29 settembre 2008

Il rapporto del NIST sul crollo dell’Edificio 7. Le domande dei familiari delle vittime

di Pino Cabras


Le "Jersey Girls".
Fonte dell'immagine: Suchat Pederson per il «New York Times»

Il tema dell’Edificio 7 del WTC, comunque lo si guardi, ha effetti scandalosi. Le cose che sapevamo prima, al cospetto della sottile pila di detriti rimasta ai piedi del grattacielo annichilito in pochi attimi, assumono un segno diverso, permanente. Non è possibile uno status quo.
Ci aveva provato la Commissione d’inchiesta sull’11/9, a ignorare l’Edificio 7: neanche un cenno sul crollo del grattacielo nel sedicente «pieno e completo resoconto delle circostanze che contornano gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001.»
La FEMA – l’agenzia governativa che si occupa di protezione civile ma anche di “continuità di governo” - aveva invece provato a rinviare ogni conclusione: dopo aver aggregato un team di volontari appartenenti all’American Society of Civil Engineers (ASCE), l’ente si era tenuto molto abbottonato: «Le caratteristiche degli incendi del WTC7 a del modo in cui abbiano causato che l’edificio crollasse rimangono sconosciute fino a questo momento… la migliore ipotesi è che tale evento avesse una bassa probabilità di accadere. Ulteriori ricerche, indagini e analisi sono necessarie per chiarire questo punto.»
Una bassa probabilità di accadere. Con buona pace delle inchieste apocrife di «Popular Mechanics» e dei loro amplificatori collocatisi a presidio del web e dei giornali, il caso dell’Edificio 7 non giungeva ad avere spiegazioni e quindi motivava ampiamente il sorgere di domande radicali e scomode.
Nel 2007 , a provare ad imprimere un sigillo ufficiale ci è arrivato il NIST (National Institute of Standards and Technology), con l'ipotesi del crollo totale innescato dal cedimento della famigerata colonna 79.
Alla fine, spazzati via i miti, rimangono in piedi due ipotesi, entrambe allarmanti al massimo grado, sebbene divaricate in termini di implicazioni etiche e politiche.
La prima ipotesi è che la demolizione sia stata intenzionale. Il corollario è che ci sono state complicità altolocate in apparati ben radicati nelle istituzioni statunitensi e che non è stata un'impresa di al-Qā‘ida. Chi affronta questa ipotesi viene combattuto con molta veemenza, lo sappiamo.
La seconda ipotesi è che il crollo totale di un grattacielo per un incendio, sebbene mai verificatosi in precedenza, si dimostri ora possibile grazie al precedente rivelatore dell'Edificio 7. Nessuno è più al sicuro. Anche questa ipotesi ha implicazioni enormi. Se ne sono accorti pure i familiari delle vittime dell'11/9. In particolare quattro vedove originarie del New Jersey che quel giorno hanno perso i loro mariti e che sono state protagoniste di importanti battaglie contro l'establishment per strappare pezzo a pezzo degli abbozzi d'indagine meno indecenti di quelli che l'amministrazione Bush era disposta a concedere. Si tratta delle cosiddette “Jersey Girls”. Il testo che seguirà più sotto è la traduzione delle loro considerazioni sull'indagine del NIST, apparse su www.blogger911.com. Abilmente le Jersey Girls non s'introducono nel terreno minato del complotto. Puntano invece a stanare le autorità a partire dal rapporto NIST. Se le autorità non riterranno assurde le conclusioni del NIST, come molti invece fanno, allora dovranno prendersi responsabilità comunque enormi.

Il NIST ha finalmente rilasciato la sua relazione investigativa lungamente attesa in merito al crollo del World Trade Center 7. Il WTC7 è stato il terzo edificio del complesso del World Trade Center a crollare l'11 settembre 2001 alle 17.20. Tuttavia, questo edificio non era stato colpito da un aeroplano.
Come familiari delle vittime dell'11/9 avevamo estremo interesse alle conclusioni di questa relazione. Avevamo sperato che la relazione del NIST sarebbe servita a spiegare la causa del crollo totale di un edificio convenzionale in acciaio e che sarebbe stata in grado di confutare le dilaganti teorie del complotto. Abbiamo anche auspicato che questa relazione, unitamente ai rapporti finali del NIST sulle torri WTC 1 e 2, avrebbe fornito delle raccomandazioni per migliorare gli edifici e la normativa per gli incendi in modo da garantire la sicurezza pubblica in TUTTI gli edifici d'ora in poi.
Mentre riteniamo che gli esperti tecnici dovrebbero rivedere, criticare e replicare i risultati ricompresi in questa relazione, riteniamo anche di dover esprimere le nostre preoccupazioni sulla base delle pubbliche dichiarazioni del NIST in ordine ai risultati presentati.
Nel corso degli ultimi sette anni, alle famiglie delle vittime dell'11/9 è stato più volte detto da parte di esperti in materia d'incendi, da ingegneri e architetti, che NON DOBBIAMO CONCENTRARE i nostri sforzi a reclamare cambiamenti negli standard riferiti al crollo delle torri WTC 1 e 2. Ci è stato continuamente ricordato che l'impatto di aeroplani sugli edifici è stato un evento unico. Inoltre, ci è stato detto che la progettazione e la costruzione delle torri WTC 1 e 2 sono state singolari e che non vi sono altri edifici con quella particolare altezza o una simile configurazione progettuale in tutto il mondo. Ci è stato detto più volte che la chiave era il WTC 7 poiché questo edificio era di una progettazione e di un'altezza convenzionali, eppure è crollato anch'esso in assenza del caso singolare di un aereo che lo colpisse.
Come ammesso dal dottor Shyam Sunder del NIST, il WTC 7 era un progetto più convenzionale, come molti altri edifici a New York e in tutto il paese.
In sostanza, la costruzione del WTC 7 ha utilizzato una tradizionale struttura con scheletro in acciaio (una costruzione con colonne e travature uniformemente distanziate), senza le discutibili travature e capriate utilizzati nella costruzione delle torri WTC 1 e 2. Il WTC 7 non era un edificio "a tubo" come le Torri Gemelle. Aveva una forma rettangolare ed aveva meno della metà dell'altezza degli edifici WTC 1 e 2.
Il dottor Sunder ha anche affermato che il WTC 7 soddisfaceva tutte le specifiche della città di New York. Eppure, il WTC 7 è il primo grattacielo in acciaio con caratteristiche costruttive tradizionali negli Stati Uniti e nel mondo a crollare completamente a seguito di un incendio.
Stando alla conferenza stampa del Dottor Shyam Sunder del 21 agosto 2008, il crollo del WTC 7 fu dovuto al fuoco appiccato dai detriti provenienti da un altro edificio del WTC e poi alimentato dalla carta e dal mobilio degli uffici - NON dal serbatoio di carburante diesel stivato all’interno dell’edificio da Giuliani e la sua amministrazione contro il forte parere del Dipartimento dei vigili del fuoco di New York, NON da un aereo, e apparentemente, come affermato dal dottor Sunder, «non vi sono stati difetti nella costruzione del palazzo».
Noi non sappiamo come si senta il resto del paese rispetto a una simile notizia, ma noi proviamo molta paura! Questi risultati suggeriscono che QUALSIASI EDIFICIO ESISTENTE è passibile di un crollo progressivo nel caso inizi un incendio e il sistema di spegnimento con spruzzatori per qualsiasi motivo non funzioni - indipendentemente da come si inizi! Questa è una possibilità, soprattutto in zone soggette a terremoti dove le forniture idriche possono facilmente venire a mancare e la disponibilità dei vigili del fuoco sia scarsa o ridotta ai minimi termini.
Il fine ultimo di reclamare l’uso di 16 milioni di dollari per fare in modo che il NIST studiasse questo caso era quello di determinare il modo di rendere gli edifici più sicuri in futuro. Se ora dobbiamo credere che qualsiasi grattacielo è suscettibile di un crollo a causa di un incendio, perché il NIST non sottolinea l'effetto sugli edifici esistenti? La qualità effettiva dei rivestimenti antincendio è un problema ben noto in tutto il paese. La relazione del NIST indica che un completo burnout, senza spruzzatori né interventi dei pompieri, potrebbe portare al collasso completo di QUALSIASI edificio elevato. Occorre che il NIST riscriva una sua "nuova" raccomandazione B (5.12) e fornisca indicazioni per gli edifici ESISTENTI.
Il NIST dovrebbe stendere le conclusioni più importanti in un linguaggio semplice e annunciare a tutto il paese: GLI INCENDI INCONTROLLATI nei grattacieli possono PORTARE al loro crollo totale.
Occorre inoltre che il NIST sia più determinato nei confronti dei gruppi che lavorano alla scrittura delle specifiche in merito a questo fatto cruciale, comunicando con loro attraverso una riunione di alto profilo che includa il direttore del NIST e i leader di questi gruppi di codificazione.
Il NIST deve affrontare questo problema pericoloso immediatamente. Il futuro della sicurezza del pubblico dei servizi antincendio è appeso a un filo.
Il rifiuto di fare delle modifiche sulla base di ragioni economiche, dell’avidità, la volontà di mantenere lo status quo, la paura di accettare la responsabilità, l'assenza di leadership nel promuovere le riforme e il bene comune sono una combinazione letale per la collettività su vasta scala.

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Patty Casazza
Monica Gabrielle
Mindy Kleinberg
Lorie Van Auken

24 settembre 2008

11/9 e dintorni, i nuovi tabù francesi

di Pino Cabras




Un dibattito sull’11 settembre 2001, sette anni dopo?
Il giornalismo di oggi non lo può tollerare.
Disobbedisci al tabù?
E io ti licenzio in tronco, parbleu!
Hai solo il tempo di portarti via lo scatolone con le tue robettine, come i mesti neo-disoccupati della Lehman Brothers. Non importa se la tua TV è decapitata.
È successo a un paio di giornalisti di «France 24», la “CNN francese”. Non due giornalisti qualsiasi, come vedremo.
I due sono Grégoire Deniau, direttore dell’informazione di «France 24», e Bertrand Coq, redattore capo della stessa rete. In Italia i loro nomi non dicono molto, ma oltralpe sono noti come autori di grandi inchieste, eccellenti inviati di guerra, cronisti capaci di indipendenza. Entrambi hanno vinto il premio Albert Londres, una sorta di “Pulitzer francese”.
La loro credibilità ha contribuito al lancio di «France 24», l’emittente internazionale tanto voluta dall’allora presidente Jacques Chirac, finché, nel febbraio 2008, Christine Ockrent, un’altra vecchia volpe del giornalismo transalpino, non è diventata amministratrice delegata di «France Monde», la holding che controlla «France 24» e altri canali.
Si dà il caso però che Christine Ockrent sia anche moglie del ministro degli esteri francese Bernard Kouchner, con il quale condivide un forte slancio mirante a riportare Parigi nell’ovile della Washington neoconservatrice.
Lo scorso giugno Ockrent era anche presente all’annuale riunione del gruppo Bilderberg, la riservatissima conferenza che riunisce la ‘crème de la crème’ delle classi dirigenti che dominano le due sponde dell’Atlantico.
Il nuovo corso dell’Eliseo riconverte totalmente le autonomie praticate per decenni da De Gaulle, Mitterrand e Chirac. Gli intellettuali organici dell’era Sarkozy, come la Ockrent, si adeguano alla nuova missione: riallineare l’informazione su onde più affini alla “rivoluzione neocon” d’oltreoceano.
La posizione di Deniau e Coq traballava già prima del dibattito televisivo incriminato. Non tanto perché sulla redazione incombesse ormai una vera primadonna (per anni mezzobusto del tg serale), quanto perché da parte loro, anni fa, erano giunti grossi dispiaceri a carico del dottor Kouchner. Molto grossi.
Coq in particolare nel 2000 aveva scritto “Les tribulations de Bernard K. en Yougoslavie ou l’imposture humanitaire”, un libro durissimo che smascherava l’attuale inquilino del Quai d’Orsay, visto come consapevole strumento di un progetto di dominio statunitense sui Balcani, dentro un disegno ad ampio spettro: lui, Kouchner, a coprire il campo della cosiddetta “ingerenza umanitaria”; l’UCK e gli altri tagliagole jihadisti a fare invece il lavoro sporco (erano gli stessi anni in cui Osāma bin Lāden esibiva un passaporto bosniaco con i timbri a posto).
Il pretesto per mandare via i due giornalisti di punta è stato il dibattito sull’11 settembre. Inutile cercare le immagini della tavola rotonda nell’archivio del sito di «France 24». A differenza di altre trasmissioni, non se ne conserva traccia. Si può però trovare su altri siti. Tra l’altro, non è stato nemmeno un dibattito alla pari. I difensori delle versioni ufficiali dell’11/9 erano quattro, il critico solo uno, continuamente interrotto dagli altri quattro e anche da Sylvain Attal, conduttore del programma. Il titolo della trasmissione era a sua volta molto sbilanciato, e non certo a sfavore della versione ufficiale: “11/9, il mito del complotto”. Attal aveva perfino esordito così: «Qui non si tratta di equiparare le ‘teorie del complotto’ al rapporto della Commissione d’inchiesta».
Eppure, niente. Non poteva bastare. I tabù non si profanano, e basta.
L’editore ha lamentato che il dibattito era stato inserito a sua insaputa. Non si può. «Colpa professionale» è la sommaria giustificazione ufficiale con cui è scattato il licenziamento in tronco di Deniau e Coq. I passi di "Bernard K." saranno ora più rilassati. E anche le corsettine di Sarkozy fuori dell’Eliseo saranno più distese, lungo un panorama mediatico sempre più ‘normalizzato’.
La prima grande voce francese critica sul racconto dell’11/9, Thierry Meyssan, vive ormai esule in Libano.
Negli anni di Chirac, pur bersagliato da critiche e inchieste feroci di Meyssan, il presidente in persona aveva nondimeno assicurato un’alta protezione al giornalista, già soggetto a minacce molto concrete. La ‘liberté’, se è vera, tutela i dissidenti. Chirac ha mostrato di credere a un principio fondante della ‘République’. Meyssan non ha mancato di esprimergli gratitudine.
Con Sarkozy cambia tutto. Nessuna protezione per il fondatore della «Rete Voltaire», anzi. I messaggi che riceve sono di segno opposto. Meyssan non è al sicuro in nessun paese NATO. Il termine ‘dissidente’, con tutto il suo sapore da Cecoslovacchia anni settanta, è da rispolverare qui ed ora, in Occidente. I porti sicuri diminuiscono.
Esagero, forse? Può darsi. Ma i segnali, solo per rimanere al caso francese, sono pesanti e congruenti. Prendete per esempio l’attore e autore satirico Jean-Marie Bigard. Il 7 settembre 2008, durante una trasmissione radio a «Europe 1», ha argomentato contro la versione ufficiale dell’11/9, citando film, documentari, libri, tesi di specialisti. Dichiarazioni insomma non “pour parler”, ma legate a un prolungato ed evidente percorso di apprendimento.



Apriti cielo!
La fustigazione dei media è stata così univoca e spietata, a partire dal “progressista” «Libération» (proprietà Rotschild), che appena il 9 settembre Bigard dichiarava contrito alle agenzie: «chiedo scusa a tutti per quanto ho detto venerdì durante la trasmissione di Laurent Ruquier a “Europe 1”, non parlerò mai più degli eventi dell’11 settembre; non esprimerò mai più dei dubbi, sono stato trattato da revisionista, cosa che evidentemente io non sono». Un tipico cerimoniale di autocritica sotto pressione.
Poi Bigard è stato capace di venir meno alla promessa, per fortuna della libertà di parola, ma i cannoni sono sempre puntati contro chi manifesta il Grande Dubbio dell’11/9.
Qualche mese fa anche l’attrice francese Marion Cotillard, premio Oscar 2008, aveva dovuto faticare oltremisura per contestualizzare le sue frasi scettiche sull’11/9 “ufficiale”.
Il brutale licenziamento di Coq e Deniau non è stato però l’unico caso eclatante della resa dei conti mediatica in corso a Parigi. Il 12 agosto 2008 il benservito è toccato al giornalista Richard Labévière, uno specialista di Medio Oriente per la rete RFI, un’altra emittente del polo televisivo spadroneggiato da Christine Ockrent. Anche qui il licenziamento in tronco ha trovato una giustificazione occasionale superbamente pretestuosa: l’accusa a Labévière è di non aver avvisato la direzione della radio dell’intervista al presidente siriano Bashar al-Assad registrata a Damasco e trasmessa il 9 luglio da TV5 e il 10 luglio da RFI, pochi giorni prima della visita ufficiale di al-Assad in Francia su invito di Sarkozy.
Labévière a suo tempo era stato anche autore di uno scoop clamoroso, assieme alla giornalista Alexandra Richard di «Le Figaro». Rivelò infatti che appena due mesi prima dei mega-attentati sul suolo USA, dal 4 al 14 luglio 2001, Osāma bin Lāden, gravemente ammalato, sarebbe stato curato in un reparto VIP dell’ospedale americano di Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Durante il soggiorno in ospedale, oltre alle visite di molti maggiorenti sauditi, Osāma avrebbe ricevuto anche quella del rappresentante locale della CIA. Una notizia bomba, in totale controtendenza rispetto alla lettura del ruolo di al-Qā‘ida nell’11/9. Una notizia cui la Francia di Chirac dava segno di credere. Altri tempi.



Richard Labévière era uno di quegli ostinati cronisti che quando parlavano della capitale di Israele dicevano ancora Tel Aviv e non Gerusalemme, ricevendo in cambio pubbliche reprimende dell’ambasciatore israeliano, di solito efficaci per farlo spostare da un programma visibile a uno meno visibile. Fino al licenziamento vero e proprio, stavolta per l’intervista al presidente siriano. «Colpa professionale», anche in questo caso.
Sui media francesi, per settimane, silenzio assoluto sulla notizia.
Tornando ancora indietro, ma non di molto, a luglio 2008 era stato licenziato su due piedi Maurice Sinet, in arte Siné, un disegnatore e autore di satira. Siné ha 80 anni, e ha una ben nota e lunghissima carriera di vignette satiriche. Le sanzioni però arrivano oggi, guarda un po’. Sul settimanale satirico «Charlie Hebdo» (lo stesso che aveva ristampato in nome della libertà di espressione le vignette su Maometto del danese «Jylladen Posten») Siné aveva pubblicato una vignetta su Jean Sarkozy, figlio del Presidente francese. La caricatura satireggiava su una presunta conversione del giovane rampollo all’ebraismo. Il direttore, travolto dalla canea dei media che parlavano di “antisemitismo”, lo ha cacciato ‘ad nutum’.
Oggi l’ottuagenario vignettista ha ancora la mirabolante energia per lanciare a tamburo battente una nuova rivista satirica, «Siné Hebdo».
Ma il messaggio è arrivato forte e chiaro a chi ottantenne non è, e deve tenersi caro il posto in redazione.
Nei media della stagione sarkozyana il cerchio si chiude con forza.
L’azionista di riferimento di TF1 è Martin Bouygues, un intimo di Sarkozy (è anche padrino del figlio). Il patron della catena M6 è Nicolas de Tavernost, meno intimo, ma comunque schierato. Sul digitale terrestre investono i miliardari vicinissimi a Sarko: il finanziere Vincent Bolloré e Arnaud Lagardère. Quale sia il concetto di indipendenza giornalistica per il signor Lagardère, si è pregiato di comunicarlo egli stesso: «Che cos’è l’indipendenza in materia di stampa? È aria fritta. Prima di sapere se sono indipendenti, i giornalisti farebbero meglio a sapere se il loro giornale è perenne». [«Le Monde Diplomatique»]

Queste sono le tendenze in atto sui media in Francia, un paese che pure ha prodotto straordinari anticorpi contro l’omologazione informativa angloamericana.
La portata delle crisi internazionali in corso, nel secolo inaugurato dall’Evento dell’11 settembre, ammette sempre meno letture dissonanti agli occhi delle classi dirigenti e del loro specchio mediatico.
Se la stagione delle censure e degli ostracismi si accelera impetuosamente persino in Francia, l’allarme deve essere massimo per tutti gli altri luoghi che hanno generato meno anticorpi, come l’Italia.
Il crudo monito di Lagardère, al di là del suo uso intimidatorio, contiene una verità: la garanzia dell’indipendenza informativa è l’esistenza di una solida base organizzativa del medium di massa utilizzato.

Aggiornamento del 2 ottobre 2008:
Il presente articolo è stato ripreso anche da «ZeroFilm» [QUI], da «Megachip» [QUI], da «Luococomune» [QUI], da «Altra Informazione» [QUI] e da «Nexus» [QUI].

22 settembre 2008

Ron Paul e la crisi finanziaria: una voce ragionevole

di Pino Cabras






Mi capita di insistere molto su questo punto: gli eventi ai quali assistiamo non sono chissà che di imprevedibile.
Non era imprevedibile la riaffermazione del ruolo globale della Russia (di cui tutti si sono accorti ad agosto). Bastava guardare senza pregiudizi e senza retorica a quel che succedeva a Mosca.
Non era imprevedibile la catastrofe finanziaria che ha trasformato in pochi giorni la fisionomia del capitalismo americano (di cui si è avuta l'eclatante percezione a settembre). Uno shock che trasformerà profondamente anche la nostra vita nei prossimi anni. Anche qui, bastava leggere alcuni dati di fondo, ampiamente disponibili per chi doveva valutarli.
Nel giro di un mese vediamo già segnato il profilo di questo 2008, un anno da ricordare.
Eppure la data è solo un punto di rottura. Il fatto è che i mass-media e le classi dirigenti non hanno parlato ai popoli degli scricchiolii inequivocabili che pure udivano per tempo (e da tempo). Troppe convenienze, calcoli a breve termine, temporeggiamenti, complicità: non emergeva la verità dei cambiamenti necessari.
Sulle voci dissonanti veniva messa la sordina. Una di queste voci è quella del parlamentare repubblicano statunitense Ron Paul. Lo seguo con interesse da un bel po' di tempo. Il "meltdown finanziario" lo aveva ampiamente previsto, tanto che lo dichiarava durante la sua campagna alle primarie in qualità di candidato alla presidenza. Raccoglieva folle nelle città, interesse in internet, finanziamenti crescenti, mentre diceva - in tempi non sospetti - che saremmo arrivati a quel che poi tutti quanti abbiamo visto. La grande stampa e i grandi network TV, il centro dell'agorà politica, facevano di tutto per non citarlo mai, per espellerlo sostanzialmente dal centro del dibattito, perfino quando prendeva il quadruplo dei voti del pompatissimo Rudolph Giuliani e surclassava Mike Huckabee.
Oggi Ron Paul viene un po' riscoperto, anche perché è uno dei pochi a dire cose interessanti in mezzo allo smarrimento che sorge accanto al Grande Baratro del nuovo 1929.
Paul dice qualcosa di molto più interessante e più saggio di quanto dicano Bush, McCain e lo stesso Obama, assorbiti dal ruolo e dalle parole di un tipo di presidente che ormai appartiene al passato, mentre servono riforme che richiedono un coraggio inaudito e una visione dei problemi da grandi svolte.
Sono poco più di sette minuti, ma l'intervista alla CNN di Wolf Blitzer a Ron Paul parla di scenari economici - e militari - oggi quasi impensabili, ma di cui sentiremo ancora parlare.

19 settembre 2008

È morto Barry Jennings, testimone-chiave dell’11/9


Barry Jennings (1955-2008)


Era metà agosto 2008, lo stesso periodo in cui si accendevano i riflettori sul rapporto finale del NIST sul crollo dell’Edificio 7. È in quei giorni che ha perso la vita un testimone chiave dell’11 settembre. Aveva solo 53 anni. Si chiamava Barry Jennings, funzionario della gestione delle emergenze. Lo scorso giugno fu divulgato un video nel quale parlava in dettaglio di esplosioni all’interno dell’Edificio 7 del WTC. Riferiva di esplosioni che avvenivano prima dei crolli delle Twin Towers. Jennings raccontava anche di aver scavalcato i cadaveri delle vittime mentre cercava di abbandonare il palazzo.

Il filmato - tempo prima – sarebbe dovuto comparire nel film Loose Change Final Cut. Ma Jennings non aveva più voluto, dopo aver ricevuto delle minacce. A giugno 2008 il video fu infine pubblicato perché si sapeva che qualche settimana dopo, il 6 luglio 2008, ci sarebbe stato un documentario della BBC sull’Edificio 7 che – a quel punto – non avrebbe più potuto ignorare la versione originaria di Jennings. Un racconto, il suo, che in nulla si prestava a confermare le versioni ufficiali dei fatti, anzi le contraddiceva clamorosamente. [vedi QUI]

Dunque ora sappiamo che Jennings è morto, ma quasi nulla si sa delle circostanze della sua scomparsa. Molti blog e siti insistono per ottenere più notizie. Di certo le eventuali nuove inchieste sull’11/9 non otterranno più la sua testimonianza.

La notizia su Jennings segue a ruota quella sulla scomparsa di un altro eroe e testimone oculare dell’11/9, Kenny Johannemann, del quale si è registrato il suicidio dodici giorni prima del settimo anniversario dei mega attentati. Anche Johannemann aveva testimoniato a caldo di aver udito fortissime esplosioni nelle torri.

Il tema delle esplosioni sembra confermarsi preoccupante per la salute di chi ne tratta troppo da vicino. Il giornalista e scrittore Hunter S. Thompson stava portando avanti un’inchiesta sull’ipotesi di cariche esplosive sistemate nelle fondamenta delle torri, prima del suo presunto e strano suicidio, avvenuto il 20 febbraio 2005. Solo il giorno prima, a un suo amico giornalista Thompson avrebbe confidato di temere per la propria vita: «“faranno in modo che sembri un suicidio” ha detto. “So come ragionano quei bastardi …”».
La sua famiglia precisò che Thompson non era depresso, né aveva problemi di salute che lo avrebbero potuto spingere a togliersi la vita.

Tornando alla calda estate 2008, al di là delle esplosioni, anche l’antrace è un tema pericoloso. Il 29 luglio un’overdose di taylenol e codeina ha ucciso lo scienziato che avrebbe potuto svelare il giallo delle lettere all’antrace del 2001, Bruce Ivins. Un altro “suicidio”. L’FBI sostiene che Ivins era il colpevole.

Così si archivia un caso.

18 settembre 2008

Il dibattito su "ZERO" in Russia

di Pino Cabras


Aleksandr Gordon, giornalista televisivo russo

Così va il mondo. La stampa e la TV italiana hanno ignorato che il 12 settembre 2008 un film italiano, “Zero”, ha spopolato in prima serata sugli schermi televisivi di un paese di oltre 140 milioni di abitanti, la Russia.
Un simile successo non è frequente per un prodotto mediatico italiano.
Neanche il più sbrindellato manuale minimo di giornalismo lascerebbe dubbi: questa è una notizia, e anche bella grossa.
Solo che da noi non è così.
Non sia mai che si debba fare il nome degli autori, non sia mai che si sostituiscano i “reality” con la Realtà. Non sia mai che si affronti finalmente il tema posto da questo documentario.
Perciò zitti.
Guardando al panorama delle redazioni italiche, uno studioso dei media ci vedrebbe un enorme buco giornalistico. Un criminologo constaterebbe omertà. Un cremlinologo scorgerebbe disinformazione.

La BBC – invece – se n'è accorta puntualmente. Grazie al suo servizio di monitoraggio dei media ha fornito un riassunto in inglese del dibattito che ha accompagnato il film. È il primo compendio linguisticamente disponibile anche per le sguarnite antenne del nostro Occidente sempre più male informato. Ecco la versione in italiano del monitoraggio di BBC:


Thierry Meyssan.................................... Giulietto Chiesa
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Per segnare il settimo anniversario degli atti terroristici dell'11/9, il 12 settembre 2008 il Canale Uno della TV russa ha mostrato un discusso documentario, “Zero”, che confuta la versione ufficiale degli eventi. La trasmissione del film, realizzato dall'eminente giornalista ed europarlamentare Giulietto Chiesa, è stata seguita da un dibattito in studio, nel quale due gruppi di esperti – quelli che concordano con la versione di Chiesa e quelli in disaccordo con essa – hanno espresso i loro punti di vista.

«Il film che andremo a discutere stasera – giustamente o no – contesta la versione ufficiale degli eventi, ma il film – e io l'ho guardato con grande attenzione almeno due volte – non accusa mai direttamente il governo degli Stati Uniti d'America o il Congresso, né alcune forze oscure in America, né il Consiglio degli [Affari] Esteri [americano], di aver escogitato e organizzato gli atti terroristici. Perciò vi chiedo: chi li ha fatti?» ha detto il moderatore Aleksandr Gordon all'inizio del dibattito.

Secondo Alekseij Puškov, autore e presentatore del programma di attualità “Postscript” sul canale Tv russo «Centro», nonché direttore dell'Istituto di Studi
Strategici presso l'Accademia Diplomatica, gli atti terroristici di New York nel settembre 2001 furono organizzati da «un gruppo molto influente di persone che aveva bisogno di essi».

Vitalij Tret'jakov, direttore della rivista «Classe Politica» ed ex direttore del quotidiano «Nezavisimaja Gazeta», ha descritto il rapporto ufficiale USA come “fiction”. Tret'jakov ha detto che non riesce a immaginare che un piccolo gruppo di terroristi possa aver architettato gli attentati.

D'altra parte Vladimir Rubanov, ex capo del dipartimento analitico del KGB, ha detto di non aver visto chissà che di straordinario in quanto è accaduto, tanto da
ritenerlo plausibile.

Mikhail Leont'ev, presentatore televisivo del Primo Canale russo e direttore della rivista «Profil'», ha detto di non credere alla versione ufficiale degli eventi per tre ragioni. La prima, ha detto, «è che era un atto terroristico “una tantum”. Una certa organizzazione ha commesso un atto del tutto straordinario dal punto di vista del suo coordinamento. Viene presunto che questa organizzazione esista ancora, continui a combattere e uccida gente, stia vincolando l'esercito USA a stare in due paesi nel mondo, mentre non c'è stato un solo atto [terroristico] sul suolo degli Stati Uniti da allora»
«Il fatto che non ci sia stata una singola ripetizione di questo atto terroristico dimostra che il primo era falso», ha aggiunto.
Leont'ev ha continuato: «Seconda questione, perché [è stato commesso l'atto terroristico dell'11 settembre]? Gli Stati Uniti ne hanno molto beneficiato. Certi circoli che sono certamente legati all'attuale amministrazione ne hanno tratto vantaggio. Era così tanto nei loro interessi che l'atto terroristico è diventato inevitabile».
«Terzo, tutte le persone che sono state considerate come i finti o veri organizzatori di questo atto [terroristico], tutte queste persone erano controllate dai servizi speciali americani».


Aleksandr Šaravin, direttore dell'Istituto di Studi Politici e Militari, ha detto di aver trovato molti degli argomenti usati nel film di Chiesa non convincenti.

Alekseij Vvedenskij, un portavoce per conto dei progetti di costruzioni speciali di Mosca, ha detto di sostenere la versione ufficiale. Ha affermato che le torri gemelle sono crollate perché furono colpite dagli aerei, non perché fatte esplodere. Ha spiegato in dettaglio tecnico come ciò sarebbe potuto accadere.

Un altro specialista in costruzioni, il direttore del centro di ricerca su Rischi e Sicurezza degli Edifici, Ašot Tamrazijan, ha detto che la sua organizzazione aveva creato un modello e portato avanti molti test che hanno evidenziato che le torri gemelle non sarebbero potute crollare a meno che non vi avessero contribuito altri fattori.

L'architetto Mikhail Khazanov non ha potuto spiegarsi il crollo del terzo edificio.

Il regista Vladimir Khotinenko ha elogiato il film per aver sollevato domande senza emettere sentenze. Ha inoltre detto che il collasso delle torri era molto “cinematografico” nello spirito dei film hollywoodiani di migliore incasso.

Il corrispondente del Primo Canale Vladimir Sukhoj era molto vicino alle torri gemelle quando crollarono. Ha detto di essere stato testimone della tragedia e di credere alla versione ufficiale.

Robert Bridge, direttore del quotidiano in lingua inglese «The Moscow News», ha dubitato che un aereo civile Boeing abbia colpito l'edificio del Pentagono. Ha detto: «In ogni incidente aereo ci sono dei resti. Ci sono bagagli, sedili, ecc.»: «Perché questo aereo ha avuto un incidente in modo così diverso da qualsiasi altro incidente cui abbiamo assistito?» ha chiesto.


Il cosmonauta Vladimir Dežurov, che al tempo si trovava nella Stazione Spaziale Internazionale e ha visto gli eventi dell'11/9 dallo spazio, ha detto anch'egli che un incidente aereo si lascia dietro dei detriti.

Un altro testimone oculare, il corrispondente di ITAR-TASS, Jurij Kiril'čenko, ha detto che il film ha dimostrato che c'è ancora bisogno di una seria inchiesta sulla tragedia poiché molte domande sono rimaste senza risposte.


Nessuno dell'audience ha sollevato la mano quando il moderatore ha chiesto di farlo nel caso che qualcuno credesse alla versione ufficiale.


Originalmente pubblicato dal Primo Canale della TV di Stato russa, a Mosca, in russo – n. 1725 - 12 Settembre 2008.
(c) 2008
BBC Monitoring Former Soviet Union.
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Fonte: BBC Monitoring Former Soviet Union

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Sin qui il resoconto della BBC.
Nel dibattito russo – una discussione aperta e plurale - si sono dunque proposte tesi diverse, le stesse che si fronteggiano anche da noi (per la verità più in Rete che in TV o sui giornali).
In più ci sono state alcune sorprese nel campo della documentazione e analisi dell'11/9.
Sono una grande novità sia le rivelazioni del cosmonauta Vladimir Dežurov, che ha riferito delle sue foto dell’11/9 scattate dallo spazio, sia le dichiarazioni del professor Ašot Tamrazijan, che racconta degli esperimenti fatti per valutare i crolli delle torri, finora non conosciuti fuori dalla Russia.
Vale la pena leggere qui per intero una prima traduzione italiana degli interventi di Dežurov e Tamrazijan. Il testo dell’intero dibattito è stato trascritto sul sito del Primo Canale russo (http://www.1tv.ru/gordonkihot/pr=10025&pi=11348&ptype=video)


Vladimir Dežurov

Vladimir Dežurov, pilota cosmonauta, colonnello dell’Aeronautica Militare russa, pilota di caccia, ingegnere areonautico: «in quei momenti a bordo ci trovavamo in un qualche istante nel bel mezzo della giornata, intorno all’ora di pranzo della Stazione Spaziale, quando vedemmo del fumo nero. Sembrava come un vento che soffiava sulla costa atlantica. Naturalmente abbiamo subito scattato un’enorme quantità di fotografie, girato dei video, e tutta questa informazione, ebbene, forse in non più di cinque minuti fu trasmessa ai Centri di Controllo della Missione di Mosca e di Houston. Era tutto a conoscenza di entrambe le parti, e in grande dettaglio. Vorrei dire, essendo io stesso un pilota di caccia, ho avuto modo di assistere a disastri di grandi jet e di caccia. In qualunque modo si sia schiantato questo aereo, a qualunque velocità sia andato incontro all’ostacolo, sempre – dipendendo solo dalla velocità il raggio di diffusione dei detriti – senza eccezione ci sarebbero tanti frammenti metallici sul terreno. Non accade mai che brucino. E, ovviamente, se ci fossero vittime si troverebbero. Necessariamente. Non possono esservi dubbi.»

A. Gordon
: Questa parte ti ha convinto?


Vladimir Dežurov:
Certo. Sì. È semplice. Si basa su tutta la prassi dell’aviazione.
Sarà interessante, un giorno, poter vedere le foto dall’alto annunciate da Dežurov.



Ašot Tamrazijan

Ed ecco l’intervento di Ašot Tamrazijan:

Ašot Tamrazijan, ingegnere, professore all’Università degli studi di ingegneria civile (MGSU), direttore del centro scientifico e tecnologico “Rischi e installazioni di sicurezza”: «Tutto è stato ben spiegato tranne che per le cose essenziali. Andiamo indietro al 2003, l’anno in cui un gruppo di lavoro dell’MGSU, assieme ad altre istituzioni dell’Accademia Russa delle Scienze e alle istituzioni ricomprese, ha condotto numerosi studi sulle cause di crollo dei grattacieli. Dopo i nostri calcoli preliminari ho espresso dei dubbi sul fatto che il solo impatto degli aeroplani possa aver fatto cadere gli edifici. Abbiamo eseguito molti test. Ne risultavano sì dei collassi progressivi, ma non come quelli del WTC, perché il World Trade Center è collassato non secondo lo scenario “progressivo”, oggi termine in voga, bensì un collasso per crolli locali. Cosa abbiamo in realtà? Ci sono foto del crollo, che tutti abbiamo visto, e ci sono degli aerei. La maggior parte delle cose non l’abbiamo vista, nei fatti. Così, l’aereo si è scagliato su un fascio di colonne, ha tagliato queste colonne, poi c’e stata l’esplosione, l’incendio. Abbiamo esaminato la resistenza al fuoco di queste colonne, i nostri specialisti hanno condotto degli studi sugli incendi, in particolare Vladimir Mironovič Rojtman, un eminente specialista, e abbiamo così determinato che dopo circa 50 minuti avrebbero perso la resistenza al fuoco, portando a perdere stabilità, così che un crollo sarebbe avvenuto in corrispondenza dei piani successivi di sopra e di sotto. Ma questo è insufficiente per completare il crollo dell’edificio. Non basterebbe una componente. E allora, cos’era, se non si trattava solo di aerei? Cosa accadeva, per dire, se negli schemi costruttivi degli edifici ci fossero anche dei danni localizzati? Non parliamo di esplosioni, stiamo parlando di danni agli schemi costruttivi. Noi conosciamo anche gli schemi costruttivi. Perciò abbiamo concluso che l’impatto degli aerei più la presenza di ulteriori vari crolli locali potrebbe risultare in quel tipo di crollo mostrato nel film. Questo è ammissibile.»

A. Gordon: Così avete creato un modello, tenuto una serie di test, e ottenuto dei risultati per cui senza ulteriori ...

A. Tamrazijan: Abbiamo ottenuto che questo tipo di edificio non sarebbe crollato per il solo impatto degli aerei, bensì con dei crolli aggiuntivi, alti 8-10 piani.

Aggiornamento del 2 ottobre 2008:
Il presente articolo è stato ripreso da
«ZeroFilm» [QUI] e da «Megachip» [QUI].

Aggiornamento del 26 febbraio 2009: Il presente articolo è stato tradotto in francese sul sito «ReOpen911» [QUI].

14 settembre 2008

ZERO in Russia: quando un film italiano va in prima serata

Giulietto Chiesa ha rilasciato un'intervista al canale russo in lingua inglese «Russia Today» anteriormente alla trasmissione del film "ZERO" in prima serata sul primo canale della TV di Stato (ORT):



Di seguito si può vedere l'intera trasmissione di «Russia Today». Il conduttore Al Gurnov esordisce definendo il documentario italiano «probabilmente il più importante film finora realizzato sull'11 settembre».



Dunque: un film italiano va in prima serata sul principale canale TV di un paese di quasi 150 milioni di abitanti, accompagnato da larghi spazi su altri canali e da dibattiti con i più noti giornalisti di quella nazione.
Il film si chiama ZERO.
Zero è anche il numero di righe dedicate dai giornali italiani a un fatto così inusuale.

13 settembre 2008

Mercenari al tempo dei media

di Pino Cabras


Si sono mosse in ritardo, le grandi testate, ma – seppure a modo loro – ci stanno arrivando.
Ora – pure a denti stretti – lo ammettono pure loro: la guerra nel Caucaso dell'agosto 2008 non è stata un'invasione russa della Georgia. Nulla a che fare con l'invasione della Cecoslovacchia di quarant'anni prima. È stata viceversa un'operazione militare georgiana fallimentare fomentata da una corrente atlantista spregiudicata.
La verità dei fatti era troppo grossa persino per il mainstream che aveva iniziato – non nell'URSS degli anni settanta ma nell'Occidente degli anni duemila – una colossale operazione di disinformacija. Qui e lì si leggono ancora editoriali e reportage menzogneri, o le sfilze di panzane di un qualche Bernard-Henri Lévy, ma fanno figure barbine.
Perciò abbiamo visto sì che durante i primi giorni il TG1 di Gianni Riotta era capace persino di tacere l'aggressione perpetrata da Saakashvili a danno dell'Ossezia del Sud, ma poche settimane dopo lo stesso Riotta si sobbarcava un volo a Mosca per una pettinatissima e lunga intervista al presidente russo Medvedev.
Oppure abbiamo visto i buchi clamorosi della stampa anglosassone, che via via ha dovuto correggere il tiro.
In mezzo c'erano i fatti, la loro verità e la loro inaggirabile durezza. Gli stessi fatti che hanno impedito a Gordon Brown e Bernard Kouchner di esercitare definitivamente il loro mestiere preferito: allontanare l'Europa dai suoi interessi e completare irrevocabilmente la sua subalternità ai progetti atlantisti.
Abbiamo visto inoltre che è sbagliato vedere solo menzogne nel “racconto del mondo” che si fa a Mosca. Questo è per l'Occidente un errore tragico, ideologico, che intacca la capacità d'interpretare razionalmente i grandi fatti: la pace, la guerra, l'economia, l'energia, la notificazione degli interessi in gioco, il loro valore dichiarato, le conseguenti valutazioni.
Buon ultimo nella correzione di rotta è arrivato anche il «Financial Times», che il 6 settembre 2008 ha sostanzialmente confermato le affermazioni di Putin, il quale nell'intervista alla CNN aveva accusato gli USA di aver "orchestrato" la guerra nell'enclave georgiana.
Gli Stati Uniti avevano fornito un ricco addestramento (attraverso l'esercito e grandi società mercenarie) ai reparti speciali della Georgia. Una delle due corporation militari coinvolte risponde a un nome che a Mosca non poteva sfuggire: MPRI (Military Professional Resources Incorporated). Questa colossale e sinistra organizzazione (sotto l'occhio benevolo del Pentagono) aveva addestrato l'esercito della Croazia in occasione del micidiale attacco del 1994 alla regione della Krajina, cui seguì una tragica pulizia etnica che colpì la popolazione serba. I suoi uomini in seguito avevano posato i piedi anche nel piatto della guerra bosniaca e di quella del Kosovo. È lì che si incrementò il know-how dei tagliagole, compresi quelli che poi, mollata la mimetica da soldataglia malrasata, si sono messi la cravatta e il dopobarba Quisling per fare i presidenti di nuovi piccoli Stati atlantisti.
Nei Balcani avevano fatto il loro apprendistato – gomito a gomito con il sottobosco dei servizi segreti - molti jihadisti, compreso l'ampio segmento utilizzato nell’operazione dell'11 settembre 2001. Non c’è mossa strategica di questa accozzaglia terroristica che non abbia avuto sul collo il fiato dei servizi statunitensi e britannici, che ne hanno indirizzato la gittata.
Attraverso la porta girevole dei palazzi di governo di Sarajevo negli anni novanta passavano dunque sia il boss della MPRI, Carl Vuono, ex capo di stato maggiore dell’esercito USA, sia Osāma bin Lāden, che poteva esibire il passaporto diplomatico bosniaco. C’erano dei legami? Nella galassia delle forze “irregolari” che operano con i mezzi della guerra e del terrorismo, siano esse imprese mercenarie o cellule jihadiste, è inutile aspettarsi documenti in carta intestata che leghino direttamente fra di loro le singole costellazioni.
Un servizio segreto istituzionale non lo pizzichi per una sua firma.
La boscaglia di cooperazioni fra queste entità è in gran parte impenetrabile perché un grande impegno viene dedicato a occultare i legami fra segmenti autonomi, singoli individui, mediatori, provocatori, militari “a riposo” in realtà indaffaratissimi, cani sciolti e cani legati con funi lunghissime, impegnati su progetti a termine di cui non rimane traccia, doppi agenti, interessati a sapere solo dell’ingranaggio in cui operano, non della macchina intera. Le responsabilità nelle alte sfere non si scoprono in modo diretto.
Dall'11 settembre 2008 sappiamo, grazie a dei documenti declassificati, che pochi giorni dopo il golpe del Cile del 1973 il presidente Nixon chiedeva a Kissinger: «La nostra mano è rimasta nascosta?». Kissinger lo rassicurava: «Non abbiamo fatto noi il colpo di stato. Li abbiamo aiutati. Abbiamo creato le migliori condizioni.» Ora sappiamo con documenti di prova quel che sapevamo con l'uso del cervello. Ma sono passati trentacinque anni.
Il «Financial Times» - nel riferire del Caucaso di oggi - non va certo a queste profondità, ma rivela particolari comunque interessanti. Possiamo leggerli anche grazie alla puntuale traduzione fornita dal blog «Mirumir»:
«L'addestramento è stato fornito da ufficiali statunitensi e da due compagnie mercenarie. Non ci sono prove che i contractor o il Pentagono che li ha assoldati sapessero della probabilità che i reparti che stavano addestrando potessero essere impiegati nell'aggressione contro l'Ossezia del Sud.».
Non ci sono prove, ma sappiamo che questo addestramento è stato a ridosso degli eventi.
«Un portavoce dell'esercito degli Stati Uniti ha dichiarato che l'obiettivo del programma era di addestrare i commando in vista del loro impiego in Afghanistan, come parte dell'International Security Assistance Force NATO. Il programma, tuttavia, mette in luce le conseguenze spesso involontarie dei programmi train and equip degli Stati Uniti in paesi stranieri.»
Le giustificazioni discolpanti abbondano e ‘puzzano’. Però non possiamo pretendere troppo, date le circostanze e la tribuna. Quel che conta è che si illumini una relazione diretta e pesante fra la preparazione pianificata dalle corporation mercenarie e i fatti di agosto.
«I contractor – MPRI e American Systems, entrambi con sede in Virginia – avevano reclutato una squadra composta da 15 ex-soldati delle forze speciali per addestrare i georgiani alla base di Vashlijvari, nei dintorni di Tbilisi, nell'ambito di un programma del ministero della difesa degli Stati Uniti.».
Putin non le manda a dire, e alla CNN dichiara: «La questione non è semplicemente che gli americani non hanno impedito alla dirigenza georgiana di commettere questo crimine [di intervenire in Ossezia del Sud]. Gli americani hanno in effetti armato e addestrato l'esercito georgiano».
I reparti speciali, fra gennaio e aprile 2008, hanno ricevuto la prima formazione base. Gli istruttori sono poi tornati in Georgia quattro giorni prima dell’inizio delle ostilità.
MPRI e soci non hanno voluto fornire dettagli al «Financial Times». Lasciano la patata bollente ad addestratori più ‘istituzionali’, quelli della Security Assistance Training Management Organisation (Satmo) di Fort Bragg, inserita nella Special Warfare Center School dell'esercito USA. Ma anche da loro, stesso muro del silenzio, come i “privati”.
Le truppe servivano per l’Afghanistan oppure per l’Ossezia e l’Abkhazia? I dubbi sono ineludibili. «Benché il programma non sia secretato, le circostanze che lo riguardano mancano di trasparenza, anche se secondo le fonti dell'esercito statunitense questa mancanza di trasparenza non era intesa a mantenere segreto il programma. Altri programmi di addestramento militare degli Stati Uniti in Georgia dispongono di siti internet e gallerie fotografiche». I casi sono numerosi, fin dal 2003, con grandi investimenti in reparti speciali impegnati a difendere da fantomatici “terroristi ceceni” i grandi trivellatori orientati a sfruttare l’Eldorado petrolifero tra Caucaso e Caspio .
Tra questi contractor ritroviamo la Blackwater, la più potente e inquietante delle corporation mercenarie, un soggetto da solo in grado di non farci considerare paranoiche o veterosovietiche le denunce di Putin.
Per quanto si avverta una correzione di rotta mediatica sui fatti della Georgia, ogni giorno abbiamo tuttavia continue conferme della scadente copertura giornalistica occidentale sulla cruciale vicenda che si gioca al centro dell’Eurasia. Nessun giornale ha parlato ad esempio delle nette dichiarazioni sulla responsabilità della guerra in Caucaso formulate da un parlamentare statunitense, per giunta repubblicano, esperto di politica internazionale. Si tratta di Dana Rohrabacher. Tra le tante cose, si era occupato di Afghanistan dai primi anni ottanta in qualità di assistente speciale del presidente Ronald Reagan. Per leggere le sue dichiarazioni sul Caucaso dobbiamo andare a cercare i dispacci dell’agenzia russa “RIA Novosti".

Rohrabacher, vice presidente della sottocommissione per le organizzazioni internazionali della Camera dei Rappresentanti del Congresso degli Stati Uniti, ha dichiarato che – stando ai dati dello spionaggio USA - la recente guerra in Ossezia del Sud è stata iniziata dalla Georgia.
«Tutte le fonti dell’intelligence con cui ho parlato - e ho parlato con molti di loro durante le vacanze parlamentari - confermano che la recenti azioni di guerra in Georgia e nella sue province separatiste sono state iniziate dalla Georgia», ha detto il parlamentare il 9 settembre in occasione di un’audizione del Congresso USA.
Ad avviso di Rohrabacher, così come citato dalla “RIA Novosti”, «i georgiani, non i russi, avevano rotto l'armistizio, e nessuna ciancia su provocazioni e altre cose può cambiare questo dato di fatto.»
Rohrabacher ha definito una "foglia di fico" tutti i tentativi di attrribuire la colpa sullo scatenamento della guerra a Ossezia del Sud. «Sì, alcune persone useranno questa foglia di fico e diranno che i sud-osseti potrebbero aver provocato azioni militari, lanciato un missile o sparato cannonate», ha detto Dana Rohrabacher, dopo aver ricordato l'incidente del Golfo del Tonchino, che venne utilizzato dagli Stati Uniti per avviare la guerra del Vietnam, e che più tardi si rivelò essere una provocazione. Per Rohrabacher la questione è semplice: «I russi hanno ragione, e noi torto. I georgiani avevano iniziato tutto questo, e i russi vi hanno posto fine», ha detto il vice presidente della sottocommissione parlamentare.
Una dichiarazione clamorosa di Rohrabacher era apparsa anche nel libro di Nafeez Mosaddeq Ahmed Guerra alla libertà (Fazi, 2002). Di fronte alla commissione esteri del Senato USA, nel 1999, Rohrabacher aveva detto: «Sono stato coinvolto a fondo nella politica americana in Afghanistan per circa vent’anni, e mi sono chiesto se questa amministrazione abbia o no messo in atto una politica segreta che ha rafforzato i talebani e consentito al loro feroce movimento di assumere il potere. Anche se il presidente e il segretario di Stato hanno espresso chiaramente il loro disprezzo per le efferatezze compiute dai talebani, e specialmente per la repressione delle donne, nei fatti la politica adottata dagli Stati Uniti ha ripetutamente avuto l’effetto opposto. […] Affermo che questa amministrazione ha messo in atto una politica segreta per offrire sostegno al governo dei talebani affinché assumessero il controllo dell’Afghanistan. […] Questa scelta amorale, o immorale, si basava sull’ipotesi che i talebani avrebbero portato stabilità in Afghanistan e consentito la costruzione di un oleodotto dall’Asia centrale fino al Pakistan attraverso l’Afghanistan […] Credo che l’amministrazione abbia mantenuto segreto questo obiettivo, e tenuto all’oscuro il Congresso sulla sua politica di sostegno ai talebani, il regime più antioccidentale, più antifemminile e avverso ai diritti umani del mondo.»
Prima o poi qualcuno ci informerà di nuovo su queste cose tanto importanti. Di fronte alle operazioni segrete e alle terribili guerre che vi si collegano non potrà bastare una piccola correzione di rotta della corrente delle notizie. Servono nuovi punti di vista.

Aggiornamento del 15 settembre 2008:
Il presente articolo è stato riportato anche su
«ComeDonChisciotte» [QUI], su «Megachip» [QUI] e su «AriannaEditrice» [QUI].

11 settembre 2008

Il film ZERO fa colpo sui media tedeschi e russi

Di seguito è riportato un pezzo dell'agenzia di stampa tedesca DPA.
Articolo originale:
DPA News Agency, “Filmmaker Urges International Tribunal to Probe 9/11” [QUI]
8 settembre 2008.
Traduzione di Pino Cabras




Giulietto Chiesa, in veste di autore di film - mentre era a Berlino per una proiezione del suo documentario che mette in dubbio la versione ufficiale USA degli attacchi terroristici dell’11/9 - ha fatto appello a un tribunale internazionale che giudichi quegli eventi.

Chiesa era a Berlino durante il fine settimana per illustrare la proiezione del suo film che presenta, tra gli altri, il romanziere Gore Vidal e il drammaturgo Dario Fo, oltre al professore emerito americano di filosofia David Ray Griffin, il quale propone ipotesi cospirative che contraddicono le versioni correnti degli eventi dell'11 settembre 2001.

In questo documentario critico compaiono inoltre: controllori di volo della Federal Aviation Administration, piloti della US Air Force, comandanti militari. L’autore si augura che il film possa creare “consapevolezza politica” in merito alla “difettosa” inchiesta ufficiale degli eventi fornita dalla Commissione dell’11/9.”

“Alcune delle figure che compaiono nel film sono ex agenti dell’FBI e della CIA, persone che hanno corso in un certo senso un rischio molto grande nel voler parlare. Sono molto grato a loro perché hanno fatto un grande lavoro”, ha detto Chiesa.

“Il film non sarebbe stato possibile senza di loro”, ha detto, aggiungendo che ZERO è stato visto in Francia e in Belgio in singole proiezioni, e da più di 20mila persone in Italia. Ma il film finora non ha ottenuto un distributore in Europa.


La spinta per un tribunale internazionale

Chiesa, uno dei giornalisti italiani più autorevoli nonché corrispondente dall’estero de «La Stampa» per più di 20 anni, ha detto al suo pubblico di Berlino che un tribunale internazionale sull’11/9 potrebbe risultare utile.

“Se i sentimenti fossero abbastanza forti un risultato positivo si potrebbe ottenere, ma non sembra accadere nell’immediato. Finora è stata l'amministrazione USA a vincere la battaglia dell’informazione e a ottenere i propri risultati, purtroppo,” ha detto Chiesa. “Il nostro compito è quello di informare milioni di persone sulla vera situazione. Tutti dovrebbero essere coinvolti in questa lotta con un tribunale o una commissione che aiuti una volta conquistata l'approvazione per l'idea”, ha detto.

In un'intervista all’agenzia di stampa tedesca Dpa, Chiesa, europarlamentare, ha detto che la televisione russa darà il suo film in prima serata questa settimana alla vigilia del settimo anniversario degli attentati di New York e Washington.

“Ciò significa che circa 30 milioni di cittadini russi apprenderanno la verità su quanto accaduto, il che per me è un risultato molto grande.”

Chiesa, il cui documentario era stato proiettato dapprima innanzi a grande pubblico tedesco presso il Goethe-Institut di Monaco di Baviera nel mese di maggio, è stato chiaramente felice dell’accoglienza ricevuta dal film a Berlino. “E importante che tante persone lo abbiano manifestato”, ha detto.

Da componente della tavola rotonda composta da sei esperti chiamati a discutere il tema dell’11/9 a Berlino, Chiesa si è detto desideroso che il suo film guadagni più sostegno da parte del pubblico e diventi un “moltiplicatore” in tutta la Germania. “Se ciò accade, significa che stiamo facendo politica nel vero senso della parola.”


I critici mettono in discussione la versione governativa degli attentati

Andreas von Bülow, un controverso ex ministro tedesco della tecnologia, nonché ex segretario di Stato al Ministero della Difesa, è stato uno dei i partecipanti all’incontro berlinese pronti ad affermare che occorrono ulteriori indagini sulla questione dell’11/9.

Von Bülow ha dichiarato alla Dpa che per i governi è “una delle loro caratteristiche costitutive il fatto di tendere a mentire al fine di ottenere risultati per la loro agenda. Gli americani ci hanno raccontato che in Iraq Saddam Hussein aveva qualcosa a che fare con al-Qā‘ida, cosa del tutto falsa. Anche la CIA lo sapeva “, ha detto.

“Poi ci hanno detto che Saddam Hussein stava preparando armi di distruzione di massa, cosa altrettanto falsa, così hanno mentito dappertutto e lì stanno ancora combattendo. Nel frattempo un milione di persone sono state uccise”.

A chi gli chiedeva se ci fosse alcuna prospettiva di cambiamento politico una volta eletto il prossimo presidente degli Stati Uniti, ha risposto senza mezzi termini “No!”

Juergen Elsässer, 51anni, un giornalista che opera a Berlino e autore del recente libro intitolato “Terror Target Europe: il pericoloso doppio gioco dei servizi segreti,” ha parlato delle macroscopiche contraddizioni della versione ufficiale degli eventi dell’11/9.

“I critici si ritrovano a essere accusati di formulare ipotesi di complotto, ma la più grande teoria del complotto si trova nella versione ufficiale dell’11/9 del governo USA, la quale sostiene che Osāma bin Lāden, da una grotta in Afghanistan, insieme a 19 giovanotti arabi, è riuscito a realizzare uno dei più malefici attentati nella storia dell’umanità”.

“I conti non tornano. Per me la più importante contraddizione è il modo in cui le difese aeree della più grande potenza militare del pianeta non sono riuscite a prevenire simili attacchi mentre si svolgevano e nessun caccia intercettore né alcun sistema missilistico sia stato attivato”.

DPA News Agency (sp)


Aggiornamento del 12 settembre 2008:
Il presente articolo è stato ripreso da «Megachip»
[QUI]

9 settembre 2008

Pandora: la scatola aperta

Pandora vuole diventare uno spazio di informazione indipendente in onda sulla TV satellitare, su reti regionali e sul web.
Pandora nasce dall'impegno di professionisti della comunicazione che si battono da sempre per la libera informazione, ma Pandora è aperta alla collaborazione di tutte le persone che hanno qualcosa da raccontare.
Pandora è il punto di partenza e di arrivo di una rete di contatti che attraversano l'Italia e che si collegano con molti angoli del mondo.
Pandora non è il megafono di qualcuno o per qualcuno, Pandora vuole dare voce a chi non ce l'ha.
Per questo Pandora può vivere solo grazie al sostegno di tutte le persone che si riconoscono nel progetto.
Pandora vuole proporsi come esempio autentico di televisione di servizio pubblico, cioè una televisione che risponde ad un unico editore: i suoi telespettatori, a partire da tutti quelli che hanno deciso di sottoscrivere un "abbonamento volontario", non solo per se stessi, ma anche per tanti altri che nemmeno conoscono.
Non appena saranno raccolte le risorse necessarie per realizzare la prima stagione, Pandora metterà in cantiere un programma televisivo settimanale di circa 90 minuti e un notiziario quotidiano sul web e sul satellite.
Per tutto questo, ti chiediamo di partecipare al progetto Pandora inviandoci la tua adesione: così potremo sapere quanti siamo e tenerti sempre al corrente della strada fatta e delle prossime tappe. E ti chiediamo di parlare di Pandora con tutte le persone che possono essere interessate: non abbiamo risorse per grandi campagne pubblicitarie, la nostra forza si basa solo sul passaparola. E soprattutto ti chiediamo un aiuto concreto: anche il tuo contributo può fare la differenza. E far diventare Pandora una voce diversa a "portata di telecomando"...

Appello per un'informazione libera: [QUI].







8 settembre 2008

Chiarimenti sui tempi di crollo dell'Edificio 7

Versione italiana dell'articolo “Clarifying the Collapse Time of WTC7”,
pubblicato il 6 settembre 2008 sul«George Washington Blog» .
Traduzione di Pino Cabras



Gli apologeti governativi hanno affermato che ci sono voluti 13 o più secondi per il collasso dell'Edificio 7 del World Trade Center, il che confuterebbe l'assunto della "virtuale caduta libera". Tuttavia, questa argomentazione manca del tutto il bersaglio.
Perché?
Perché i video mostrano che l'attico crollò molto prima della parte principale dell'edificio. In realtà, chiunque ammette che c'è stato un ritardo di diversi secondi tra il crollo dell'attico e il crollo di tutto il resto dell'edificio.
"Un oggetto a riposo tende a rimanere a riposo". Pertanto, una volta cessato il movimento, esso sarebbe dovuto rimanere interrotto.
Dunque, il crollo della parte principale del WTC7 - alcuni secondi dopo che il crollo dell'attico si fermò - dovrebbe essere trattato come un tipo di evento discretamente nuovo (vedi più avanti).
Dal momento che la parte principale dell'edificio è crollata in circa 7 secondi – lo stesso tempo che sarebbe occorso in una demolizione controllata - questa è una forte prova che il WTC 7 sia stato in realtà demolito.
Il confronto importante riguarda il tempo di crollo della parte principale di un edificio. Nei video di demolizioni controllate, le cariche dedicate alla demolizione sono spesso visibili molto prima che la costruzione cominci a crollare, ma esse non dovrebbero essere incluse nel tempo di crollo. Se accadono delle cose all'interno del palazzo dopo che le cariche esplodono, ma prima che la parte principale dell'edificio inizi visibilmente il collasso, queste non dovrebbero essere incluse nei calcoli dei tempi.
In altre parole, gli apologeti governativi sosterranno che molte cose stavano accadendo all'interno WTC7 tra la fine del crollo dell'attico e l'inizio del crollo della parte principale dell'edificio. Essi non hanno fornito prova alcuna di un tale argomento. Infatti, se vi fosse stato un significativo movimento all'interno del palazzo dopo il crollo dell'attico, ciò avrebbe dovuto determinare alcuni movimenti o deformazioni della parte della costruzione visibile dall'esterno.
Ancora più importante, molto potrebbe anche accadere all'interno di altri edifici tra l'inizio delle cariche di demolizione e l'inizio del crollo visibile della parte principale dell'edificio. Semplicemente non vi è alcun modo per saperlo (non ci sono di norma telecamere all'interno degli edifici da demolire, e non vi erano telecamere all'interno WTC7 che captassero quanto accadeva; quindi ciò non può essere misurato oggettivamente).
Il confronto dovrebbe essere portato con il tempo impiegato per crollare dalle parti principali degli edifici. Si tratta di una misurazione oggettiva (al posto di tirare a indovinare che cosa stia accadendo all'interno di un edificio allorché nessun movimento sia osservabile da fuori), e prontamente osservabile dal video.

Nota: In qualsiasi precedente caso di demolizione controllata, quando un attico, un antenna o altre strutture del tetto sono state demolite prima della parte principale dell'edificio, allora - per coerenza – ciò dovrebbe essere escluso dal tempo di collasso dal crollo nel momento in cui i confronti siano fatti con il WTC7.

Aggiornamento: l'ingegnere meccanico Tony Szamboti concorda con questa analisi, e aggiunge:
«L'attico del WTC 7 collocato a est aveva colonne sul suo perimetro e nessuna al suo interno. Su tre lati queste colonne erano montate vicino al bordo del tetto del WTC 7.
È improbabile che un crollo di alcuna delle colonne centrali della costruzione principale abbia potuto tirarle completamente verso il basso, senza che le travi del tetto si rompessero completamente svincolate dalle colonne esterne e muovendosi anche completamente verso giù.
È improbabile che le travi del tetto fossero state separate dalle colonne esterne, che poi sarebbe quanto necessario affinché un collasso del nucleo causasse il crollo dell'attico.»
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3 settembre 2008

Il crollo dell’Edificio 7: morta una teoria ufficiale se ne fa un'altra

di Pino Cabras


Fonte dell'immagine: «Luogocomune» [QUI]

“La montagna ha partorito un topolino”? Dovremmo dirlo anche stavolta, sette anni dopo l’11 settembre 2001, ora che il NIST (National Institute of Standards and Technology) ha finalmente esibito il suo studio sul crollo dell’Edificio 7 del World Trade Center, ancora privo di risposte convincenti.

Solo che si tratta di un topolone bello grande, pieno di pagine e pagine di grafici e simulazioni.
Il regalo troppo voluminoso fa più colpo su chi ha meno buon gusto. Allo stesso modo il pingue cadeau del NIST ha dato grande soddisfazione alla maggior parte dei giornali, che avevano già in caldo il titolo che serviva per l’occasione: “Finalmente risolto il mistero dell’Edificio 7”.

Sempre rinviata, l’inchiesta dell’agenzia governativa statunitense ha fatto il suo debutto in società il 21 agosto 2008 con una conferenza stampa tenuta dall'investigatore capo Shyam Sunder.

Abbiamo così appreso che il WTC7 sarebbe crollato a causa degli incendi per via di un evento mai riscontrato prima nella storia, un ‘unicum’ che annullerebbe ogni certezza in materia di sicurezza degli edifici. Salvo mettere le mani avanti: guardate che non è cosa che succede ogni giorno. Infatti sono cose che capitano solo nel giorno delle coincidenze magiche, l'11/9.
La causa sarebbe un crollo progressivo totale provocato da espansione termica (“thermal expansion”, dice il NIST).

Le conclusioni dell’inchiesta, in soldoni, sono queste: le macerie precipitate dalla Torre Nord sul WTC7 hanno innescato vasti incendi nella parte inferiore a est del grattacielo, abbastanza per lungo tempo da far dilatare le travature orizzontali che reggevano i pavimenti; la dilatazione orizzontale non riusciva a trovare sfogo in un’espansione all'esterno del palazzo, che rimaneva sufficientemente inalterabile, mentre lo trovava a danno di una colonna interna, la colonna 79, che ha finito per scardinarsi.

Un ricorrente “deus ex machina” dei film di Indiana Jones o dei fumetti di Martin Mystère, così come dei cartoni di Wile E. Coyote e dell’astronave aliena di Indipendence Day, è il cruciale punto debole – una lastra, una leva, un software, una colonna - che fa crollare tutto con un minimo movimento, sia esso un palazzo, una grotta, una montagna o un’astronave.

La colonna 79 dell’Edificio 7 si presenta con la medesima potenza di un espediente drammaturgico inatteso. Con sfrontatezza disneyana la colonna collassa, riverberando gli effetti sulle colonne più prossime, in un movimento da sud a nord. L’ondata di crolli va poi da est a ovest, risparmiando per qualche secondo la struttura perimetrale, che poi cede e fa crollare il grattacielo in modo totale e definitivo.

Fa specie pensare che fra gli inquilini dell’Edificio 7 ci fossero istituzioni finanziarie, compagnie di assicurazione e agenzie governative top secret talmente ingenue da fidarsi di un palazzetto così vulnerabile, nel quale il cedimento di un solo pilastro era in grado di mettere in moto un crollo totale che non faceva rimanere “pietra su pietra”. Non credevano alla “cartoon physics”. Dovevano, forse?

Per anni, chi osava mettere in questione i risultati delle frammentarie indagini sulla “terza torre” ha subito petulanti reprimende. Con il tono di chi ti dice “ora t’insegno dove abiti e nel frattempo dimostro che sei un cretino progressivo totale, me l’ha detto Occam”, i guardiani full time delle verità ammissibili ci hanno spiegato tutto e il contrario di tutto: che fra le cause del crollo c’era un grosso squarcio nel palazzo che ne aveva minato l’equilibrio, che però aveva fatto la sua porca parte anche il deposito di carburante diesel, che le conclusioni giuste erano quelle di «Popular Mechanics», anzi no, quelle della BBC. Per tenere insieme i contraddittori miti filogovernativi usavano una specie di “grammelot” tecnocratico, in modo da dire che la scienza era dalla loro parte, piena di punti fermi asseverati dalle autorità. Questi punti fermi hanno subito un crollo progressivo e totale con la disperata giravolta del NIST.

Tutto lo zelo dilapidato a guardia del mito-bidone delle mutevoli inchieste filogovernative sull'Edificio 7 è ora sradicato e non ha ancora fatto in tempo ad adattarsi.

Tutti gli elementi chiave propugnati a forza di insolenze dai sussiegosi travet dell’Assessorato allo Schiacciamento delle Bufale sono stati rigettati dalla stessa agenzia da loro ossequiata per anni.

È proprio in questi momenti che vado a contemplare un fantastico pezzo di modernariato: la prima pagina del settimanale «Diario» n.37/38, anno XI, del 29 settembre 2006, con il richiamo alla sedicente “inchiesta vecchio stile” con cui il direttore Enrico Deaglio volgarizzava gli scientismi della vecchia inchiesta di «Popular Mechanics», già di suo sdraiata sulla versione dell'11/9 di Bush e Cheney, e cordialmente prefata da John McCain.
M'illumino. Un vecchio parlamentare sardo attaccava le immaginette elettorali dei colleghi trombati alle elezioni sui bordi dello specchio. Mentre si radeva iniziava la giornata con crescente buonumore, intanto che dedicava brevi occhiate perfidelle alle loro facce condannate a sorrisi perenni e ignari del destino da trombati. Ecco che ho finalmente trovato collocazione per la rivista ormai vintage di un direttore con un destino da trombone.

È facile prevedere che i cantori della teoria ufficiale purchessia, incuranti delle cantonate, si avvinghieranno anche alla “thermal expansion”, un modo per essere partecipi della scoperta di un fenomeno fisico unico, mai trovato prima e mai visto dopo quel giorno. Dopo averci detto che il rasoio di Occam tagliava la ricerca di soluzioni complicate, ora riterranno invece che tra le varie spiegazioni possibili di un evento è quella più astrusa ad avere maggiori possibilità di essere vera.

Il NIST ha anche cercato di non ignorare totalmente i legittimi sospetti che ci fosse una demolizione intenzionale dell’Edificio 7, realizzata con l’uso di cariche dedicate allo scopo. Ma l'indagine su questa faccenda sembra mossa da logiche investigative singolari. In sostanza il NIST sostiene che siccome per determinare il crollo bastava il cedimento della colonna n. 79, non resterebbe da calcolare che la quantità di esplosivo necessaria a distruggere questo pilastro tanto risolutivo. La dose necessaria all'azione sarebbe stata causa di un rumore abbastanza forte da farsi sentire a distanza di centinaia di metri da lì. Dal momento che il NIST non ricomprendeva documenti che attestassero l’esistenza di un simile boato, ipso facto nessuna bomba è esplosa, per cui sono da rigettare le ipotesi di demolizione controllata.

Davvero una strana argomentazione. Che esistesse un punto cruciale contrassegnato dalle prodigiose caratteristiche cartoon della colonna 79 potevano saperlo solo Dio e Steven Spielberg. Non certo chi chiedeva di analizzare l’ipotesi demolizione.

È comodo pretendere di rispondere a obiezioni rese forzatamente più ridicole. Vecchia tecnica. Voodoo verbale. Hanno preso gli argomenti formulati in modo serio e solido dai critici, hanno creato una copia somigliante ma più debole, l'hanno attribuita a chi sollevava le obiezioni e l'anno colpita: buttando giù l'argomento fantoccio si abbatte anche quello vero. Nel caso di specie, identificare gli esplosivi come la prima cosa cui ricorrere per una demolizione intenzionale è una forzatura che serve a rendere l'ipotesi inverosimile. A parere degli esperti di demolizione, per i palazzi aventi struttura in acciaio il mezzo appropriato è rappresentato dalle “linear cutting charge”, usate per segare le colonne d'acciaio con un'angolazione che fa lavorare soprattutto la forza di gravità, senza chissà che boati. Non siamo più ai tempi della dinamite di Nobel. Oltretutto è assurdo pretendere che le obiezioni tendano all'ipotesi di un unica megabomba, anziché, come in altri casi di demolizioni totali, tante piccole cariche.

Ma a parte tutto questo, le testimonianze che parlano di esplosioni sono parecchie.
Abbiamo visto che un eminente ex del NIST, James Quintiere, che pure non prendeva in considerazione ipotesi di demolizioni controllate, ha dato poderose mazzate al metodo del NIST, specialmente in merito alle condizioni legali e ai vincoli pesanti che impedivano un’inchiesta vera e attendibile, a partire dalla mancata citazione dei testimoni.

Una volta esclusi gli scenari reali, oggettivi e soggettivi, rimane lo scenario virtuale delle modellizzazioni. In quel mondo asettico e virtuale il NIST può finalmente dedicarsi a escludere qualsivoglia ipotesi di demolizione intenzionale. È il regno della colonna 79. Lo stesso numero che la Smorfia napoletana attribuisce a “o' mariuolo”.

Un giornalista ha rivolto all'ispettore capo del NIST una domanda piena di buon senso, alla luce della “scoperta” della colonna su cui si basava tutto l'equilibrio del WTC7. Chiedeva se aveva significato escludere l'uso della termate, usata anche come cutting charge, magari per segare proprio lei, la fatidica colonna 79, e innescare così, senza boati, il “crollo progressivo totale”. Shyam Sunder ha replicato attingendo al suo campionario di risposte preconfezionate:

«L'ipotesi della termate è senza fondamento e non è mai neanche arrivata a poter essere presa in esame dagli investigatori come le altre. Ciò in ragione del fatto che per fissare la termate sarebbe occorso un accesso alla colonna considerata, e inoltre per la ragione che la termate - per riuscire a compromettere la colonna - avrebbe richiesto di farla restare in contatto con la superficie verticale dell'acciaio finché si svolgeva la reazione della termate».
Che dire? L'accesso non sarebbe un problema, con qualche ipotetica complicità, che ne so, di una società di sicurezza retta da un cugino del Commander in Chief. Quanto ai tempi, non sarebbero chissà che lunghi. Bastano pochi istanti.

I dubbi non sono stati certo dissipati. Anzi. Rimangono tante questioni. Il NIST stesso ammette che l’evento di un crollo totale indotto da un incendio è più unico che raro.
La demolizione intenzionale, che spiegherebbe le cose in base a fenomeni sperimentati migliaia di volte, in pratica viene negata unicamente per la supposizione che sarebbe stato complicato fare tutto ciò di nascosto. Di nascosto da chi? Magari dalla stessa società di sorveglianza che aveva messo il sistema di allarme antincendio in modalità testper lavori di manutenzione” proprio quella mattina, guarda un po’. Che giorno, quel giorno. Ogni vicenda chiave, ogni “meme” del mito, subiva direttamente l’influenza di una qualche esercitazione, manutenzione, simulazione militare che adulterava punto per punto il luogo del delitto, e in decine di casi.

I dubbi dunque.
Tra gli autori delle analisi critiche troviamo l’architetto Richard Gage, l’ingegnere meccanico Anthony Szamboti, l’ingegnere strutturale Kamal Obeid, l’architetto d’interni e ricercatore sui temi del WTC7 Chris Sarns, l’ingegnere Michael Donly, il chimico e ingegnere per la certificazione di qualità Kevin Ryan.

Una loro tavola rotonda è riportata nel sito di di «Architects and Engineers for 9/11 Truth», un movimento che raccoglie alcune centinaia di aderenti con qualifiche da addetti ai lavori, fondato da Gage e impegnato in una battaglia per la verità sull’11 settembre.

«Gli incendi di uffici non possono fondere l’acciaio», ricorda Gage, «e il NIST non ha spiegato il mistero del ferro fuso presso il sito del World Trade Center, né ha considerato altre prove che indicano anche l’uso di cariche incendiarie alla termate per tagliare la struttura che sorreggeva i 47 piani dell’Edificio 7.»

La presentazione del NIST, con le sue generiche parole, appariva “assurda a prima vista”, ha contestato Kevin Ryan, ed era del tutto diversa dalla versione raccontata in precedenza dalla rivista «Popular Mechanics». Nonostante il NIST abbia sostenuto di abbracciare attitudini scientifiche rispetto a teorie fra loro alternative, non ha mai risposto agli svariati inviti a discuterle, ha recriminato Ryan. Il disinteresse del NIST nei confronti di prove chimiche di nanotermate esplosiva deve essere considerata alla luce della scoperta di Ryan del fatto che il NIST ha studiato tali materiali per circa dieci anni, e ne sono esperti proprio molti degli investigatori NIST impegnati nel caso WTC. Una rivelazione molto interessante.

Il solo modo di discutere da parte del NIST sulle cariche incendiarie è stato quello di rifiutarle, ha osservato Tony Szamboti, tanto che sono state ignorate le minute microsfere ricche di ferro ritrovate nella polvere del WTC da parte dell’USGS (l’agenzia geologica USA) e dal dottor Steven Jones. Queste potrebbero essere state generate soltanto dal metallo fuso, sostiene Szamboti. I test britannici sulla resistenza agli incendi mostrano che le strutture in acciaio sono molto più durevoli di quanto attestano le teorie del NIST sui crolli, aggiunge Szamboti. Mentre i cosiddetti “Cardington Test” britannici sono stati conservati, l’acciaio del WTC è stato distrutto.
L'esclusione per principio dello scenario 'eretico' della demolizione indotta non può che bloccare certi tipi d’indagine. Se i test del NIST sui materiali autentici sono sostituiti da modellizzazioni virtuali - dove la fantasia ha galoppato – i risultati hanno troppe strade segnate.

Dovremmo fare in proposito delle “domande esigenti”, ha detto Szamboti.

La struttura di Cardington, pur priva di protezioni antincendio, sopravvisse a temperature doppie rispetto a quelle asseverate dal NIST, rammenta Chris Sarns. Il modello sugli incendi del NIST mostra degli incendi che bruciano più a lungo di quanto mostrino le foto, aggiunge Sarns. Dunque il NIST congettura molto ma spiega poco: nemmeno come una colonna che cede possa abbattere quelle a essa vicine.

La soluzione del NIST appare costruita per compiacere il suo cliente, ha detto Kamal Obeid, mentre gli ingegneri strutturali indipendenti avranno problemi lungo ogni passo del complesso meccanismo di collasso congetturato dal NIST. Obeid ritiene che le connessioni avrebbero ceduto prima che le sezioni che crollavano potessero abbattere le pesanti colonne del nucleo dell’edificio.
«Mentre i modelli computerizzati del NIST mostrano drammatiche distorsioni nei crolli delle più sottili colonne del perimetro, i video del vero edificio non mostrano nessun imbarcamento della struttura esterna che sia causato dai piani che invece il NIST afferma stiano crollando invisibilmente all’interno», hanno notato Obeid e Szamboti. Nel virtuale ci sono dunque immagini diverse da quelle realmente osservate. Forse è anche per questo che sono piaciute al mainstream informativo.


Fonte dell'immagine: NIST

In contrasto con gli effetti naturali e organici degli incendi ricordati da Gage (deformazioni graduali e crolli asimmetrici che seguono il sentiero della minor resistenza) il crollo visibile del WTC, fa notare Donly, è proceduto non lontano dalla velocità di caduta libera, senza nessuna apparente resistenza della struttura in acciaio. Molte colonne devono essere state tagliate in simultanea per far precipitare un edificio diritto verso il basso. Il rapporto FEMA 403, all’Appendice C, raccomandava ulteriori ricerche sulle prove di acciaio fuso che potevano avere correlazioni con la causa del crollo, ha commentato Donly, ma il NIST non prende in considerazione questa informazione.

Gage ha chiesto al NIST di concedere a dei ricercatori indipendenti le migliaia di foto e video dei suoi archivi sul WTC.

Come nel caso delle Torri Gemelle, non è inoltre spiegata la dinamica del crollo. Anche stavolta il rapporto ufficiale si ferma all'inizio del collasso senza provare a spiegare come la struttura esterna sia crollata praticamente a velocità di caduta libera attraverso il percorso di maggior resistenza (la struttura stessa).

C’è chi si accontenta di mettere sullo stesso piano i dati sperimentali e le speculazioni, senza tuttavia rilevare l’importante differenza che corre fra gli uni e le altre. Anche se sappiamo che gran parte delle prove fisiche è stata criminalmente spoliata.

Servirebbero indagini più approfondite e più indipendenti. Stiamo pur sempre parlando della vicenda imprescindibile che ha segnato l’esordio del secolo.

Aggiornamento dell'8 settembre 2008:
Il presente articolo è stato ripreso da «Megachip» [QUI], da «ZeroFilm» [QUI], da «ComeDonChisciotte» [QUI], e da «Antimafia Duemila» [QUI].