28 giugno 2014

Colpo di spugna per gli inquinatori militari


EDITORIALE DALL'UTILITARIA. Un mio commento sul decreto 91/2014 del governo Renzi, che trasforma i poligoni in aree industriali e compromette le bonifiche dei siti contaminati. Una sorta di "amnistia ambientale", la più grave d'Europa.

Fonte: http://www.pandoratv.it/?p=1325.



25 giugno 2014

Iganzio Marino, basta complicità con Israele.

Pino Cabras - PANDORA TV - Editoriale dall'utilitaria.


"Sindaco, basta con le complicità con Israele."

Dall’abitacolo della mia automobile commento la decisione del sindaco di Roma, Ignazio Marino, di affiggere in Campidoglio le gigantografie dei tre giovani coloni israeliani misteriosamente scomparsi, mentre tace sulla brutale repressione scatenata dal governo di Netanyahu nei territori occupati, con recenti arresti di centinaia di persone, uccisioni e atti di punizione collettiva.

http://www.pandoratv.it/?p=1289

Fonte: http://www.pandoratv.it/?p=1289.

18 giugno 2014

Videoeditoriale dall'utilitaria

PANDORA TV 

Video editoriale sulla crisi in Ucraina.
Dall’abitacolo della mia automobile faccio il punto sullo scenario di politica estera che fa da sfondo all’operazione di pulizia etnica in atto in Ucraina sudorientale.

http://www.pandoratv.it/?p=1239

13 giugno 2014

Fosforo bianco: i militari ucraini 'hanno sganciato bombe incendiarie' su Slavyansk

da RT.com.


I residenti di Slavyansk e dei suoi sobborghi sono stati svegliati giovedì notte da quelle che riferiscono essere bombe incendiarie sganciate dalle forze armate di Kiev. Testimoni e reportage dei media locali hanno suggerito che si potrebbe trattare di bombe al fosforo bianco.

Gran parte del villaggio di Semyonovka, fra i sobborghi di Slavyansk, è stato dato alle fiamme. Le persone del luogo hanno riferito a RT che il suolo non smetteva di bruciare per diverso tempo.

«Lo abbiamo visto tutti, quel che è successo qui, ieri. Hanno usato lanciarazzi e bombe incendiarie contro di noi. Il suolo era in fiamme. Come può la terra bruciare da sola? È bruciata per circa quaranta minuti», ha dichiarato a RT un residente, Roman Litvinov.

«A partire dalle due del mattino, tutti quelli che ho incontrato accusavano mal di gola e tosse per tutto il tempo. Penso che sia dovuto alla combustione. Temo che proveremo le vere conseguenze più avanti. Ci sono ancora un sacco di persone qui, tra cui molti bambini che ancora non siamo riusciti a mandare da qualche altra parte», dichiara Tayana, una signora del luogo.

L’uso di bombe incendiarie – finalizzato a causare incendi attraverso l’utilizzo di materiali come il napalm, il fosforo bianco o altri agenti chimici pericolosi – è rigorosamente vietato dall’ONU. 


Le autorità di Kiev hanno smentito i servizi giornalistici sul fatto che tali armi siano state impiegate contro i civili. Anche la Guardia nazionale ha smentito che siano state usate munizioni al fosforo.

Durante l’ultima conferenza stampa, la portavoce del Dipartimento di Stato– Jen Psaki – ha fatto di tutto per scansare la domanda di un giornalista della AP circa l’impiego di bombe al fosforo bianco da parte dell’esercito di Kiev. Ma una volta con le spalle al muro, si è lasciata sfuggire che non aveva abbastanza elementi in merito alla situazione sul terreno, affermando perfino che pensava si stesse parlando di russi che usavano quelle bombe.
Una volta che le è stato chiesto conto per la seconda volta di queste notizie, Psaki ha replicato: «Da chi? Da parte dei russi?». Il giornalista ha ribattuto: «No, da parte degli ucraini», precisando che esistono prove in video e in foto dell’attacco.
La Psaki ha risposto: «No, non ho mai visto tali servizi».

Slavyansk, una città industriale nel sud-est dell’Ucraina con una popolazione di oltre 100mila abitanti, ha rappresentato sin qui un punto focale della repressione del governo centrale contro la regione. La zona residenziale della città è stata regolarmente sottoposta al fuoco dell’artiglieria ucraina per settimane.

«All’apparenza qualcosa di almeno simile, se non proprio lo stesso fosforo bianco, è stata utilizzata nel corso della nottata di giovedì. Ho visto il video e l’ho osservato da vicino... ci sono tutti i segni e gli indizi sull’uso di fosforo bianco. Ad esempio, i fortissimi bagliori legati agli incendi che calavano dal cielo. È stata certo usata un’arma airburst, lanciata da un mortaio o da un aero con equipaggio». Così dichiara a RT Charles Shoebridge, ex ufficiale dell’esercito, detective di Scotland Yard, nonché funzionario dell’intelligence per l’antiterrorismo, da poco tornato dall’Ucraina.
«Il fosforo bianco non può essere spento con l’acqua» e «brucerà un corpo fino all’osso», ha aggiunto Shoebridge. «Nel caso che se ne usino grandi quantità può essere anche un veleno. Grandi quantità sono in grado di contaminare anche l’approvvigionamento idrico».
In base al video «è molto probabile che sia stato usato fosforo bianco, ha proseguito Shoebridge. «È assai difficile riuscire ad alterare il video che abbiamo visto, se lo combiniamo con le prove sul campo».

Mosca ha chiesto un’indagine immediata sulle notizie riguardanti l’uso di bombe incendiarie, ha riferito il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov.

«Siamo molto preoccupati dalle notizie che sentiamo, secondo cui le forze armate ucraine utilizzano bombe incendiarie e alcune altre armi indiscriminate», ha affermato Lavrov. «Queste notizie debbono essere immediatamente vagliate».

Giovedì la Russia ha presentato una bozza di risoluzione al Consiglio di sicurezza dell’ONU che condanna gli attacchi indiscriminati contro i quartieri residenziali e le strutture civili nell’Ucraina sudorientale, ha rivelato Vitaly Churkin, ambasciatore russo all’ONU. Ha altresì espresso apprensione sui reportage che riferiscono l’utilizzo di munizioni vietate, comprese le bombe incendiarie, nel corso della repressione militare.

La bozza di risoluzione si appella all’immediata interruzione di ogni violenza e a un cessate il fuoco duraturo.

«Il progetto di risoluzione punterà a fermare la violenza e a sostenere gli sforzi politici che l’OSCE ha finora intrapreso invano. Chiediamo al Segretario generale dell’ONU che le sostenga», ha dichiarato Churkin, aggiungendo che solo l’approvazione di questa risoluzione dimostrerebbe il sostegno del Consiglio di sicurezza dell’ONU agli sforzi intesi a regolare la crisi.


Traduzione a cura di Matzu Yagi.

Middle East. Il Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria

da SpondaSud.it.

Dopo i volumi Lebanon e Syria, è la volta di Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria (Arkadia Editore, 272 pagine, 16 euro). Il saggio, curato dal giornalista Raimondo Schiavone -  e scritto, tra gli altri, con i giornalisti e saggisti Giulietto Chiesa, Alessandro Aramu e Talal Khrais, Pino Cabras e il responsabile esteri di Hezbollah Ammar al-Moussawi, descrive scenari e situazioni di grandissima attualità in una delle zone più calde del pianeta.  
La prefazione è di Alberto Negri, inviato del Sole 24 Ore e reporter di guerra. Il volume tenta di rispondere, grazie alla presenza di autorevoli interventi di firme prestigiose, a una serie di interrogativi, a partire dal ruolo che potranno giocare i Paesi del Mediterraneo alla luce degli ultimi sconvolgimenti internazionali. Geopolitica, interessi strategici e finanziari, Middle East è un racconto che parte dalle rivolte arabe per giungere ai nostri giorni. Il saggio sarà nelle librerie di tutta Italia nel mese di luglio del 2014.

SINOSSI
All’indomani dello scoppio delle rivolte arabe, il grande bacino del Mediterraneo, con il suo alternarsi di fenomeni cooperativi e conflittuali, si presenta al centro di un processo storico che vede coinvolti grandi attori internazionali. Mentre lo status quo geopolitico post-guerra fredda entra in crisi, assistiamo al riposizionamento di un nuovo equilibrio e all’emergere di nuovi soggetti. In questo quadro, anche la vecchia Europa inizia a rinegoziare la sua posizione cercando di cogliere le opportunità offerte dal mare tra le due terre. Sullo sfondo, la guerra in Siria, prezioso banco di prova per le grandi potenze. E, ancora, il movimento Hezbollah, attore determinante di questo instabile scenario. Da qui, dunque, sorge anche la riflessione sulle strategie dei media, veicoli di informazioni, idee e concetti, spesso precostituiti e calati dall’alto. E, a proposito di Mediterraneo, il volume non poteva tralasciare il dibattito sull’emergenza immigrazione e i tanti interrogativi sulle prospettive di cooperazione tra le due sponde.

AUTORI
Giulietto Chiesa, giornalista, direttore della Rivista “Cometa”, coordinatore di Pandora Tv, editorialista per diverse testate e autore di numerosi saggi. Raimondo Schiavone, giornalista e segretario generale di Assadakah, vice presidente della Camera di Commercio italo-araba, ha curato il volume Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia Editore). Alessandro Aramu, giornalista, direttore della Rivista di geopolitica Spondasud, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia Editore). Ammar al-Moussawi, politico libanese, attualmente responsabile esteri di Hezbollah. Talal Khrais, giornalista libanese accreditato presso la Stampa Estera, corrispondente dall’Italia del quotidiano libanese “As-Safir”, co-autore con Raimondo Schiavone e Alessandro Aramu di numerosi lavori incentrati sulle problematiche del Medio Oriente. Pino Cabras, saggista, condirettore di Megachip, autore dei volumi Strategie per una guerra mondiale e, con Giulietto Chiesa, di Barack Obush. Hanno inoltre collaborato alla stesura del volume con propri interventi: Abdallah Kassir (presidente della televisione satellitare libanese “Al Manar”), Abdallah Zouari (deputato tunisino), Franco Murgia (vicepresidente dell’Associazione Assadakah), Gianni Loy (docente universitario), Romina Mura (deputata italiana), Michele Piras (deputato italiano), Laura Casta (esperta di cooperazione internazionale), Gabriele Pedrini (esperto di questioni mediorientali), Laura Tocco (esperta di questioni turche).


5 giugno 2014

Caso Moro: la rogatoria per l'uomo ombra USA di Cossiga

di Paul Joseph Watson.
Con nota di Pino Cabras in coda all'articolo.

La famosa telefoto ANSA sul ritrovamento di Aldo Moro, il 9 maggio 1978.


In mezzo alle feroci polemiche scatenate dall’accordo che ha visto la liberazione di cinque talebani, l’ex funzionario del Dipartimento di Stato Steve Pieczenik ha rivelato in esclusiva all’Alex Jones Show di essere stato incriminato dall’amministrazione Obama per complicità nell’assassinio delo statista italiano Aldo Moro, in quanto si era rifiutato, a quel tempo, di negoziare con i terroristi delle Brigate Rosse.




Pieczenik ha rivelato in esclusiva a Infowars di aver recentemente ricevuto un mandato di comparizione dall’FBI della Florida, su intimazione sia di Eric Holder a nome del Dipartimento della Giustizia, sia del giudice distrettuale della Florida Cecilia Altonaga, che richiede la sua comparizione e l'eventuale incriminazione per aver seguito la “politica della fermezza”, rifiutando di negoziare con i terroristi, al tempo in cui lavorava per il Dipartimento di Stato durante il rapimento e il successivo assassinio dell'eminente politico italiano Aldo Moro nel 1978.

«Ho subito un’incriminazione per...essere stato coerente nel seguire la nostra “politica della fermezza” rifiutando di collaborare con i terroristi delle Brigate Rosse...35 anni dopo il Dipartimento di Stato e il Dipartimento di Giustizia, agli ordini di Obama, giusto una settimana fa, mi hanno intimato di comparire davanti alla Corte....su ordine di un procuratore italiano, con l’implicita ipotesi di venire incriminato nel caso non dovessi rivelare cosa ho fatto nel salvare l’Italia e nel rifiutare la negoziazione con i terroristi», ha dichiarato Pieczenik all’Alex Jones Show.

Pieczenik ha negato che queste accuse contro di lui abbiano a che fare con i suoi frequenti e controversi commenti espressi nel corso degli ultimi anni e quasi tutti trasmessi dall’Alex Jones Show.

Come ricordano i resoconti giornalistici, Pieczenik, uno sperimentato gestore di crisi internazionali nonché negoziatore di ostaggi per il Dipartimento di Stato, ha dichiarato che era necessario “sacrificare” Moro per la “stabilità” dell’Italia al fine di impedire che l’Italia cadesse in mano ai comunisti.

Il ruolo di Pieczenik era quello di rendere chiaro ai terroristi delle Brigate Rosse che nessun negoziato avrebbe avuto luogo e che gli Stati Uniti già consideravano Moro come morto.

Moro venne rapito da terroristi armati che lo prelevarono dalla sua auto a Roma e fu tenuto prigioniero per 55 giorni prima che lo uccidessero sparandogli.

Si era impegnato per stabilire un’alleanza tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano: una scelta che, come Henry Kissinger disse alla moglie di Moro, questi avrebbe “pagato a caro prezzo”.

La potenziale incriminazione di Pieczenik per aver sostenuto la “politica della fermezza” con i terroristi è estremamente rilevante data la valanga di critiche che in questi giorni vengono rivolte all’amministrazione Obama in merito all’accordo che ha permesso la liberazione del Sergente Bowe Bergdahl, un disertore, in cambio di cinque prigionieri talebani.

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Fonte: http://www.infowars.com/obama-administration-pursues-ex-state-department-official-for-refusing-to-negotiate-with-terrorists/

Traduzione per Megachip a cura di Tullio Cipriano.
Link su Megachip: http://megachip.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=104695&typeb=0.



Nota di Pino Cabras.

Steve R. Pieczenik è una vecchia conoscenza, l'autentico regista del caso Moro, un habitué dei media “controinformativi” di Alex Jones, eppure uno che frequenta i piani alti del potere globale, come vedremo. Ne parliamo, Giulietto Chiesa e io, nel libro Barack Obush. È un personaggio la cui biografia riempirebbe una biblioteca: «È al tempo stesso tanto l'ispiratore quanto il ghost-writer di molti romanzi spionistici di Tom Clancy, e autore egli stesso. [...], uomo dalla carriera mirabolante, che ha frequentato contemporaneamente Harvard e il Massachusetts Institute of Technolgy (cumulando le disparate qualifiche di medico psichiatra e di esperto di relazioni internazionali), che viene considerato uno dei massimi esperti al mondo di psy-ops (le operazioni di guerra psicologica), che fa parte del rockefelleriano Council on Foreign Relations, il think tank dell’élite globale.
D'accordo, un originale. Se non fosse che è stato anche vice sottosegretario con ministri del calibro di Henry Kissinger, Cyrus Vance, James Baker negli anni più delicati della Guerra Fredda, quando – ancora giovanissimo - ricopriva in giro per il mondo incarichi in stile “sono il signor Wolf, risolvo problemi”, quisquilie tipo orientare la trattativa durante il sequestro di Aldo Moro (era lui il super-consulente americano che si vedeva costantemente al fianco di Francesco Cossiga, ministro degl'Interni, nei fatidici 55 giorni).»
In cosa consisteva questo orientamento della trattativa?

Pieczenik dichiarò ad Emmanuel Amara, un giornalista investigativo francese, nel libro-intervista Abbiamo ucciso Aldo Moro:

«Francesco Cossiga ha approvato la quasi totalità delle mie scelte. Moro era disperato e doveva senza dubbio fare ai suoi carcerieri rivelazioni importanti su uomini politici come Andreotti. È stato allora che Cossiga e io ci siamo detti che era arrivato il momento di mettere le BR con le spalle al muro. Abbandonare Moro e lasciare che morisse con le sue rivelazioni. Sono stato io a preparare la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Aldo Moro, allo scopo di stabilizzare la situazione italiana».

Una piena rivendicazione della logica che ha ispirato la strategia della tensione.

In realtà, come ha dichiarato Ferdinando Imposimato, il magistrato che istruì le inchieste sul caso moro nonché autore con Sandro Provvisionato del libro "Doveva morire", Chiarelettere 2008) «non c'è stata alcuna fermezza, c'è stata una vergognosa messa in scena: il falso comunicato numero 7 che concorse ad accelerare la uccisione di Moro da parte delle BR. Il piano fu attuato da uomini della P2 al vertice dei servizi militari, attraverso mafiosi della Magliana. Lo disse Pieczenik e lo ripetè Danilo Abbruciati al giornalista Luigi Cavallo: “per Moro abbiamo fatto tutto e subito”».

L'articolo odierno su Pieczenik fa un riferimento a una rogatoria italiana rivolta alle autorità statunitensi. Se rievochiamo la cronaca del settembre 2013 dovremmo dedurre che si tratti dell'indagine del pm Luca Palamara, titolare del più recente procedimento aperto sul sequestro e l'omicidio dello statista democristiano.

Eppure, data l'abilità e l'opacità con cui Pieczenik abitualmente imprime gli effetti del suo “spin” mediatico, è d'obbligo chiedersi cosa veramente voglia muovere, e se ci siano in ballo ricatti legati alla gestione di trattative controverse più recenti, come pure lascia presagire l'autore dell'articolo.

La carriera di Pieczenik non si era certo fermata al caso Moro. Lavorò «con Saddam Hussein, quand'era nostro alleato, e contro Saddam, quando non lo era più»; guidò la squadra dei negoziatori durante gl'incontri israelo-egiziani di Camp David; partecipò alla trattativa durante la crisi degli ostaggi USA in Iran nel 1979; fu mandato dal governo americano a comunicare a Manuel Noriega che doveva andarsene da Panama, e tante altre cose ancora.

In Barack Obush ci divertiamo a snocciolare i picchi più bizzarri della sua fiammeggiante carriera: «E se molti dei lettori possono vantare alcune altre caratteristiche in comune con Pieczenik – come, ad esempio, essere maestri di pianoforte, essere nati all’Avana da madre ebrea russa e padre polacco, crescere a Tolosa e New York, aver scritto un musical all’età di otto anni - e mentre altri lettori ancora saranno autori di corposi e citati saggi sulla “Disfunzione mitocondriale e le vie molecolari per le malattie”, scritti fra un romanzo best-seller e un altro, oppure saranno insigniti per due volte dell’Harry C. Solomon Award della facoltà di medicina di Harvard e ispireranno un ruolo dell’attore Harrison Ford – si può essere quasi certi che nessuno dei lettori potrà vantarsi, senza apparire un fanfarone, di aver conosciuto personalmente Osama Bin Laden e aver lavorato con lui, naturalmente “quand'era nostro alleato”.

Steve R. Pieczenik può dirlo: ha incontrato molte volte Osama, ha collaborato con lui in Afghanistan, conosce il milieu del personaggio, sa come è stato usato, da chi e perché, e in questi anni ha continuato a frequentare gli ambienti dell’amministrazione statunitense che curavano il dossier bin Laden. Pieczenik è insomma una voce molto interna, legata all’ala più realista dell’establishment nordamericano. Soprattutto conosce – e non ne fa mistero - le strategie che hanno maneggiato il terrorismo.»

Tutto limpido, come no?

4 giugno 2014

Massacro e silenzio in piena Europa

PANDORA TV.

Lugansk – 2 giugno 2014. Le milizie di Kiev attaccano le zone urbane della città. Raid aerei e tiri di mortaio colpiscono direttamente i civili con le devastanti bombe a grappolo. Non ci sono parole per lo strazio di queste immagini. C’è solo la nostra rabbia di fronte al silenzio e alla menzogna infame dei media italiani, che tacciono: quando parlando di Ucraina non citano il massacro, ma ripetono alla virgola i comunicati di Obama, che intanto annuncia una "iniziativa di rassicurazione europea" (European Reassurance Initiative), ossia un riarmo  da un miliardo di dollari dal Mar Baltico al Mar Nero. Sul terreno, i civili muoiono già in tanti.



Fonte: http://www.pandoratv.it/?p=1057.

2 giugno 2014

Il caso Grillo-Farage, ovvero: bastona il cane finché non affoga

di Pino Cabras.

La Repubblica e il resto del coro del giornalismo in mano agli oligarchi italiani - ringalluzziti dalla recente vittoria elettorale del loro cavallo di razza, Matteo Renzi - continuano la loro campagna contro Beppe Grillo su un nuovo fronte, nato dai recenti colloqui del leader dei cinquestelle con Nigel Farage, capo del partito britannico UKIP. La campagna si concentra ora su questo partito, del quale i giornali non raccontano l'evoluzione né la storia, bensì riportano le frasi orribili pronunciate da suoi ex membri che sono stati espulsi proprio per quelle frasi.
Altre frasi inserite nella galleria degli orrori da esecrare sono invece ascrivibili direttamente a Farage. Il problema è che le sue dichiarazioni sono state tolte brutalmente dal loro contesto (di cui i media non forniscono alcuna chiave) e reinserite in un contesto nuovo che le contamina, una volta che sono associate alle frasi di coloro che Farage aveva espulso. L'effetto è distruttivo e non risparmia nemmeno i più smaliziati, ai quali arriva solo la notizia che Farage sarebbe sessista, omofobo e razzista, mentre l'UKIP sarebbe una specie di partito fascista albionico. Gli stessi giornali, in questi stessi giorni, continuano a ignorare che il governo ucraino e i suoi nuovi apparati di sicurezza hanno forti componenti di partiti fascisti, gente che fa il passo dell'oca. Questi media: dove c'è fascismo, non lo vedono, e dove non c'è, lo vedono.
Sessismo nell'UKIP? Eppure, su 24 europarlamentari UKIP eletti nel 2014, si contano 7 donne, il 30 per cento, in parte candidate come capolista nelle circoscrizioni britanniche, e tutte con funzioni dirigenti di primo piano. È una media superiore a quella di molti partiti italiani di sinistra nella loro storia. La leader del movimento giovanile, Alexandra Swann, è un'oratrice efficace portata in palmo di mano nel partito. Qualcuno comincia a fare le pulci su come sono state tradotte le frasi di Farage, e scopre gravi manipolazioni, persino nella presunta frase più famosa: «Le donne valgono meno, è giusto guadagnino meno, vanno in maternità». Non era una sua dichiarazione, bensì il titolo di un articolo che riferiva un discorso molto più articolato di Farage in merito alle attitudini che hanno avuto nel corso del tempo i datori di lavoro nel settore della finanza, dove lui stesso ha a lungo lavorato prima della carriera politica. I giornali italiani questo non lo hanno voluto sapere, e così non lo sanno nemmeno i loro lettori.
Andando a fondo della questione, se ne scoprono delle belle, ad esempio alla voce omofobia: mentre i militanti omofobi elencati nelle litanie di Repubblica e del Fatto sono stati espulsi, il primo europarlamentare UKIP eletto in Scozia nella storia, David Coburn, è un gay dichiarato che si accompagna in pubblico con l'uomo della sua vita, e che non si è certo sognato di promettere castità come fece Rosario Crocetta quando si candidò alla presidenza della Regione Sicilia. L'UKIP ha un suo coordinamento LGBT che prende posizione regolarmente in materia di omofobia. I giornali italiani questo non lo hanno voluto sapere, e così non lo sanno nemmeno i loro lettori.
Quanto al razzismo e alla xenofobia, uno degli eurodeputati eletti è il responsabile della politica economica dell'UKIP, Steven Woolfe, un brillante avvocato che è stato capolista alle elezioni dell'Autorità della Grande Londra, ed è un autentico arcobaleno di etnie di origine afroamericana, ebraica e irlandese. Un altro neoeletto è il responsabile delle politiche sulla piccola e media impresa del partito, Amjad Bashir, un signore musulmano nato in Pakistan. Eppure, un disinformatissimo Marco Travaglio scrive nel suo editoriale sul Fatto Quotidiano che l'UKIP «vuole cacciare dal Regno Unito tutti i cittadini nati altrove (Italia compresa)». Semplicemente falso.
Certo, uno dei punti su cui l'UKIP fa più battaglia è una campagna anti-immigrazione. Chi scrive ha una sensibilità radicalmente opposta, in materia. Nondimeno, per amore della verità, bisogna smontare e respingere le bugie raccontate in proposito. Se posso fare un paragone, la politica proposta dall'UKIP è in tutto simile alle politiche sull'immigrazione praticate dall'Australia, mai scardinate dalla sinistra australiana, che pure ha a lungo governato, e che le ha a lungo persino rivendicate. Non è una politica su base etnica o razziale: nasce da una visione protezionistica del mercato del lavoro nazionale, del suo welfare, e dei modi di gestione della sicurezza nei quartieri rispetto alla pressione migratoria. Ho udito propositi più drastici in materia pronunciati dal primo ministro francese, il socialista Manuel Valls. Nessuno si è stracciato le vesti, fra gli improvvisati scopritori di un “caso Farage”,
Invece degli articoli studiati per atterrire anziché informare, molte redazioni avrebbero fatto meglio a offrire un lavoro critico e giornalisticamente corretto che spiegasse perché l'UKIP non sia un fungo che inspiegabilmente cresce in una notte, bensì un partito che negli ultimi cinque anni nel Parlamento europeo ha pronunciato i discorsi più efficaci contro l'austerity europea e contro le guerre, gli stessi anni in cui quasi tutti i partiti si mettevano l'elmetto in appoggio alla troika e ai conflitti sanguinosi accesi dalla NATO.
Eppure Travaglio e altri insistono con Grillo: non allearti con Farage, perché ha punti programmatici incompatibili con il tuo programma, perciò unisciti ai Verdi. Tuttavia il presidente dei Verdi europei, l'eurodeputato franco-tedesco Daniel Cohn-Bendit, ha appoggiato tutte le guerre NATO, mentre Farage è stato un fermissimo oppositore di questi interventi militari.
Poi Travaglio e altri sottolineano: occhio, questi sono nuclearisti, non potete accordarvi con loro. Allora dovrebbe essere impossibile fare accordi con quei nuclearisti impenitenti dei comunisti francesi.
Basterebbero questi semplici fatti a obbligare tutti a fermare la macchina della “hitlerizzazione” di Farage (in realtà di Grillo), per capire meglio che la politica continentale europea è un groviglio di contraddizioni che non si presta minimamente alle verticali semplificazioni di oggi.
Possiamo discutere e perfino combattere la posizione politica assunta da Beppe Grillo. Possiamo mettere in secondo piano il fatto che voglia evitare che il M5S rimanga paralizzato dalla “non appartenenza” tecnica a un gruppo parlamentare. Possiamo anche volergli far pagare il prezzo di qualsiasi decisione politica, fa parte del gioco. Quel che non dobbiamo assecondare è il disegno di chi manipola le informazioni per buttare tutto nel calderone del “sono fascisti”.
Il problema del funzionamento dei gruppi parlamentari europei è semplice e micidiale: se gli eurodeputati non hanno i numeri per far parte di un gruppo, scatta una tagliola che porta via gli strumenti per intervenire in aula, riduce immensamente i tempi assegnati, priva i rappresentanti di risorse. Funziona in maniera assai più drastica che per i parlamenti nazionali. Per una volta, Grillo è stato molto pacato e lo ha spiegato molto bene in un articolo sul suo sito. L'eventuale accordo del M5S con UKIP sarebbe in parte politico (aumentare la massa d'urto contro la Commissione europea), in parte meramente tecnico (avere le indispensabili risorse giuridiche per intervenire). Sul resto non vigerebbe una disciplina di gruppo: i signori e le signore di UKIP, che hanno un'ideologia anarco-capitalista e anti-ecologista agli antipodi da Grillo, continuerebbero le loro battaglie pro-nucleare, mentre i cinquestelle proporrebbero piani europei per le energie rinnovabili, e così via. Mentre quando ci sarà da votare contro il TTIP o contro l'appoggio a qualche guerra, i parlamentari potrebbero votare insieme con grande efficacia. Contro quelle mostruosità non saranno certo le “larghe intese europee” a far battaglia.
Avrei preferito che il M5S puntasse a un accordo politico con Tsipras, ma nondimeno riconosco che sarebbe stato più complicato inserirsi in un gruppo molto strutturato dove funziona di più la disciplina di voto, mentre questo aspetto non interessa Farage e i suoi. Certo, con più lungimiranza di tutti, sarebbe un'altra storia. Ma intanto è così.
Il problema è che è scattata la vecchia regola del “bastona il cane finché non affoga”: dopo la sconfitta elettorale del 25 maggio, la campagna contro Grillo è più intensa, e penetra a fondo su ogni spiraglio. Di questo parliamo, quando vediamo come vengono manipolate le notizie, e nulla è davvero come lo raccontano i grandi organi di informazione.