29 aprile 2015

Caos Razziale a Baltimora: prove generali per USA 2016

di Pino Cabras.
da Megachip.

Stava durando a lungo, il silenzio dei media nostrani dagli USA, che di solito riportano ogni piccolo soffio dal loro baricentro americano. Eppure hanno bucato per giorni una notizia di gran peso: un'importante città statunitense, Baltimora, vive ore di tensione drammatica dopo l'ennesimo episodio di violenza poliziesca, l'assassinio di Freddy Gray, un 25enne troppo poco bianco per gli standard della polizia d'oltreoceano. I nostri media, che cercano brutalità poliziesche solo ad Est, provano a non accorgersi di quel che accade a Ovest, né mettono in primo piano le esplosioni di rabbia che una folla inferocita di baltimoriani sta rivolgendo a ogni livello di autorità in risposta all'ennesima goccia di sangue che fa traboccare il vaso afroamericano. 



La Repubblica on line, per esempio, ha ammortizzato la notizia puntando tutto sul buffo video che mostra un'energica Big Mama prendere a ceffoni il figlio adolescente che partecipa alla sedizione. Il risultato è che il lettore sa poco della sedizione e si immerge nella melassa della "nuova icona social della rivolta", senza nemmeno accedere allo hashtag autenticamente social del momento, #BaltimoreRiots.




A volerle vedere, c'erano ben altre potenti icone. Come ci fa notare il blogger Zeroconsensus, i manifestanti si sono impadroniti perfino del municipio cittadino, ammainando la bandiera americana con i suoi tipici colori blu e rosso per issarne una dove i colori sono sostituiti dal nero. 
Provo a immaginare una scena simile in una metropoli russa, e immagino quale sarebbe stata la copertura dei nostri media.

Secondo una recente statistica, oltre tremila persone sono state uccise dalla polizia statunitense a partire da maggio 2013, con una tendenza all'aumento degli episodi, punta dell'iceberg di un sistema vessatorio diffuso. Per rendersi conto di quanto questo sistema sia abnorme, si consideri che in Regno Unito nel 2013 la polizia non ha ucciso nessuno in un conflitto a fuoco, nel 2012 solo un individuo. The Economist calcola grosso modo che un cittadino britannico ha cento volte meno probabilità di un cittadino americano di essere ammazzato da un poliziotto. I dati europei non si discostano di molto. Questo tremendo calcolo di probabilità in USA ha un'ulteriore distorsione: gli afroamericani sono poco meno del 13 per cento della popolazione, ma sono il 37 per cento delle vittime di uccisioni "legalmente giustificate". Finisce qui? Macché. Frida Ghitis, in un editoriale sul sito della CNN, spiega che il concetto di uccisioni "legalmente giustificate" contiene un'enorme rimozione, per la quale nessuna agenzia federale vuole fare uno straccio di statistica, ossia: quante sono le uccisioni che non sono legalmente giustificate? L'FBI compila soltanto le statistiche che le inviano volontariamente appena 750 su 17.000 agenzie incaricate di far rispettare la legge. E le altre 16.250 agenzie che volontariamente non inviano nulla? Gli studiosi di criminologia analizzano in dettaglio queste discrepanze, sollevando di qualche migliaio il già spaventoso numero dei morti. In pratica, anche il Washington Post ha descritto una nuova strana forma di Segreto di Stato: il non voler sapere. Che poi significa il non voler far sapere un ritratto spiacevole del potere in America.
Ecco perché nelle dure manifestazioni di piazza sono tanti i giovani afroamericani che tengono un cartello: “Am I The Next?” (“sono io il prossimo?”, ndt)


A Baltimora non bastano più nemmeno gli agenti in tenuta antisommossa. Bande numerose – composte sia da adolescenti sia da rivoltosi adulti – lanciano ogni tipo di oggetto anche sulla nuova generazione di agenti vestiti come Robocop, mentre rifiutano ogni tardiva offerta di dialogo. La polizia fa largo uso di lacrimogeni e proiettili di gomma, con centinaia di arresti e coprifuoco notturno (per i minorenni addirittura anche diurno), intanto che i grossi ipermercati e anche la University of Maryland serrano i loro cancelli.


Eppure, non parliamo certo di una città degradata come Detroit, né di un ghetto di New Orleans, ma di una metropoli fra le più prospere degli USA. Il biotech e l'elettronica militare a Baltimora hanno a disposizione catene brevettuali e centri di ricerca che assicurano lavoro e investimenti di qualità, all'avanguardia nel mondo. 
Cosa dimostra questo fatto? 
Dimostra che il caos può accadere ovunque negli Stati Uniti, data la postura della polizia americana, ovunque la stessa, ovunque con il grilletto facile, tanto nelle città scoppiate quanto nelle città in boom. 
Anche le autorità si sono accorte che la tenuta dell'ordine pubblico non regge alle condizioni attuali. Né tanto meno reggerebbe di fronte a un peggioramento dell'economia, ormai nell'ordine delle cose nonostante la vuota retorica sulla ripresa USA. In risposta, però, il potere non sceglie “più democrazia”, ma “più tecnologia”, più SWAT, più Robocop. Cioè una polizia più arcigna, invadente, militarizzata, meno capace di intelligence sociale, e perciò più pericolosa. Durante l’esercitazione militare denominata Jade Helm 15a partire da metà luglio fino a metà settembre 2015 - agenti militari si mescoleranno alla popolazione civile e potranno identificare eventuali “sacche ostili”. Come riassume L'Antidiplomatico, la cosa non è rassicurante: «Nonostante le smentite ufficiali dell’Esercito che esclude l’introduzione della legge marziale negli USA, esistono dei manuali operativi in proposito e uno è stato pubblicato nel 2006, utilizzato per un corso presso la Scuola di Polizia Militare a Fort McClellan che fornisce le direttive per contrastare eventuali insurrezioni civili.» Intanto a Baltimora sono stati inviati migliaia di soldati della Guardia Nazionale, preceduti da un'avanguardia di decine di automezzi Humvees blindati.



Nei due anni finali del mandato del primo presidente nero, Barack Obama, la questione afroamericana ha tutta l'aria di dover pesare costantemente nella nuova campagna elettorale, ormai iniziata. 
Il clima tuttavia non è quello di una nuova stagione dei diritti civili, né a Baltimora né altrove negli USA. Il sistema washingtoniano sembra pronto a usare questo clima incandescente per assecondare ogni nuovo salto verso l'aumento dei mezzi di sorveglianza-controllo-repressione, in coerenza con tutta la linea politica usata a partire dai mega-attentati dell'11 settembre 2001. Lo USA Patriot Act, le nuove leggi liberticide, e poi il sistema totalitario di sorveglianza rivelato dallo scandalo Datagate erano appena i primi assaggi di una nuova strategia della tensione.


[Le foto sono tratte dal quotidiano The Baltimore Sun, che ha assicurato un'eccellente copertura degli eventi]

IL MIO VIDEOEDITORIALE SU PANDORATV


25 aprile 2015

Ecco come ci disprezza l'Impero

di Pino Cabras.

Bastano undici minuti e mezzo per capire cos'è in questo momento l'imperialismo nordamericano. Non dico altro: spendete questa piccola porzione della vostra esistenza, guardate questo video tradotto da Pandora TV per accorgervi alla fine di saperne di più senza troppe mediazioni giornalistiche, ascoltando tutto dalla viva voce di George Friedman, il capo della Stratfor, un'influente società privata di spionaggio legata a doppio filo con il complesso militare-industriale USA.


Era già accaduto di sentire con le nostre orecchie le candide agitazioni di un altro Dottor Stranamore, Patrick Clawson, che strillava pubblicamente affinché qualcuno preparasse una provocazione, un atto bellico sotto falsa bandiera con cui gli USA si trovassero "costretti" a entrare in guerra con l'Iran. L'ossessione dei neocon, frenata a stento dall'ala realista dell'establishment statunitense.
Ma il discorso di Friedman, così cinico e organico, va molto oltre. È la prova regina di come ci vede l'Impero: pura carne da cannone, popoli da manipolare, da dividere, mettere l'uno contro l'altro. Se il giornalismo europeo non fosse asservito alla galassia di entità atlantiste di cui fa parte Stratfor, in un sussulto di dignità avrebbe già travolto questo discorso di Friedman come uno dei più disastrosi rovesci nella storia delle pubbliche relazioni. Invece zitti.
Ma chissà, potrebbero esserne invece capaci i lettori, se si scandalizzassero per via di tutta questa cinica strafottenza imperiale, e facessero sapere in ogni angolo del web, diffondendo questo video, cosa guadagniamo a stare con i padroni della NATO: soltanto il loro disprezzo assassino, e la promessa del ritorno della guerra nel nostro suolo.


17 aprile 2015

Je suis Kalashnikov. I delitti politici in una Kiev sempre più nazista

di Pino Cabras.
da Megachip.

In Ucraina i nazisti danno una caccia spietata e assassina agli oppositori più eminenti, con un una cadenza sempre più intensa. Appena nelle ultime 72 ore sono tre le personalità uccise in agguati ben organizzati, vere esecuzioni, con un messaggio inequivocabile: vi ammazziamo casa per casa
Nomi pesanti: Oles Buzina, un giornalista molto noto, assai efficace in televisione, ucciso davanti a casa dopo mesi di minacce; Oleg Kalashnikov, un ex deputato, freddato sull'uscio; Sergej Sukhobok, un altro operatore dell'informazione che gestiva un sito e un giornale indipendenti. Tutti personaggi troppo fastidiosi per il regime di Kiev nel suo momento più delicato.
Il giornalismo occidentale non si è ancora accorto che siamo di fronte a una svolta politica drammatica. Il blocco di potere ucraino vuole risolvere le sue enormi difficoltà eliminando fisicamente le voci contrarie perché troppo pericolose in questa fase.
Il regime non vuole permettersi nessun contropotere che gli possa far pagare il prezzo dei suoi gravi insuccessi militari e finanziari, né vuole che maturino vie alternative alla crisi permanente delle istituzioni ucraine. Ha in mano uno Stato indebolito, predato da appetiti locali, atlantici e polacchi, incapace di chiudere il cerchio della divisione etnica che esso stesso ha fomentato, privo di risorse che assicurino un futuro credibile a una qualsiasi azione di governo, già nei prossimi mesi.
In questo quadro esplode del tutto apertamente il nazismo, cioè quel che le istituzioni europee, i governi, il giornalismo occidentale, la maggior parte dei politici e degli intellettuali, tappandosi occhi e orecchie e forse anche il naso, non avevano voluto percepire come elemento costitutivo dell’indigesto pasticcio ucraino. Oggi non ci sono più scuse, nel momento che i dirigenti ucraini fanno a gara per esprimere «dichiarazioni di giubilo e commenti del tipo “se lo è meritato”» (come riferisce oggi la Repubblica a pag. 19). Eppure i segnali c'erano tutti, sin dal momento in cui le proteste di Euromajdan sono state totalmente egemonizzate in funzione di un colpo di Stato che ha rovesciato un governo regolarmente eletto, mentre alla guida degli apparati repressivi si insediavano esponenti di partiti nazisti. Le testate occidentali minimizzavano: ‘i nazisti-nazisti prendono pochi voti’, dicevano. E a molti ciò sembrava una garanzia sufficiente. Non avevano voluto capire che quella minoranza determinata era l'ingrediente fondamentale del nuovo regime: nella polizia, nei servizi segreti, negli unici reparti delle forze armate non soggetti a diserzioni di massa e pertanto lasciati liberi di compiere massacri e crimini di guerra, da Odessa al Donbass, sotto l’occhio benevolo degli addestratori NATO. Tutta l'ideologia ufficiale del nuovo regime è stata conformata a una dose crescente di valori e metodi nazisti, in modo inesorabile, con la copertura decisiva degli USA e l'acquiescenza codarda degli europei.
Non è un caso che ora gli assassini nazisti lavorino di più. Si sta infatti avvicinando il 70° anniversario della sconfitta del nazismo durante la Seconda guerra mondiale, e le solenni celebrazioni previste avrebbero messo comunque a nudo la loro natura. In una situazione normale non ci sarebbe posto per i nazisti e nessuna narrazione potrebbe assegnare loro un ruolo compatibile con l'Europa post-1945. Perciò hanno dapprima forzato ogni forma di revisionismo storico ufficiale, elevando le castronerie nazistoidi a nuova verità di Stato (il premier Yatsenyuk dichiara alla tv tedesca che «l'Unione Sovietica invase Ucraina e Germania durante la seconda guerra mondiale. Dobbiamo evitare che si ripeta»), poi hanno inserito il revisionismo come premessa della nuova legislazione che mette fuori legge il partito comunista, infine hanno moltiplicato le relazioni incrociate con il nuovo “cuore nero” dell'Europa, che batte sul Baltico, dove si cumulano i revanscismi e le ambizioni territoriali della Polonia, le sfilate di nazisti in Estonia e Lettonia, l'espansione delle attività permanenti della NATO a un passo dalla Russia e fin dentro l'Ucraina stessa.
Si tratta di una miscela politica pericolosissima - pronta a espandersi in un territorio vasto e composito in seno all’Europa - e inevitabilmente portata a generare fortissime opposizioni e profonde revisioni della postura nucleare di Mosca. A Kiev non basta più la sfilza di strani suicidi e incidenti che hanno eliminato dalla scena sette politici di opposizione solo da gennaio in qua, cui si aggiungono almeno altri otto dissidenti eliminati. Non basta più uccidere tanti giornalisti, chiudere canali televisivi, ritirare in massa gli accrediti giornalistici ai “filo-russi”.
Ora si gioca a carte più scoperte, si uccide con un messaggio. I giornalisti sono nel mirino, proprio nel momento in cui i nazisti stanno migliorando le loro carriere, ormai azionisti di riferimento di quella nuova forma di Europa non più antinazista tanto cara alla sottosegretaria USA Victoria Nuland.
Nessun quotidiano italiano oggi racconta questa mattanza in prima pagina, e questo “sopire e troncare” ci consente di misurare il diverso peso che invece fu dato alle pallottole che colpirono la redazione di Charlie Hebdo a Parigi e l’agnello sacrificale Boris Nemtsov a Mosca. Lo scandalo trova posto solo a pagina 19, dove finalmente riescono a disgustarsi per le dichiarazioni di Anton Gerashenko, consigliere del ministro dell’interno ucraino, che sul suo sito fa scrivere di Buzina: «bersaglio annichilito». Lo stesso sito che tre giorni fa pubblicava una lista di proscrizione con gli indirizzi dei dissidenti, compresi gli ultimi tre “bersagli annichiliti”, incluso Oleg Kalashnikov.
Certo, suonerebbe strano dire “Je suis Kalashnikov”. Ma suona strano anche dire soltanto “Je suis Charlie”, o “Je suis Nemtsov”, e fermarsi lì, dove in troppi si fermano. Tra l'altro, nella mattanza di Kiev, i delitti politici sono molto più leggibili, abbastanza da togliere alibi a quei larghi settori delle élites occidentali che si sono fin qui schierate (tranne significative e lodevoli eccezioni, specie in Germania) con il buco nero neonazista di Kiev.

10 aprile 2015

2001, sull’antrace e i 19 ‘dirottatori’ – II parte

di Giulietto Chiesa.


Avevo promesso una continuazione delle sconcertanti scoperte della famosa storia dell’antrace, che fece seguito all’11 settembre 2001. Storia ingiustamente dimenticata e riportata in primo piano dal libro di Graeme Maqueen citato nel post precedente.
La successione temporale è importante. L’attacco all’antrace cominciò a settembre, poco dopo l’attacco terroristico dell’11/9. Le vittime degli attacchi - almeno 22 - furono individuate tra il 3 ottobre e il 20 novembre. SGli attacchi furono condotti mediante lettere contenenti spore, inviate via posta. I decessi noti furono cinque. Il primo a morire fu Robert Stevensfoto editor, il 5 ottobre, in Florida.
Tra il 6 e l’8 ottobre altre due lettere (con spore altamente raffinate di Antrace B) vennero inviate a due senatori del Partito Democratico, Thomas Daschle e Patrick Leahy. La tesi, subito sostenuta da tutto il mondo dei mainstream media, fu che l’attacco all’antrace era la ‘seconda parte’ dell’attacco dell’11 settembre. Stevens lavorava per il Sun, un tabloid il cui direttore era Mike Irish. La moglie di costui, Gloria Irish, affittò due appartamenti a due dei 19 ‘dirottatori’dell’11/9:Marwan al-Shehhi e Hamza al-Ghamdi. Non è inutile ricordare che, almeno 15 dei 19 ‘dirottatori’ furono alloggiati in località della Florida, 9 a Hollywood e 6 nei pressi [Riferimenti: QUI e QUI].

Un altro uomo del gruppo, Nawaz al-Hazmi, risulta avere accompagnato Gloria e i due compari nella ricerca di un altro appartamento. Sempre dalle indagini ufficiali emerge che sei “dirottatori” abitarono vicino a Fort Lauderdale, a poche miglia dalla redazione del Sun.
Coincidenze? Non furono le uniche. Secondo un rapporto filtrato dalla Dea (dipartimento anti droga),oltre 120 agenti dei servizi segreti israeliani, che si facevano passare per studenti di arte, furono attivi negli USA negli anni 2000-2001 e abitarono negli stessi posti in cui si trovavano i presunti dirottatori del 9/11. La faccenda “riguardò almeno sei centri urbani” in cui spie israeliane e dirottatori 9/11, e/o sospetti legati ad al-Qa'ida, operarono a contatto di gomito, in alcuni casi distanti tra di loro meno di mezzo miglio, per diversi periodi durante quel biennio e nell’immediata vigilia degli attacchi. Ma questo è un altro discorso.
Qui Graeme Mcqueen punta al succo della questione. Che spiega perché lui (ed io, più modestamente) mettiamo le virgolette prima e dopo la parola dirottatori. Perché? Vuole dire che pensiamo che quel gruppo di giovani arabi non si impadronirono dei quattro aerei? La risposta è che non ci sono credibili prove che essi salirono su quegli aerei. Vuol dire che non erano implicati nell’operazione 11/9? La risposta è: certamente lo erano. E quali connessioni avevano con l’antrace? La risposta è che stavano svolgendo una parte: quella di condurre l’opinione pubblica a pensare che erano stati loro, ma non è detto che fossero a conoscenza dei contorni del gioco a cui stavano partecipando. Infatti, quando fu chiaro (perfino all’FBI) che la teoria della partecipazione dell’Iraq e di Al-Qa'ida all’operazione antrace era del tutto insostenibile, tutte le tracce che conducevano alle strane frequentazioni dei “dirottatori” in Florida furono abbandonate e dimenticate (anche dai mass media).
Per quanto concerne i nostri dubbi circa il suicidio dei 19 ‘dirottatori’, farò riferimento a quanto riassume Mcqueen, citando Elias Davidsson (pag 141). Le autorità, cioè il 9/11 Commission Report, non hanno portato nessuna prova a sostegno della loro ricostruzione degli eventi per quanto concerne i “dirottatori”.
1) Non è mai stata fornita una lista autentificata dei passeggeri, con i nomi di tutti quelli che erano a bordo, inclusi i membri degli equipaggi e quelli dei dirottatori.
2) Non è mai stata mostrata una raccolta autentificata delle carte d’imbarco, (o dei loro tagliandi rimasti a terra), inclusi naturalmente quelli dei sospetti terroristi.
3) Non esistono video di sicurezza certificati degli aeroporti di partenza, dai quali si possa ricavare le fisionomie dei passeggeri (e dei presunti terroristi). Quelle pochissime che sono state mostrate risultano o falsificate o con i tempi sbagliati (vedi analisi pubblicate su consensus911.org).
4) Zero testimonianze sotto giuramento del personale che espletò le formalità d’imbarco.
5) Identificazione formale dei corpi o dei resti ritrovati sui luoghi dei disastri, inclusi i rapporti sulle misure di conservazione e sulla successione dei luoghi di custodia dei reperti.
E, visto che siamo a breve distanza da un'altra catastrofe aerea che ha sollevato molte perplessità, specie sul comportamento dei piloti, perché non ricordare qui che nessuno degli otto piloti (quattro piloti e quattro co-piloti) dei quattro voli dirottati quella mattina compose il codice di dirottamento? Eppure ci volevano pochi secondi per schiacciare quattro pulsanti, e gli equipaggi sono addestrati con particolare cura proprio per questo. E, inoltre ci è stato detto che il “volo 93”, quello che pare sia precipitato a Shanksville, - ci hanno fatto pure un film – fu teatro di una rivolta dei passeggeri, che costrinse i dirottatori a una furibonda lotta, durata almeno 30 secondi, prima di entrare in cabina e sopraffare i piloti. Non sembra strano anche questo?

Ma torniamo all’antrace e riassumiamo. L’offensiva venne subito (addirittura prima che se ne avesse notizia) collegata con il 9/11 e decifrata come il secondo colpo dell’uno-due ‘islamico’ che doveva mettere Ko l’America. Poi le indagini mostrarono che le spore potevano provenire solo da un laboratorio americanoPoi fu individuato un colpevole ‘luposolitario’ americano, Bruce Ivins. Che però ‘si suicidò’.
I fatti accertati furono sepolti sotto la sua lapide (Mcqueen ne offre in abbondanza): solo alti funzionari americani, bene addentro al potere, potevano avere predisposto una tale operazione. Si ricordi soltanto – a chi non ha memoria –che i due senatori democratici che ricevettero le lettere mortali, Daschle e Leahy erano i due uomini chiave per far passare in senato il famoso Usa Patriot Act. Che passò in un batter d’occhio, con l’intero edificio del Senato evacuato, senza che i senatori nemmeno potessero leggere la fine della Costituzione americana che loro stessi stavano firmando.

Comunque gli islamici non c’entravano per niente. Ma, sfortunatamente, i 19 ‘dirottatori’ avevano avuto un copione sbagliato: quello che li connetteva con l’antrace. Dunque si può concludere, con Graeme Mcqueen: l’attacco all’antrace faceva parte di un vero e proprio complotto, organizzato ben prima dell'11 settembre 2001, da ‘personale americano’. E, dunque, anche i ‘dirottatori’, erano parte di un progetto più vasto, comprendente l’11 settembre. Qualcosa andò male, e furono costretti a liquidare Ivins (e probabilmente tutti i 19 ‘dirottatori’, e forse anche molti altri, che non sapremo mai quanti. Ma cosa volete che sia per gente come quella?).
Ma bisogna riconoscere che molto andò benissimo, per loro, in primo luogo per quei sette criminali che mentirono 935 volte in 532 occasioni. Gente, in alto loco piazzata, che sapeva troppe cose in anticipo: cominciò la guerra infinita contro il terrore islamico; cominciò l’attacco all’Afghanistan; si aprì la strada alla guerra contro l’Iraq e, last but not least, venne approvato il Patriot Act. Se siamo in guerra è perché vinsero.



Una versione leggermente meno estesa del presente articolo è uscita sul blog di Giulietto Chiesa su Il Fatto Quotidiano:  http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/04/10/antrace-19-dirottatori/1576335/.


Esperti: e se un attacco hacker avesse colpito l'aereo Germanwings?

NOTA PRELIMINARE di Pino Cabras

Un esperto di aviazione, Matt Andersson, autore del libro The New Airline Code e fondatore della prima compagnia specializzata in voli business, scrive al 'Financial Times' (che ospita spesso i suoi interventi): "l'aereo Germanwings può essere caduto per un attacco hacker". E spiega come l'indagine ufficiale sia fatta coi piedi, in quanto non segue i protocolli per le investigazioni degli incidenti aerei. La notizia di questa lettera, tranquillamente pubblicata su uno dei più influenti giornali dell'Occidente - e tradotta in Italia da Dagospia - è ripresa anche dai britannici The Mirror  e Daily Mail (con articolo del giornalista che segue le questioni dei trasporti), dall'israeliano Haaretz, dall'italiano Il Giornale. Non emergono al momento ulteriori elementi su questa posizione, e non sappiamo quali dovranno essere i filoni di ricerca, ma appare ormai chiaro che il flusso frettoloso delle notizie sul copilota depresso - che hanno di fatto sostituito un'investigazione fatta secondo gli standard internazionali -  fa ormai storcere il naso anche ai piani più alti del trasporto aeronautico, come nel caso di Tony Tyler, il capo della International Air Transport Association (IATA), organizzazione internazionale delle compagnie aeree. 
La narrazione sul caso Lubitz - una valanga di bocconcini lanciati per alimentare senza sosta le redazioni - sembra essersi spinta oltre la decenza per chi deve garantire la sicurezza aerea. Quel che si è visto finora non era un'indagine, ma un racconto con troppi elementi inattendibili secondo la prassi investigativa richiesta dalla complessità di un incidente aereo.

Buona lettura
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da Dagospia.it.

Sir,
Gli incidenti aerei sono eventi complessi che richiedono indagini approfondite da parte di esperti, e anche di testare più variabili indipendenti, e altri fattori secondari. Sia la scatola nera con le registrazioni di cabina (CVR) che quella con il registratore dei dati (FDR) del volo Germanwings 9525, insieme ad altre fonti di informazione, devono ancora essere oggetto di un'inchiesta che rispetti gli standard internazionali sugli incidenti aerei.

Fino a quel momento, molte affermazioni attualmente presentate al pubblico possono rivelarsi errate, fuorvianti o in alcuni casi portare a interventi regolatori impropri o controproducenti. E assegnare responsabilità, sia finanziarie che assicurative, senza basi solide. 
Fornire uno "stillicidio" di giudizi sulla base di dati preliminari non costituisce un'indagine professionale, né una gestione sensata delle informazioni che si possono diffondere pubblicamente dopo un incidente.
Infatti, la European Cockpit Association, che rappresenta circa 40.000 piloti professionisti, ha giustamente criticato la diffusione prematura delle interpretazioni dell'audio del velivolo (che restano non verificate). 
Inoltre, queste e altre letture dei dati continuano ad essere fornite da magistrati e funzionari pubblici che ovviamente non possono essere esperti in materia di indagini di sicurezza aerea - e che potrebbero pregiudicare una valutazione tecnica formale.

Ad esempio, l'agenzia francese per le indagini sugli incidenti, la BEA, afferma che l'aereo ha accelerato nella sua discesa. Cosa possibile, ma che potrebbe derivare da un qualsiasi numero di cause, tra cui l'hacking elettronico esterno dei sistemi di controllo e di navigazione del velivolo attraverso malware o intercettazione elettromagnetica. Che sono le ragioni per cui i velivoli militari e dei capi di Stato normalmente installano schermature e protezioni speciali, mentre quelli civili non lo fanno.

L'opinione pubblica dovrebbe aspettare pazientemente un'inchiesta sulla sicurezza aerea professionale, approfondita, e che coinvolga più parti, e dovrebbe mantenere il proprio scetticismo davanti a ipotesi ufficiali ma preliminari.

Matt Andersson
Indigo Aerospace,
Chicago, IL, USA




9 aprile 2015

Al-Qa'ida sceglie la joint venture

di Massimo Mazzucco.
da luogocomune.net.


Dalla Stampa del 3 aprile 2015 leggiamo e commentiamo:

«L’erede di Osama bin Laden, il medico egiziano Ayman al-Zawahiri, è intenzionato a ritirarsi a vita privata entro la fine dell’anno e a sciogliere tutti i suoi seguaci dal giuramento di fedeltà verso di lui. Non solo, li invita a unirsi alle altre forze jihadiste, in pratica a fondersi nello Stato islamico (Isis) guidato dal rivale Abu Bakr al Baghdadi.»

Insomma, un po' come la FIAT di Marchionne, che si fonde con la Chrysler del rivale Lee Iacocca. Adesso aspettiamo la fusione fra Al Qaeda e ISIS, e poi vedrete che i loro titoli in borsa schizzeranno alle stelle.

«Un terremoto, se la notizia sarà confermata, nel mondo dei gruppi islamisti che avrebbe conseguenze dirompenti soprattutto in Siria dove l’Al Qaeda locale, Al Nusra, e il gruppo alleato Ahrar al Sham, competitori dell’Isis, hanno appena preso l’importante città di Idlib. Se si unissero allo Stato islamico la guerra sarebbe probabilmente a un svolta e l’intera Siria rischierebbe di diventare una potenza islamista.»
E chissà chi trarrà un vantaggio da tutto questo: Babbo Natale? O forse Cappuccetto Rosso?

«Ma la notizia bomba è ancora tutta da verificare. Finora siamo alle presunte rivelazioni fatte al suo entourage dal settantenne e stanco Al Zawahiri...»
Fate bene attenzione ai passaggi che seguono, perché fra poco la logica farà corto circuito.

«... Confidenze raccolte dall’ex jihadista Ayman Dean, fra i fondatori di Al Qaeda alla fine degli anni Ottanta, poi passato a lavorare per i servizi britannici nel 1998, quando l’organizzazione da punta di diamante in Afghanistan si era trasformata nella maggiore minaccia terroristica per l’Occidente.»
Quindi, ricapitoliamo: uno dei fondatori di Al Qaeda, Ayman Dean, "passa" ai servizi occidentali quando Al Qaeda diventa di colpo (e senza spiegazione) la "maggiore minaccia terroristica per l’Occidente", e Al Zawahiri cosa fa? Racconta proprio a Dean che "è un po' stanchino" e vuole ritirarsi. (Cioè, lo sanno persino i giornalisti della Stampa, che Dean lavora per i servizi britannici, ma Al Zawahiri non lo sa e si confida con lui?)

«Dean ha poi rivelato che il “Al Zawahiri, rinuncerà ai suoi poteri, o a ciò che gli è rimasto, sulle cellule dell’organizzazione terroristica dissolvendo il giuramento di fedeltà stipulato con esse”. A quel punto le cellule sarebbero libere di fare la loro bayah, giuramento, al califfo Al Baghdadi ...»
È davvero un peccato che Al Zawahiri si sia dimenticato di spiegare a Dean perché mai faccia tutto ciò, visto che ci hanno appena detto che Al Baghdadi è "il suo rivale". (Beppe Grillo è un pò stanchino, ma non per questo regala tutti i suoi voti a Forza Italia).

«... e il fronte islamista si ritroverebbe unico come ai tempi di Bin Laden.»
Veramente ai tempi di bin Laden non c'era nessun "fronte islamista". Addirittura, dopo l'11 settembre, Condolezza Rice disse di "non aver mai sentito nominare prima Al Qaeda". Ma tant'è, visto che viviamo nel mondo dei fumetti, fra bin Laden e il Joker di Batman non c'è poi quella grande differenza.

«Ma la notizia, nell’ambiguo mondo levantino, può essere anche letta in altri modi. Si scrive Al Zawahiri ma si legge Al Nusra.»
Ma la notizia, nell'ambiguo mondo dei servizi, può anche essere letta in altri modi. Si scrive Al Qaeda ma si legge CIA.

«Forse i qaedisti lanciano segnali di fumo all’Isis: uniamoci, mettiamo da parte rancori e rivalità, diamo una spallata a Damasco... Poi, per spartirsi le spoglie, un accordo si troverà.»

Forse la CIA getta fumo negli occhi dei giornalisti: unifichiamo le nostre operazioni in Medio Oriente, e cerchiamo di toglierci dai coglioni Assad una volta per tutte. Poi per il petrolio faremo un po' per uno.


Dimenticavamo: Dove è uscita la notizia? Sempre La Stampa ci dice che è stata pubblicata "dal quotidiano Al-Hayat, proprietà di un principe saudita basato a Londra." Quindi: gli stessi finanziatori dell'ISIS, i sauditi, ci fanno sapere che l'odiata "rivale" Al Qaeda vuole unirsi a loro.

A proposito, avrei un ponte da vendere dalle parti di Manhattan. Qualcuno è interessato?


Fonte: http://www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=4684

DI MASSIMO MAZZUCCO VEDI ANCHE:
"11/9 - La Nuova Pearl Harbor" - Documentario
Un documentario di 5 ore (3 DVD) riassume gli argomenti principali del dibattito sull'11/9 - SEGUONO 50 DOMANDE