quando si porterà a contatto
con il “muro” della marina israeliana e delle sue forze speciali.
Ne
parliamo in dettaglio con due attiviste italiane, Paola Mandato e
Fortuna Sarnataro, del coordinamento italiano della Freedom Flotilla.
Quali nuovi rapporti avete costruito nella fase del viaggio “europeo”?
Paola Mandato: Prima è necessario risalire un po’ indietro, alla storia dei movimenti delle flotille
per capire l’importanza che proprio l’evoluzione di questi rapporti
internazionali ha avuto attraverso di esse. Rapporti che si sono evoluti
da semplici contatti tra attivisti fino a diventare campagne nazionali
strutturate, in contatto tra loro. Questo è proprio uno degli obiettivi
che ci siamo sempre posti con le flotille: creare un
coordinamento di una popolazione civile internazionale indignata e
quindi attiva, attenta alla necessità di interrompere il
blocco di Gaza e l’illegalità della politica di occupazione israeliana
della Palestina. Direttamente, visto che nessuna delle istituzioni
internazionali preposte lo fa.
La
maggior parte dei media e dei cittadini ha sentito parlare per la prima
volta di Freedom Flotilla soltanto il 31 maggio 2010, quando le forze
speciali israeliane fecero strage sulla nave Mavi Marmara. Cosa c’era
prima?
Tutto
ebbe origine nel 2006, da parte di un gruppo di attivisti per la
Palestina, statunitensi e inglesi, con all’attivo esperienze varie in
Cisgiordania e a Gaza. L’idea era di estrema semplicità politica:
partire con una nave diretta a Gaza per interrompere l’assedio. Non
altrettanto semplice è stato farlo. Gli attivisti hanno raccolto fondi
negli angoli delle strade, nei supermercati, in occasione di qualsiasi
evento in cui si parlasse di Palestina, utilizzando tutti i contatti
personali, etc … Hanno impiegato due anni per raccogliere fondi, e hanno
dovuto fare slalom tra i tanti ostacoli posti lungo la via dal Mossad:
da quelli oscuri, come le minacce alla sicurezza personale, le barche
identificate per l’acquisto che gli acquirenti improvvisamente non erano
più intenzionati a vendere, fino a ostacoli tangibili tramite le
istituzioni americane, incluse denunce penali di vario tipo.
Quando è stata aperta la prima “breccia” sull’assedio di Gaza?
Finalmente
nell’agosto 2008 il Free Gaza Movement - è questo il nome del movimento
- riesce a rompere il blocco, arrivando a Gaza da Cipro, con due
improbabili pescherecci con a bordo una quarantina di attivisti, tra cui
il nostro Vittorio Arrigoni. Le prime imbarcazioni
internazionali che arrivano a Gaza dopo 42 anni. Altre 4 missioni sono
riuscite a fare avanti e indietro portando a Gaza vari parlamentari,
giornalisti, attivisti e, fuori da Gaza, studenti palestinesi con borse
di studio all’estero o semplicemente persone che volevano ricongiungersi
con i familiari. Tutto questo fino a “Piombo Fuso”. Poi, nessuna
imbarcazione è più riuscita a passare. Israele le ha fermate tutte,
arrembandole violentemente, in acque internazionali, arrestando gli
attivisti, deportandoli per ingresso illegale in Israele e confiscando
beni, merci e imbarcazioni.
Tutto
questo, blocco di Gaza incluso, è avvenuto senza che gli organismi
internazionali preposti intervenissero in alcun modo per riportare
Israele nell’ambito della legalità internazionale.
L’operazione “Piombo Fuso” ha cambiato le carte in tavola. Come ha reagito il Free Gaza Movement?
Il
movimento, composto da individui da tutto il mondo, ha deciso di
cambiare strategia e di coinvolgere altri movimenti internazionali e
campagne nazionali per creare una coalizione in grado di avere maggior
peso politico nell’affrontare il blocco di Gaza. Nasce così la
Coalizione internazionale della Freedom Flotilla. I punti di unione sono
politicamente semplici e rimangono inalterati: metodi di azioni non
violenti, nessuna particolare identificazione politica né religiosa,
sono esclusi antisemiti e fascisti; gli obiettivi politici fondamentali
sono due: far cessare il blocco di Gaza e l’occupazione illegale di
territorio da parte di Israele con relativo diritto al ritorno dei
profughi. Tutti obiettivi, tra l’altro, perfettamente in linea con le
risoluzioni ONU.
Quando è partita la fase della Freedom Flotilla?
La
Freedom Flotilla è in azione, la prima volta, nel maggio 2010, con 9
imbarcazioni e circa 600 attivisti diretti a Gaza, dalla Grecia e da
Cipro. Tutti sappiamo purtroppo con quale esito drammatico. Ricordiamolo
in dettaglio: nove attivisti barbaramente uccisi dalla Marina
israeliana, quando attaccò la Mavi Marmara in acque internazionali, a
circa 80 miglia da Gaza. E tutti sappiamo quanto ciò non abbia avuto
nessuna conseguenza legale per Israele, mentre sappiamo che ha avuto
conseguenze negative per l’economia, date le scelte di non consumo dei
prodotti israeliani, da parte di individui indignati nel mondo.
Da noi non se ne sa molto.
Così
invece riporta addirittura una rivista economica israeliana,
nell’ottobre del 2010, dopo la tragica FF1, parlando anche di
interruzioni di rapporti economici da parte di aziende. Ancora una volta
a prendere l’iniziativa sono individui, a dispetto del silenzio e della
estraneità delle istituzioni.
Dopo FF1, la FF2, e ora la Estelle…
La seconda flotilla
è stato un tentativo di ripetere la prima. Israele ha dimostrato che è
in grado di estendere il blocco di Gaza fino alla Grecia. Noi lo abbiamo
capito e cerchiamo di difendere e rivendicare l’autodeterminazione
della popolazione europea con gli strumenti che la popolazione civile
dispone: tanto coraggio, coinvolgimento personale diretto, raccolta
fondi all’interno delle varie campagne per poter ospitare la prossima
nave nei diversi porti europei e raccogliere solidarietà e consenso
politico dalle nostre popolazioni, prima che la barca di nome Estelle si
diriga a Gaza. La barca Estelle “è stata acquistata direttamente dai
cittadini svedesi, non dal nostro movimento” ci tiene a precisare Dror
Feiler, il portavoce di Ship to Gaza. Hanno risposto in migliaia con
piccole donazioni.
Capiamo
così che Estelle è preceduta da una ricca serie di avvenimenti. A
questo punto possiamo addentrarci nel viaggio di questa barca?
Sì.
Per tornare alla domanda d’origine, i nuovi rapporti costruiti
dall’inizio del viaggio sono il consolidamento dei rapporti con le varie
componenti della società civile e tra le società civili delle varie
citta, regioni, nazioni coinvolte nel viaggio di Estelle. Quando diciamo
che vogliamo interrompere l’assedio di Gaza e scegliamo di farlo
andando direttamente con navi, vogliamo anche che questo si sappia, sia
condiviso, che la Estelle sia anche uno strumento per parlare di Gaza,
del blocco, della situazione drammatica di un popolo palestinese senza
terra e speranza da anni. Mettere in contatto la società civile di tutto
il mondo con la società civile di Gaza: questo è un obiettivo che la
Estelle ha già raggiunto, prima ancora di partire da Napoli per Gaza.
Come ha reagito la politica istituzionale alle sollecitazioni delle vostre iniziative nei vari paesi?
Paola Mandato:
Noi dobbiamo mettere a repentaglio le nostre vite, disarmati, su barche
che vanno a fronteggiare l’esercito più armato del mondo perché la
politica istituzionale nazionale e internazionale è completamente
inattiva, se non connivente, con il blocco di Gaza e tutti i crimini che
Israele commette a tutte le latitudini, impunemente. Noi ci siamo
rivolti alle istituzioni nazionali solo in prossimità delle partenze e
solo per notificare ai rispettivi Ministeri degli Esteri che saremmo
partiti.
E come hanno risposto?
Le
risposte sono sempre state solleciti a "non andare", perché non erano
in grado di garantire la nostra sicurezza. In una risposta del genere,
noi leggiamo solo la conferma di una precisa volontà: non voler prendere
posizione nei confronti di Israele e della sua condizione di illegalità
internazionale. Quindi, la politica istituzionale reagisce omettendo di
fare il proprio dovere anche verso i propri connazionali in missione
umanitaria.
Questo i governi. E le altre istituzioni?
Ci
hanno sostenuto e continuano a farlo Parlamentari di tutta Europa, di
propria iniziativa, per propria coscienza, turbati quanto noi dal grave
dramma della popolazione palestinese ma impotenti all’interno degli
organi istituzionali.
C’è una petizione (la petizione è in varie lingue:http://upprop.shiptogaza.se/it)
firmata, finora, da circa 79 Parlamentari Irlandesi, 45 Parlamentari
Svedesi, 71 Greci, una quindicina di Parlamentari Italiani e una ventina
di Europarlamentari. (l’appello è ancora alla firma e sarà reso
pubblico dopo la partenza della Estelle da Napoli).
Inoltre,
a Napoli arriveranno Jim Manly, ex Parlamentare canadese ed ex Ministro
delle Chiese Unite, e varie personalità internazionali, tra le quali
alcuni Parlamentari svedesi e norvegesi. Si imbarcheranno sull’Estelle
per percorrere l’ultimo tratto, da Napoli a Gaza (Comunicato Stampa di
Ship to Gaza: http://www.gazaark.org/2012/09/28/former-canadian-mp-sails-against-gaza-blockade/).
Sono
individui, come noi, che rispondono a un richiamo urgente di coscienza,
come noi. Rappresentano le Istituzioni? Anche se non lo potrei dire, le
Istituzioni dovrebbero tenerne conto.
Avete registrato sinora visibili pressioni politiche, burocratiche, militari, contro la vostra missione?
Paola Mandato:
Finora stiamo nella media. Abbiamo avuto un “assaggio”, al momento
della partenza da La Spezia, sotto forma di controlli puntigliosi e
intimidatori inusuali per navi civili. Ma siamo abituati, e soprattutto
siamo in regola, il nostro cargo è puntigliosamente ispezionato almeno
due volte in ogni porto. Ma, a tutt’oggi, stiamo nella normalità;
ovviamente, parlo di quel tipo di normalità che si riscontra quando c’è
di mezzo l’arbitrio israeliano...
Avete
rafforzato l’enfasi sull’appoggio della società civile, mentre non
perseguite l’appoggio di soggetti forti (miliardari o Stati). Perché?
Paola Mandato:
Non abbiamo rafforzato l’enfasi sull’appoggio della società civile, ci
siamo limitati a mostrare la realtà. Se ci appoggiassero quelli che Lei,
giustamente, definisce “soggetti forti, miliardari o Stati”, questo
significherebbe che Israele avrebbe perso i suoi sostenitori.
Significherebbe, quindi, che avrebbe vinto il diritto universale, che si
sarebbe rotta la catena delle complicità, che l’assedio starebbe
cessando. Sono anni che noi denunciamo queste complicità che, di fatto,
rappresentano le basi d’acciaio che permettono a Israele di commettere i
suoi delitti, senza pagare con alcuna reale sanzione. No, non abbiamo
né chiediamo l’appoggio di Stati o di miliardari vari, anche se il
tentativo di screditare la Freedom Flotilla ha mandato in giro calunnie
in tal senso. Ma, per la loro manifesta stupidità, si sono sgonfiate da
sole, mostrando, più ancora che la pericolosità delle calunnie, il
ridicolo di chi le aveva suggerite e di chi le aveva ripetute.
Come
i cittadini svedesi hanno contribuito con piccole donazioni in migliaia
, così ha fatto anche la cittadinanza di La Spezia e sta facendo la
cittadinanza di Napoli per pagare i costi del passaggio della Estelle
dai porti. Naturalmente, hanno contribuito anche tanti altri donatori da
tutta Italia. Questa è solidarietà, e per questo non occorrono grandi
finanziatori, basta il contributo di tante persone di coscienza.
Fortuna Sarnataro:
Questa è una questione rilevante, che tocca il senso del sostegno che
noi riteniamo sia importante dare alla causa palestinese. Secondo noi,
perseguire l’appoggio dei poteri forti e, quindi, rinunciare o relegare a
un piano secondario il dialogo e la divulgazione delle ragioni
palestinesi rischierebbe di essere, permettetemi l’espressione, un
autogoal. Bisogna, infatti, chiedersi qual è la posizione dei poteri
forti in relazione alla pluridecennale questione della Palestina.
Saremmo ingenui se consumassimo le nostre forze cercando di inseguire il
consenso di soggetti che, nella maggior parte dei casi, partecipano
attivamente alla creazione e al mantenimento delle condizioni disumane
subite dai palestinesi o, anche solo, ne traggono profitto. Inoltre – e
si tratta di un aspetto ancor più importante – pensare di poter
risolvere il problema appellandosi a poteri forti significherebbe non
riconoscere che il problema non è confinato nel ridotto spazio
mediorientale; non si tratta semplicemente dell’ingiustizia inflitta per
cattiveria a una popolazione. Si tratta, invece, di un problema di
ordine più generale, che riguarda direttamente una serie di questioni
per noi centrali: quella dell’economia capitalista, quella degli
strumenti di repressione e controllo sociale, quella di una
organizzazione diversa della società...
Non vi limitate dunque a uno “specifico palestinese”. Perché?
Fortuna Sarnataro:
Diffondere il più possibile le ragioni palestinesi, e tutto ciò che vi è
connesso, sensibilizzando il maggior numero possibile di persone è
prima di tutto una scelta strategica. L’intento è, da un lato, quello di
trasmettere la consapevolezza che quel che subiscono i palestinesi deve
riguardare la società intera, poiché quel che lì si sperimenta o
realizza in maniera acutizzata non è estraneo a quel che accade o
potrebbe accadere da noi. Sperimentazione di sistemi di sicurezza e
collaborazioni universitarie nella ricerca scientifica e militare sono
lì a mostrarlo (basti pensare, al riguardo, all’appalto a una società
israeliana per un sistema di radar che permetta di azzerare gli sbarchi
di clandestini nel sud Italia o all’uso sempre più diffuso di droni
anche nella sicurezza civile). Dall’altro lato, l’intento è sottolineare
che quel che ricaviamo, a livello sociale, in termini di benessere
deriva anche dall’avvantaggiarsi di quelle condizioni di sfruttamento,
occupazione, segregazione (basti pensare alle società italiane che hanno
vinto appalti israeliani nei territori occupati). Il coinvolgimento
della società civile, con la creazione di una consapevolezza diffusa
della realtà palestinese, è l’unica via per destabilizzare il sistema
consolidato dei poteri che a livello internazionale – e l’Italia ne è
purtroppo una conferma lampante – sostiene e tutela l’indifendibile
posizione israeliana, sottraendogli la base di consenso esplicito o
implicito (ignoranza, indifferenza...) grazie a cui agisce indisturbato.
La
parte del viaggio che porterà la Estelle verso Gaza sarà cruciale per
l’attenzione mediatica. Quali sono le “finestre” che volete aprire sulla
blogosfera, e nei media in genere?
Fortuna Sarnataro: La
nostra azione per la diffusione mediatica del viaggio dell’Estelle e di
tutto quel che ne è connesso si svolge su due piani. Da un lato,
diffondiamo e diffonderemo le informazioni generali, gli aggiornamenti e
gli appuntamenti pubblici diretti a mantenere vigile l’attenzione sul
viaggio della nave attraverso dei comunicati stampa, delle interviste e
delle mail ai grandi media pubblici, giornali e televisione, spingendo
perché queste informazioni vengano diffuse. Dato, però, che la realtà a
cui siamo abituati è quella per cui esiste una sostanziale autocensura
dei grandi mezzi di informazione, quando non un comportamento ossequioso
verso i desideri dei poteri forti e visto che il coinvolgimento delle
persone passa anche per molti strumenti di comunicazione capillare,
daremo continuamente degli aggiornamenti tramite siti internet, twitter e
facebook.
Paola Mandato:
Sappiamo che l’attenzione mediatica e, in particolare, l’attenzione
mediatica “corretta” sarà cruciale ma conosciamo anche il robusto
tessuto di cui è fatto il bavaglio imposto ai media dai sostenitori di
Israele. Mi lasci dire, per inciso, che forse i nove pacifisti uccisi a
freddo dai soldati israeliani in acque internazionali durante la prima
Freedom Flotilla sarebbero ancora vivi se la stampa – alla quale
inviavamo accorati appelli affinché seguisse la missione – non si fosse
auto imbavagliata. Solo all’alba di quel terribile 31 maggio, quando
dagli elicotteri israeliani è scesa la morte sulla Mavi Marmara, solo
allora la “notizia” ha avuto gli onori della cronaca.
E ora?
Paola Mandato:
Lei mi chiede quali finestre vogliamo aprire. Bene, io le rispondo
che vorremmo aprirle tutte, tutte quelle che sanno parlare di legalità
ma che, spesso, lo sanno fare a senso unico. Ci stiamo provando, inviamo
comunicati, foto, filmati … e ci riproveremo, in ogni caso, anche se
siamo abbastanza convinti che i media non daranno lo spazio giusto al
nostro veliero e al messaggio che porta. Per questo, useremo tutti i
mezzi tecnologici a disposizione; useremo, quanto meglio possibile, la
rete.
Siamo
convinti – e sappiamo che anche i nostri avversari lo sono – che la
nostra è una battaglia per la giustizia che va oltre i sacrosanti
diritti, violati, del popolo palestinese e dei gazawi in particolare.
Anche se, volte, la disparità di mezzi può far pensare che sia difficile
vincere questa battaglia, noi non ci fermiamo.
Lo
scenario che descrivete è molto arduo e pericoloso, e sembra chiedere
una dose di coraggio speciale contro i silenzi del potere. Cosa può
incoraggiare la vostra azione?
Il
nostro viatico lo troviamo in un’affermazione storica, una di quelle
che anche i vecchi partigiani della nostra Resistenza ci hanno ricordato
in questi giorni, rimettendo insieme le parole di Gramsci: “loro hanno
la forza, ma noi abbiamo la ragione. Andiamo avanti con l’ottimismo
della volontà senza lasciarci immobilizzare dal pessimismo della
storia”. Ecco, con questa convinzione cerchiamo di aprire le finestre
dei media nelle diverse forme. Sappiamo anche che le finestre che
cerchiamo di aprire fanno paura a tanti nostri democratici, perché,
una volta entrata la luce, la verità parla chiaro: Gaza è una prigione,
per di più una prigione senza neanche i diritti minimi che spettano ai
reclusi. E il carceriere si chiama Israele. Chi non sostiene la nostra
battaglia, fatta di principi, di non violenza, di solidarietà e di
civiltà, sostiene i carcerieri. E’ un’azione che parla la lingua del
diritto, no? Sappiamo che non basta ad aprire tutte le finestre, ma
noi seguitiamo a provarci.
D’altronde,
ci sono alcuni giornalisti che non hanno paura di raccontare quanto
accade in Palestina, in modo obiettivo; che non cedono alle pressioni o
alle lusinghe di Israele; che non si limitano a passare le veline che
quel Governo invia. Vuol dire che si può fare. Chiediamo, quindi, agli
altri di farsi avanti, di scegliere la parte della difesa della libera
Informazione, una cosa difficile per i tanti loro colleghi che cercano
di documentare la vita in Palestina, a rischio della propria: insieme si
è forti e Israele non potrebbe ignorarlo.
Auspichiamo che, sui media, si apra, finalmente, un dibattito aperto sulla Palestina.
Tratto da: http://www.megachip.info/tematiche/guerra-e-verita/9026-estelle-va-a-gaza-la-speranza-salpa-da-napoli.html.
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