26 gennaio 2014

Sardegna, quando la sinistra è Renzi

di Pino Cabras


Ti ci metti anche tu, Renato, con il solito trito ricatto: votate noi, altrimenti vincono le destre. E chi l'ha detto che siete voi l'alternativa? Dopo vent'anni che lo ripetete, abbiamo raccolto sufficienti prove. Queste prove hanno le facce di Renzi, di Monti, di Napolitano. Facce di rottamatori che non rottamano nulla, tranne i nostri diritti. Ci avete rifilato ogni specie di tecnocrate italiano organico all’élite planetaria, ogni cardinale del pensiero unico economico, tutti i padri nobili del feroce disastro sociale di questi anni. Il tuo partito è diventato il babbo insensibile di tutti i precari, il fratello coltello di tutti i pensionati. Ci ha fatto governare dagli uomini di Rockefeller e della Goldman Sachs, della Commissione Trilaterale e del Gruppo Bilderberg.
Ti ho votato in passato e ti stimo ancora, Soru, perché in questo quadro hai spesso avuto un certo senso per il bene comune. Ma la tua analisi politica è travolta dagli eventi. Il fronte raccolto intorno a Pigliaru è un arroccamento conservatore che non ha nulla da dire rispetto ai disastri della dittatura europea dell'austerity, non è un'alternativa.
L'alternativa c'è, e non sta lì.

22 gennaio 2014

Elezioni sarde, l'alternativa c'è

di Pino Cabras.
La Sardegna - anche se non tutti se ne sono accorti - è già diventata un laboratorio politico. È un destino che tocca a chi sopporta una crisi economica e sociale molto grave. Prendete la Grecia e l'Italia: sono massacrate da un'Europa che funziona come un regime, e sono i paesi in cui gli elettori stanno cambiando di più il loro voto. Ridimensionano i vecchi partiti e premiano i nuovi.
I partiti che fanno da guardia al vecchio ordine resistono ovunque arroccandosi: coltivano le residue clientele, sperimentano "larghe intese", accolgono chiunque abbia qualcosa da scambiare con chi si arrocca. Fuori dalla loro piazzaforte, nascono nuovi soggetti politici con un consenso di massa, anche molto diversi fra di loro. In Grecia troviamo sia la speranza di Syriza sia l'incubo nazista di Alba Dorata, in Italia c'è l'indignazione civica a cinque stelle. Ma siamo solo all'inizio.
La crisi della Sardegna ha il suo laboratorio, in vista delle elezioni del 16 febbraio. Anche qui ci sono i potentati che si arroccano. Anche qui, fuori dalla cittadella del ceto politico dominante, emergono le alternative, con buona pace di chi vive nell'illusione che le scelte siano ancora quelle due di sempre.
Sardegna Possibile è la più forte alternativa in campo, e Michela Murgia - che l'ha saputa costruire - è una personalità politica in grado di poter segnare la storia della Sardegna dei prossimi dieci anni. La criticano perché non corrisponde all'identikit dei tecnocrati presunti competenti. Normale: i partiti della crisi hanno abboccato a Monti e a Fornero, e hanno creduto a ogni portatore insano di superstizioni economiche distruttive. Da troppo tempo non hanno in casa politici di razza che abbiano visioni coraggiose, e quando fuori ne vedono uno, anzi una, non sanno riconoscerla. Si riparano sotto le care certezze degli assessorati gestiti come feudi, e dietro i passi felpati dei baroni. Chiamano competenza il volare rasoterra. Sono conservatori, e non sanno nemmeno di esserlo, come accade ormai da tempo. Non è un caso che abbiano perso per strada la maggioranza dei militanti e degli elettori.
In tutte le coalizioni sono presenti partiti indipendentisti. Nella coalizione di Michela Murgia la componente che auspica l'indipendenza della Sardegna è più forte, con un impianto ideologico anti-nazionalista e anti-etnicista. Segno dei tempi: siamo nel 2014, l'anno che propone i pacifici referendum sull'indipendenza della Scozia e della Catalogna.
Il campo del centrodestra cosa presenta? Cappellacci. E quello del centrosinistra? Capi e lacci. Ossia capibastone (direbbe Barracciu) e trappole paralizzanti. Tra Cappellacci e capi e lacci, la Sardegna è inceppata.
Ugo Cappellacci va giudicato per i suoi risultati. Oggi dice di non avere padrini e di odiare lo Stato patrigno. Cinque anni fa il Caimandrillo lo aveva pescato dalla "borghesia compradora" dell'isola, per lanciarlo con tutta la potenza di fuoco delle sue tv. Sotto i tabelloni dei palchi dominati dalla scritta Berlusconi Presidente, al ragionier Ugo venivano concessi discorsi di pochi minuti, mentre Re Bunga Bunga comiziava dovunque in modo fluviale, proprio con la postura del padrino: braccio sulla spalla del bravo ragazzo, discorsi interminabili e barzellette grasse. Lo slogan era «la Sardegna torna a sorridere». Quello slogan è il boomerang più triste della storia. Cosa abbiamo da sorridere oggi, a Cappellaccilandia? Stiamo forse meglio di cinque anni fa? Abbiamo il lavoro promesso, o ne abbiamo perso tanto? È stato trattenuto chi fuggiva a cercare speranza? Si è sanato un centimetro di territorio danneggiato? Sono diminuite le servitù militari? Si viaggia meglio? Niente di tutto ciò. Il bilancio è interamente negativo. La classe dirigente che accompagnava il disastro aveva i valori di Sisinnio Peppa Pig, gli orizzonti di Wedding Planner Sanjust, lo slancio "riformatorio" di Mario Montblanc Diana. Con un simile bilancio una classe politica va semplicemente mandata a casa, senza appello.
Anche il centrosinistra dei capi e lacci ha un bilancio in perdita. Tenta di usare un fazzoletto di seta, scelto in affanno, Francesco Pigliaru, per ricoprire un vecchio vaso sbeccato, ricolmo di oggetti alla rinfusa: renziani liberisti, comunisti senza operai, vetero-indipendentisti, notabili e sotto-boss, neo-sovranisti, gente in buona fede e profumata, politicanti incalliti meno profumati, indagati attaccati alla poltrona, innovatori così timidi da essere ormai conservatori. Tutti costoro non amano Cappellacci, certo, e pretendono il voto da chi, come loro, non lo ama. Ma non osano fare nulla di nuovo per sfidare Ugo & friends. Così formano un fronte di arroccati, ancora fiduciosi che Pigliaru, il professore renziano, possa mettere ordine, tanto poi gli imporranno gli assessori con un bigliettino e scomporranno i suoi progetti nel puzzle delle sottocorrenti politiche. Al palco in cui si presenta Pigliaru, lo scenario è in stile Renzi. Ma quando la telecamera zooma sulla prima fila del suo pubblico, inquadra le facce di sempre, sono tutti lì: il Rottamatore non rottama nemmeno gli indagati. E questi celebrano il fazzoletto di seta che li copre.
Mentre infuria la crisi, una classe dirigente siffatta non ha soluzioni, non immagina un futuro, è perfino pericolosa perché si allea con chi vuole fare carne di porco della democrazia rappresentativa. L'incontro di Renzi con Berlusconi per varare una legge elettorale incostituzionale è il bollo finale di questa marea, oggi conservatrice e domani reazionaria. Questi comandano, e per loro la Sardegna è un incidente, un niente che schiacceranno in nome di interessi "superiori".
Aggiungo una considerazione su Pigliaru. Essendomi laureato nella facoltà in cui ha insegnato, ho visto da vicino che ha formato una scuola di allievi rigorosi, che danno del tu alla matematica e alla statistica, e hanno passione per le scienze sociali. Ma vedo anche i limiti suoi e della sua scuola. Sono limiti ideologici. Pigliaru non mette in discussione l'attuale regime europeo, e quando la Banca Centrale Europea scrive i suoi diktat assurdi, lui le dà ragione. Come buona parte dei dirigenti partoriti dalla sinistra italiana negli ultimi anni, accetta in tutto le regole dell'austerity della trojka che demoliscono la civiltà europea. A lui e al suo mondo rimane il ruolo della pomata che si stende sulle ferite, causate da un'arma che non vogliono condannare né fermare. Pigliaru e Renzi sono conservatori compassionevoli sotto il ritratto di Che Guevara. Predicano la parità dei diritti, ma la grande finanza non si tocca. Raccomandano la centralità della scuola, ma accettano le regole dei licantropi che si annidano nei corridoi brussellesi, francofortini e romani, che sono la vera causa delle mancate manutenzioni sui tetti dei licei e dell'umiliazione degli insegnanti. Amministrano il poco promettendo che sarà molto, ma accettano tutto ciò che lo renderà più scarso ancora: pareggio di bilancio in Costituzione, Fiscal Compact, precariato. Sul lavoro promettono leggi danesi per preparare salari cinesi. Per cominciare, secondo Pigliaru, la Sardegna dovrà essere la prima cavia su cui inoculare il Job Act di Renzi.

Abbiamo già visto in Grecia come va a finire. Non risolleveranno un bel niente. Meno potere avranno, meglio sarà.
Se governa ancora questa classe politica, fra cinque anni a vincere le elezioni sarà chi prometterà di riconquistare il diritto perduto di tutti a mangiare tre pasti al giorno.
Ecco perché Sardegna Possibile, prima ancora di tante altre competenze e infrastrutture, rivendica la competenza numero uno di un popolo, la sua infrastruttura fondamentale: ossia la volontà di liberarsi dalle dipendenze politiche in ogni campo della vita sociale e nel territorio. Perciò non si fanno accordi elettorali con una classe dirigente che ha fallito. Semplice.
Il laboratorio sardo rinnova i suoi alambicchi, trova energie nuove, costruisce l'alternativa. Ecco perché partecipo e mi candido nella lista Comunidades, sostenuto anche dal laboratorio politico Alternativa.
Gli elettori sardi hanno in mano per la prima volta da anni un progetto che non si appiattisce sul presente. La valanga di voti al MoVimento Cinque Stelle di Grillo, un anno fa, ha dimostrato che la volontà dell'elettorato può raggiungere numeri travolgenti. Oggi c'è una proposta di governo che non chiede di delegare ogni cinque anni, ma di partecipare ogni giorno, correggendo anche gli errori, che certo ci saranno. Il progetto di Michela Murgia mi piace perché non perde tempo con il solito miraggio della crescita del PIL, ma crede a una riconversione ecologica e sociale delle produzioni, e punta a salvare i beni comuni, ad aiutare le imprese virtuose e sociali. Nel mondo si può fare. E anche qui. Una volta liberata dai feudi, la macchina della Regione potrà essere riorganizzata, senza doppioni e sprechi, con meno assessorati e più progetti, e premierà chi la farà funzionare meglio. Il baricentro sarà il servizio alle comunità della Sardegna. L'orizzonte un Mediterraneo di pace, e un ruolo diverso in Europa.

Pino Cabras è candidato alle elezioni regionali nella lista Comunidades, per la coalizione Sardegna Possibile di Michela Murgia.
 
 

10 gennaio 2014

Quanta fretta sulla Banca d'Italia

di Aldo Giannuli.


In questi giorni si sta discutendo di un progetto di sostanziale modifica dell’assetto giuridico e sostanziale della Banca d ‘Italia
Nei prossimi giorni pubblicherò un mio intervento sul tema, intanto vi segnalo la lettera che il Prof. Gianfranco d'Atri ha inviato a diverse personalità e senatori chiedendo di fermare il decreto.



Al VP della commissione Finanze del Senato
Repubblica Italiana dell ‘ Unione Europea
Senatore Francesco Molinari
E per suo tramite ai membri del Senato 

Gent.mi Senatori


Domani otto riprenderà la discussione del Decreto legge che prevede, fra l'altro,  una sostanziale modifica dell’assetto giuridico e sostanziale della Banca d'Italia. Le obiezioni a tale provvedimento sono state solo parzialmente presentate alla Vostra attenzione e i tempi imposti - inclusa una assemblea straordinaria della BdIt alla vigilia di Natale - non hanno sicuramente consentito il formarsi della necessaria consapevolezza delle conseguenze.

Le valutazioni, non politiche ma tecniche, sono state espresse da economisti e studiosi di diversa estrazione: esse vanno da specifiche critiche procedimentali a osservazioni di natura funzionale, da riflessioni sulla cessione di potestà a rilievi circa la alienazione di un patrimonio (fra cui le riserve auree). Nessuna voce favorevole è apparsa sui media, salvo alcuni comunicati stampa che evidenziano la “rafforzata indipendenza”(sic!).


Lo stesso Governatore della BCE, Draghi, ha lamentato che il Governo abbia richiesto un parere ed abbia, poi, proceduto senza attenderlo e, questo parere - ora disponibile - contiene implicite riserve e solo auspici che i provvedimenti conseguenti siano in linea con le norme (non pronunciandosi ,ad esempio , sull’aiuto di Stato alle aziende bancarie e assicurative interessate dalla rivalutazione).


E’ opportuno sottolineare che, pur essendo stata nominata (peraltro da BdIt e non dal governo o dal parlamento) una commissione di “esperti”, nessun parere è mai stato a Voi presentato ed in effetti la documentazione agli atti del Senato precisa il mero ruolo di consulenti dei nominati Gallo, Papademos e Sironi, i quali non hanno ritenuto opportuno firmare e sottoscrivere quanto rappresentato ed utilizzato come base per il DL.


D’altra parte nessuna seria perizia relativa ad un ente con all’attivo beni patrimoniali per oltre 100miliardi di euro (e posizioni peculiari, quale la riserva aurea ed il signoraggio) sarebbe, normalmente, realizzata in poche settimane da tre persone e consisterebbe in un documento di 4 pagine!


Se le Vostre opinioni possono essere discordanti circa il ruolo e le funzioni di Banca d Italia, ovvero circa le  modalità di utilizzo delle riserve auree, non possono però essere discordanti sulla eccessiva fretta e limitato approfondimento  del tema in rapporto alle conseguenze.


Qualsiasi siano le motivazioni che Vi inducono a sostenere o meno il governo nella sua azione ordinaria, i cittadini  italiani, che hanno avuto modo di conoscere cosa si sta prospettando a loro danno, Vi invitano a rinviare ogni deliberazione circa la rivalutazione, non accettando la prevaricazione di un eventuale voto di fiducia.


Prof. Gianfranco d'Atri.



(La Redazione di Megachip ha aggiunto l'editing in grassetto e in corsivo).

8 gennaio 2014

Il Mario Monti sardo

di Daniele Basciu.


Nei tempi in cui l’austerity sta distruggendo la civiltà in un intero continente si terranno in Sardegna le elezioni regionali. Il PD presenta come candidato per la presidenza l’economista Francesco Pigliaru, schierato con Matteo Renzi ed ex assessore della giunta Soru.
Bisogna aver chiaro qual è la vision di Pigliaru, è sufficiente leggere le sue parole di due anni fa. Commentando la lettera del 2011 della BCE inviata all’Italia, Pigliaru scriveva:
“Mentre aspettiamo che Berlino abbia il coraggio politico di fare la cosa giusta, noi italiani abbiamo una precisa agenda di cose da fare. L’elenco stilato il 5 agosto scorso da Draghi e Trichet nella lettera a Berlusconi basta e avanza per fare chiarezza tecnica sulle questioni principali: si tratta, in sostanza, di liberalizzare i servizi pubblici locali e i servizi professionali; di ridurre la rigidità della contrattazione salariale, per riconoscere differenze fra aziende e fra territori; di adottare la flexsecurity proposta da Pietro Ichino per avere più occupazione insieme a più garanzie per chi perde il lavoro; di mettere ordine nel sistema pensionistico, “rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità”
In altre parole perorava l’ABC del credo che sta devastando l’Europa: liberalizzazioni, privatizzazione dei servizi pubblici, deregolamentazione del lavoro, irrigidimento sulle pensioni. Interventi che, è stato già abbondamente evidenziato anche in contesto accademico (nel caso in cui qualcuno non si accorgesse di ciò che avviene guardandosi intorno), hanno avuto esiti disastrosi per la collettività. Si veda ad esempio questo ottimo documento di Stefano Lucarelli, docente di Economia Monetaria Internazionale presso l’Università di Bergamo nel dipartimento intitolato ad Hyman Minsky.

Ma perchè Pigliaru è convinto che si debbano applicare le ricette della BCE ? Semplice, perchè secondo Pigliaru il bilancio dello Stato è come quello di una famiglia, scrive: “Basta far finta che si tratti di una famiglia e il meccanismo appare in tutta la sua semplicità“.
 Questa affermazione applicata agli Stati sovrani è totalmente priva di senso, e fa parte dei “manuali di fantascienza” che vengono studiati e insegnati in molte facoltà di Economia al posto del funzionamento dell’economia reale.  Viene presentata da Pigliaru come una “condizione naturale” ma in realtà è la peculiare condizione creata in  eurozona, in cui gli Stati da monopolisti della valuta sono stati ridotti ad esserne utilizzatori, come accade nel terzo mondo. “Facendo finta” che lo Stato sia una famiglia, e che il debito pubblico debba essere gestito come il debito privato, un gruppetto di tecnocrati non eletti sta devastando un continente intero, imponendo una deflazione indotta che annienta il mercato interno per costruire una “macchina da export”, come spiega Mario Monti in questo delirio. È spaventoso che un economista Prorettore Delegato per la ricerca scientifica dell’Università di Cagliari sia portatore di questa superstizione economica, ed è grottesco il fatto che a sostenere questo economista sponsor delle ricette della BCE ci sarà anche il partito di cui fa parte il sindaco di Cagliari, che sulle “ricette della BCE” diceva queste cose qui: LINK
Dove portano queste ricette? qui (fonte tradingeconomics):


Questa è la lista dei 21 paesi al mondo con la peggior crescita anno su anno: 13 su 21 sono paesi Eurozona, che stanno “facendo le riforme”, trattano il debito pubblico come se fosse debito privato, e ignorano che la disoccupazione e la crisi economica sono una conseguenza dei deficit pubblici troppo bassi, e non del contrario.
Ma c’è in Sardegna una deformazione di lunga data, che considera come assolutamente “speciale e peculiare” quello che accade nell’isola, come se fosse un mondo a parte. Così ad esempio la deindustrializzazione in corso da oltre vent’anni è vista come una conseguenza del fatto che “l’industria petrolchimica non faceva parte delle nostre tradizioni“, ignorando completamente l’evidenza oggi lampante che la deindustrializzazione della Sardegna è stata un pezzo di un processo di smantellamento industriale molto più ampio consapevolmente condotto in Italia a vantaggio della Germania, con la svendita del sistema misto Stato-impresa che Letta intende completare da qui a breve. Il corollario è che spesso i soggetti politici locali sono visti e descritti come slegati dai partiti che li esprimono, ma qualsiasi ipotetico scenario futuro in una regione italiana deve necessariamente essere inquadrato nella realtà concreta costituita dall’Eurozona di concentramento e dall’isteria religiosa anti-debito pubblico che domina l’Europa.
E Pigliaru non è un entità autonoma. È l’espressione del partito che ha votato il pareggio di bilancio in Costituzione, il Fiscal compact, che ha sostenuto i governi Monti e Letta, e che ha posizionato un ex FMI come Cottarelli a capo della commissione spending review. É uno che scrive che “Il problema della crisi in Italia è che ha colpito un organismo economico molto debole, abituato a cavarsela con svalutazioni competitive e creazione di debito pubblico”
La Sardegna non è su Marte, è in Unione Europea. C’è la deindustrializzazione (c’è stata in anteprima), c’è la crisi, 700mila persone che vivono sotto la soglia di povertà, c’è il 41% di disoccupazione giovanile. Se Pigliaru vince le elezioni, ci sarà anche un sacerdote dell’austerity al governo dell’isola, esattamente come accade in tutta Europa, e con gli stessi risultati.
Se ne uscirà l’Italia ne uscirà anche la Sardegna, altrimenti non cambierà niente. A meno che la Sardegna non diventi uno Stato indipendente, che emette e spende come monopolista la propria moneta, di cui impone l’uso con la tassazione. Uno Stato consapevole del funzionamento dei sistemi monetari moderni fiat e del fatto che il deficit dello Stato diventa la ricchezza materiale e finanziaria del settore privato, e che spende per ottenere il benessere della collettività e la piena occupazione. Niente di nuovo, ma solo quello che Warren Mosler ha spiegato al Quebec quasi vent’anni fa e a Cagliari per due giorni interi, nel 2012, si chiama MMT.

Fonte: http://econommt.wordpress.com/2014/01/07/il-mario-monti-sardo/.



7 gennaio 2014

Credere nell’utopia

di Paolo Bartolini
da Megachip.

«L’uomo è u-topico, non ha luogo: è proprio così, non ha un ambiente, fa di tutti gli ambienti il suo mondo. L’utopia è l’unica realtà umana. La realtà è una parte dell’utopia. Il problema non è questo, ma quest’altro: l’umanità può diventare eutopica, può raggiungere una buona dimora?» (R. Màdera, L’animale visionario, pagg. 148-9, Il Saggiatore, 1999). Così scrive lo psicoanalista e filosofo Romano Màdera nel libro che mi ha permesso di conoscerlo e, da allora, di seguirne con passione l’itinerario intellettuale e spirituale. Ho scelto queste frasi per cominciare una riflessione, in realtà più volte accennata e ripresa su queste stesse pagine virtuali, una riflessione che riguarda la questione più trascurata dagli intellettuali e dai militanti del cosiddetto antagonismo politico: la soggettività rivoluzionaria.
Come ha ricordato recentemente lo stesso Màdera in un suo articolo su L’Unità, è questa carenza di interrogazione profonda sulla natura dell’individualità post-moderna a rendere distopiche e inefficaci le attuali visioni di trasformazione dell’esistente.
In altre parole e in forma perentoria: non può bastare, al compito immane di superamento della mentalità economicista del dio capitale, una prassi collettiva che ambisca a rivoluzionare politica, economia e controllo della moneta.
Difatti in mancanza di un uomo nuovo, non più oeconomicus bensì consapevole dell’inter-essere che lo costituisce a livello materiale, sociale e ontologico, non si darà alcuna alternativa duratura ed efficace allo strapotere del sistema.
La presunzione, a dispetto di molte prove contrarie, che ciò possa comunque accadere, mi sembra eredità dei vecchi massimalismi novecenteschi, per i quali solo il taglio netto dei nodi tecnici, politici ed economici può spianare la strada alla nascita di una società giusta composta da individui e comunità solidali. Tutto questo viene puntualmente immaginato, e non a caso, come un passaggio rapido e traumatico, indispensabile per sovvertire i precedenti equilibri e rapporti di forza.
Mentre ci ha pensato la Storia a smentire impietosamente i facili sillogismi delle avanguardie rivoluzionarie (che tanto mi ricordano oggi gli argomenti “razionali” di coloro che vorrebbero uscire dall’eurozona e dall’Unione Europea, senza però saper indicare uno straccio di classe politica capace di assumersi la responsabilità di gestire la transizione), oggi rimane ancora percorribile la via stretta di una rivoluzione culturale all’altezza dei tempi.
Qui si accenna, in definitiva, ad un profondo mutamento psicologico e spirituale che accompagni ed orienti le modifiche strutturali sopra accennate, al fine di rendere ogni istante di questa battaglia pieno di senso, al di là dei risultati immediati. A questo mutamento, e alla comprensione delle sue coordinate emergenti, dà un contributo di notevole spessore il filosofo Massimo Diana nel suo ultimo libro “Credere. Percorsi di umanizzazione III” (Moretti e Vitali, 2013). Questo non è lo spazio per una recensione approfondita del volume, ma l’occasione per soffermarmi brevemente su una frase del grande teologo e mistico Raimon Panikkar che Diana ha inserito nel suo lavoro dedicato al senso del credere nella nostra epoca del disincanto.
Le parole di Panikkar sono le seguenti: “Vorrei insistere sul fatto che, nel mondo moderno, solo i mistici sopravviveranno. Gli altri saranno soffocati dal sistema, se vi si ribellano, o affogheranno nel sistema, se vi si rifugiano”.
A scanso di equivoci voglio anticipare a chi legge che le considerazioni sviluppate da Diana nel libro toccano con coraggio anche temi spinosi e decisivi come la decrescita e il cambiamento degli stili di vita per una convivenza pacifica nell’ecumene planetaria. In tal senso possiamo subito affermare che, parlando di “mistici”, Panikkar e Diana non evocano affatto il disimpegno e la fuga dal mondo, ma, al contrario, indicano un cammino prima intentato che può condurci ad un modo di stare al mondo, e di liberarci dai dogmi del capitalismo neoliberista, capace di mantenersi equidistante dalla passiva accettazione dello stato di cose e da un ribellismo disperato e fine a se stesso. Essere mistici, allora, vuol dire riconoscersi in un Senso che trascende il nostro autointeresse, in una comunione vivente con gli altri, con la natura e con la Vita di cui siamo espressione originale e irripetibile.
Questo Senso è fede, fiducia, apertura alla libertà dello Spirito e sensazione immediata di co-appartenenza all’Intero. Solo in presenza di una autentica ricerca filosofica e spirituale le azioni concrete volte a trasformare il presente, dunque le iniziative etiche e politiche, possono sperare di raggiungere l’obiettivo sognato e di dar frutti che non siano avvelenati.
D’altronde appare sempre più chiaro che sono energie di questo tipo, ben diverse dalla cieca fede nel dio denaro e nei pilastri concettuali del mito competitivo che lo sostiene, a dover essere oggi messe in moto e coltivate, senza odio verso i propri avversari. Perché – ed è questa la novità più interessante messa in luce dal libro di Massimo Diana – il nostro tempo è infine maturo per una spiritualità terrena aperta all’infinito, fatta di illuminazione e di trasformazione, di misericordia e di giustizia sociale e ambientale.
L’antidoto alla furia nichilista del capitalismo globale è forse custodito dove meno ce lo saremmo aspettato: nel cuore e nei gesti di chi “crede” ancora ma non cerca la salvezza “altrove”.