30 novembre 2009

11/9: il volo AA77 non poteva essere stato dirottato

Cade un altro pezzo delle inchieste ufficiali.
da Rete Voltaire, con nota aggiuntiva di Megachip.
Secondo il rapporto della Commissione presidenziale Kean-Hamilton, il volo 77 sarebbe stato dirottato da pirati dell’aria l’11 Settembre 2001 e si sarebbe schiantato sul Pentagono.
Il rapporto precisa che il dirottamento ha avuto luogo tra le ore 08:51 (momento dell'ultimo contatto radio) e le 08:54 (ora in cui l'aereo cambia rotta), e che essendo stato spento il transponder, si sono perse le tracce del velivolo alle 08:56. È stato solo alle 09:32 che l'aviazione civile ha osservato un aereo vicino a Washington, che ha identificato per deduzione come il volo AA77.
Il rapporto afferma inoltre che due passeggeri, Renée May e la giornalista Barbara Olson hanno indicato al telefono ai loro cari che vi erano sei dirottatori (non cinque) armati di taglierini. Secondo la testimonianza di Ted Olson, procuratore generale degli Stati Uniti, sua moglie gli avrebbe detto che i passeggeri e l'equipaggio erano stati raggruppati nella parte posteriore del Boeing e gli avrebbe chiesto quali istruzioni doveva trasmettere al capitano, che si trovava accanto.
Le testimonianze dei passeggeri sono già state invalidate dall'inchiesta dell'FBI, nel corso delle udienze del processo Moussaoui. In questa occasione si è accertato che non è era possibile all’epoca passare delle comunicazioni telefoniche in un volo a quell’altitudine e che, inoltre, non vi era alcuna traccia di tali comunicazioni sui tabulati delle società telefoniche.
Documenti del National Transportation Safety Board (NTSB) recentemente declassificati su istanza dell'associazione «Pilots for 9/11 Truth» fanno apparire la registrazione del parametro «CI», dal titolo “Flight Deck Door”. Questo dimostra che la porta della cabina di pilotaggio è rimasta bloccata. Era dunque impossibile entrare nella cabina di pilotaggio e farne uscire il pilota durante il volo.
In queste condizioni, solo il comandante Charles F. Burlingame e il copilota David Charlebois si trovavano nella cabina di pilotaggio quando l'aereo ha cambiato rotta.
Il comandante Charles F. Burlingame era un ex pilota di caccia della US Navy. Era stato portavoce del Pentagono durante l'operazione Desert Storm. Era stato anche responsabile di un’esercitazione che metteva in scena la simulazione di un possibile schianto di un aereo di linea sul Pentagono. In virtù di una legge ad hoc, i suoi presunti resti sono stati sepolti nel prestigioso cimitero militare di Arlington, benché sia considerato come morto da civile.
Sua sorella, Debra Burlingame, co-presiede assieme a Liz Cheney (figlia dell’ex vicepresidente Dick Cheney) l’associazione Keep America Safe.
Traduzione per Megachip a cura di Anna Mele.

Nota di Pino Cabras:
L’articolo della Rete Voltaire qui tradotto – che rivela particolari inquietanti, poco o nulla approfonditi dalle inchieste ufficiali, ma che andranno appofonditi anche in via "ufficiosa" – richiama l’attenzione su alcune anomalie di quella terribile giornata. Non è solo la figura del comandante Burlingame ad essere in grado di attirare l’attenzione. Il Volo 77 aveva un’alta densità di passeggeri che lavoravano in posizioni segrete nel settore della difesa. All’incirca tra i 16 e i 21 dei 58 passeggeri.
Molti di essi erano ingegneri aerospaziali. Uno di essi, il signor Yamnicky, era da una vita un operativo della CIA che lavorava per la Veridian in qualità di ingegnere aerospaziale. Un altro passeggero di questa lista, il signor Caswell, guidava un team di un centinaio di scienziati per la marina militare statunitense. Diversi altri lavoravano per Boeing e Raytheon, a El Segundo, in California, sul progetto denominato ‘Global Hawk’.
Ecco di seguito un insieme di appunti sommari sui passeggeri interessanti del Volo 77, ottenuti scorrendo necrologi apparsi sul web o sui giornali già dai giorni successivi all’attentato.
1. John D. Yamnicky Sr., 71, di Waldorf, Maryland, era in un viaggio di lavoro sul Volo 77 dell’American Airlines. Era un aviere navale in congedo, ma aveva lavorato come fornitore della difesa per la Veridian Corp, basata in Virginia, dove – a partire dal suo congedo avvenuto con il grado di capitano nel 1979 – operava sui programmi relativi ai caccia e i missili aria-aria. Suo figlio, John Yamnicky, dichiarò che suo padre aveva lavorato allo sviluppo del caccia F/A-18.
John Yamnicky Sr., dopo essersi laureato nella U.S. Naval Academy nel 1952, divenne un pilota collaudatore della US Navy, ai comandi di un bombardiere A-4, e avrebbe talvolta raccontato dei suoi viaggi e del suo servizio per la marina militare USA in Corea e Vietnam. «È precipitato cinque volte e se l’è scampata ogni volta», ha detto Cindy Sharpley, un’amica di famiglia. «Ma non quest’ultima volta» (AP, 2001).
Yamnicky si laureò alla Navy Test Pilot School a Patuxent River nel 1960. Ricevette anche l’attestato di un master in relazioni internazionali dalla George Washington University nel 1966. Il signor Yamnicky, che prestava servizio su aerei da trasporto, divenne capitano nel 1971, quando era assegnato a Patuxent River, poi lavorò presso l’ufficio del Segretario della Difesa.
«Aveva svolto un certo numero di programmi ‘neri’ – ossia top secret», disse suo figlio. «Non ci veniva fornito alcun dettaglio».
2. William E. Caswell era un fisico di terza generazione il cui lavoro alla US Navy era così segreto che i suoi familiari sapevano pochissimo di quanto facesse ogni giorno.
Non sapevano nemmeno esattamente perché fosse stato mandato a Los Angeles su quel disgraziato Volo 77 dell’American Airlines dell’11 settembre 2001.
Era un viaggio che faceva spesso, disse sua madre, Jean Caswell. «Non sapevamo mai che cosa stesse facendo là perché non poteva dircelo. Semplicemente s’impara a non fare domande» (Profilo riportato dal «Chicago Tribune»).
In una pubblicazione della Princeton University, il consigliere di dottorato di Caswell dichiarò che negli anni Ottanta sapeva che «la US Navy aveva bisogno di uno scienziato bravissimo che la consigliasse in merito a un progetto segreto a tecnologia avanzata e suggerì il nome di Bill Caswell. Non ero addentro ai suoi sviluppi quotidiani, ma a tutti gli effetti, era ancora una volta il suo progetto di tesi: iniziando da zero, salì rapidamente a una posizione di responsabilità scientifica complessiva, alla guida di una squadra di oltre cento scienziati in una delle più impegnative ricerche della US Navy. Le sue capacità tecniche e manageriali erano tenute nella massima considerazione da parte dei suoi colleghi ed erano ufficialmente riconosciute attraverso i più importanti premi ed encomi della marina militare.
Con tragica ironia, stava viaggiando per questo progetto da passeggero nel Volo 77 dirottato dell’American Airlines, e perì con tutto a bordo quando si schiantò. »
3 e 4. Wilson Flagg, 63 anni, di Millwood, Virginia, un Ammiraglio della US Navy e pilota dell’American Airlines prima che andasse in pensione. Era stato uno dei tre ammiragli censurati dalla US Navy nel corso dello scandalo Tailhook del 1991, relativo a una violenza sessuale. Anche sua moglie Darleen, coetanea, è morta nello schianto.
La lettera di censura nel suo dossier bloccò di fatto ulteriori promozioni e lo portò a congedarsi dalla US Navy. Divenne un pilota dell’American Airlines e poi andò in pensione. Suo cognato Ray Sellek disse che veniva ancora invitato al Pentagono a fornire consigli tecnici, tanto da avervi addirittura un suo ufficio.
5. Stanley Hall, 68 anni, di Rancho Palos Verdes, California, direttore di programmi presso la Raytheon Co. Era «il nostro decano della guerra elettronica», ha detto un collega della Raytheon, un fornitore della Difesa. Hall aveva sviluppato e costruito tecnologie anti-radar. Era calmo e competente, qualcosa come una figura paterna. «Abbiamo molti giovani ingegneri che hanno guardato a lui come a un mentore», ha dichiarato il portavoce della Raytheon, Ron Colman.
6. Bryan Jack, 48 anni, di Alexandria, Virginia, analista del budget e direttore della divisione di programmazione e di economia fiscale al Dipartimento della Difesa. Jack, che lavorava al Pentagono, era stato mandato in California per fare una lezione presso la Naval Postgraduate School. I colleghi ricordano che Jack era un matematico brillante. Come capo della programmazione e delle politiche fiscali nell’ufficio del Segretario della Difesa, era un analista di budget di punta. Lavorava al Pentagono da 23 anni.
Jack si era sposato con l’artista Barbara Rachko nel giugno precedente. La Rachko passava i giorni della settimana al suo studio di New York e i due si vedevano nei fine settimana, sia nella loro casa di Alexandria, sia nel loro appartamento di New York. Barbara Rachko ha una licenza di pilota commerciale e aveva trascorso sette anni da ufficiale navale. Si congedò dal servizio attivo ma è comandante nella Riserva navale.
7. Keller, Chandler ‘Chad’ Raymond. Chad è nato a Manhattan Beach, California, l’8 ottobre 1971 ed è morto l’11 settembre 2001, a bordo del volo 77 dirottato dell’American Airlines partito da Dulles International, Washington D.C. in rotta per Los Angeles. Chad era un eminente ingegnere delle propulsioni e un Project Manager alla Boeing Satellite Systems (da «The Los Angeles Times», 21 Settembre 2001).
8. Dong Lee, 48 anni, di Leesburg, Virginia, un ingegnere della Boeing Co.
9. Ruben Ornedo, 39 anni, di Los Angeles, era un ingegnere delle propulsioni per la Boeing a El Segundo, California.
10. Robert Penninger, 63 anni, di Poway, California, un ingegnere elettrico presso il fornitore della Difesa BAE Systems. Aveva lavorato a San Diego dal 1990.
11 e 12. Robert R. Ploger III, 59 anni, di Annandale, Virginia, un architetto di software alla Lockheed Martin Corp., e sua moglie, Zandra Cooper.
13. John Sammartino, 37 anni, di Annandale, Virginia, un manager tecnico per XonTech Inc. ad Arlington, Virginia, un’azienda di scienza e tecnologia legata a materie militari e specializzata in difesa missilistica e tecnologie dei sensori, poi acquisita nel 2003 da un’altra industria a produzione militare, la Northrop Grumman. Sammartino era un viaggiatore assiduo con carta platino dell’American Airlines e si stava recando alla sede della società a Van Nuys, California, assieme al suo collega Leonard Taylor.
Una volta uscito dal college, Sammartino era stato assunto come ingegnere al Naval Research Lab; lavorava da 11 anni alla XonTech.
14. Leonard Taylor, 44 anni, di Reston, Virginia, manager tecnico alla XonTech, era nato a Pasadena, California. Si era laureato alla Andover High School nel 1975 e al Worcester Polytechnic Institute nel 1979 (Su «Globe Star», 27 settembre 2001).
15. Vicki Yancey, 43 anni, di Springfield, era in viaggio per Reno per una conferenza di lavoro ma non aveva pianificato di essere nel Volo 77. Yancey, un’ex tecnica di elettronica navale, lavorava per una società fornitrice della difesa, la Vredenburg, e aveva programmato di partire da Washington più presto, ma dei problemi di biglietto ritardarono la sua partenza, come ha dichiarato suo marito David al «Washington Post». Chiamò suo marito 10 minuti prima dell’imbarco sul volo per informarlo che aveva ottenuto un posto sull’aereo («Chicago Tribune»).
16. Charles F. Burlingame III, 52 anni, laureatosi nel 1971 alla U.S. Naval Academy, era capitano del volo 77 dell’American Airlines. Burlingame era nella Riserva della US Navy e aveva perfino lavorato nella stessa ala del Pentagono colpita dall’attentato.
17. Barbara K. Olson, 45 anni, avvocato e commentatrice conservatrice. La Olson era nota ai telespettatori come una commentatrice politica combattiva e sicura che rappresentava il punto di vista conservatore. Era anche la metà di un’influentissima coppia della scena sociale e politica di Washington. Suo marito, Theodore B. Olson, un avvocato affermato, aveva difeso con successo la causa dell’elezione in Florida di George W. Bush prima della Corte Suprema. Il Presidente Bush aveva nominato il signor Olson alla carica di procuratore generale degli Stati Uniti, ossia il funzionario che formula la strategia dell’amministrazione davanti alle corti della nazione.
È curiosa la storia della telefonata riportata. Mr. Olson ha dichiarato che si trovava nel suo ufficio al Dipartimento di Giustizia il martedì mattina quando ricevette due chiamate dalla moglie, che avrebbe usato il suo cellulare a bordo del Volo 77 dell’American Airlines per dirgli che l’aereo era stato dirottato. Questa versione, molto criticata per l’impossibilità di fare chiamate al cellulare dall’aereo, fu cambiata successivamente con un’altra in cui la Olson avrebbe usato un telefono in dotazione sull’aereo. Ma come riporta anche la Rete Voltaire, non ci sono tracce nei tabulati.
Gli Olson, sposati da quattro anni, si completavano a vicenda in fatto di stile. La Olson era la più schietta dei due nei suoi commenti televisivi, mentre lui mostrava un volto più riflessivo nel suo ruolo di avvocato costituzionale in carica per l’establishment repubblicano.
Barbara Olson fu un’instancabile critica di Bill Clinton e Hillary Rodham Clinton, contro i quali condusse inchieste spietate. Scrisse tra l’altro un libro, Hell to Pay (Regnery, 1999), estremamente critico nei confronti di Hillary Rodham Clinton, seguito da un volume postumo incentrato sulle ultime settimane dei Clinton alla Casa Bianca, Final Days, Regnery, 2001 (Si veda il necrologio di «The New York Times» del 13 settembre 2001).
18. Karen Kincaid, 40 anni, di Washington, DC. Nativa dello Iowa, era partner dello studio legale di Washington di Wiley Rein & Fielding, specializzato in leggi in materia di comunicazione. Volava per Los Angeles per partecipare a una conferenza sull’industria wireless. Si stava allenando per correre la maratona del corpo dei Marines prevista il 28 ottobre assieme all’uomo da lei sposato cinque anni prima, Peter Batacan, un avvocato di un altro studio. Wiley Rein & Fielding, è un potentissimo studio legale repubblicano che fu parte della vasta squadra di legali coinvolta a sostegno di Bush e Cheney nell’estremamente controversa disputa post-elettorale seguita alle elezioni del 2000 nonché un importante collegio di difesa per reati da colletti bianchi.
19. Steven ‘Jake’ Jacoby era il direttore operativo della Metrocall Inc., sede ad Alexandria, Virginia, una delle due più grandi società di pager (gli strumenti cercapersone) della nazione. «Il fatto che la rete operativa tecnica di Metrocall abbia continuato a funzionare e fornire comunicazioni d’importanza critica nel corso di questo orribile evento è stato un tributo a Jake», ha dichiarato Vince Kelly, il responsabile finanziario dell’azienda. Jacoby da ultimo sovrintendeva allo sviluppo di un dispositivo cercapersone bidirezionale per persone gravemente ammalate da usare in casi di emergenza, ha rivelato il portavoce Timothy Dietz. La società ha distribuito apparecchi al personale di emergenza che lavorava sulla scena di Washington e New York. […].
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Anche nelle liste dei passeggeri degli altri voli possiamo registrare una certa densità di figure legate al mondo militare e dell’intelligence.
Tre addetti della Raytheon erano sul Volo 11 dell’American Airlines che si schiantò sulla Torre Nord del World Trade Center. Raytheon è un fornitore leader della Difesa, ed è un tassello fondamentale delle tecnologie ‘Global Hawk’ e di controllo remoto preferite del Pentagono. Fra le tante ipotesi affacciatesi su scenari ancora indimostrabili ma tecnicamente plausibili e comunque degni di approfondimento, sono ricomprese delle congetture su aerei “telecomandati”.
Ci sono alcune cose molto curiose che in proposito riguardano Raytheon. Un articolo del quotidiano «USA Today» dell’ottobre 2001 annunciava che Raytheon aveva teleguidato per ben sei volte un Boeing 727 della FedEx in un atterraggio sicuro su una base dell’aeronautica militare in New Mexico nell’agosto 2001 senza un pilota.
Il sistema utilizzava dei segnali radio che venivano originati dalla parte finale della pista ed erano inviati all’aereo. Gli ordini elettronici da terra si coordinavano con la localizzazione tramite GPS. Nessun pilota a bordo dovette intervenire sulla manovra. Va ribadito: era una tecnologia perfettamente disponibile già nell’agosto 2001, il mese prima dei fatidici attentati.
Già all’inizio del 2001 un aereo speciale del programma ‘Global Hawk’ aveva attraversato l’Oceano Pacifico, volando dagli USA all’Australia senza esseri umani a bordo.
Il decano di questi programmi e altri supertecnici del settore aerospaziale, come abbiamo visto, sono morti ufficialmente l’11 settembre 2001.
Una delle obiezioni sollevate rispetto alla realizzabilità di un complotto in qualche misura interno a realtà legate alle istituzioni e all’intelligence degli Stati Uniti è la difficoltà – se non l’impossibilità – di mantenere un segreto ove si coinvolgano troppi congiurati ed esecutori. Chi organizza una strage come quella dell’11 settembre è tuttavia sufficientemente spietato da poter includere nel sacrificio anche gli esecutori che potrebbero parlare, e confonderli fra le altre vittime. I rilievi forensi sono stati interamente gestiti in ambiti militari. Difficile oggi sapere con certezza come e dove sono morti i passeggeri.
Per ora sono ipotesi d’inchiesta.

AGGIORNAMENTO DELLA REDAZIONE DEL 3 DICEMBRE 2009
Un post pubblicato sul blog undicisettembre.blogspot.com critica il presente articolo concentrando l'attenzione su un punto specifico della ricerca dei Pilots For Truth. Il post dice in sostanza che nella scatola nera del Boeing 757 il parametro dell'apertura della porta è elencato sotto la voce "Parametri non funzionanti o non validati" in ragione di un semplice fatto: quell'aereo non poteva avere il sensore relativo all'apertura o chiusura della porta di accesso alla cabina di pilotaggio perché tale dispositivo è stato montato solo nei velivoli prodotti a partire dal 1997, mentre quell'apparecchio era stato fabbricato nel 1991. Insistendo sul punto, viene affermato che "il parametro in questione non poteva segnalare l'apertura della porta, semplicemente perché il relativo sensore non c'era." Seguono trionfali cachinni, che come al solito chiudono con qualche formula di rito i loro articoli.
Risulta tuttavia che anche i Boeing 757 più anziani siano arrivati all'11 settembre 2001 con un 'lifting' che li aveva già assimilati agli aerei più giovani dello stesso modello. Nell'operazione di ringiovanimento c'erano i nuovi sensori ricompresi nei dati registrati nelle "scatole nere", incluso anche il sensore sull'apertura della porta. Lo si può leggere nel nuovo manuale di manutenzione edito la prima volta il 28 settembre 2000, ben prima che tali aggiornamenti fossero resi obbligatori nell'agosto 2001.
Le date di manifattura degli aeroplani non hanno a che fare con i sistemi di registrazione dei dati. E' anche possibile leggere la lista dei parametri che devono comparire nella scatola nera, forniti dal NTSB (l'agenzia che indaga sugli incidenti nel settore dei trasporti e in quello petrolifero) dopo una richiesta di accesso ai documenti: http://www.warrenstutt.com/NTSBFOI [...] 7-3b_1.TXT. Ebbene, nella lista c'è anche il Flight Deck Door.
Controprova, per il volo UA 93, quello che ha terminato la sua corsa in Pennsylvania, essendo coperto da un diverso modello di aereo, il NTSB non ha messo nella lista dei parametri quello dell'apertura della porta.
Quindi il sensore doveva esserci, e un suo cattivo funzionamento sarebbe stata un'anomalia. Pertanto i dati registrati sono incompatibili con la presunta storiella di Barbara Olson e con la dinamica di dirottamento raccontata dalla versione ufficiale nonché dall'assessorato allo schiacciamento delle bufale.
C'è semmai da chiedersi quanto attendibili siano i dati ufficiali. La scatola nera del Volo 77 non appare esente da manipolazioni. E i Pilots For Truth hanno segnalato stridenti anomalie nei dati. Il punto è proprio questo. I dati ufficiali esistenti, siano creduti veri o meno, non sono comunque compatibili con gli altri dati che compongono la narrazione dominante dell'attacco al Pentagono.

26 novembre 2009

11/9: Fuga di notizie da New York

di Pino Cabras - da Megachip

L’11/9, evento sempre incontenibile, è un’enormità che deflagra come una cosa nuova, anche adesso, con un’overdose di piccole informazioni disperse. Centinaia di migliaia di messaggi, rilasciati da wikileak.org (sito specializzato in fughe di notizie), sono proprio tanti. Superano in clamore la volta in cui il sito divulgò il manuale operativo segreto di Guantanamo.

I messaggi - sms, mail, ma soprattutto pager (cercapersone) - sono stati registrati proprio l’11 settembre 2001 mentre era in corso il dramma. Il sito li fa trapelare di botto. Ognuna delle nostre vite è investita dalle frasi di centinaia di migliaia di altre vite. Troppa informazione per un essere umano, anche per quello che divora notizie. È impossibile oggi fare commenti fermi, così come quel giorno. La scena è ancora confusa. Ma qualche considerazione provvisoria è pure possibile.

Emerge innanzitutto il rivelarsi orwelliano delle tecnologie della comunicazione. Stupisce il livello di penetrazione della capacità di registrare, conservare la vita elettronica di cittadini e istituzioni da parte di potenti apparati. Qualunque sia la manina che ha riportato emozioni personalissime e ordini impersonali trasmessi l’11/9, essa rivela un potere enorme. Non importa ora stabilire quanto ordinato, consapevole, razionale, oppure caotico e incongruente sia quel potere. È un fatto che sia pervasivo, incapace di garantire privacy, e infine manipolabile da apparati che ne sfruttino il potenziale. Il sistema di controllo è diventato più integrato negli anni dell’amministrazione Bush-Cheney, e di certo Obama non lo sta smantellando.

Va registrata poi la coincidenza di queste rivelazioni con l’avvio di una nuova fase della guerra in Afghanistan. La versione ufficiale dell’11/9 – la quale vuole che il soggetto al-Qai’ida abbia attaccato l’America facendo base in Afghanistan - è il sostrato narrativo che ha portato a giustificare l’invasione di quel paese. Se cade quella versione, cade il pretesto della guerra. Il partito democratico giapponese, da poco al governo, lo ha capito benissimo. Vuole sganciarsi dai costi politici ed economici del buco nero centroasiatico, perciò guarda all’origine di tutto, e quell’origine non lo convince.

È presto per dirlo, ma non è da escludere che qualche problema se lo stiano ponendo anche in seno all’establishment militare e spionistico statunitense, di fronte al budget militare di Obama, che supera persino i primati stabiliti da Bush, e lo fa nel pieno della più pericolosa crisi economica dai tempi della Grande Depressione. Alcune di queste rivelazioni potrebbero smantellare le versioni ufficiali dell’11/9, e quindi indebolire la spinta a intensificare la guerra che sopraggiunge dal vincitore del premio Nobel per la pace 2009.

È anche vero però che l’11/9 è una tragedia di prima grandezza, un dramma capitale. Le migliaia di frasi angosciate, gli addii, gli sconvolgimenti delle famiglie spezzate si prestano ad altri impieghi mediatici. Può esserci la prevalenza dell’emozione sulla riflessione ragionata, l’ingrandimento del dettaglio a scapito della visione d’insieme, l’uso dei mille sottotesti della tragedia per riconfermare il “bias”, l’inclinazione pregiudiziale di un mondo che cerca prima di tutto protezione e sicurezza, un’autorità che prenda paternamente la mano, e giustifichi meglio altri 40mila soldati da spedire nei monti afghani, di cui 34mila americani e una parte italiani.

Vittorio Zucconi su «Repubblica» ha scelto il terreno irriflessivo delle lacrime. Forse non ne conosce altro, non su questo argomento. Non è un caso isolato.

Eppure c’è dell’altro, a ben guardare, non solo struggenti commiati. Ci sono i messaggi che facevano ronzare di continuo i cercapersone in mano agli agenti del Secret Service, l’agenzia che si occupa della difesa delle alte cariche istituzionali degli Stati Uniti. I loro pager di servizio erano inondati di allarmi continui, spesso fuorvianti, con notizie di autobomba che esplodevano e altre minacce spesso false. Non si dimentichi che quel giorno erano in corso molte esercitazioni militari nonché simulazioni e allerta antiterrorismo che già complicavano i “luoghi del delitto”, tanto da inquinare le capacità di ricostruzione da parte delle future inchieste.

C’è inoltre la conferma che si era mobilitato l’apparato per la “continuità di governo”, con funzionari chiave caricati in direzione del superbunker di Mount Weather, il luogo che – assieme agli aerei E-4B detti ‘Doomsday’ (Giorno del Giudizio) – attiva gli strumenti per la «interoperabilità» delle comunicazioni e delle catene di comando governative in caso di eventi catastrofici della portata di una guerra atomica.

Viene anche confermato un fatto inquietante che a suo tempo il portavoce della Casa Bianca, Ari Fleischer, aveva provato a smentire. Parliamo della minaccia rivolta al presidente degli Stati Uniti con un codice che solo una persona interna agli apparati poteva conoscere. Alle 10:32 un messaggio del Secret service infatti annunciava: «ANONYMOUS CALL TO JOC REPORTING ANGEL IS TARGET.» Ossia: «Chiamata anonima al JOC riferisce che Angelo è l’obiettivo».

Angel era la parola in codice che quel giorno il Secret Service usava per definire l’Air Force One, l’aereo del presidente USA. JOC significa Joint Operations Center. Le linee telefoniche che ricevettero la chiamata non si trovavano certo sull’elenco, erano riservatissime. Chi aveva chiamato?

L’aereo di Bush aveva lasciato mezzora prima la Florida, rotta per Washington. Quel messaggio aveva sconvolto i piani. Gli eventi si prestavano a essere visti non come un attentato di terroristi stranieri, ma come un chiaro «pronunciamiento» di un colpo di Stato interno, collegato ad ambienti militari perfettamente addentro al segreto più importante, quello che può provocare una guerra nucleare. I giornalisti a bordo hanno raccontato che durante la prima fase del volo sembrava di trovarsi su un missile in partenza per lo spazio, tanta era l’accelerazione che portò l’Air Force One fino a 13mila metri di altitudine. Nessuno sapeva allora dove l’aereo fosse destinato – nemmeno il pilota stesso. Da lì la necessità di volare – seppure tortuosamente – verso la base militare di Offutt, Nebraska. In quella base – non una base qualsiasi , ma la principale sede del comando strategico degli USA - già dalla sera prima c’era un “parterre de rois” composto dai vertici delle principali società che avevano sede al WTC, convocati irritualmente da Warren Buffet. Notizie importantissime che poi si sono dissolte nei media per molti anni.

Nel gioco dell’«unisci i puntini» ora si sono improvvisamente aggiunti migliaia di nuovi segni. Non bisogna distrarsi, e magari occorre sollevare lo sguardo.


24 novembre 2009

Lettera a chi vuole controllare la rivoluzione colorata viola

di Pino Cabras - da Megachip.



Ehi, dico a te,

Oh sì, vedrai, il 5 dicembre anche io sarò in piazza per dire che il Caimandrillo farebbe bene a preparare le valige. Non se ne può più di lui, davvero. E anche tu – che sai tirare tanti fili - non ne puoi più di lui, l’ho capito. Vedrò tutti da vicino, avvolti dal viola di questa rivoluzione colorata, il pigmento unico che già oggi omologa un’intera collezione autunno-inverno con un'uniformità mai vista prima.
Andiamo verso i disordini e la dissoluzione della Repubblica, ma ben vestiti, e ben pettinati. Alla moda. Viola.

E tu provi a colorare la crisi italiana proprio mentre si muove dentro una crisi più vasta. La fai viola, proprio ora che siamo al verde, e i conti in rosso. In gioco c’è qualcosa di più della sorte di un governo azzurro, nero e verde-padano. La Seconda Repubblica si trasformerà ancora, e la sfera pubblica sarà modificata da tanti protagonisti che lasceranno un’impronta costituzionale nuova. Il popolo sarà coinvolto, ma il derby vero si giocherà nell’élite. Chi sono i giocatori? Chi sono gli allenatori? Intanto, tu vuoi scegliere il coach più di tutti, come sempre.

A vent’anni dalla rimozione del muro di Berlino un nuovo scossone geopolitico sta prendendo forma. La fine del sistema sovietico – che ti lasciò a manovrare la sola superpotenza rimasta - ti aveva spinto a lanciarti nel tentativo di consolidare un nuovo secolo di egemonia mondiale, stavolta senza rompiscatole né a Mosca né altrove.

Però ce lo siamo già detto, no? Non ha funzionato.

Il corso degli eventi dell’ultimo ventennio ha dato torto a uno dei tuoi, Francis Fukuyama (la fine della storia), e ragione a uno dei nostri, Giambattista Vico (l’eterogenesi dei fini): ancora oggi, se leggi Vico, scopri che tu vuoi sì raggiungere grandiosi obiettivi, ma la storia arriva a conclusioni opposte. È successo anche adesso. Fai le guerre per i petrolieri, ma il prezzo del petrolio va talmente in alto che azzera il debito con cui strozzavi la Russia, al punto che ne diventi addirittura debitore. E poi fai entrare la Cina nel tuo sistema di commercio per conquistarla, ma non fai altro che accelerarne il risveglio, ed eccola lì – una vera superpotenza - a dirti che non comanderai mai in solitudine, perché non sei più la finanza angloamericana di un tempo. E anche con la Cina hai un debito, il più grande. Hai accumulato debiti un po’ con tutti, per la verità.

I fasti di New York, di Londra, di Tel Aviv, si sono retti su quei debiti.

E in molti si sono fatti contagiare dallo spirito del tempo. Tutta la globalizzazione si reggeva sul debito. Tutte le classi dirigenti che conquistavi seguivano la corrente. Per te, e per loro, i debiti erano una scatola nera che non occorreva conoscere. Non ascoltavi certo Paul Krugman. Né – da noi – prestavi attenzione a Paolo Sylos Labini, che ragionava su una «teoria dell’instabilità finanziaria fondata sull’indebitamento». No, meglio lasciare a briglia sciolta i “capitani coraggiosi” di ogni latitudine, per spolpare con i loro debiti le aziende, l’economia reale, i beni comuni.

La sinistra europea ha “suicidato” così i propri insediamenti sociali, i luoghi dove prima trovava la propria gente, erodendoli, facendoli anche spogliare delle parole. Complice e stupida allo stesso tempo.

Da noi puoi vederli, questi sconfitti senza appello. Hanno nomi usurati.
Veltroni, oh my god!
Oppure D’Alema. Inservibile, anche per te, che infatti hai convocato una riunione straordinaria di uno dei tuoi club più esclusivi, il Bilderberg, per dettare qualche giorno prima i veri nomi dei tuoi maggiordomi europei.

E l’hai perfino spifferato al quotidiano economico belga «De Tijd», tu che queste riunioni le hai sempre nascoste contando sulla totale omertà dei media mainstream. È la prima volta. La crisi ti rende audace, mi sa.

Vuoi far capire che una delle impronte costituzionali decisive – nella provincia italica, come altrove – arriverà dal tuo piedone. Bilderberg. Il nome che prima non volevi nemmeno far trapelare, ma che tuttora la maggior parte di quelli che dovrebbero informarci si ritraggono dal pronunciare.


Qualcosa mi dice che le costituzioni dei vari paesi europei saranno via via svuotate da questa Europa così poco democratica che hai contribuito a plasmare. Tutti a inseguire fino all'ultimo le dichiarazioni di Martin Schultz, e i socialisti qui, e Gordon Brown là, e il peso dell'Italia, e il ruolo di Angela Merkel nella scelta del presidente Herman Van Rompuy. Alcune di quelle analisi sopravvivono ai fatti. Ma la maggior parte ignora un fatto più grosso degli altri.

Bastava che pochi giorni prima si fosse letto in che modo«De Tijd», il cugino belga del «Sole 24 Ore», descriveva i veri kingmaker dei vertici europei:
«Van Rompuy ha accettato l'invito a parlare da parte del visconte Étienne Davignon [alla riunione del Bilderberg]. Durante il pranzo, Van Rompuy ha avuto un breve contatto con Henry Kissinger, ex segretario di Stato USA».

Eccoti, con Davignon e Kissinger, mentre fai cerimonie alla riunione straordinaria del gruppo Bilderberg con la spavalderia abitudinaria di chi impone sempre l'agenda agli altri. Che ai tuoi occhi non possono essere leader, ma solo dei “coach”. Infatti lo hai sentito dal vivo, Van Rompuy, ossequioso verso il visconte che presiede il Bilderberg e verso il vecchio Kissinger, mentre diceva: «l'Europa ora ha bisogno di un coach, anziché di un leader.»


I coach puoi esonerarli. Per i leader devi sforzarti molto di più. A volte cambiano strategia.
Prendi ad esempio quello che ora hai sotto tiro, sì lui, adesso che una rivoluzione colorata ti farebbe proprio comodo, per mandarlo via. A suo tempo invece gli aprivi tutte le porte. Lo accoglievi nei circoli atlantisti. Con la sua bella tessera n. 1816 in mano, lo consideravi perfetto per americanizzare la tv italiana e americanizzare con essa la politica. Le tue banche gli davano tutto, i politici affezionati pure, ed eccolo diventare l’insaziabile corpo monarchico del nuovo sistema. Anche lui faceva la sua rivoluzione colorata. Gli Azzurri, ricordi?

Poi si è mosso anche per conto suo.
«Iddu pensa solo a iddu», prima o poi lo capiscono tutti, ma quando è tardi.

Lo sapevi da sempre qual era il suo stile di vita, le sue bagasce, le strette di mano con i boss, la sua megalomania, e così via. E tu non affondavi il colpo. Lo punzecchiavi, sì, con certe severe copertine dell’«Economist», ma era quasi un moderno “memento mori” rivolto al piccolo Cesare di Arcore.


Ora però lui fa da solo. Fa accordi con Putin e con Gheddafi, sembra un incrocio fra Enrico Mattei e un clown in preda alla satiriasi. Il clown ce lo hai fatto sopportare per anni. Ma Enrico Mattei non lo sopporti tu. Perciò, per attaccare Mattei, che potrebbe piacerci, attacchi il clown, che in effetti fa schifo.

E quindi va bene, lo voglio mandare via anche io, te l'ho già detto.

Ma non chiedermi di mettermi una sciarpa viola, come quegli ingenui ucraini che si mettevano la sciarpa arancione. E poi non chiedermi di fidarmi di te, né di Montezemolo, né di De Benedetti, o di Rutelli (oh my god!). Non chiedermi di entusiasmarmi per Di Pietro. Non pensare che mi dimentichi quali sono gli interessi nazionali, e quali gli appetiti internazionali in ballo, e la loro capacità di strumentalizzare buone ragioni. Non farmi trascurare di capire qual è il blocco sociale che ha sostenuto lui. Non farmi trascinare inconsapevolmente fino a disordini da democrazie deboli, facili prede dei poteri forti e semiforti.

No, con questo non voglio fare come il PD, che dice che se qualcuno ci va, a quella manifestazione del cinque dicembre, che faccia pure, e Bersani non sa se ci va, forse, ni, vedremo. «Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?» Sempre così. Mai una posizione netta, mai una narrazione ben raccontata, in questo PD. Quando invece potrebbe inondare le piazze anche con le sue bandiere e i suoi colori. Chiamasi opposizione. E invece sono sempre lì, spiazzati. Ancora nel limbo veltroniano. Ci credo che ora anche per te questi sono limoni spremuti, energia definitivamente dissipata, entropia.

Veltroni, oh my god! A proposito di colori, «"Veltroni che colore preferisce: rosso, blu, nero, verde?" - "Scozzese"» (Daniele Luttazzi).

Perciò ci vado, il 5 dicembre ci vado convinto. Ci vado perché troverò quelli che vogliono difendere la carta costituzionale, la Costituzione degli equilibri fra i poteri, e non vogliono farsela divorare e fottere dal Caimandrillo.

Ma con loro voglio ragionare sui pericoli enormi che quella stessa Costituzione vedrà provenire anche da direzioni che non sono abituati a considerare, perché a qualcuno fa comodo che non se ne parli. Insomma: Berlusconi è un pericolo immediato, siamo in emergenza, e perciò mandiamolo via dal governo perché sequestra da troppo tempo il discorso pubblico italiano. Non dimentico però che tu, che hai determinato la crisi, proprio tu sfuggi abilmente alle critiche. Che il tipo di Europa che mi proponi – opaca come il Cremlino di trent'anni fa - non mi piace per niente.
Obama non ha nemmeno provato a tagliarti le unghie. La tua avidità si sfrena come e più di prima che la Grande Crisi iniziasse.


Non posso fidarmi di chi mi vuole illudere che una volta sconfitto Berlusconi il più è fatto. Le rivoluzioni colorate hanno lasciato tutte un campo devastato. Hanno eccitato gli animi, ma non si sono ribellate ai burattinai. A te non sanno arrivare, il colore le distrae. Il viola non farà eccezione.

***********


I derby politici nazionali hanno una loro utilità per distrarre dal grande cambiamento geopolitico che deriva dalla imminente crisi sistemica globale.


L’anno che sta arrivando, ci ricordano gli analisti economici eterodossi del Global Europe Anticipation Bulletin (GEAB), sarà caratterizzato dal protezionismo e dalla depressione economica e sociale. Dopo aver dato l’anima – e i nostri soldi – per salvare i tuoi superprofitti, rimarranno le scelte dolorose: l'inflazione, la tassazione elevata o ripudiare il debito.

I paesi più importanti (gli USA, il Regno Unito, i paesi dell’Euro, il Giappone, la Cina) non potranno più spremere i loro bilanci come quest’anno, nel quasi vano tentativo di stimolare il settore privato.

«Il “consumatore come lo conosciamo”, negli ultimi decenni è morto, senza alcuna speranza di resurrezione».

È uno scenario che tu conosci, ma non sai affrontare con i vecchi metodi.

Nel frattempo ti concedi un ultimo giro di giostra con la finanza allegra e i derivati. Il giro sarà molto più breve delle altre volte.


Berlusconi, uomo di marketing, racconta bugie patetiche sulla fine della crisi, e sta per diventare una delle bugie più insopportabili per una democrazia. Ma anche gli altri pupi di questo teatrino non hanno idea di cosa fare.

Cosa vuol dire il GEAB quando dice che il consumatore conosciuto negli ultimi trent’anni è morto?

Il debito si è reso a lungo apparentemente sostenibile in base alle aspettative di crescita. E la crescita, secondo il modello occidentale degli ultimi trent'anni -specie in USA e Regno Unito - era quasi interamente a carico del consumo.
Nel 2008, i consumi delle famiglie erano il 70% del PIL degli USA e il 64% del PIL del Regno Unito, contro il 56% del PIL della Germania e il 36% del PIL cinese.

Ma oggi il consumatore è spinto a risparmiare i soldi, ripagare i suoi debiti e rifiutare (che lo voglia o no) il modello che gli hai propagandato negli ultimi tre decenni.
È finito questo interminabile ciclo che si basava sulla generazione del baby boom, sul consumatore-massa che riteneva acquisito per sempre il suo edonismo irresponsabile, ben protetto dai solidi sistemi di previdenza che gli avevi promesso, anche quando li nascondevi sotto investimenti azzardati nel casinò delle borse. Questa generazione trova ora una vecchiaia più povera del previsto. E la generazione che la segue ha perfino meno risorse e zero certezze previdenziali.
Niente crescita dal consumo, dunque. Finished. Kaputt.

Gli Stati, molti Stati importanti, che nel 2009 hanno aperto voragini nel debito pubblico, non potranno far altro che aumentare le imposte, togliere la museruola all’inflazione per rimpicciolire il peso del debito, oppure fare default. Sono tutte vie d’uscita dolorosissime, e possono addirittura presentarsi insieme, specie nell'epicentro della crisi, negli Stati Uniti.

Investimenti pubblici, allora? Ma con quale sostenibilità finanziaria, visto che tutti si sono spinti troppo oltre le colonne d’Ercole del disavanzo?
Il tuo sistema sarà forse salvato dalla classe media in espansione di Cina, India e altri? Saranno loro a consumare per te come facevamo noi?
L'industria del lusso in Asia è una storia di delusioni che smentisce il tuo ottimismo.

L'OCSE lo dice: la crisi costerà altri tagli nell'istruzione, nella sanità, nei programmi sociali.
Consumatori che non trainano e anzi riducono drasticamente il loro tenore di vita, Stati che non spendono e anzi tagliano risorse vitali. Banche che non prestano. Industrie che succhiano enormi risorse pubbliche e non vedono il fondo.
Ci stai lasciando un’economia zombi.

Come definire altrimenti Alitalia, Iberia, General Motors, Opel, Chrisler-Fiat, o perfino banche come CIT? Per il GEAB quasi il 30% dell’economia nel mondo occidentale è fatta di morti-viventi economici. Una percentuale mai vista prima. Mentre si rigonfia la bolla, grazie ai bailout, quando avverrà l'inevitabile scoppio questa porzione di economia svanirà. Tu nel frattempo gozzovigli ancora. La tua è pazzia.

Quando ogni posto di lavoro creato in USA costa 324mila dollari allora sai che si sta macinando a vuoto.

Per sopravvivere a una simile tempesta servirà molta partecipazione politica, molta determinazione per fare i conti con le responsabilità. Molta organizzazione, e di certo le reti fuori dai canali tradizionali aiuteranno. Non basterà ripararsi dietro il cappellino viola che piace tanto a te. Conterà molto di più l’indipendenza di giudizio sotto i berretti. Sarà una risorsa strategica importantissima, per chi non va alle tue riunioni esclusive.

19 novembre 2009

Lettera aperta a Guillaume Dasquié: riconoscerà i suoi errori sull'11/9?

da Megachip.

Quell'aereo il Pentagono lo ha solo sorvolato? Pubblichiamo la traduzione di un'interessante ipotesi che emerge da un'analisi minuziosa delle testimonianze legate all'attentato dell'11/9. L'articolo - pubblicato anche su ReOpen911.info, è una lettera aperta che sfida uno dei mitografi delle prime versioni ufficiali, Guillaume Dasquié.


Sig. Guillaume Dasquié,

Nel libro “Il complotto. Verità e menzogne sugli attentati dell’11 settembre”, (ediz. ital. edita da Guerini e Associati, prefazione di Lucia Annunziata, NdT), pubblicato nel giugno 2002, lei pretendeva di rispondere «punto per punto» alla tesi di Thierry Meyssan, riassunta nella copertina de “L'incredibile menzogna” da questa frase perentoria: «nessun aereo si è schiantato sul Pentagono».

Meyssan non sviluppava tanto delle teorie alternative nell’opera in questione, limitandosi ad analizzare fotografie e conferenze stampa dei primi soccorsi.

Le ipotesi investigative iniziarono a seguito del giro promozionale.

Considerando dapprima l'esplosione di un camion-bomba parcheggiato di fronte alla parete ovest del Pentagono, Meyssan passò subito alla tesi del missile, indubbiamente in risposta alle testimonianze pubblicate dalla stampa e dopo l'analisi di cinque immagini pubblicate dal Dipartimento della Difesa nel marzo 2002.

La teoria del missile andava a soffocare ogni velleità di un'indagine presso i giornalisti professionisti.

L'autenticità e le numerose testimonianze sull’aereo di linea che volava a bassa quota in direzione del Pentagono ha convinto l’insieme delle redazioni della realtà dell’impatto contro la facciata. Un collegamento tra causa ed effetto in realtà poco evidente, come ha dimostrato il Citizen Investigation Team (CIT), alla fine di un’inchiesta durata tre anni.

La tesi del sorvolo, che pochi scettici consideravano prima di tale lavoro, è una possibilità credibile e ad oggi documentata che potrebbe spiegare molte anomalie della scena del crimine.

Essendo il libro “Il complotto” (titolo originale "L’effroyable mensonge") un punto di riferimento del giornalismo d’inchiesta di fronte ai deliri complottisti, era normale metterlo a confronto con l’inchiesta del CIT sugli avvenimenti di Arlington.

Dopo una rapida presentazione della «teoria del sorvolo e dell'allontanamento», ci concentreremo sulle quaranta pagine tecniche della sua opera, le sole utili a trattare la materia che qui ci interessa: il volo 77 si è schiantato sì o no sul Pentagono, l’11 settembre 2001 alle ore 09:36?

1. La tesi del sorvolo e allontanamento (“the flyover/flyaway theory”)

La traiettoria ufficiale si basa su due elementi: i lampioni "strappati" quando l'aereo ha sorvolato l'autostrada I27 - uno dei principali argomenti usati per invalidare la tesi del missile - e l'orientamento dei danni tra gli anelli E e C Pentagono.

Un tale tracciato richiede che il velivolo si trovasse a sud di Columbia Pike, a sud della pertinenza della US Navy, a sud della ex stazione Citgo, prima di scendere a 850 chilometri all'ora, all’altezza dei lampioni, per colpire finalmente il piano terra dell'edificio, orizzontalmente, a pochi centimetri dal suolo.

Nel 2006, il CIT ha iniziato un'indagine indipendente sul campo, il cui scopo era quello di porre fine alle speculazioni circa gli eventi di Arlington. L'indagine ha dimostrato che i testimoni oculari, compresi gli ufficiali di polizia del Pentagono e il controllore di volo dell’eliporto, confermavano il passaggio a bassa quota di un aereo commerciale. Ma lungo una linea di volo assolutamente incompatibile con il tracciato dei danni materiali.

traiettorie_pentagono

Questo schema mostra la traiettoria ufficiale, come stabilita in base ai dati del governo.

Le linee gialle sono le traiettorie tracciate sul piano dai testimoni oculari.

Sean Boger, il controllore di volo dell'eliporto del Pentagono è un testimone cruciale. Dalla torre di controllo, a meno di 20 metri dal punto d'impatto, godeva di una vista panoramica della superstrada I27. Interrogato dal CIT il 2 settembre 2009, ha confermato la traiettoria Nord descritta dai testimoni che si trovavano a monte del suo punto di osservazione.

Se queste descrizioni sono esatte, implicano che l’aereo non ha colpito, bensì sorvolato l’edificio. Torneremo in seguito sulle contromisure multiple destinate a coprire la fuga dell’aereo attaccante: il C130, l’E4B e la DRA dell’aeroporto Reagan.

video_cit

National Security Alert è un’eccellente introduzione al lavoro del CIT. Vi invitiamo a visionare questa presentazione prima di consultare le interviste complementari proposte sui due siti internet dell’associazione.

Certamente, i testimoni potrebbero sbagliarsi, ricostruire a posteriori i fatti su influenza degli intervistatori, o perfino mentire.

Ma due poco conosciute indagini ufficiali, condotte nel 2001, accreditano le risultanze delle indagini del CIT: Il "911 documentary Projet" (“Progetto di documentazione sull’11/9", NdT) della Biblioteca del Congresso e il "Project Noble Eagle" del Center For Military History - parzialmente declassificato dal Pentagono dopo una richiesta FOIA di John Farmer.

Non solo i testimoni descrivevano nel 2001, poche settimane dopo l'attacco, una traiettoria coerente con le dichiarazioni del 2006 e del 2009, ma gli archivi della Biblioteca del Congresso e del C.M.H contengono diverse testimonianze sul sorvolo dell’edificio e l'allontanarsi del velivolo attaccante.

Così, il 30 Novembre 2001, il sergente Roosevelt Robert assicurava agli investigatori del Congresso di aver visto, pochi secondi dopo l’esplosione, un aereo a 30 metri di altezza che sorvolava il parcheggio sud del Pentagono. Controinterrogato dal CIT, Robert R. ha confermato l'identità del velivolo: un aereo a reazione color argento, di tipo commerciale e inclinato a destra. Una descrizione del tutto identica a quella indicata da tutti i testimoni della traiettoria a nord.

Erik Dihli dichiarava dal suo canto agli inquirenti del progetto "Noble Eagle", il 31 dicembre 2001, che «nella confusione dei primi istanti, la gente urlava che una bomba era esplosa e l'aereo fuggiva via».

La stessa informazione fu diffusa dalla catena televisiva WUSA tra le ore 09:37 e le 10:00.

Questo scenario spiegherebbe la testimonianza dei dipendenti del Pentagono che hanno riferito di aver riconosciuto l'odore specifico di cordite, un esplosivo ben noto ai militari.

Ma quanto credito accordare alla testimonianza? Più precisamente, quale valore vi attribuiscono a partire dal 2002 i difensori della versione ufficiale?

2. Dell’importanza dei testimoni

Il suo primo attacco, e senza dubbio il più legittimo, contro “L’incredibile menzogna”, si è concentrato sui testimoni oculari dell’evento. Avendoli Thierry Meyssan spazzati via dalla sua indagine, perché «non sarebbero di grande aiuto», lei scrive alle pagine 25 e 26 della versione francese de "Il complotto":

«Una considerazione rivoluzionaria! I testimoni oculari di solito sono molto ascoltati soprattutto a proposito di un evento materiale, fisico, come quello di uno schianto sul Pentagono, e soprattutto quando sono così numerosi come in questo caso (perché la moltiplicazione dei testimoni per decine vanifica qualsiasi tentativo di costruire false testimonianze). A meno che i testimoni oculari non siano ignorati perché contraddicono un’impalcatura dallo spirito così palpitante.

Cosa dicono i testimoni oculari?

Per farci un'opinione, abbiamo fatto il lavoro accuratamente evitato dall'autore di “L'incredibile menzogna”: una presa di contatto diretta e personale con i testimoni, senza intermediari, vale a dire interviste con la gente più vicina all’origine delle informazioni - l'ABC di un’inchiesta giornalistica. (...) I nostri contatti personali a Washington, la consultazione di stampa e televisione locali dell’11 e 12 settembre hanno consentito nello spazio di tre giorni di identificare diciotto persone che vivono nella zona di Arlington e Washington, facilmente raggiungibili consultando gli elenchi telefonici locali...»

Una dichiarazione di principi seguita da 18 nomi, senza una mappa né una collocazione spaziale dei testimoni, con la notevole eccezione di Paul Coleridge. E una formulazione enigmatica, che non consente al lettore di determinare la portata del suo lavoro sul campo, specie dei suoi eventuali movimenti ad Arlington.

Interrogati su questo punto, né lei, né il signor Jean Guisnel avete voluto risponderci.

Iniziamo dal caso di Paul Coleridge, che secondo lei «... era sul ponte Wilson quando vide l'aereo».

washington_area

Come le mostra questa mappa, l’aeroporto Reagan giusto vicino al Pentagono e 8 km separano queste due costruzioni dal ponte Wilson.

L'esempio di Paul Coleridge è interessante perché Steve Chaconas, un importante testimone del CIT, si trovava nel frattempo sul fiume Potomac, a circa 1 chilometro e mezzo a nord della presunta posizione di Coleridge.

flight_path

Questa seconda mappa rappresenta la traiettoria ufficiale del "volo 77" e la traiettoria approssimativa descritta da Steve Chaconas. Prima osservazione: né lui, né Paul Coleridge potevano vedere il punto d'impatto dai loro rispettivi punti di osservazione. Questi due testimoni sono utili, nel migliore dei casi, per determinare il percorso di approccio dell’aeromobile. Ma Paul Coleridge era in grado di distinguere il “volo 77” nel traffico giornaliero del Reagan Airport?

Steve Chaconas è un habitué del fiume Potomac, lungo il quale porta i suoi clienti ogni giorno a pescare. Sottolinea in un’intervista del 4 marzo 2008 che il "Volo 77" aveva catturato la sua attenzione per via della sua traiettoria lontano dal DRA (DRA: Down Rever Approach, ossia la rotta imboccata sopra il Potomac dagli aerei in partenza o in arrivo presso il Reagan Airport), un dettaglio che solo le persone che hanno familiarità con quei luoghi avrebbero notato.

«Ironia di questa testimonianza», è molto probabile che Paul Coledrige, presentato a difesa della versione ufficiale, sia in realtà un testimone a carico. Solo un colloquio approfondito condotto e filmato sul Ponte Wilson, potrebbe chiarire il suo status.

Ma apprendiamo degli altri 17 testimoni de «Il complotto», tra cui John O 'Keefe, un ex "News Supervisor" di «USA Today», di cui lei pubblica la lunga testimonianza - «scritta e firmata» - alle pagine 29 -31. Nonostante una descrizione piuttosto dettagliata dei fatti, nulla consente di localizzare John O’Keefe nei dintorni del Pentagono né di determinare se sia un testimone oculare diretto dell’impatto contro la facciata.

Ecco la sua testimonianza:

«Là, improvvisamente, proveniente dal mio lato sinistro - non so se all’inizio l’ho visto o sentito - è passato un aereo di colore argento. (...) Io sono abituato a vedere degli aerei volare a bassa quota in questo settore, perché siamo veramente a uno o due miglia [1 miglio = 1,6 km] dal National Airport. Ma là sembrava volare troppo basso e girare nella direzione sbagliata. Fino a quando mi sono reso conto che entrava in collisione con il Pentagono. È arrivato in discesa, passando sopra l'autostrada, alla mia sinistra, ed è passato davanti alla mia auto. L'aereo non volava in picchiata. Sembrava sotto controllo e volava come un aereo che sta per atterrare. È successo molto rapidamente e molto vicino a me, ma ho visto chiaramente il nome e il logo dell’American Airlines sull’aereo. C’è stata una gigantesca esplosione, con fiamme arancioni che uscivano dal Pentagono. Pensavo che la strada davanti a me sarebbe stata distrutta. Poi tutto è diventato nero, c'era solo un denso fumo nero.»

Quanti testimoni, fra i 18 citati nel suo libro, avevano una chiara visione della facciata del Pentagono? E tra questi, quanti si misero al riparo al passaggio del velivolo, non essendo più da allora testimoni dell'impatto diretto, ma solo testimoni della traiettoria?

I difensori della versione ufficiale pretendono che 40 persone abbiano assistito allo schianto del Volo 77 sul muro esterno.

La testimonianza del pompiere Allan Wallace, pubblicata da «Libération» il 30 marzo 2002, è un caso da manuale: «Ero a circa 10 metri dalla facciata ovest del Pentagono nei pressi di un camion, con altri due vigili del fuoco. Ho guardato il cielo e improvvisamente ho visto un aereo appena passato sopra l'autostrada, ad altitudine molto bassa. Abbiamo allora cominciato a correre in direzione opposta all’aereo. Non l'ho visto colpire l'edificio, ma abbiamo sentito un rumore tremendo. Quando sono tornato, era per vedere un’enorme palla di fuoco

Non è forse legittimo supporre che le persone in posizione tale da vedere l’impatto ebbero il riflesso naturale di mettersi al riparo? Essendo la sincronizzazione degli eventi tale da portare un gran numero di testimoni a dedurre che l'aereo era all’origine dell'esplosione. La differenza tra "vedere" e "dedurre" non sfuggirà a chiunque, soprattutto non un giornalista investigativo del suo livello.

Purtroppo, i pochi testimoni “oculari” del suo libro non fanno eccezione alla regola. Lei afferma, ad esempio, che Omar Campos «ha visto l’aereo passare sopra la sua testa e urtare il Pentagono».

Eppure ecco la sua precisa dichiarazione a «The Guardian», il 12/09/2001: «It was a passenger plane. I think an American Airways plane. I was cutting the grass and it came in screaming over my head. I felt the impact. The whole ground shook and the whole area was full of fire. I could never imagine I would see anything like that here ».

(Trad.: «Era un aereo passeggeri. Credo un American Airways. Stavo tagliando l'erba ed è passato con gran fracasso sopra la mia testa. Ho avvertito l'impatto. L’intero terreno tremava, e tutta la zona era piena di fuoco. Non avrei mai potuto immaginare che avrei visto niente del genere qui»).

L’intervista del CIT a Steven MacGraw (la n.15 della sua lista), ex legale del dipartimento della giustizia ordinato sacerdote tre mesi prima dell’attentato, è esemplare. Giudicate l'abisso tra la sua testimonianza, così come pubblicata dall’«Arlington Catholic Herald»: «L’aereo ha spezzato un lampione», e le sue dichiarazioni di fronte alla telecamera nel 2008:«L’aereo era così basso che sembrava aver spezzato un lampione».

MacGraw e Sean Boger (presentato come un "testimone oculare" dell’impatto fino a quando non ha riconosciuto, il 9 febbraio 2009, d’essersi rifugiato sotto la sua scrivania, alla vista dell'aereo che arrivava dal lato nord della CITGO) non sono dei casi isolati. Vi invitiamo a guardare l’intervista a Joel Sucherman (n. 6 della sua lista) pubblicata dal CIT, così come la sua analisi dettagliata delle testimonianze dei dipendenti di «USA Today», una redazione massicciamente rappresentata nella lista dei testimoni di "L’effroyable mensonge".

Il che ci porta a Mike Walter, stranamente dipinto del pari di Sucherman e Gaskin en passant come "anonimo" nel suo libro. Il giornalista di «USA Today» stava guidando nei pressi del Pentagono. Interrogato dai giornalisti della CBS e CBS-9 pochi minuti dopo l'evento, ha detto inizialmente che gli alberi ostruivano il suo campo visivo e gli avevano impedito di vedere l'impatto contro la facciata. Tuttavia, sottolineò che l'aereo aveva strappato un lampione, il famoso lampione n. 1, mentre volava sopra il ponte dell’autostrada I27. Successivamente, la sua testimonianza non ha smesso di evolversi in funzione delle esigenze della versione ufficiale.

Nel marzo 2002, intervistato da LCI poco dopo l'uscita de "L'incredibile menzogna", affermerà all'improvviso di aver osservato «l’aereo piegarsi come una fisarmonica contro la facciata», la fisarmonica mutandosi in libellula quando i sostenitori della versione ufficiale avanzarono la teoria delle ali ripiegate. Mike Walter è il testimone star dell’11 settembre 2001: sistematicamente citato dai giornalisti francesi, a volte sull'impatto e i detriti («Libération» del 30marzo 2002, e più recentemente sul set di G.Durand nella trasmissione "L’objet du scandale"), altre volte sui lampioni e sull’affare Loyd England. La confessione di quest’ultimo sulla messa in scena del lampione n. 1 - che avrebbe falsamente trafitto il parabrezza della sua auto - suggeriscono che Mike Walter giocava un ruolo particolarissimo nella costruzione della narrazione mediatica dell’evento, la mattina dell’11 settembre 2001.

In ogni caso, la sua onniscienza (impatto, detriti, lampioni) e l'adattamento costante della sua testimonianza secondo il corso delle evoluzioni della versione ufficiale dovrebbe essere sufficiente ad escluderlo dal novero dei testimoni utili ad accertare i fatti.

È un peccato che né lei né il signor Guisnel vi siate degnati di specificare la natura dei tre mesi d’inchiesta che andavano a compiersi ne “Il complotto”. Perché se il capitolo consacrato ai testimoni non apporta alcuna certezza né argomenti definitivi in favore della versione ufficiale, quello intitolato "La risposta degli esperti", avrebbe dovuto scatenare i sani interrogativi dei suoi colleghi.

3. Gli esperti

A prima vista, però, questo capitolo de "Il complotto" è fra i più convincenti. Tre esperti vi esprimono un giudizio senza appello: il volo 77 si è schiantato sul Pentagono, essendo l'assenza di rottami di fronte al punto d'impatto e la portata del danno sul lato ovest ben spiegati dalle leggi classiche della balistica aeronautica.

Purtroppo, questi tre esperti danno tre versioni diverse e inconciliabili dello schianto.

Secondo Jacques Roland, militare ed esperto presso la Corte d’Appello di Parigi, il volo 77 si sarebbe immolato a una forma rarissima di schianto aereo, lo schianto a 90°.

Per François Grangier, perito del BEA (bureau enquête accident, ossia ufficio indagine incidenti NdT) alla Corte d’Appello di Pau, «il tracciato della traiettoria traiettoria così come lo possiamo conoscere oggi non permette di concludere per un impatto sulla facciata, bensì più verosimilmente sul tetto…».

Uscito dunque di scena lo schianto a 90°, Grangier sarebbe piuttosto da classificare nel campo degli scettici.

Infine il suo ultimo esperto, il generale Brisset, ha detto che «un tale shock trasforma l’aereo in munizioni a “carica cava”, producendo quanto si definisce una punta di fuoco. Nel momento dell'impatto, l'aereo si disintegra e brucia progressivamente, a misura della penetrazione nel foro che ha scavato.» Esce dunque di scena l’impatto a 90°, esce l’impatto sul tetto. Questa volta, un militare ci parla di carica cava ... Cioè un missile!

Prima di non riuscire più a raccapezzarci su questo capitolo chiave del suo libro, desidereremmo ascoltare le sue spiegazioni, specie sulle informazioni messe a disposizione di Jacques Rolland, Francois Grangier, Jean-Vincent Brisset.

Per esempio, che cosa intende quando scrive «Quindi tre costruzioni sono state distrutte, a partire da un cratere con un diametro di entrata di 19 metri. Ironia di questo dettaglio: diverse fotografie aeree brandite da Thierry Meyssan, alle quali tenta di dare un significato equivoco, designano semplicemente una linea di mezzo del tetto carbonizzate e danneggiate sopra la zona attraversata dal Boeing dell’American Airlines...».

Non solo non c'è alcun riferimento a diversi punti importanti dello schianto: i 5 pali sradicati dal Boeing lungo la traiettoria ufficiale, il generatore colpito dal motore destro del velivolo e l'entità precisa dei danni sulla facciata ovest del Pentagono. Ancora più importante, il termine "cratere di 19 metri" è ambiguo: esso non può determinare se i suoi esperti hanno lavorato a partire dalle fotografie della facciata dopo il crollo del tetto o dalle foto precedenti che mostrano danni lineari concentrati sul pianterreno dell'edificio.

prima_del_crollo

a. prima del crollo

dopo_il_crollo

b. dopo il crollo

Riassumendo la «risposta degli esperti»:

Jacques Rolland parla di un impatto orizzontale, conforme alle leggi della balistica. Ma non menziona - a dispetto di una descrizione dell’avvenimento «centesimo di secondo per centesimo di secondo» - i numerosi ostacoli talvolta massicci incontrati dal Boeing, né l'asse diagonale di penetrazione del velivolo. Un “dettaglio” che lei sottolinea ancora nel parlare dei lavori preliminari dell’ASCE.

Francois Grangier dubita da parte sua sulla realtà dell’impatto contro la facciata e preferisce prendere in considerazione un impatto attraverso il tetto, che corroborerebbe indirettamente la tesi del CIT. Consideri che Francois Grangier sapeva perfettamente al tempo del vostro incontro che le foto della facciata mostravano la linea del tetto intatta. Lo scambio che segue tra Grangier e Daphne Roulier è estratto dalla trasmissione "C+Clair" del 24 marzo 2002 (Canal+).

«- F. Grangier: … quando si vede la foto di questa facciata che è intatta, è evidente che l’aereo non è passato da lì. Si può immaginare che un aereo di quella dimensione non possa passare da una finestra lasciando l’infisso in piedi. Ma è evidente che se aereo c’è stato, ha bussato da un altra parte.

- D.Roulier: «Dunque un Boeing 757, in questo lato, avrebbe dovuto fare molti più danni? È d’accordo su questo con Thierry Meyssan?

- F. Grangier : «Con riferimento preciso alla facciata, sì… »

Infine, come un appiglio proteso verso i complottisti (un termine caro a Guisnel), il generale Brisset evoca un aereo trasformato in carica cava.

La consultazione della voce "charge creuse" (carica cava, NdT) sulla versione in francese di Wikipedia ci lascia perplessi. Se la definizione data dalla enciclopedia cooperativa è accurata, la carica cava, definita anche HEAT dai militari, sarebbe «un tipo di munizione destinata a perforare le blindature (...) L'avvio di una carica cava infligge gravi danni a una blindatura, che viene generalmente perforata, nel caso di un impatto, lungo una traiettoria perpendicolare al suo piano. La potenza concentrata dell'esplosione, se questa riesce a perforare la blindatura, proietta uno spruzzo di metallo fuso e gas caldi all'interno del veicolo, che, in funzione dell’impatto arriva al K-kill ("Distruzione dell’equipaggio") e molto spesso accende le munizioni stoccate a bordo del veicolo con un risultato ancora più devastante.»

«... Un tale shock trasforma l’aereo in una munizione a "carica cava"....» Non riusciamo ancora a crederci, mentre scriviamo queste righe, che due giornalisti del vostro livello abbiano raccolto, trascritto e pubblicato tali dichiarazioni. Il naso di un aereo di linea è fatto di una lega leggera, difficilmente paragonabile alle testate perforanti delle munizioni antiblindatura.

Aggiungiamo che le affermazioni di Brisset sugli «incendi ad altissima temperatura provocati dal titanio e dal magnesio» non corrispondono agli incendi osservati l’11 settembre 2009 al Pentagono.

Per dar credito al suo intervento, Brisset si rifugia dietro una batteria di esperti anonimi «in virtù di un obbligo di riservatezza». ...Una frase dal sapore amaro, giacché sei pagine dopo, nella stessa opera, si legge questo: «una rete di esperti i cui membri richiedono l'anonimato, ma che si esprime attraverso la penna e la voce di Thierry, (...) è così che i membri della Rete Voltaire lasciavano intendere che alcuni assi del volo avevano apportato un magistrale contributo al libro di Meyssan». La solita vecchia storia della pagliuzza e della trave (Matteo 7,3)

Resta la traiettoria del velivolo e le complesse manovre necessarie al posizionamento di un 757-200 all'altezza della parete esterna del Pentagono.

Grangier ha ottime ragioni per escludere un impatto orizzontale contro la facciata a meno di 5 metri da terra: le leggi dell'aerodinamica impediscono a un aereo di scendere al di sotto di una certa altitudine, a seconda della densità locale dell'aria, della velocità e il peso dell'apparecchio, come del suo design.

Questo punto è ancora oggetto di accese discussioni tra piloti e specialisti. Gli scettici sostengono che un Boeing di 120 tonnellate non sarebbe in grado di eseguire le manovre attribuite al volo 77, soprattutto se si tiene conto della topografia della zona intorno al Pentagono. I paladini della versione ufficiale sostengono il contrario e spesso citano un esperimento condotto in Olanda dal Laboratorio Aerospaziale Nazionale. Un esperimento tuttavia attualmente sconfessato dai suoi stessi progettisti, poiché il Laboratorio ha riconosciuto in una lettera a "Pilots for 911 truth" che «il simulatore non è stato certificato per consentire il confronto con le manovre di volo in situazioni reali».

Un modo semplice per porre fine a questa controversia sarebbe di replicare il volo American Airlines 77 in un simulatore reale, nel quadro di un esperimento controllato da parte di rappresentanti di ciascun campo presenti.

Il parere di Brisset, Roland e Grangier sui secondi finali della traiettoria del velivolo (cioè tra la pertinenza della Navy e la parete esterna del Pentagono), sarebbe fra i più interessanti. Purtroppo, nessuno degli esperti de "Il complotto" è stato interrogato sul punto.

Sul fatto che si tratti di testimonianze o esperimenti sciatti, pieni di contraddizioni, le quaranta pagine tecniche del suo libro sollevano numerosi interrogativi.

4. Note, anticipazioni e speculazioni

Immaginiamo che la sua risposta, se risposta c'è, assumerà la forma di domande (un metodo ben noto ai teorici della cospirazione, no?)

«Se il volo 77 non si è schiantato contro il Pentagono, allora dov'è e dove sono i passeggeri?»

Le nostre certezze si limitano a quattro fatti:

  1. Il volo 77 è decollato dall'aeroporto Washington-Dulles alle ore 08:20.
  2. Il suo transponder sarà spento alle ore 08:56.
  3. La sua eco sparirà per 8 minuti e 56 secondi dagli schermi di controllo civili e militari.
  4. L’eco radar riapparsa alle ore 09:06 non sarà mai positivamente identificata per essere quella del volo American Airlines 77.

La commissione Kean/Hamilton scrive d’altronde, a questo proposito: «L'incapacità di captare un eco radar per l'American 77 ci ha spinto a condurre un’inchiesta più approfondita (...) I radar della FAA hanno seguito il volo dopo la neutralizzazione il suo transponder alle ore 08:56. Ma per 8 minuti e 56 secondi, il volo 77 scompare dagli schermi radar. Le ragioni di ordine tecnico vanno da un guasto del software nel trattare l’informazione del radar, alla debolezza della copertura radar nella zona di volo del volo 77 dell’American. Riapparso alle ore 09:06 sugli schermi di controllo, il volo 77 viaggerà verso Washington per 26 minuti senza essere individuato». Alle 09:32 «un’eco non identificata sarà individuata dai controllori del Dulles Airport pochi minuti prima dello schianto».

Per il resto, ci rifiutiamo di speculare sul destino del volo 77. Non contestiamo né la sua esistenza né la sparizione dei suoi passeggeri. Dubitiamo semplicemente, in riferimento alle informazioni pubblicate dal CIT e alle spiegazioni della commissione Kean Hamilton, che questo volo abbia colpito la facciata ovest del Pentagono alle ore 09:36.

Un’altra domanda ci sarà certamente rivolta: «perché concepire un piano così complicato anziché precipitare in modo puro e semplice il volo 77 e i suoi passeggeri sul Pentagono?»

Se i congiurati appartenevano alle forze armate e ai servizi d’intelligence degli Stati Uniti, è facile capire perché non abbiano scagliato un 757 alla velocità di 850 kmh sul loro quartier generale. Soprattutto se l'operazione aveva come obiettivo colpire l'area in cui lavoravano i revisori dei conti.

Solo 58 militari hanno trovato la morte durante l'attacco, alla fine poco letale se confrontato con le vittime potenziali qualora l'attacco avesse colpito una qualsiasi altra ala del Pentagono.

La sezione colpita, con una ristrutturazione in corso, ospitava essenzialmente degli analisti finanziari incaricati di completare l'esercizio e i revisori responsabili per l'indagine sui 2300 miliardi di dollari spariti dal bilancio della difesa. La conferenza stampa di Donald Rumsfeld, il 10 settembre 2001, è semplicemente surreale se consideriamo gli eventi che hanno colpito l'America meno di 24 ore dopo: «... Il nemico è più vicino di quanto pensassimo, si tratta della burocrazia del Pentagono ... Secondo alcune stime, abbiamo perso le tracce di 2.300 miliardi dollari ...»

La contea di Arlington afferma a pagina 68 dell’allegato A dell’Arlington after report che «significative informazioni di bilancio si trovavano nella zona devastata del Pentagono». Questi fatti, come anche il crollo dell’edificio 7 del World Trade Center alle ore 17:25, non sono nemmeno menzionati nella relazione finale della Commissione d'inchiesta sugli attentati dell’11/9.

A New York il crollo del WTC7 fece sparire le migliaia di dossier che la SEC archiviava al 12° piano del palazzo (informazione confermata dal presidente della SEC in un’intervista concessa al «New York Post» il 12 settembre 2001 e dalla FEMA nella sua relazione Buiding Performance Report del maggio 2002).

Coincidenza? I due eventi più sospetti di quel giorno hanno in comune, oltre al fatto di essere stati regalmente ignorati dalla Commissione Kean/Hamilton, l’aver colpito il cuore dei servizi di vigilanza finanziaria: quelli militari ad Arlington e quelli civili a New York.

Approfittiamo di questa parentesi per segnalarvi che l'elenco degli occupanti del WTC 7 è stato ufficialmente stabilito dopo la pubblicazione nel maggio 2002 del WTC Building Performance Report. La sua dichiarazione del 10 marzo 2009 sul set di Michael Field «secondo alcuni, il WTC 7 avrebbe ospitato gli uffici della CIA, vi lascio immaginare il seguito» mostra nel caso migliore la sua ignoranza del dossier, nella peggiore delle ipotesi un’indicibile malafede.

Riproduciamo qui la tabella 5.1 del WTC BPR "WTC7 tenants":

wtc7_tenants

Infine, un precedente storico inconfutabile dimostra che lo stato maggiore americano è capace, per legittimare un intervento militare presso l’opinione pubblica, di pianificare degli attentati sotto falsa bandiera contro la propria popolazione nel proprio territorio.

Il progetto Northwoods, disponibile sul sito internet dell’ università George Washington, prevedeva un'operazione molto simile allo scenario di attacco contro il Pentagono: la sostituzione dei velivoli, falsi rottami, la testimonianza di un pilota in buona fede inviato tempestivamente sui luoghi dell'attacco (l’11 settembre 2001 questo pilota si chiamava Steve O’Brien), diffusione di voci... tutti i difensori della versione ufficiale dovrebbe conoscere questo documento. […].

Potremmo anche parlare delle reti Stay-behind dispiegate dalla NATO e la CIA in Europa dopo la seconda guerra mondiale: un segreto di Stato perfettamente conservato per 40 anni, nonostante le migliaia di uomini reclutati e le centinaia di civili uccisi in attentati sotto falsa bandiera attribuiti alla sinistra estrema. Il suo modo di spazzare via la possibilità di un complotto interno in occasione dell’11/9 in opposizione a «un’élite americana più che mai aperta verso il mondo e un Partito Repubblicano piegato su se stesso (...) la cui funzione è quella di gestire la dinamica propria dell'egemonia americana», spiega certamente perché l'episodio Gladio sia rimasto sconosciuto per la popolazione francese, a differenza dei nostri vicini di casa, dove lo scandalo di Stato è stato investigato sia dai giornalisti che da commissioni parlamentari d'inchiesta (Belgio, Svizzera, Italia ...)

L'ultima obiezione spesso sollevata nei confronti del lavoro svolto dal CIT riguarda il basso numero di testimonianze dirette sul sorvolo dell’edificio e l'allontanarsi del velivolo attaccante.

Le testimonianze oggi conosciute sono estratte dagli archivi di due agenzie federali le cui tecniche d'intervista non corrispondono a quelle dei giornalisti. La Biblioteca del Congresso e il Center For Military History hanno condotto interviste non strutturate, archiviate in brutta copia, senza riscrittura né montaggio. Questo punto è fondamentale. Era improbabile che un giornalista avesse riprodotto le parole di Erik Dihli o del sergente Robert una volta che la versione ufficiale si fosse fusa nello stampo della narrazione dei mezzi di comunicazione di quel giorno.

Inoltre, la vicinanza del Reagan Airport e il Pentagono (che distrugge il mito, ben radicato negli ambienti cospirazionisti, delle batterie di difesa antiaerea) ha certamente giocato un ruolo importante nel successo dell'operazione. Il D.R.A. era una linea di volo idonea per l'allontanarsi dell’apparecchio attaccante. Dopo aver sorvolato il Pentagono, era praticamente impossibile per i testimoni distinguere il velivolo attaccante dagli aerei regolari in partenza o in arrivo all'aeroporto Reagan. Infine, la “cover-story” del C130, giunto sulla scena 2-3 minuti dopo l'attacco, ha fatto il resto. Fonti di stampa accuratamente selezionate hanno provato a far credere che questo aereo avesse inseguito il volo 77 fino alle immediate vicinanze del Pentagono (nonostante le dichiarazioni unanimi dei testimoni e il pilota, il colonnello Steve O’Brien, per non parlare delle velocità relative di un C130 e un 757). Questa storia, come l’E4B videoripreso sopra Washington subito dopo l'attacco, potrebbe servire da alibi di fronte alle testimonianze residue sul sorvolo dell’edificio.

Signor Dasquié, nel portare a sua conoscenza l’inchiesta del CIT, noi speriamo di suscitare un nuovo dibattito sui fatti di Arlington et di Washington accaduti l’11 settembre 2001.

In aggiunta alla sua analisi del Citizen Investigation Team, le chiediamo di fornire ai ricercatori l'archivio delle interviste con i testimoni del suo libro, specie la testimonianza scritta e firmata da John O'Keefe. Ci attendiamo soprattutto dei chiarimenti sui suoi metodi d'indagine tra marzo e maggio 2002.

Noi siamo a sua completa disposizione per discutere queste questioni, a titolo privato o nel corso di un dibattito pubblico, ddiffuso ad esempio su Internet.

Le inviamo, signor Dasquié, cordiali saluti.

Alexis de B. (alias Kropotkine) e Virginie G. (alias Ikky)

Pubblicato sul blog enquêtes et faits divers, réalité et fiction e su ReOpen911.info.

Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras e Pina Mele.

Per approfondire il tema dell’ipotesi del sorvolo del Pentagono si vedano i seguenti siti: