5 dicembre 2016

La grande marea dei NO ripudia l'Agenda Renzi

di Pino Cabras.


Il progetto di Renzi fallisce e viene ripudiato dalla Repubblica Italiana.
Chi voleva manomettere in profondità la Costituzione è stato pesantemente sconfitto da un grande voto popolare.  Nella marea di voti che sommerge Matteo Renzi e gli avventuristi che aveva coinvolto in una campagna referendaria estremamente scorretta, i giovani hanno contato in modo trascinante: hanno contributo con più forza a rottamare un arnese già vecchio come il sedicente Rottamatore. Matteo Renzi ha subito una grande sconfitta campale nel suo progetto di rafforzamento del governo come architrave di un nuovo sistema politico. Renzi voleva riorganizzare efficacemente il blocco sociale conservatore dopo che era crollata l'analoga funzione di Berlusconi, e voleva farlo salvaguardando una fetta ancora molto elevata del suo elettorato tradizionale proveniente da sinistra. Una specie di DC 2.0 che si riprendeva le percentuali del PCI nelle regioni rosse, schiacciava l'opposizione a cinque stelle e dunque tentava di dare l'impronta decisiva alla Terza Repubblica, pur presentandosi dinamico e riformatore: cosa che attrae sempre un po' di politicanti cinici nel paese del Gattopardo, oltre a una quota instancabile di "militonti", tetragoni a ogni evidenza.
Renzi ha sopravvalutato la presa degli incantatori di serpenti volgari e ignoranti che aveva mobilitato, assieme alle clientele, per imbrogliare un Paese affezionato alla propria Costituzione. E lui, incantatore di serpenti in capo, ha commesso un azzardo politico enorme, che lo ha perduto: pensare di personalizzare il confronto, puntando all'obiettivo impossibile di farsi investire da un suffragio superiore al cinquanta per cento. 
Ricordate il referendum di aprile sulle trivelle? Non raggiunse il quorum e i corifei renziani perculavano gli avversari con tweet irridenti. Ciaone, dicevano. Gravissimo errore di sottovalutazione. 
Gli avversari infatti potevano dire: "Ricomincio da 13.330.607". Tanti erano i voti di chi in quella occasione aveva votato in modo sgradito al governo. Ed erano tanti nonostante un quorum impraticabile, una propaganda assillante del governo e del PD per spingere gli elettori a non votare, organi di stampa bugiardi e zitti. Pochissimi di quei tredici milioni erano disposti a votare Sì nel RefeRenzum del 4 dicembre. 
Come mi ha ricordato un amico che questi calcoli li ha sempre fatti bene per mestiere, Pietro Pani, con un'affluenza alle urne del 70% al NO, per vincere, sarebbe bastato prendersi appena un elettore su quattro di quelli che ad aprile non votarono (o votarono per tenere le trivellazioni) e vincere così con il 51%.  Invece siamo ben oltre. Matteo Renzi, nella sua hybris costituzionale, non sa nemmeno fare i conti. Il suo guru Jim Messina è una montagna di denaro mal speso. Ben gli sta, la democrazia è davvero un'altra cosa da Jim Messina, da Matteo Renzi, da Maria Elena Boschi, e anche dai piedi in due staffe di Gianni Cuperlo e altri.
Renzi ha interpretato la propria carica fino a svilirla in una sequela di abusi: ha ridotto la Costituzione al rango di una chiacchiera da Barbara D'Urso, ha buttato a mare equilibri nati dallo studio e dal sangue per triturarli in slogan falsi ("ecco la scheda con cui voterete il Senato", vergogna Matteo!), ha fatto di tutto per abbagliare, intimidire, costringere a schierarsi per ottenere finanziamenti che spettavano comunque agli enti locali. Davvero squallide le passerelle del presidente della Sardegna Pigliaru e di quello della Campania De Luca, per accreditarsi come vassalli e giocare intorno al Referendum fondi pubblici e risorse. Renzi ha usato enti pubblici, televisioni, manovrine e mance, e non si è fermato lì. Ha abusato anche delle ambasciate per condizionare in modo non neutrale il voto degli italiani all'estero: una grande incognita piena di ombre, per fortuna non decisiva, alla fine, perché lo tsunami sul suolo nazionale è stato inarrestabile. 


Si addensano molte nubi all'orizzonte, perché Renzi in questi suoi mille giorni non ha governato, ha rinviato, ha congelato i problemi, e ci sono sempre i poteri che vogliono spolpare l'Italia. Bisognerà attrezzarsi da subito per creare un vasto movimento popolare in grado di governare in nome della Costituzione, che ci teniamo - fortunatamente e meritatamente - ancora oggi. Nessuna delle forze di opposizione - alle Agende Monti, Agende Letta e Agende Renzi che ci governano da anni - può bastare a se stessa. Dovremo pensarci. Domani è un altro giorno.


20 novembre 2016

L’Occidente si è trumpato il cervello

di Roberto Quaglia.



Queste elezioni americane sono senza alcun dubbio state le più incredibili da parecchi decenni a questa parte. Quanto di ciò che abbiamo visto sia reale e quanto sia invece abile teatro lo scopriremo solo nel tempo. Le opzioni principali sono due: o le cose sono come sembrano, oppure sono come non sembrano.
Iniziamo con la prima opzione.
Trump ha vinto le elezioni americane contro tutti i pronostici, contro tutti i sondaggi, contro il coro di tutti i media occidentali compattamente schierati contro di lui, contro l’opinione univoca e compatta dei ceti “liberal” di cultura medio-alta.
Più che fare un’analisi politica di questo avvenimento, opera in cui al momento si sbizzarriscono tutti, è interessante soffermarsi su alcune considerazioni che attengono più alla sociologia, che alla politica.
Perché i giornalisti e gli intellettuali mainstream in questa faccenda si sono sbagliati tutti e completamente? Prima incapaci di capire che Trump si sarebbe aggiudicato la nomination repubblicana, poi incapaci di capire che avrebbe vinto. E già in precedenza incapaci di prevedere l’esito del Brexit. Sbagliarsi completamente una volta può essere un caso, ma due o tre volte di fila inizia a configurare una norma. Nel caso italiano poi si aggiunge l’incapacità di prevedere e capire ed infine di prendere atto dell’ascesa del fenomeno dei Cinque Stelle. In altre parole: il mainstream è stupido. Mi sovviene la famosa citazione “se tutti pensano allo stesso modo, allora qualcuno non sta pensando”.
E per colmo di beffa, ora quello stesso circo mediatico corrotto ed incapace che da qualche tempo le sbaglia tutte, ci vomita in salotto le inutilissime arrampicate sugli specchi degli opinionisti che non ne hanno azzeccata una, e che ora pretendono di spiegarci ciò che manifestamente non hanno capito ed evidentemente non sono proprio in grado di capire. Tutto ciò in attesa dei salti carpiati con doppio avvitamento dei giornalisti e politici italiani (Renzi in testa) che hanno sempre sfottuto quando non addirittura insultato Trump e che ora, da un giorno all’altro, con la stessa passione di prima inizieranno a coglierne le virtù nascoste fino a giungere a tesserne lodi sempre più sperticate. Non perdetevi lo spettacolo infame, destinato a trasformarsi in un culto trash. Il voltagabbanismo nell’epoca di internet è infatti un gioco con un prezzo da pagare, il prezzo del ridicolo, dato che i precedenti insulti non scompaiono dalla memoria della rete – nossignori, non li si può cancellare da Internet – ed una volta abilmente accostati alle successive leccate di culo possono dare vita a dei disgustosi quadretti che immortaleranno lo squallore dei vari personaggi per l’ilare e sacrosanto dileggio dei posteri.
Come già per il caso del Brexit, assistiamo ora ad un altro fenomeno eclatante: il rifiuto del risultato della votazione da parte dell’elettorato perdente. Questo, naturalmente, nel nome della democrazia. Nel caso del Brexit, si manifestò con petizioni che chiedevano di votare di nuovo ed elucubrazioni sul fatto che il voto potesse venire legalmente ignorato. Questo, naturalmente, nel nome della democrazia. Nel caso delle elezioni di Trump invece abbiamo gente che scende in piazza contro l’esito delle elezioni, senza tuttavia un argomento diverso da quello della propria insoddisfazione. Non si scende in piazza per qualcosa che Trump ha fatto o sta per fare – è troppo presto per questo, lui non è nemmeno ancora presidente. No, si scende in piazza perché semplicemente non si è d’accordo con l’esito del voto. Contemporaneamente, iniziano a udirsi voci intellettualoidi che si esprimono contro il suffragio universale. Tutto questo, naturalmente, nel nome della democrazia.
Dico ciò perché l’aspetto forse più interessante di queste elezioni è proprio l’aperto manifestarsi di questa visione cripto-totalitaria di una parte di popolazione erudita sinceramente convinta di incarnare la vera ed unica identità democratica possibile della società. Oltre al blocco compatto dei media e della “intelligentsija” o presunta tale, si tratta dei ceti di istruzione medio-alta della società. Nel loro rifiuto di considerare legittimo il voto delle fasce di istruzione minore essi di fatto senza accorgersene hanno dichiarato una feroce lotta di classe che in sostanza si riassume nell’idea: la democrazia è vera democrazia solo quando vinciamo noi, che siamo persone più erudite e migliori. Quando vincono gli altri non vale, dato che sono ignoranti e sempliciotti, non vale a meno che il vincitore sia anche di nostro gradimento. Il rifiuto dell’esito del gioco è un comportamento tipico dei bambini. Nel caso del Brexit tutti ad urlare come i bambini “voglio la rivincita!” e coerentemente oggi tutti a strepitare “Non vale! Non vale” senza però essere in grado di spiegare perché non dovrebbe valere. Un comportamento molto infantile. Anche l’argomento, spesso utilizzato in questi casi, che la gente ignorante sia stata convinta dai media a votare per l’impresentabile di turno non vale, dato che i media spingevano invece a votare la Clinton con una univocità che – questo sì – rappresentava la morte del pluralismo politico, fatto che curiosamente non ha preoccupato nessuno di tutti questi colti benpensanti. In effetti, il fatto straordinario è proprio che metà degli elettori abbia votato a dispetto del coro compatto dei media – in direzione contraria. Questo significa inequivocabilmente che più di metà della popolazione votante, per non parlare di quella non votante, non crede più a ciò che sente in televisione per quello che riguarda la politica, non crede più a quello che scrivono i giornali mainstream. I sacerdoti del ministero della verità stanno rapidamente perdendo il loro pubblico.
Fino ad ora non sono entrato nel merito dell’analisi politica, interessandomi di più il mistero del comportamento delle masse di persone. Qualcosa tuttavia si può dire anche sul piano dell’analisi politica.
Una delle letture più lucide è forse stata data dal grande giornalista John Pilger in una bellissima intervista a RT che invito tutti a guardare. Ben due volte premiato come giornalista dell’anno in Inghilterra, John Pilger non può certo essere tacciato di simpatie sospette. Eppure, Pilger mette il dito nella piaga: per quanto Trump possa essere impresentabile, la Clinton è già compromessa da una miriade di fatti inaccettabili e semplicemente non è un’opzione. Massima garante dello status quo criminal-finanziario di Wall Street e del complesso militar-industriale, già criminale di guerra corresponsabile della distruzione di Libia e Siria, corrotta dai sauditi a cui assicurava le armi destinate ai tagliagole dell’ISIS, come rivelato da Wikileaks, aveva già promesso che se eletta avrebbe fatto guerra all’Iran – e molto probabilmente avrebbe scatenato la terza guerra mondiale. Non c’è antipatia per il personaggio Trump che regga al confronto con la prospettiva di un cataclisma del genere. Colpisce la confusione mentale di quel blocco di società benpensante per il quale maschilismo, rozzezza e cattivo gusto pesano di più dei crimini di guerra e della promessa di nuove guerre e possibilmente di una guerra nucleare. Una confusione mentale tale che, messi di fronte alle rivelazioni di Wikileaks che inchiodano la Clinton ai suoi crimini, anziché prendere atto della realtà chiudono gli occhi e piuttosto accusano Wikileaks di avere rivelato il malaffare. Anche il Guardian si è spinto a dare la colpa ad Assange. Siamo quindi al delirio. Fra la criminale sobria ed il maleducato pacchiano i benpensanti preferiscono la criminale sobria. Fra una guerrafondaia dichiarata, però persona elegante, ed un riccone maschilista, per lo più buzzurro, i benpensanti preferiscono la guerrafondaia elegante. Per quanto sia assurdo i benpensanti preferiscono, in America come in Italia ed in Europa, una guerra nucleare quasi certa piuttosto che il trionfo del cattivo gusto. Come si spiega questa follia? La risposta è semplice e banale: la gente capisce facilmente i problemi piccoli, ma non è assolutamente in grado di fronteggiare i problemi grossi. Cattivo gusto, razzismo ed esternazioni maschiliste sono le piccole cose che incontriamo nella nostra vita di tutti i giorni e per le quali abbiamo criteri di comprensione ed un codice di comportamento. Una guerra nucleare è invece un problema troppo grosso perché la nostra mente sappia occuparsene e quindi la nostra mente lo nega in blocco, rifiuta di vederlo, lo confina nell’ambito delle prospettive astratte che non ci possono davvero riguardare. In parole povere, la tattica dello struzzo che ficca la testa sotto terra per non vedere, la tattica dei bambini che chiudono gli occhi davanti a ciò che li spaventa convinti che questo basti a farlo sparire dalla realtà, oltre che dalla loro vista. I benpensanti hanno paura del parrucchino di Trump perché capiscono cosa voglia dire un parrucchino, ma non hanno paura della guerra, forse nucleare, promessa dalla Clinton perché non capiscono cosa voglia dire una guerra, soprattutto nucleare.
Naturalmente, è interamente possibile che anche Trump conduca il mondo alla catastrofe. Ciò non toglie che che con la Clinton questa sarebbe stata una certezza. E quando devi scegliere fra un disastro possibile ed un disastro garantito, il disastro garantito non è affatto la scelta migliore. Ubi maior minor cessat.
Adesso che abbiamo ragionato sulla premessa che le cose sono come sembrano, spendiamo due parole anche sull’ipotesi che le cose siano come non sembrano. Mi perdonerete la sospettosità, ma dall’11 settembre in poi ho sviluppato un certo scetticismo rispetto a qualsiasi teatrino venga rappresentato davanti a me. Ogni volta che cado in tentazione e credo alla realtà di uno scenario, prima o poi saltano fuori elementi che mi convincono di essere stato fregato per l’ennesima volta – stavo assistendo ad un teatrino e non me ne ero accorto perché la sceneggiatura era stata scritta troppo bene. E, come sappiamo, in politica i teatrini sono di solito la norma, non l’eccezione. Quanta gente a suo tempo cadde nel tranello del teatrino del mito di Obama il Buono, che nell’immaginario popolare, costruito ad arte, avrebbe portato la pace in terra? In seguito Obama avrebbe bombardato sette paesi. Oggi ci viene presentata una narrativa del tutto diversa, ma quanto di tutto ciò è reale?
Ci sono almeno tre elementi che stonano nel quadro che ci viene presentato. L’indagine ad orologeria dell’FBI su Hillary Clinton ed il timing delle rivelazioni di Wikileaks sono le prime due stonature. Wikileaks non è propriamente ciò che in molti credono, in realtà è parte del sistema, tanto è vero che fa sempre bella figura sulle prime pagine dei giornali – i veri oppositori del sistema sono ignorati dai media. E non solo Assange rispetto ai misteri dell’11 settembre non ha mai spifferato nulla, ma addirittura ha difeso l’indifendibile versione ufficiale. Non mi stupirei se Trump finisse per dargli la grazia, a cui seguirebbe il Nobel. 

E la terza stonatura, per quanto possa sembrare strano è costituita dai mancati brogli elettorali a favore della Clinton, brogli che in molti si aspettavano dato che si erano verificati in elezioni precedenti e che stavolta non sono avvenuti. Oppure che ci sono stati, ma a favore di Trump. La grande discrepanza fra gli exit poll ed il voto a favore di Trump in stati chiave suggerisce infatti che anche stavolta ci siano stati dei brogli, però a favore di Trump.
E bisogna essere incredibilmente ingenui a credere che le macchine elettroniche per il voto negli Stati Uniti, una vera e propria black box dal software segreto e di proprietà dei soliti sospetti, i cui risultati sono inverificabili, con le quali già in passato si sono truccate elezioni, proprio stavolta siano state usate senza imbrogliare.
C’mon, do you really believe that?
Se quindi ci vengono presentati tutti i soldatini del potere visibile schierati compatti per la Clinton, si intravvedono però in trasparenza i grandi alfieri del potere nascosto operare in appoggio a Trump.
E’ un’epoca di crescente ribellione contro i cosiddetti Padroni dell’Universo, ovvero i poteri forti, fortissimi, che tirano le fila dei burattini politici – e dopo questa elezione a sorpresa essi ci vengono presentati come sconfitti, disperati, messi all’angolo dalla vittoria di Trump. Ma lo sono davvero? Oppure fa tutto parte di uno spettacolo dai fini misteriosi? Come Obama fu il contentino per i benpensanti, è oggi forse Trump il contentino per i malpensanti? Obama l’anti-Bush seguito da Trump l’anti-Obama, lo stesso schema a ruoli invertiti, uno schema good cop – bad cop per tutta l’umanità?
L’attacco dell’FBI alla Clinton rivela uno schierarsi evidente dello deep state – lo stato profondo statunitense. Ma è lo stato profondo che si ribella ai Padroni dell’Universo costringendoli a cambiare strategia oppure sono sempre i Padroni dell’Universo quelli che conducono il gioco tirando abilmente le fila anche dell’FBI e di altre agenzie?
Le rivelazioni di Steve Pieczenik, un insider di alto livello e di lungo corso del potere americano (leggetevi la sua interessante biografia su Wikipedia, è stato anche fortemente coinvolto nel caso Moro), parrebbero suggerire che la ribellione del deep state sia sincera e patriotica. Ma come facciamo ad esserne certi?
Ed anche l’immagine delle proteste spontanee di strada contro la elezione di Trump inizia a vacillare quando scopriamo che ci sono annunci per reclutare gente che protesti a 1500 dollari la settimana. Si stanno creando le basi per una guerra civile in America? Che magari possa servire ad imporre una legge marziale? Oppure l’obiettivo principale è di restituire importanza alla narrativa della dialettica democratica, esasperando i contrasti apparenti fra ogni presidente in carica ed il suo successore, al fine di corroborare il mito di una democratica alternanza politica?
Altro che House of Cards, la puzza qui è piuttosto quella del Truman Show, però facciamo attenzione, qui siamo nel campo della speculazione, ipotizzare è doveroso, ma balzare a conclusioni certe è prematuro. La situazione è troppo complessa e con troppe incognite per nutrire certezze. Non sappiamo fino a che punto si sia evoluta l’arte di manipolarci e di prenderci in giro, ma dobbiamo considerare seriamente la possibilità che abbia trasceso la nostra capacità di immaginarlo. L’unica cosa certa è che il tempo ce lo dirà – forse. E fino ad allora, teniamo acceso il cervello, sospendiamo il giudizio e, poiché siamo comunque relegati al ruolo di spettatori, cerchiamo di goderci lo spettacolo.
Trump ha vinto il 9 novembre, 11/9 ovvero il 9/11 al contrario, l’11 settembre al contrario. Nell’anniversario in cui 27 anni fa venne abbattuto il muro di Berlino. I numerologi e gli analisti dei simboli ci andranno a nozze.
In conclusione, torniamo a limitarci a guardare agli eventi per come ci appaiono. Al di là delle sceneggiate elettorali e delle trame dietro le quinte rimane il dato straordinario di un voto di massa controcorrente. Chiediamoci ancora una volta come mai così tante persone hanno potuto votare per Trump, contro il politicamente corretto, contro il coro compatto di tutti i media. Grillo ha dichiarato che si è trattato del più grosso vaffa-day della storia, ma meglio di lui si è espresso un mio amico americano, un sociologo, riportando sul suo facebook il seguente piccolo test che vi invito tutti a seguire e – se tenevate per Clinton – a dare la vostra risposta:

Quando tutti i non-razzisti, non-misogini, non-omofobi, non-bigotti normali comuni cittadini ne hanno talmente abbastanza che voi li chiamiate razzisti, misogini, omofobi e bigotti da decidere di votare contro il vostro candidato – voi cosa fate?

Opzione A: Rivedete la vostra condotta personale e la strategia per convincere la gente a condividere la vostra politica.
Opzione B: Li chiamate razzisti, misogini, omofobi e bigotti più che mai urlando contro di loro ancora più forte.
A giudicare dai post che leggo su facebook, la maggioranza di voi ha scelto l’Opzione B.
Ed è soprattutto per questo che il vostro candidato ha perso.


20 Novembre 2016
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Fonte: http://roberto.info/it/2016/11/20/occidente-trumpato-il-cervello/.
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25 ottobre 2016

Il linguaggio prezioso della Costituzione. Ecco perché #iodicoNo

Mio intervento sul "RefeRenzum" Costituzionale, da ospite della manifestazione del M5S organizzata ad Assemini (CA) il 22 ottobre 2016.





9 ottobre 2016

Trump-Hillary. Sesso, finanza e videotapes

di Pino Cabras.
da Megachip.

Una breve riflessione per contribuire a contestualizzare la notizia del giorno.

Mentre il coro dei media tira fuori uno scheletrino dall'armadio di Donald Trump facendolo diventare un delitto mondiale, passa del tutto in secondo piano la rivelazione di Wikileaks con le ributtanti trascrizioni dei discorsi a pagamento che Hillary Clinton pronunciava presso i pezzi grossi di Wall Street, ai quali teneva a dire: "Mi sento molto lontana dalla classe media". E intanto prometteva loro l'esatto opposto di quanto promette al popolo bue: la protezione incondizionata dei super-ricchi. Per questi servigi si calcola che abbia ricevuto quasi 26 milioni di dollari.

Mi pare che la politica USA sia in una crisi drammatica, con due candidati alla presidenza squallidissimi e deboli, laddove l'unico centro di comando con effetti decisionali veri, al momento, risiede al Pentagono, e l'unica fonte di legittimazione vera risiede nel denaro della grande finanza

Piccolo problemino aggiuntivo, che si perde nel coro russofobo dei media: il Pentagono è in mano a gente che sta prendendo decisioni che rendono possibile sin d'ora una guerra fra USA e Russia
Che - capite bene - non è come le altre guerre.





8 ottobre 2016

Quei finti video di Al-Qa'ida e l'informazione

di Marcello Foa.

Il commento pubblicato in prima pagina sul «Corriere del Ticino» del 5 ottobre sui falsi video di Al-Qa'ida  ha avuto una risonanza enorme, per la quale ringrazio i lettori. Non a tutti è piaciuto, com'è normale. Alcuni hanno chiesto dei chiarimenti sulla manipolazione dei video, che sono ovviamente ben lieto di fornire.
Ricordiamo brevemente i fatti: per 5 anni il Pentagono ha stipulato un contratto con una società di PR britannica, la Bell Pottinger, per operazioni di propaganda e di guerra piscologica in Iraq, in cambio di un compenso colossale: 540 milioni di dollari
Un videomaker, Martin Wells, ha svelato l'esistenza di questo programma al Bureau of Investigative Journalism. 
Le attività erano diverse ma le più sensibili erano due, cosiddette di propaganda grigia e nera: la produzione di finti servizi televisivi, poi diffusi alle emittenti della regione, e di filmati di propaganda, che venivano falsamente attribuiti ad Al Qa'ida
Alcune immagini erano girate in proprio («Mandavamo squadre di operatori a effettuare filmati in bassa definizione degli attentati di Al Qa'ida», ricorda Wells), in altri casi venivano usati filmati esistenti. 
La propaganda nera si tramutava in un video in apparenza «di Al Qa'ida» di 10 minuti, inciso su dei CD che poi venivano lasciati furtivamente dai marines durante i raid nelle case e nei villaggi, e dotati di un codice che consentiva di tracciare chi li guardava al computer e di trasmettere l'indirizzo IP tramite Google Analytics. Un'operazione di intelligence, che è stata ripetuta numerose volte.
E qui nascono i problemi. Perché negli ambienti jihadisti sono circolati per anni filmati autentici di Al Qa'ida e altri che sembravano di Al Qa'ida ma che erano stati prodotti dalla società britannica Bell per conto del Pentagono. Filmati che, come ci hanno ripetuto all'infinito gli esperti, solitamente finiscono sul web, nella chat riservate, nei siti dei fanatici islamisti che, ad esempio, il famoso SITE della cacciatrice di jihadisti Rita Katz monitora costantemente, producendo scoop poi ripresi non solo dai media mediorientali ma anche, e talvolta soprattutto, da quelli occidentali. 
Ma i video diffusi – nel periodo 2006-2011 – erano davvero tutti di produzione di Al Qa'ida? O ne aveva le sembianze ma in realtà era un'elaborazione del Ministero della difesa americano? E cosa contenevano quei messaggi?
L'inchiesta del Bureau non chiarisce tutti i dettagli. Interpellate, le autorità americane si rifiutano di fornire spiegazioni più precise, ma ammettono che «la Bell lavorava per l'Information Operations Task Force (IOTF), producendo materiale che in parte è stato comunicato alle forze della coalizione citando la fonte e in parte nascondendola». Dunque traendo in inganno non solo i seguaci jihadisti ma gli stessi alleati. E conseguentemente anche i media.
Il Pentagono insiste che il materiale era «truthful» ovvero attendibile o veritiero, ma è ben diverso dall'affermare che fosse vero
Inoltre l'inchiesta afferma che la società inglese lavorava in un'operazione militare riservata «coperta da numerosi accordi segreti» e che la Bell Pottinger riportava al Pentagono, alla CIA e al National Security Council. Le attività più sensibili dovevano ricevere l'ok del generale Patraeus.
Come ho spiegato nel mio commento, non c'è da stupirsi per queste attività; rientrano nelle attività di intelligence. Il punto è che nell'era della comunicazione globale e di internet non sono limitate al teatro di guerra, ma finiscono per contagiare anche i media in tutto il mondo, influenzando le nostre opinioni pubbliche, che non possono accettare a cuor leggero che un filmato di Al Qa'ida possa essere in realtà una produzione del Pentagono. 
Non dopo aver avuto la prova che la guerra in Iraq contro Saddam Hussein è stata proclamata sulla base di accuse inventate. È una questione di credibilità; e quella americana, purtroppo, è da tempo fortemente incrinata.


5 ottobre 2016

Quei filmati di Al-Qa'ida? Li faceva il Pentagono

di Marcello Foa.
I video di Al-Qa'ida? Così falsi da sembrare veri e commissionati non da Bin Laden, ma dal Pentagono, per il tramite dell'agenzia di PR britannica Bell Pottinger che per almeno cinque anni ha lavorato in Iraq su mandato del Dipartimento della difesa americano ottenendo un compenso di oltre 100 milioni di dollari all'anno. Totale: 540 milioni di dollari, una cifra esorbitante.

Sì, sì, avete letto bene: certi filmati di Al-Qa'ida erano "made in USA". A rivelarlo è il Bureau of Investigative Journalism in un'ottima inchiesta appena pubblicata sul web, incentrata sulla testimonianza di un video editor, Martin Wells, che quei filmati li ha fatti in prima persona, e riscontri nei documenti ufficiali.


La storia è intrigante, quasi da film. Siamo a Londra. Wells, un video operatore free lance, nel maggio del 2006 viene contattato con la prospettiva di un contratto in Medio Oriente e al primo colloquio si accorge che il committente è molto particolare. Non è la solita società di produzione ma l'ambiente in cui viene accolto è militare; anzi di intelligence militare. Viene scortato da guardie armate all'ultimo piano di un palazzo. Il colloquio è breve e gli comunicano subito l'assunzione perché hanno fatto delle verifiche sul suo conto e lo hanno trovato «pulito». Tempo 48 ore e si trova a Baghdad in una base ultraprotetta, una centrale dove vengono pianificate operazioni di guerra psicologica, in gergo le psyops, alcune delle quali tradizionali. 
"Dovevamo produrre filmati "bianchi" ovvero nei quali la fonte era dichiarata, tendenzialmente si trattava di spot contro Al Qa'ida", spiega Wells.
Ma altre operazioni erano decisamente meno trasparenti. 
"La seconda tipologia era 'grigia': finti servizi giornalistici che poi venivano mandati alle Tv arabe". 
E poi c'era quella "nera" in cui la paternità dei video era "falsamente attribuita". Insomma false flag, che Wells spiega così: "Producevamo finti filmati di propaganda di Al-Qa'ida, secondo regole e tecniche precise; dovevano durare dieci minuti ed essere registrati su dei CD, che poi i marines lasciavano sul posto durante i loro raid, ad esempio durante un'incursione nelle case di persone sospettate di terrorismo. L'obiettivo era di disseminare questi video in più località, possibilmente lontani dal teatro di guerra perché scoprire filmati di quel genere in località insospettabili avrebbe aumentato il clamore e l'interesse mediatico". 
Dunque non solo a Baghdad, ma anche "in Iran, in Siria (prima della guerra) e persino negli Stati Uniti".
Capito? Certi angoscianti scoop che rimbalzavano sul web o in Tv in realtà erano fabbricati a tavolino da una società di PR britannica all'interno di una base statunitense in Iraq. E vien da sorridere pensando che poi erano la CIA o la Casa Bianca a certificarne l'autenticità.
Wells conferma modalità che gli esperti di spin conoscono bene. Il mandato viene affidato da un governo a società di consulenza esterne per aggirare la legge, evitare il controllo di commissioni parlamentari e proteggere le istituzioni nell'eventualità che queste operazioni vengano scoperte e denunciate dalla stampa, cosa che peraltro non accade quasi mai. 
I fatti svelati dal Bureau of Investigative Journalism infatti risalgono al periodo 2006-2011; nel frattempo la Bell Pottinger è passata di mano e le truppe americane si sono ufficialmente ritirate dall'Iraq. Lo scoop è sensazionale ma difficilmente assumerà rilevanza internazionale perché riguarda un passato lontano e infatti la maggior parte dei grandi media lo ha ignorato.
Intendiamoci. Il fatto che in un contesto di guerra, seppur particolare come quella al terrorismo, si possano concepire operazioni di questo tipo non sorprende. Lo insegnano, da secoli, Sun Tzu e Machiavelli. Il problema è che di solito sono limitate al teatro di guerra, mentre negli ultimi anni hanno assunto una valenza globale
Quella propaganda non è rivolta solo agli iracheni e agli attivisti di Al Qa'ida ma anche ai cittadini del resto del mondo, persino agli americani nonostante la legge statunitense lo vieti espressamente. Ed è diventata sistematica
Sappiamo che la guerra in Iraq è stata proclamata su accuse inventate a tavolino. Sappiamo che i report sull'andamento della lotta ai taliban in Afghanistan sono stati falsificati per anni ingigantendo i successi dell'esercito americano, sappiamo delle manipolazioni mediatiche di alcuni drammatici episodi del conflitto in Siria e sappiamo anche che alcuni filmati dell'ISIS sono stati postprodotti e manipolati, in certi casi anche con risvolti comici, come quello in cui i terroristi scorrazzano per il deserto iracheno su un pick-up con le insegne di un idraulico del Texas.
La frequenza e l'opacità di questi episodi pone un problema di fondo, molto serio: quello dell'uso e soprattutto dell'abuso delle tecniche di psyops, che non può diventare un metodo implicito di governo attraverso il condizionamento subliminale ed emotivo delle masse. Non nelle nostre democrazie.

4 ottobre 2016

Grillo ha bisogno di Pizza, altro che storie

di Pino Cabras.



Mi posso permettere di parlare con molta libertà del Movimento Cinque Stelle, nell'ora in cui questo perde Federico Pizzarotti, proprio lui, il suo primo sindaco di una città capoluogo, con tanto di saluto finale sprezzante di Beppe Grillo

Mi posso permettere tanta libertà perché ho combattuto contro i giudizi ingiusti che per anni sono stati espressi contro i cinquestelle, sia i giudizi di quelli che avevano interessi - spesso loschi - da difendere, sia quelli dei troppo pigri intellettualmente (quelli cioè che vedono il fascismo dove non c'è e non si accorgono di chi ha difeso in Parlamento la Costituzione contro la riforma Boschi-Verdini). 
Molti amici del MoVimento sanno che nel difenderli ho affrontato rimproveri e persino qualche insulto per solo amore della verità. 

Nel caso della vicenda di Pizzarotti la vedo molto semplice: a Parma nel 2012 si è prodotto per la prima volta lo schema che poi si è ripetuto uguale identico in tante altre città: un sistema di potere locale corrotto fino al marciume e imperniato sul PD - alla fine di un disastro che ha divorato le casse comunali - viene sconfitto al ballottaggio da una forza che non spunta come un fungo, ma viene da anni di opposizione senza sconti. 
Per il M5S votano insieme elettori di sinistra (disgustati e in fuga dal sistema imploso) ed elettori di destra che non voterebbero mai per quella sinistra. 
A Parma va dunque al governo un gruppo dirigente che si trova a gestire una catastrofe finanziaria senza avere una pregressa esperienza amministrativa, ma che sa rimboccarsi le maniche e identifica le priorità civiche all'interno della cornice delle leggi, senza dover rispondere ai ricatti paralizzanti del vecchio sistema di potere parassitario. 
Non riesce a fare tutto quel che vorrebbe, perché non tutto è nelle competenze azionabili dal Comune, ma se la cava decisamente bene. Certo, sul nuovo sindaco pesano i vecchi debiti, ma il solo fatto di essersi liberato dei parassitismi politici che c'erano prima di lui offre a Pizzarotti margini di manovra mai visti. Quei debiti li riduce del 45%, e il suo comune scala persino alcune delle classifiche che contano per giudicare la qualità della vita di una città rispetto a centinaia di altre. Accade addirittura che Parma, dapprima sull'orlo della bancarotta, riesca a diventare in pochi anni la 18° città italiana per stabilità economica

Insomma, Pizzarotti funziona, e funziona bene.

Quel che non funziona è il rapporto con la macchina politica che detiene il marchio del M5S, ossia il nucleo aziendale diBeppe Grillo e della famiglia Casaleggio, così come non funziona il rapporto con la seconda cerchia dell'emergente forza politica (il Direttorio). Ogni tanto il blog di Grillo nei confronti del "Pizza" scrive due o tre righe, sempre più fredde. È evidente che lui non è un tipo governabile con direttive dall'alto, perché possiede la pertinacia minuziosa e pragmatica di certi amministratori vecchio stampo, che hanno studiato i regolamenti fino a spremerne l'anima, gente che non convinci se prima non studi anche tu. 

Nel frattempo molti altri comuni vengono conquistati dal M5S. Stesso schema: municipi con una lunga storia di amministrazioni piddine spaventosamente tarlate vengono espugnati da liste con il marchio cinquestelle che riescono a vincere i ballottaggi e mettono sindaci non ricattabili dai vecchi poteri. 
L'arcipelago delle realtà locali pentastellate viene tenuto insieme sempre più a fatica da un movimento politico che - per non volersi dotare di regole da partito tradizionale - si trova a gestire le questioni politiche con regole evanescenti, meccanismi di garanzia troppo dipendenti dall'arbitrio di pochi, norme di inclusione-espulsione giuridicamente insostenibili. A peggiorare le cose ci si mette un Direttorio che - a dispetto del nome - non sembra ambire a dirigere il rapporto con le realtà locali, tranne eccezioni: i problemi minori, trascurati, diventano grandi e scavano solchi anche sul piano umano.
Fra questi problemi ci sono piccole grane giudiziarie che i sindaci del M5S subiscono quasi sempre perché il PD spodestato cerca una riscossa in tribunale. Anche qui, lo schema si ripete: gli esponenti del PD presentano degli esposti praticamente infondati, ma scritti abbastanza bene da costringere i magistrati a indagare e a far recapitare un "avviso di garanzia" all'amministratore pentastellato di turno. 
Se funziona bene la comunicazione fra l'amministratore e i livelli apicali del M5S, il MoVimento è garantista e attende che l'amministratore sia scagionato (come quasi sempre accade). 
Se quella comunicazione invece non funziona bene, come nel caso di Pizzarotti, il Movimento lo sospende e non revoca la sospensione nemmeno quando il sindaco di Parma viene prosciolto. Fino all'assurda cavillosità dell'ultima cosa che Grillo trova da dire a Pizzarotti: la richiesta dei «documenti che gli sono stati richiesti il 6 giugno e che non ha mai fornito». Dopo i balbettii di Di Maio sulle vicende romane, trattati con ben altra indulgenza, l'unica cosa che Grillo ha dire su un amministratore che esce pulito è questa pedanteria, riferita per di più a un regolamento interno che sarà sostituito proprio perché in tutta evidenza non funzionava. 
Allora traduciamo le cose in termini politici: nessuna norma avrebbe mai potuto dimostrare che Pizzarotti si comportava in contrasto con regole e azioni tipiche del M5S né il capo poteva espellerlo senza compiere violazioni della legge passibili di strascichi giudiziari. Così lo si è tenuto nel limbo, per spingerlo ad espellersi da solo, senza dargli una risposta che fosse una, nel merito, in modo pubblico, trasparente, conforme alle aspettative tanto decantate quando tutto doveva andare in streaming.
Era così insostenibile l'autonomia parmense? A me pare che la nomenklatura pentastellata abbia commesso un errore politico madornale che finirà per pagare a caro prezzo, tagliando fuori voci democratiche e creative. L'ultima cosa che serve a chi vuole costruire un'opposizione forte oggi e un governo popolare e pluralista domani.


29 settembre 2016

Disastro ferroviario in Algeria. Lo sapevate?


di Pino Cabras.
da Megachip.
Immagine tratta da Ennahar TV

Il 24 settembre, solo pochi giorni fa, in Algeria, un brutto incidente ferroviario ha causato un morto e centinaia di feriti. La notizia è passata inosservata in gran parte del mondo, tranne brevi richiami qua e là, come nel Mirror britannico.

In Italia addirittura nessun cenno. Ho controllato con i motori di ricerca: nada de nada, nisba.

Viceversa, l’incidente di oggi del treno in New Jersey, pur avendo la stessa esatta magnitudine di quello algerino, ha avuto lo squillante richiamo di notizia di apertura in quasi tutti gli organi di informazione dell’Occidente, compresi i telegiornali nostrani. Giovanna Botteri ci ha immancabilmente aperto il Tg3, ma lei lo aprirebbe anche se cadesse un albero a Kansas City.

Il messaggio trasmesso quindi non è: “c’è stato un incidente”; bensì: “solo le cose che succedono negli Stati Uniti sono importanti”.

Le altre storie, le altre visioni del mondo, le altre sofferenze, le altre speranze, le altre ragioni politiche, saranno riferite solo se i media occidentali daranno il permesso, volta per volta, secondo le loro convenienze e i propri pregiudizi. Persino la tv russa in lingua inglese, RT, oggi apre con il disastro del New Jersey, perché la nota di fondo che si suona a Ovest ha una forza preminente che si impone anche sulle abitudini di un'emittente che sa suonare un’altra musica. RT peraltro non ha bucato la notizia algerina.

Questo modo occidentale di narrare le storie ha tante applicazioni, specie in materia di guerra. Oggi ci fanno vedere i bambini che muoiono fra le macerie di Aleppo per commuoverci e indignarci, proprio quando l’esercito siriano guadagna terreno a danno dei jihadisti, quelli che il senatore USA John McCain chiama i nostri “asset”. Le nostre lacrime vengono manovrate con cinismo assoluto, perché gli stessi media non mostravano le vittime quando venivano mietute da tali impresentabili alleati, come del resto non mostrano le stragi saudite in Yemen, fatte con le nostre bombe.

Parlare di un incidente ferroviario locale come di una notizia mondiale è dunque un ingranaggio che fa parte di un meccanismo, di un sistema di pensiero funzionale alla guerra. Chi decide come farci percepire il diverso peso di ogni parte del mondo decide anche come farci percepire le guerre. Un direttore di TG costa meno di un F35, ma bombarda molto di più prima ancora che si combatta la battaglia finale.




26 settembre 2016

La guerra, Giovanna Botteri e i collegamenti mancanti


di Pino Cabras.
da Megachip.



Tg3 del 25 settembre, l'ennesimo servizio di Giovanna Botteri. Alla giornalista del Tg3 viene riservato un ruolo bizzarro: essere di fatto non la corrispondente da New York, ma dal Resto del Mondo, comunque via New York. 

Quel che accade nel pianeta appare o scompare nelle sue cronache secondo il suo arbitrio (o secondo l'arbitrio di chi le passa le carte nella sua sede). 

Fare o non fare certi collegamenti fra i diversi fatti conferisce alla giornalista un potere enorme: i fatti esistono anche senza di lei, ma la conoscenza dei fatti e i loro collegamenti reciproci esistono solo se lei li racconta. E lei non li racconta. Riferisce solo un punto di vista, quello della CIA, l’organizzazione più attenta alla qualità del giornalismo occidentale.

Ieri parlava di Aleppo. In questi giorni c’è un’offensiva del governo siriano per liberare la seconda città della Siria dalla morsa delle formazioni jihadiste alleate delle potenze NATO, che per lunghi anni l’hanno parzialmente occupata e per il resto assediata. I tanti morti di questa battaglia sono solo gli ultimi di una vicenda pluriennale, su cui Botteri ha taciuto. La corrispondente non entra nemmeno nei labirinti della vicenda. Per lei, come per tutti gli sponsor delle formazioni jihadiste, i russi hanno “rotto la tregua” e stanno compiendo niente meno che un “genocidio”. 

Non sto a ricordare che la tregua l’ha rotta l’attacco aereo statunitense di Deir ez-Zor (che ha massacrato la guarnigione siriana che resisteva all'ISIS e si è accompagnato a una puntualissima offensiva della stessa ISIS, e su cui Botteri non ha detto né ai né bai). Né sto a ricordare quanto si abusi della parola genocidio per patrocinare la propaganda di una parte in guerra e ‘hitlerizzare’ il nemico (un trucco criminale che funziona sempre).

Attiro invece l’attenzione sul collegamento che Giovanna Botteri – colpevolmente – non fa né oserà mai fare. Mentre le grandi potenze occidentali stigmatizzano le perdite di vittime civili in Siria e le attribuiscono ad Assad e a Putin, in questi giorni quelle stesse potenze battono ogni record nel fornire armi di ogni tipo all’Arabia Saudita, cioè il principale finanziatore e fornitore di ISIS e simili. È quella stessa Arabia Saudita che sta anche bombardando selvaggiamente la popolazione civile dello Yemen, proprio in queste ore, come fa da due anni in qua. Da quando il premio Nobel della pace Barack Obama è alla Casa Bianca, gli USA hanno dato all’Arabia Saudita la bellezza di 115 miliardi in armamenti, cui si aggiungono le forniture di bombe sardo-tedesche che partono dall’aeroporto a 10 km da casa mia.
 Decine di migliaia di morti e milioni di senzatetto non scandalizzano le potenze che aiutano i massacratori. E perciò non scandalizzano Giovanna Botteri, che non ne parla, impedendo a milioni di persone di avere una visione completa del quadro. 

Fino a prova contraria, lo stipendio a Giovanna Botteri lo paghiamo noi, non la CIA. E allora, perché ci propone soltanto il punto di vista della CIA?
Mi dicono che faccio domande ingenue. Ma preferirei che le sue veline venissero lette direttamente da un funzionario della CIA. Disintermediare per risparmiare.


22 settembre 2016

Virginia Raggi contro il ceto politico-affaristico criminale

di Pino Cabras.

C'erano pochi dubbi sulla causa principale delle difficoltà che ha dovuto affrontare la sindaca di Roma Virginia Raggi nei suoi primi mesi alla guida dell'Urbe: non le carenze pur notevoli della classe dirigente che lei ha portato al Campidoglio, ma i difetti della classe dirigente contro cui fa fronte, un ceto affaristico-politico criminale fra i più avidi del pianeta, al potere da generazioni. Dire no alle Olimpiadi a Roma è, semplicemente, dire no a un potere sfrenato e finora senza contrappesi che ormai ha un unico progetto: arraffare.

Guardiamoci negli occhi senza dar retta alla solita retorica vuota con cui quel potere vuole fregarci: il rimpianto delle occasioni perdute, le glorie di una vetrina planetaria, i soldi che daranno un'anima a mille betoniere e mille gru, il PIL futuro, il soffio vitale delle Grandi Opere. O addirittura lo spirito olimpico in persona.

Andiamo sul concreto, invece, e valutiamo bene tutti i disastrosi precedenti, così guardiamo soprattutto negli occhi degli imprenditori tipici di queste opere e negli occhi dei politicanti e giornalisti corrotti che li accompagnano. Tutti questi personaggi dovrebbero trovare, chissà dove, le qualità per elevarsi sopra quei precedenti. Tuttavia, né i precedenti italiani né quelli di altri paesi offrono alcun appiglio. Abbiamo a che fare con gente che non è in grado di elevarsi sopra alcunché. Quei precedenti li tengono giù per terra: non c'è "Grande Opera" degli ultimi trent'anni in Italia - fra quelle che hanno sfruttato qualche circostanza "eccezionale" e richiamato miliardi in deroga a procedure ordinarie - che non abbia prodotto più debiti e più tangenti, con ben pochi benefici per i cittadini e molta sofferenza per le casse pubbliche.

Nel mondo, non si trovano casi di Olimpiadi - tranne poche peculiari eccezioni, non certo ripetibili nell'Italia di oggi - che negli ultimi decenni non abbiano inflitto colpi terribili al bilancio delle città interessate. Quando il sacrificio economico alla fine riusciva a non contare, era perché dietro c'era anche un progetto politico vero. La voragine di quaranta miliardi di dollari di Pechino, ad esempio, serviva a far dire ai cinesi: "ciao mondo, eccoci qui, siamo quasi la prima potenza, abbiamo un sacco di cose da raccontarci!"

Cos'avrebbe avuto invece da raccontare al mondo la Roma del "generone" del XXI secolo, una volta fatto l'ennesimo buco miliardario?

Cos'avrebbe garantito nella gestione del denaro pubblico una classe dirigente nazionale che non sa sfruttare nemmeno i miliardi dei fondi europei?

A cosa sarebbero state sottratte queste risorse? Qualcuno dimentica che l'Italia non batte moneta, ma prende a prestito una moneta "straniera" che le costa tanto e la porta a tagliare via via le spese sociali. Da quando c'è l'euro, le Olimpiadi estive si sono tenute una sola volta nell'eurozona: in Grecia. Dobbiamo aggiungere altro?

Facciamola breve. Nelle condizioni attuali delle classi dirigenti italiane, fare il processo alle intenzioni è puro realismo: quelli che volevano imporre le Olimpiadi le avrebbero usate per un'immonda mangiatoia, avrebbero ridotto il comune di Roma a un rimorchio trainato dalle scelte dei palazzinari, senza che gli amministratori eletti potessero decidere le alchimie e le aree da trasmutare da ruggine a oro zecchino.

Sul corpo dell'eterna capitale corrotta, dell'eterna nazione infetta, avrebbe avuto inoltre buon gioco ad adagiarsi una delle organizzazioni più purulente del capitalismo planetario, il movimento olimpico attuale. Per inerzia si pensa ancora a De Coubertin. Realismo vorrebbe che per descriverlo si ripassasse invece l'abc del giornalismo antimafia.

Tutto questo non significa per forza "ordinaria amministrazione". Sono emerse persino proposte molto immaginifiche per progettare un'Olimpiade più sobria, più popolare, da finanziare con una moneta complementare, come ha proposto Nino Galloni. Per quanto detto fin qui, è tuttavia irrealistico usarla nel caso delle Olimpiadi (in mano a poteri che non hanno di questi programmi), mentre la misura di una moneta complementare avrebbe molte applicazioni per fare opere utili, piccole e diffuse. Pensiamoci, non solo per Roma.