30 giugno 2011
Lettera aperta a un cinico
22 giugno 2011
Milioni con Assad. Perché?
di Pino Cabras – da Megachip.
Milioni di siriani sono scesi in piazza in tutto il paese, martedì 21 Giugno 2011. La folla era un oceano a Damasco, Aleppo, Homs e Tartus. Questo scenario, nei deboli richiami sui siti dei quotidiani nostrani, si riduce a «migliaia di lealisti». La notizia viene nascosta, ma sarà difficile farlo a lungo. Quale notizia? Che esistono basi di consenso reali per le riforme annunciate dal presidente Bashar al-Assad nel suo discorso all’università di Damasco. Nel registrare questo consenso non parliamo di favoriti del regime che difendono privilegi. Non ha senso ridurre un evento simile a una misura così meschina, quando le strade proprio non ce la fanno a contenere la massa umana.
Parliamo di una forte realtà popolare, di manifestazioni di una grandezza senza precedenti nella storia della Siria. Anziché raccattare testimonianze dai social network, i grandi media farebbero bene a chiedersi perché i loro rozzi schemini sulle rivolte arabe facciano cilecca. Nel dubbio, intanto, le manifestazioni per loro non esistono. In termini puramente numerici, il confronto fra i milioni che appoggiano il presidente con le migliaia di manifestanti anti-Assad delle scorse settimane mostra un divario indiscutibile. Può non piacere, ma ignorarlo significa partecipare a una manipolazione sfacciata dell’informazione, e non fa sorgere domande corrette su cosa stia accadendo in Siria.
I familiari dei soldati, e sono tanti, hanno il polso della situazione. Non credono ai tentativi orwelliani dei grandi canali via satellite in lingua araba di raccontare bombardamenti di villaggi, massacri e fosse comuni perpetrati dal regime. In molti, persino fra quelli che conoscono le scomode prigioni del loro paese, ritengono che la Siria sia al centro di una campagna di destabilizzazione nello stile di quelle che subivano i paesi latinoamericani negli anni settanta, con gruppi armati foraggiati dall'estero, e un’escalation di misure diplomatiche in vista di un intervento militare, domani, della NATO.
I pochi giornalisti occidentali sul campo in questi mesi, e anche gli inviati di Al Jazeera prima che si dimettessero per protesta contro le false rappresentazioni della situazione in Siria e Libano, hanno tutti verificato la portata del consenso popolare al presidente, a dispetto degli innegabili problemi.
Lo schemino dittatura/libertà è in questo caso inservibile. I conti tornerebbero se si usasse lo schema sovranità/dipendenza, e magari un terzo schema: laicità/religione; e un quarto: conflitti interetnici.
Sembra che le masse siriane non vadano a consigliarsi da Rosy Bindi né da Napolitano. Hanno guardato per anni Al Jazeera, che – quando manipolava di meno le notizie e girava di più a raccoglierle – mandava quasi a morire i suoi reporter con il giubbotto antiproiettile, e quelli dimostravano come alla caduta di Saddam non sia seguito un eldorado di democrazia, ma il caos e gli eccidi in un paese usurpato, schiacciato, abusato, concretamente rovinato.
È per questo che finanche chi ha avuto la sventura di stare nelle celle riservate per anni agli oppositori, con pieno discernimento politico dice: non come in Iraq, prego. E si stringe intorno all’unica difficile, contraddittoria proposta di riforma davvero in campo, quella di Assad.
Il resto odora già di uranio impoverito, fosforo bianco e predatori sostenuti dalle aberrazioni sempre più indecenti dell’interventismo umanitario, ancora incapace di uno straccio di autocritica persino di fronte ai bombardamenti che fanno stragi di innocenti in Libia.
16 giugno 2011
Stop alla guerra libica
Fermare l'aggressione!
La nostra guerra di Libia continua, nella piena illegalità con cui è cominciata.
L'abbiamo fatta sulla base di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che viola la Carta delle Nazioni Unite, perché la Libia non stava affatto minacciando la pace e la sicurezza internazionale.
L'abbiamo fatta sulla base di un'ondata di informazioni false che non sono state mai verificate: non c'erano i 10 mila morti, non c'erano le fosse comuni; non ci sono mai stati bombardamenti su manifestazioni civili.
Migliaia di missioni di bombardamento della Nato, cui noi partecipiamo, hanno già prodotto centinaia di morti di civili. Noi uccidiamo e non proteggiamo.
Siamo intervenuti in una guerra civile sostenendo una parte contro l'altra senza nemmeno sapere chi sono quelli che diciamo di sostenere.
E finanziamo la rivolta con decine di milioni di euro. Tutto questo non è nemmeno scritto nella risoluzione dell'Onu.
Senza nessuna legittimità noi puntiamo all'uccisione del capo di uno Stato sovrano. E questo assassinio, già eseguito contro uno dei suoi figli, viene pubblicamente auspicato e conclamato dai capi delle potenze occidentali di cui siamo alleati. Stiamo assistendo inerti a un ritorno alla barbarie.
La vergogna di questo atteggiamento infame deve essere distribuita equamente tra tutte le forze politiche italiane. Solo rare voci si levano a protestare. Il pacifismo è inerte e tace anch'esso.
Ma noi non possiamo accettare in silenzio tutto ciò. Non è in nostro nome che si uccide, violando ancora una volta la nostra Costituzione.
Noi non abbiamo voce, ma vogliamo parlare a chi è ancora in grado di ascoltare. Questa aggressione deve finire.
Primi firmatari:
Angelo Del Boca
Giulietto Chiesa
Massimo Fini
Maurizio Pallante
Fernando Rossi
Luigi Sertorio
Nicola Tranfaglia
Francesco Badalini
Marino Badiale
Monia Benini
Pier Paolo Dal Monte
Ermes Drigo
FERMARE L'AGGRESSIONE!
12 giugno 2011
La doppiezza di Obama
di Pino Cabras - da Megachip.
Va bene che la giustizia e la coerenza non sono cosa di questo mondo, tanto meno in politica. Però i due pesi e le due misure che usa Barack Obama nelle crisi internazionali sono talmente squilibrati da rivelare una doppiezza che lo squalifica sempre di più. Ad esempio su Siria e Bahrain. Nei confronti della Siria di Assad, un giorno sì e l'altro pure il presidente USA chiede sanzioni in nome dei diritti umani violati, con lo stesso schema - e le stesse falsità - che hanno portato alla guerra di Libia. Nei confronti del Bahrain di Al-Khalifa, che ha schiacciato le opposizioni con l'aiuto dell'esercito saudita e con massacri e torture, invece, Obama ha disteso i tappeti rossi.
Non davanti a tutti, però. Il Principe del Bahrain Salman al-Khalifa infatti è stato ricevuto da Obama lo scorso 7 giugno alla Casa Bianca, senza conferenza stampa, né imbarazzanti foto ricordo, lasciate alla Clinton, ma con una dichiarazione di encomio per la volontà del regnante di perseguire il dialogo interno, senza menzione per le violenze. Bel dialogo davvero, con le corti marziali a pieno regime, le sparizioni di oppositori in stile argentino, e la Quinta flotta statunitense placidamente ospite dell'isola-stato araba. Il giorno che le truppe saudite hanno prestato il loro fraterno aiuto alla satrapia in difficoltà, il segretario USA della Difesa era lì a coordinare le operazioni. Rosy Bindi, forse presa dai suoi fervori per la “guerra umanitaria” in Libia, non se n’è accorta, chissà dov’era. Se n’è accorto invece quello stagionato serial killer di democrazie che risponde al nome di Henry Kissinger. L’ex segretario di Stato, mentre parlava a una selezionata platea di berlinesi, ha dichiarato, papale papale, che un cambiamento democratico in Bahrein non gioverebbe agli interessi americani. Ha pure concesso, bontà sua, che lo sconvolgimento in Bahrain e negli altri paesi arabi del Golfo Persico poneva un problema «strategico e al tempo stesso morale» per l'America. Sempre lucido questo angelo della morte, sempre bravo a individuare razionalmente i dilemmi. Scommettete cosa sceglierà, l’inventore del Piano Condor, il pianificatore delle decine di migliaia di desaparecidos? Come? Non puntate un centesimo su una scelta «morale»? Bravi anche voi. Avete imparato la lezione della Storia. Meno bravi i giornali che hanno nascosto anche queste dichiarazioni, e che continuano a ripetere il mantra delle guerre umanitarie. Sono allenati, ormai. Dimenticano l’Arabia Saudita e il Bahrein e passano con disinvoltura dalla Libia alla Siria, in sequenza.
La giustizia e la coerenza non sono cosa di questo mondo, e va bene. Ma per favore risparmiateci le lodi a Osama, questo sepolcro imbiancato che si fa campione dei diritti umanitari.