27 novembre 2014

Riconoscimento immagini: quel software troppo umano

I programmi di Google e della Stanford University che traducono immagini complesse in testo scritto sollevano grandi preoccupazioni sulla censura.


di Mikael Thalen.

Scienziati dell'Università di Stanford e di Google hanno sviluppato due nuovi software di inteligenza artificiale in grado di descrivere immagini con un livello di accuratezza quasi umano.

Software di Stanford che analizza aspetti individuali

Una pubblicazione scientifica della Stanford, intitolata “Profondi allineamenti semantico-visivi per generare descrizioni di immagini” spiega come specifici dettagli di foto e video possano essere tradotti in testo scritto.

Presentiamo un modello che genera descrizioni di immagini in un linguaggio naturale”, afferma l'introduzione della pubblicazione. “Il nostro modello utilizza una banca dati di immagini e delle frasi che le descrivono per apprendere le corrispondenze intermodali tra testo e dati visivi.”
Comparando le descrizioni fornite dal software con quelle fatte da umani, i ricercatori hanno scoperto che spesso fornivano lo stesso livello di comprensione dell'immagine.


Software di Intelligenza Artificiale in grado di creare  dei fermo-immagine




La versione di Google di questa tecnologia, presentata nella pubblicazione “Mostra e dici: un generatore neurale di descrizioni di immagini”, è stata capace di produrre risultati comparabili.
Nonostante il programma faticasse quando gli venivano sottoposti set di immagini completamente nuove, gli scienziati di Google hanno notato l'abilità del software di “imparare” da ogni nuova interazione.

Software di Google in grado di imparare dai suoi errori

Sono rimasto affascinato dal fatto che anche con i pochi dati di addestramento forniti siamo stati in grado di fare così bene”, ha dichiarato al New York Times Oriol Vinyalis, scienziato di Google.

Miliardi di video ed immagini postati online saranno plausibilmente analizzati e categorizzati da Google quando questa tecnologia sarà perfezionata, consentendo la catalogazione in tempo reale dei contenuti multimediali mentre vengono caricati su internet.
Il settore sta partendo ora, e vedremo notevoli incrementi” ha aggiunto Vinyalis.

Anche se gli scienziati di Google hanno evidenziato possibili usi per i non vedenti, i profondi legami dell'azienda con le agenzie di sicurezza USA detteranno probabilmente l'utilizzo finale dell'applicazione.

Mentre Google diventa velocemente uno dei più importanti gruppi lobbistici di Washington D.C., c'è chi evidenzia il potenziale della tecnologia nel censurare dati prima che questi possano essere caricati sul web.

La storia di Google come censore di contenuti politici è da tempo documentata, con ben noti video come il filmato di Wikileaks riguardante attacchi di elicotteri USA, rimosso dal canale YouTube del giornalista Alex Jones nel 2010.

In effetti, Google ha ottemperato a migliaia di richieste provenienti da governi di tutto il mondo censurando e rimuovendo contenuti nonostante non ci fossero in molti casi chiare violazioni di leggi.
L'ex CEO di Google, Eric Schmidt, consulente elettorale e tra i principali finanziatori di Barack Obama, ha anch'egli pubblicamente manifestato il suo sprezzo per la privacy umana.

Non abbiamo neppure bisogno che voi digitiate. Sappiamo dove siete. Sappiamo dove siete stati. Possiamo bene o male sapere a cosa state pensando”, ha dichiarato Schmidt nel 2010.
Sappiamo tutto quello che state facendo ed il governo vi può tracciare. Conosciamo per filo e per segno i vostri spostamenti”.

Sia che stia spingendo i suoi clienti a mettere microfoni nei soffitti, partecipando al programma PRISM, sia che stia scansionando ogni account privato di Gmail, il gigante Hi-tech senza dubbio continuerà ad esercitare il suo potere sostenuto dal governo nei confronti di milioni di utenti del web in tutto il mondo.




Traduzione per Megachip a cura di Il Petruss.



16 novembre 2014

La finanza occidentale: un castello di carte appoggiato sulla corruzione

di Paul Craig Roberts - Sputnik.



ATLANTA, 15 novembre (Sputnik) – Così come si è accorta la maggior parte degli americani, sebbene non i media finanziari, il Quantitative Easing (un eufemismo per dire lo stampare il denaro) non è riuscito a recuperare l'economia americana.
Allora perché il Giappone ha adottato questa politica? Dal momento in cui nel 2013 ha avuto inizio la stampa di denaro a pieno regime, lo yen giapponese è caduto del 35 per cento nei confronti del dollaro USA, un grosso costo per un paese dipendente dalle importazioni di energia. Inoltre, l'economia giapponese non ha mostrato alcuna crescita in risposta allo stimolo QE tale da giustificare l'aumento del prezzo delle importazioni.
Nonostante la mancanza di risposta allo stimolo da parte dell'economia, il mese scorso la Banca del Giappone ha annunciato un aumento del 60 per cento nel Quantitative Easing da 50 a 80 trilioni di yen all'anno.
Albert Edwards, stratega della Societé Generale, prevede che la zecca giapponese farà precipitare lo yen da 115 yen per dollaro a 145.
Si tratta di una previsione, ma perché rischiare la realtà? Che cosa ha da guadagnare il Giappone dalla svalutazione monetaria? Qual è la filosofia che sta dietro una tale politica?
Una spiegazione semplice è che al Giappone è stato ordinato di distruggere la sua valuta al fine di proteggere un dollaro USA eccessivamente stampato. Come uno stato vassallo, il Giappone patisce l'egemonia politica e finanziaria statunitense ed è incapace di resistere alle pressioni di Washington.
La spiegazione ufficiale è che, così come la Federal Reserve, la Banca del Giappone professa di credere nella curva di Phillips, che associa la crescita economica all'inflazione. La politica economica dal lato dell'offerta attuata dall'amministrazione Reagan smentì la credenza della curva di Phillips che la crescita economica non fosse coerente con un tasso di inflazione in declino o stabile. Tuttavia, gli economisti dell'establishment rifiutano di prenderne atto e proseguono con i dogmi con cui si sentono a loro agio.
Negli Stati Uniti il QE ha causato l'inflazione nei prezzi dei titoli azionari e obbligazionari laddove la maggior parte della liquidità offerta è andata verso i mercati finanziari anziché nelle tasche dei consumatori. C'è più inflazione dei prezzi al consumo rispetto a quanto riferiscano le misure ufficiali dell'inflazione, in quanto le misure sono progettate per sottostimare l'inflazione, risparmiando così denaro per gli adeguamenti al costo della vita, ma l'effetto principale del QE si è risolto in prezzi irrealistici dei titoli azionari e obbligazionari.
La speranza della Banca del Giappone è che i prezzi delle importazioni delle materie prime e dell'energia salgano laddove cadrà il tasso di cambio dello yen, e che questi maggiori costi saranno distribuiti sui prezzi al consumo, spingendo verso l'alto l'inflazione e stimolando la crescita economica. Il Giappone sta giocando la sua economia in una scommessa basata su una teoria screditata.
La domanda interessante da porsi è perché mai gli strateghi finanziari si aspettino che lo yen crolli sotto il QE, ma non si attendono che il dollaro crolli sotto il QE. Il Giappone è la terza economia del mondo, e fino a circa un decennio fa stava ottenendo un successo strepitoso nonostante lo yen aumentasse di valore. Perché il QE dovrebbe influenzare lo yen in modo diverso dal dollaro?
Forse la risposta sta nella potentissima alleanza tra il governo USA e il settore bancario/finanziario e sull'obbligo che Washington impone ai suoi stati vassalli affinché sostengano il dollaro come valuta di riserva mondiale.
Il Giappone non ha la capacità di neutralizzare le normali forze economiche. L'abilità di Washington di manipolare i mercati ha permesso a Washington di mantenere in piedi il suo castello di carte economico.
L'annuncio della Federal Reserve che il QE è terminato ha migliorato le prospettive per il dollaro USA. Tuttavia, come ben chiarisce Nomi Prins, il QE non è finito, ma si è solo trasformato.
Gli acquisti di obbligazioni della Fed hanno lasciato alle grandi banche 2.600 miliardi di dollari in eccesso di riserve di liquidità in deposito presso la Fed. Le banche potranno ora utilizzare questo denaro per acquistare titoli al posto degli acquisti della Fed. Quando questi soldi si esauriranno, la Fed troverà un motivo per riavviare il QE. Inoltre, la Fed ha annunciato che intende reinvestire l'interesse e la redditività derivanti dai suoi 4,5 trilioni di dollari detenuti in strumenti garantiti da ipoteche e titoli del Tesoro per continuare ad acquistare obbligazioni. È anche possibile che gli Interest Rate Swaps possano essere manipolati per mantenere bassi i tassi. Così, nonostante la fine annunciata del QE, gli acquisti continueranno per sostenere i prezzi elevati dei titoli, e il prezzo elevato delle obbligazioni continuerà a incoraggiare gli acquisti di titoli, perpetuando così il castello di carte.
Come Dave Kranzler ed io (e certo anche altri) abbiamo fatto notare, un valore stabile o in aumento del tasso di cambio del dollaro è il fondamento necessario per il castello di carte. Fino a tre anni fa, il dollaro stava perdendo rapidamente terreno rispetto all'oro. Da allora le massicce vendite scoperte a corto nel mercato dei futures dell'oro sono state utilizzate per far scendere il prezzo dell'oro.
Che i prezzi dei lingotti di oro e argento siano truccati è evidente. La domanda è alta, e l'offerta è limitata; eppure i prezzi sono in calo. Il conio degli USA non può tenere il passo con la domanda di aquile d'argento e ha sospeso le vendite. La zecca canadese sta razionando la fornitura di foglie d'acero d'argento. La domanda di oro asiatica, in particolare da parte della Cina, è a livelli record.
Il terzo trimestre 2014, è stato il 15° trimestre consecutivo di acquisti netti di oro da parte delle banche centrali. Dave Kranzler riferisce che negli ultimi otto mesi, 101 tonnellate sono state drenate dal GLD, il che indica che c'è una carenza d'oro per la consegna agli acquirenti fisici. Il prezzo in declino dei futures, che è stabilito in un mercato di carta in cui i contratti sono regolati in contanti, non in oro, non è coerente con l'aumento della domanda e dell'offerta vincolata ed è una chiara indicazione dell'imbroglio sui prezzi da parte delle autorità.
Il grado di estensione della corruzione finanziaria che coinvolge la collusione tra le mega-banche e le autorità finanziarie è insondabile. Il sistema finanziario occidentale è un castello di carte appoggiato sulla corruzione.
Il castello di carte è rimasto in piedi più a lungo di quanto credessi possibile. Può stare in piedi per sempre o ci sono così tante giunture marce che il combinarsi simultaneo di alcuni cedimenti arriverà a sopraffare la manipolazione e porterà a un crollo massiccio? Il tempo ce lo dirà.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente quelle dell'autore e non riflettono la posizione ufficiale di Sputnik né quella di Megachip.



13 novembre 2014

Gas sovrano e nuove terre di conquista

di Giandomenico Mele


NOTA PRELIMINARE DI PINO CABRAS
da Megachip.
Sardegna hub del gas su input del Qatar? La cosa fa accapponare la pelle. L'articolo di Giandomenico Mele che qui vi presentiamo descrive uno scenario che va oltre la vicenda locale.
Gli USA stanno facendo ogni pressione possibile per spingere l'Europa ad abbandonare le soluzioni sul gas tecnicamente e geograficamente sensate (che implicano un rapporto sinergico e pacifico con la Russia) per sostituirle entro sei-sette anni con una collezione ardita di approvvigionamenti basati su una rete-monstre di rigassificatori per accogliere le navi gasiere dagli USA (shale-gas) e dal Qatar, nonché su una massiccia campagna di nuove trivellazioni in mezza Europa.

La Sardegna in questo quadro sostituirebbe funzionalmente l'Ucraina quale snodo europeo in uno scenario da Guerra Fredda o peggio. Immaginarsi l'impatto. Il Qatar è quel paese che ha investito - a botte di miliardi di dollari - nella destabilizzazione e nella distruzione degli Stati di mezzo Mediterraneo e dintorni. Per loro, devastare una comunità travolgendola con il denaro è un modo di fare business. In uno scenario di guerra, va aggiunto, ciò che gli ingegneri chiamano costruzione i generali lo chiamano bersaglio. Tìmeo Dànaos et dona ferentes. (p.c.)

Qatar e Sardegna. Costa Smeralda e Mater Olbia. Ora anche Glencore e il futuro di Alcoa. Ma nella prospettiva della rivoluzione energetica dell'Isola, potenzialmente e strategicamente il più grande hub del Mediterraneo, è spuntato anche il Gnl (gas naturale liquefatto). La più grande risorsa del Qatar, la madre di tutti i guadagni, i cui proventi in trilioni di dollari vengono reinvestiti attraverso il Fondo Sovrano (Qatar Investment Authority) in tutto il globo.
Cosa unisce la Sardegna al Qatar sul piano degli investimenti energetici? Un articolo della rivista Internazionale, in un approfondito reportage dei giornalisti Francesco Longo e Gabriele Masini, lo chiarisce. Estrapoliamo un passaggio del servizio da Doha. "Dando le spalle alla vetrata, appoggiata alla scrivania, Chatura Poojari - responsabile di Business planning & controls di RasGas - appunta la parola Sardegna sul suo taccuino".
Un virgolettato della Poojari chiarisce meglio l'interesse per l'Isola. "Entro la fine dell'anno il ministero dello Sviluppo economico dovrebbe mettere a punto un piano strategico per lo sfruttamento del Gnl in Italia e nell'attesa di regole gli operatori si stanno già muovendo - spiega la Poojari -.
In più, la Sardegna, unica regione non metanizzata d'Italia, dopo aver abbandonato il progetto Galsi di costruzione di un gasdotto dall'Algeria, sta cercando di ottenere dal governo centrale il supporto per costruire uno o più terminali di Gnl per alimentare le reti già costruite ma che sono in gran parte inutilizzate".
Ecco il nuovo progetto di business. Dopo il turismo e la sanità, ora si passa al versante energetico.

Il futuro dell'Isola: tra i piani del Qatar sul Gnl e lo shale gas con il progetto Endesa
"Metodi all'avanguardia, come l'acquisto di metano compresso. Pensiamo per esempio al gas americano (shale gas), una novità del settore". Le parole dell'assessore regionale alla Programmazione, Raffaele Paci, svelavano possibili strategie della Sardegna sul fronte energetico. Ma a parte le parole del presidente Pigliaru, di Maria Grazia Piras, assessore all'Industria e dello stesso Paci, c'è la logica a dire che la Regione potrebbe puntare dritta su un rigassificatore. Il Qatar lo sa e sta studiando la situazione.
Sono 29 gli stati al mondo che importano metano liquefatto e 26 di questi comprano dal Qatar. Un terzo di tutto il Gnl scambiato nel mondo viene da qui. Una leadership che dura dal 2006. Il Qatar ha circa 25mila miliardi di metri cubi di riserve di gas, pari a 360 anni di consumi italiani. Il triplo delle riserve degli Stati Uniti, con tutta la loro rivoluzione del gas di scisto (shale gas). Ma il gas naturale liquefatto va stoccato e uno o due impianti in Sardegna sarebbero ideali per le rotte del Gnl del Qatar che raggiungono il Nord Europa, in primo luogo la Norvegia.
Per questo, in attesa del Piano di sfruttamento del Gnl in Italia in fase di predisposizione dal ministero dello Sviluppo economico, il Qatar si prepara a sbarcare nell'Isola anche con il suo business principe: il gas.

Lo shale gas dal Golfo del Messico
Poi c'è lo shale gas. In ballo ci sono i progetti di due impianti, a Gioia Tauro e a Gela. Il primo segue i destini del gruppo Sorgenia (di proprietà della Cir, holding che controlla anche il gruppo Espresso). Il secondo vede in campo l'Enel, che però segue anche altre strade. In ballo c'è un miliardo di metri cubi di shale gas che, tramite la controllata spagnola Endesa, arriverà in Italia a partire dal 2019, spedito a bordo di navi dalle coste del Golfo del Messico. Da lì gli Stati Uniti inviano "l'oro nero" del futuro.
Una fornitura che servirà ad alimentare le centrali dell'Enel ma non solo: il contratto infatti non prevede alcun limite di destinazione, per cui può essere venduto ad altri soggetti acquirenti in relazione alle condizioni di mercato. Ma per fare questo servono nuove infrastrutture. E la Sardegna, chiaramente, per la sua posizione geografica al centro del Mediterraneo, diventerebbe un hub prezioso.

Shale gas e Gnl, il contratto Endesa e il "take or pay"
Passiamo agli scenari futuri, quelli che hanno portato la Regione a considerare poco conveniente il progetto Galsi. Enel ha recentemente concluso un accordo per la fornitura ventennale (prorogabile per altri dieci anni) di shale gas con la compagnia americana Cheniere Energy.
Il contratto è stato firmato dalla controllata Endesa, che aveva già siglato un accordo simile per portare il gas in Spagna. Il metano potrebbe anticipare lo sbarco in Italia al 2018, quando sarà terminata la costruzione del rigassificatore di Corpus Christi sul Golfo del Messico.
Quali sarebbero i vantaggi di questa operazione rispetto al gasdotto Galsi, con l'ipotesi della costruzione di un rigassificatore di "ingresso" in Sardegna? Il prezzo del gas è più basso rispetto al mercato europeo e ha una clausola di "take or pay" che pesa solo sul 50% della fornitura. Ma gli stessi vantaggi arriverebbero dal Gnl, con la possibilità di avere due impianti in Sardegna e tenendo presente che l'unico gas liquido che arriva in Italia è quello qatarino scaricato a Rovigo, il più economico sulla piazza europea.
Il "take or pay" è una clausola inclusa nei contratti di acquisto di gas naturale, in base alla quale l'acquirente è tenuto a corrispondere comunque, interamente o parzialmente, il prezzo di una quantità minima di gas prevista dal contratto, anche nell'eventualità che non ritiri tale gas. Una clausola evidentemente poco conveniente per la Sardegna, che registra consumi elettrici in picchiata, anche e soprattutto in virtù della chiusura di molte imprese energivore. Ora è chiaro che il peso di una simile clausola solo sulla metà della fornitura sarebbe estremamente vantaggioso rispetto ai contratti stabiliti dal progetto Galsi.

Sardegna unica regione italiana senza metano
Mentre il problema del gap energetico che stritola la competitività dell'Italia a livello europeo e mondiale resta in cima all'agenda del governo Renzi, la Regione quindi studia le alternative al progetto Galsi.
Sempre puntando su un grande impianto di rigassificazione del metano liquefatto (Gnl) trasportato con navi, si intendono sfruttare alcuni elementi progettuali e reti infrastrutturali pensati per il gasdotto italo-algerino, sia nella rete di distribuzione interna che nelle condutture che dovrebbero attraversare l'Isola per creare un bacino di scambio del gas con la Penisola.
D'altronde le alternative scarseggiano e i progetti di potenziamento della produzione elettrica nell'Isola sono fermi al palo. Parliamo dell'idea della conversione a "carbone pulito" delle centrali a olio combustibile di Fiumesanto (E. On) e Ottana (Ottana Energia del gruppo Clivati): quest'ultima avrebbe dovuto sviluppare il progetto di "turbogas" proprio con l'eventuale metanizzazione della Sardegna. Ora sarà un advisor ad indicare alla Regione il percorso da seguire: anche se dal Qatar fino all'America, passando per gli Urali, tutte le strade sembrano portare al rigassificatore.

(12 novembre 2014)
Link articolo


10 novembre 2014

Ricercato: il leader del Mondo Libero


di Pino Cabras.
da Megachip.
Vladimir Vladimirovic Putin non è andato in Germania ad assistere alle celebrazioni su un'importante vicenda storica di un quarto di secolo fa, la rimozione del Muro di Berlino. Era a Pechino per fare la Storia del prossimo quarto di secolo, mentre firmava un altro storico mega-accordo sul gas con il presidente cinese Xi Jinping
A Putin non manca il senso della Storia. Venticique anni fa era proprio in Germania Est, e precisamente a Dresda, dove soggiornava da quattro anni in veste di ufficiale del KGB. Aveva avuto modo tante volte di girare in tutto il vasto centro di quella città ricca di storia, che nei secoli si era guadagnata la definizione di Elbflorenz (“Firenze sull'Elba”). Ricca di storia, sì, eppure nessuno degli edifici che costeggiava le camminate di Putin aveva più di cinquant'anni. La città infatti era stata letteralmente rasa al suolo dal 13 al 15 febbraio 1945 dai bombardieri britannici e americani. Morirono decine di migliaia di persone, quasi tutte civili. La Repubblica Democratica Tedesca aveva ricostruito la città, facendo di essa un primario centro industriale e di ricerca. Quando la Germania Ovest annesse la Germania Est, non trovò certo una terra di nessuno. Era un paese industriale ricostruito dopo una catastrofe. Proprio nel rapporto con quello Stato era nata l'Ostpolitik, il modo di stemperare la Guerra Fredda per evitare un'altra catastrofe. 
Ci si spiava, ci si parlava. Putin ha fatto la gavetta lì.

La vecchia guardia dei politici europei dei tempi andati non perde ormai occasione per dirlo: separare i destini dell'Europa dalla Russia è un suicidio politico, un errore strategico, una follia economica, un'avventura insensata. L'ultimo leader dell'URSS, Mikhail Gorbaciov, si è pronunciato in tal senso nell'occasione più solenne, proprio la celebrazione dei 25 anni dalla rimozione del Muro, con una dichiarazione che si schiera nettamente con quel fa e dice l'inquilino odierno del Cremlino, Vladimir Putin.
Nel corso dei mesi della crisi ucraina abbiamo sentito anche le dichiarazioni dell'ex primo ministro francese Dominique De Villepin, quelle degli ex presidenti del Consiglio italiani Silvio Berlusconi e Romano Prodi, per non parlare degli ex cancellieri tedeschi Gerhard Schröder e Helmut Kohl (quest'ultimo praticamente silenziato da tutti i principali organi di informazione italiani), e altri ancora, come l'ex cancelliere austriaco Wolfgang Schüssel. Sono tutti politici che hanno dovuto fare i conti - al loro tempo - con l'ingombrante superpotenza degli USA: tutti la vedevano come un interlocutore essenziale e indispensabile, ma agivano per salvaguardare spazi di manovra per sé, in modo da essere autonomi nel nome di interessi radicati presso le proprie classi dirigenti nazionali e nella “Casa comune europea”.
All'alba del “momento unipolare” statunitense, quando crollava la cortina di ferro fra l'Est e l'Ovest dell'Europa, e poi negli anni successivi, ognuno di questi politici ha giocato le sue scommesse, vincendone e perdendone. Nessuno di loro pensava che il suo compito fosse obbedire ciecamente agli USA. Gorbaciov fu sconfitto da coloro che vollero la fine dell'URSS; Kohl scommise sulla riunificazione tedesca ma assisté allo sconvolgimento degli equilibri europei che seguirono; De Villepin vide le istituzioni golliste della vecchia Francia indipendente travolte dalle presidenze atlantiste di Sarkozy e di Hollande; Berlusconi e Prodi - lungo i decenni - hanno contribuito gravemente al declino dell'Italia, ma si ricorda anche qualche tentativo da parte loro di non azzerare la capacità di manovra internazionale ereditata dalla Prima Repubblica. La cosiddetta “sovranità limitata” non era sinonimo di “sovranità azzerata”.

Questi diversi governanti parlavano spesso della Casa comune europea. Questa casa non è stata poi costruita per vari motivi. Dov'è che sono mancati i mattoni? Perché quella casa non c'è? Perché tutti questi governanti avevano limiti e ambiguità, perché hanno proiettato gravi errori sulle generazioni successive, perché c'erano condizioni - storiche e oggettive - che non controllavano, perché maturava una crisi più grande che stava fuori e al di sopra della crisi europea, ossia la crisi dell'Impero atlantico e della potenza nordamericana.
Intanto l'Impero in crisi puntava a far pagare a tutti il prezzo sempre più esoso della propria sopravvivenza. Il dollaro non era più quello di una volta, la finanza si faceva via via più devastante, ma anche la NATO non era quella di prima: in contrasto contro ogni altra logica, si espandeva. L'Impero doveva accentuare tutte le spinte militari, aumentare la dose di controllo fino a rendere la propria “intelligence” un incubo orwelliano e a trasformare la Casa comune europea in una Caserma.

In pieno revival berlinese, visito a Berlino la sede della STASI, diventata un museo che vorrebbe perpetuare la vergogna di un sistema che impiegava decine di migliaia di persone per violare “le vite degli altri”. Scatto molte foto ai microfoni nascosti negli orologi, alle macchine fotografiche mascherate da innaffiatoi o tronchi d'albero, ai campioni di tessuto degli oppositori (da far odorare ai cani per rintracciarli prima), ai registratori e alle bobine che carpivano migliaia di voci. Mentre fotografo questo tragicomico modernariato dello spionaggio, mi rendo conto di quanto esso sia poca cosa di fronte a quel che ha rivelato Edward Snowden
Potete anche voi visitare il museo della STASI, ma non c'è ancora un museo che spieghi che tutte le vostre email - anche se siete uomini potenti, anzi, soprattutto se siete potenti - sono in pancia alla NSA e ad altre strutture spionistiche atlantiche. Strutture con budget sterminati che vogliono e ottengono una sola cosa, la TIA – Total Information Awareness, ossia la sorveglianza totalitaria. Altro che il buffo innaffiatoio della vecchia Germania Est.
Ecco perché le classi dirigenti europee di nuova generazione, dal lato atlantico, oggi sono molto cambiate: totalmente ricattabili, asservite, incapaci di affermare una propria elaborazione autonoma, disarticolate. Se la generazione dei grandi vecchi che abbiamo citato commetteva errori e subiva sconfitte, questa generazione è addirittura annichilita, almeno a Ovest: perché innanzitutto non è libera. E si fa portare in guerra, a partire dal disastro ucraino.
Gli esponenti più avveduti delle classi dirigenti, ovunque in Europa, sanno che la Guerra Fredda e le sanzioni sono un pessimo affare e che la sicurezza collettiva non può esistere se va contro qualcuno, specie se quel qualcuno ha il peso della Russia. I più liberi di parlare restano i vecchi ed ex politici. Nessuno di loro ha consuetudine con i politici della generazione Obama. Li vedono come maggiordomi che – così come Barack – non possiedono pensiero autonomo, ma recitano un copione redatto presso i veri piani alti dell'Impero e della finanza, e lo recitano meccanicamente fino in fondo, anche quando sanno che annienterà la sovranità dei propri paesi, sacrificata all'altare di una nuova Guerra Fredda.
Perciò, i vecchi, com'è naturale, guardano con attenzione speciale a Mosca, dove vedono una classe dirigente vera. Putin e Lavrov sovrintendono al proprio copione, e questo rende leggibile il loro operato. La politica internazionale del Cremlino mira a essere "prevedibile", cioè esplicita nell'enunciare i propri interessi di lungo periodo, senza aree di ambiguità. Quando Putin dice di non voler ricostruire l'Unione Sovietica, è vero. E quando dice che non consentirà alla NATO di minare l'efficacia della deterrenza nucleare, è altrettanto vero. Capirlo ci consentirebbe di risparmiare sulle spese militari che ingrassano coloro per i quali Obama fa il piazzista.
L'americano Paul Craig Roberts, un altro reduce di quando la politica governava ancora qualche decisione, è arrivato a definire Putin “il leader del mondo morale”. Suonerà una definizione controversa per molti potenziali lettori, letteralmente bombardati dalla campagna anti-russa e dall'isteria anti-Putin che fa scrivere a tutta la stampa occidentale anche le notizie più assurde pur di lordare con sangue e sperma la sua reputazione.
Ma c'è qualcosa che spiega lo stesso la definizione usata da Roberts. Un tempo l'ideologia occidentale era riassunta nell'espressione “siamo il Mondo Libero”, un concetto già smentito dalle sue guerre e dai dittatori al suo servizio, e oggi sempre più inconsistente, fino a diventare un'autorappresentazione al limite della patologia. La nemesi è in atto: Vladimir Putin si sta ritrovando a essere il leader del Mondo Libero così come è da intendere oggi, ossia il mondo che per emanciparsi deve sganciarsi dal dominio di Washington, e perciò costruisce nuove alleanze fra continenti, popoli, gruppi di interesse, forze militari, movimenti politici molto diversi.
Putin non aveva lavorato per questo obiettivo, perché stava lavorando a sollevare la marea geopolitica del suo immenso paese. Nel sollevarsi, la marea a sua volta ha sospinto la barca del Cremlino fino a un rango di relazioni autenticamente «globali», a dispetto della definizione che i burattinai russofobi fanno leggere a Obama sul suggeritore elettronico: «Russia potenza “regionale”». Il che rivela il vero pensiero che le classi dirigenti imperiali rivolgono anche a tutti gli altri attori internazionali: a Washington non accettano il mondo multipolare e faranno di tutto per spegnere ogni ambizione da potenza globale, impedendo prima di tutto ai vari attori “regionali” di interagire, separandoli artificialmente contro i loro interessi.
Con l'Europa la faccenda funziona, tanto che ora il Muro lo vogliono costruire da Ovest, per separare l'Ucraina dalla Russia sul modello del Muro israeliano, che hanno già digerito senza menare scandalo. Con la Cina e i BRICS funziona molto meno, tanto che la velleità USA viene travolta da giganteschi accordi economici che cambieranno gli assetti mondiali, e fuori dal dollaro.

In Russia sanno che rimane loro poco tempo per sganciarsi dai mille fili che li legano ancora alla finanza anglosassone e alle leve che manovrano il prezzo degli idrocarburi, e sanno anche che l'esito non è scontato.
In America sanno che rimane poco tempo per impedire il sorgere di un mondo multipolare e riallineare a sé interi continenti, dall'Africa, all'Europa asservita dei nuovi trattati, fino al Caos artificiale in Medio Oriente, mentre si prepara ogni grado di aggressione a danno delle grandi potenze eurasiatiche.
In Europa, i vecchi politici sanno che rimane poco tempo alle loro vite per testimoniare l'urgenza di ricostruire un buon rapporto con la Russia, da cui passano le strade della sicurezza collettiva. Rimane quindi poco tempo all'Europa tutta per ascoltarli, anziché allearsi con i nazisti ucraini e farsi governare dagli incubi robotici del neoliberismo reale degli Juncker e dei Katainen.