12 settembre 2013

Siria: i ripensamenti dei folgorati sulla via di Obama


NOTA PRELIMINARE DI MEGACHIP.

Nel momento in cui il mondo si affaccia sull’abisso di una guerra mondiale, riscopre che la questione della Siria è complessa, che non è questione di buoni contro cattivi, che servono la politica e la diplomazia, che l’opposizione siriana ha commesso errori politici catastrofici, che l’interventismo coloniale dell’occidente e delle petromonarchie provoca immani tragedie. Oggi ci arriva anche Il Fatto Quotidiano, con un articolo di Caterina Soffici, un requiem autocritico per la “Primavera Araba” e per tutte le ingenuità dei folgorati sulla via di Obama. A noi tuttavia non basta dire “ve l’avevamo detto” (leggete questo articolo, per favore), decine di migliaia di ammazzati fa. 
Vorremmo invece che si riprendesse in mano una proposta di pace realistica ed equilibrata come quella di Johan Galtung (diffondetela).
Intanto, buona lettura.


Un voto nell’urna non fa primavera (araba)

di Caterina Soffici, Il Fatto Quotidiano, 12 settembre 2013.

«La rivoluzione siriana è finita», ha detto Domenico Quirico dopo 150 giorni in mano ai ribelli. «Ho amato la Siria, ma mi sento tradito. È come se Dio avesse detto al demonio: prenditi questo paese, fanne quello che vuoi».
Quirico ha detto in maniera diretta e senza tanti giri di parole ciò che è ormai chiaro a tutti: le primavere arabe sono sfiorite da un dì. E forse in quei paesi si stava meglio quando si stava peggio. Siria compresa. Assad è il cattivo. Ma in questa storia i buoni sono scomparsi. O forse non ci sono mai stati. «Gente malvagia, non ho trovato nessuno che avesse un minimo di pietà verso di me», ha detto l’inviato di guerra, uno che se l’è vista brutta altre volte e che quelle zone conosce bene.

NOI OCCIDENTALI anime belle tifiamo per i ribelli a prescindere. Plaudiamo sempre alle rivolte e al cambiamento - auspicandolo e giudicandolo con i nostri parametri occidentali - senza stare troppo a pensare se il nuovo che avanza ha la faccia brutale e ancor meno affidabile dei dittatorucoli precedenti. Tutti siamo stati contro Gheddafi, Mubarak, Ben Ali. Davamo per scontato che il post-dittatura sarebbe stato meglio del pre-dittatura.

Ricordate le Primavere Arabe? Sembrano secoli, quando tutto era cominciato. Ma era solo il 17 dicembre 2010, neanche tre anni fa, quando il venditore ambulante tunisino Mohammed Bouazizi si dava fuoco per chiedere dignità contro il dittatore tunisino Bel Ali e protestare contro i poliziotti del regime che gli avevano sequestrato illegalmente la merce. Era stata la miccia, nel senso letterale. Un rogo umano che aveva infiammato la Tunisia. Migliaia di persone nelle strade, una protesta a macchia d’olio alla quale l’occidente ingenuamente inneggiava. Guardavamo quelle folle immani alla televisione e pensavamo di stare davanti alla porta di Brandeburgo quando è caduto il muro di Berlino.

Pensavamo che in Tunisia, e in Libia e in Egitto la gente si stava ribellando contro la fame e le condizioni economiche miserabili, ma anche contro la corruzione, in difesa delle libertà individuali, contro le violazioni dei diritti umani.

E poi c’era questa novità di Twitter. La rivoluzione dalle piazze arabe in diretta, foto comprese. La rivoluzione in diretta sullo smartphone non l’aveva mai provata nessuno, dai tempi di Robespierre. E noi avevamo la possibilità di farlo. Ovviamente tutti stavano con i giovani che chiedevano cambiamento, giustizia e libertà.

Poi tutto è finito. Non avevamo fatto i conti con i fondamentalisti islamici. Pensavamo che libere elezioni in quei paesi portassero alla democrazia come la intendiamo noi.

Non avevamo capito niente. Le Primavere Arabe sono sfiorite prestissimo. Più veloci dei ciliegi in Giappone. Una mattina ci siamo svegliati e non c’era più niente. I tre paesi simbolo della protesta sono a rischio dittatura islamica, stretti nella morsa della crisi economica e teatro di scontri tra islamisti e laici.

L’EGITTO È IN MANO a una giunta militare con un governo ad interim paravento e intanto il raìs Mubarak è stato scagionato di parte delle accuse.

In Libia le milizie che hanno combattuto e ucciso Gheddafi ora controllano le installazioni petrolifere – per ricattare il debole governo post-raìs – così come l'approvvigionamento di acqua. Prima della rivoluzione, insomma, il popolo libico se la passava – pur senza libertà – meglio.

Ma per poterlo dire c’è bisogno che uno torni da 5 mesi di prigionia “trattato come un animale”. La rivoluzione siriana è finita e noi non ce n’eravamo accorti.


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