30 giugno 2011

Lettera aperta a un cinico

di Pino Cabras - da Megachip.

Caro Michele Serra,

anche se non ti conosco di persona, ti parlo con la confidenza di chi ti legge da decenni. Sono sicurissimo che nella tua casella e-mail, dopo la tua “Amaca” del 28 giugno sulla TAV, si sta riversando un subisso di messaggi, compresi quelli molto sgradevoli e arrabbiati. E ti riferiranno pure che la blogosfera e i social network sbucciano ogni singolo rigo della tua riflessione. In anni di polemiche ti sarai fatto una buccia molto grossa. Mi chiedo fino a che punto questo tegumento protettivo, una mesta corteccia di pantofole, finirà per coincidere con il cinismo conservatore che da tempo ha vampirizzato il cinismo arguto del satiro che fu. Un tempo il tuo cinismo era civismo. Oggi è solo un distacco ammodo e perbene dai rumori di questo mondo fastidioso.
Mentre te ne stai lì distante, somigli come una goccia d’acqua a quei giornalisti che una volta avevi criticato – cito a memoria - «per non saper leggere i comunicati stampa che ci manda la natura». Ricordi? Parlavi di un lago grande come la Lombardia che si era formato da un anno all’altro in Sudamerica dopo lo scioglimento di un ghiacciaio andino, e ti turbava che la stampa mainstream dedicasse solo distratti trafiletti a una notizia che la gerarchia della realtà doveva sparare a titoli cubitali. Poi te ne sei presto dimenticato anche tu, e oggi non ti fai più nemmeno queste domande, perché segui la grande corrente delle notizie. A chi dice no alla linea TAV concedi tutt’al più che si tratti di «un sacco di gente brava, ragionevole e informata». Come quando diciamo «in fondo è una brava persona».
Giornalisticamente è un po’ pochino. Togliti, anzi, scorticati per favore quelle pantofole. I giornalisti sciupano ben altre suole, se vogliono. Prova a riconoscere in modo meno sfuggente quanto davvero quella gente sia «ragionevole e informata».
Scoprirai che – partendo dai problemi di una piccola realtà territoriale - c'è un popolo che sa a menadito le regole europee, tesse relazioni di raggio continentale, studia gli intrecci societari delle imprese-monstre dei consumatori di suoli. E scoprirai che dentro queste corporation non scorge luminosi europeisti, bensì lobbysti che truccano le aste, corrompono i politici e approntano il letto alla ‘ndrangheta. Il tutto con la benedizione delle banche.
La gente che resiste all’Alta Velocità in Val di Susa non sa che farsene delle trombonate di chi promette speranze europee. Prima di fare il Carducci «su larga scala» di una nazione europea che ci salverà, caro Serra, prova ad affacciarti su un qualunque tinello della fu classe media di Atene per raccontare ai greci che «a favore di quel buco c´è l´Europa». Credo che riceveresti “τα ψάρια στο πρόσωπο”. E anche qualche “ντομάτα”.
Perché non è affatto vero che l’antitesi sia fra gli umori reazionari delle piccole patrie e la missione civilizzatrice di «un’idea di mondo più funzionale e dinamica». Guarda caso tra le realtà più tenaci della Resistenza che si oppose alla macchina da guerra germanica (a suo modo assai «funzionale e dinamica») troviamo le piccole patrie, le repubbliche partigiane delle valli. Lo sai cosa fanno i partigiani della Val di Susa che muoiono in questi anni? Fanno avvolgere le loro bare con la bandiera No TAV. Ti sembra etnicismo regressivo, questo? Non cogli il significato storico, morale, culturale di un passaggio di testimone?
Voglio proprio vedere dove sta di casa la «sentina di ogni grettezza reazionaria, di ogni chiusura di orizzonte». I valsusini hanno uno sguardo a trecentosessanta gradi, altro che orizzonti chiusi. Mentre le redazioni son piene di struzzi, questi valligiani si guardano intorno, studiano e vedono. Vedono che la loro vicenda non è l’unico “cortile” che si vuole devastare. Vedono che c’è il Mose di Venezia, il Ponte sullo Stretto, i nuovi grattacieli milanesi, la bretella autostradale ligure della Gronda, le devastazioni militari in Sardegna, le tante opere inutili e dannose. Se guardi a queste opere faraoniche, sono l’unica speranza che le classi dirigenti possono agitare per cavar sangue dalle rape e iniettarlo in una qualche “crescita economica”, ossia un modello di sviluppo ormai dannoso. Diciamo pure un cane morto, che si vorrebbe rianimare con i miliardi sottratti alle scuole. E il volto dell’Europa, l’unico sembiante dell’Europa che oggi concretamente si presenta, qual è? È quello che chiederà ogni anno per i prossimi vent’anni decine di miliardi di euro in sacrifici e tagli. O conosci altri volti politici dell’Europa? Mi dici quali sono? Quali forze politiche esistenti li incarnano? Volti che siano tangibili, non fumosi, spendibili nel dialogo con quelle genti che dovrebbero farsi distruggere la terra, in Val di Susa come altrove?
Citi la coerenza di Borghezio. Il suo mondo non è poi così coerente, visto che la Lega vuole l’Alta Velocità. Però è sicuramente possibile che personaggi terribili come lui, che criticano l’Europa dei banchieri con un’intensità che l’attuale sinistra non osa nemmeno affrontare, arrivino a vincere su tutta la linea, dopo che le nostre classi medie saranno impoverite con la complicità della sinistra. O nutri qualche speranza nel PD?
Un caro saluto,
Pino Cabras

L’AMACA del 28/06/2011 (Michele Serra, la Repubblica)
«Siamo come i galli contro i romani», dicono i no-Tav. Duole ricordare loro che i romani stravinsero, e usando una potenza soverchiante al cui confronto le legioni di Maroni sono una delegazione amichevole. Giocava, in favore dei romani, un salto tecnologico (e politico, scientifico, amministrativo, culturale, burocratico) di qualche secolo. Chi vince soggiogando popoli e paesaggi non è mai simpatico, ma spesso incarna un´idea di mondo più funzionale e dinamica, che sta in piedi perché (e fino a che) favorisce molte più persone di quante ne danneggia. La lotta dei no-Tav ha molte buone ragioni, e a parte i fanatici che usano quel luogo e quella situazione come una palestra (una vale l´altra), un sacco di gente brava, ragionevole e informata è contro quel buco nella montagna. Ma a favore di quel buco c´è l´Europa, e per quanto arbitraria e discussa sia, l´istituzione transnazionale che chiamiamo Europa è la sola speranza che abbiamo di un futuro pensato su larga scala, e condiviso con altri popoli. Un futuro che ci salvi dalla dannazione delle Piccole Patrie, che sono la sentina di ogni grettezza reazionaria, di ogni chiusura di orizzonte. Non possiamo invocarla quando ci fa comodo, l´Europa, e maledirla quando mette il naso nel nostro cortile. O la malediciamo sempre, come fa con qualche coerenza Borghezio, o ne accettiamo lo scomodo ma autorevole patrocinio.

22 giugno 2011

Milioni con Assad. Perché?

di Pino Cabras – da Megachip.


Milioni di siriani sono scesi in piazza in tutto il paese, martedì 21 Giugno 2011. La folla era un oceano a Damasco, Aleppo, Homs e Tartus. Questo scenario, nei deboli richiami sui siti dei quotidiani nostrani, si riduce a «migliaia di lealisti». La notizia viene nascosta, ma sarà difficile farlo a lungo. Quale notizia? Che esistono basi di consenso reali per le riforme annunciate dal presidente Bashar al-Assad nel suo discorso all’università di Damasco. Nel registrare questo consenso non parliamo di favoriti del regime che difendono privilegi. Non ha senso ridurre un evento simile a una misura così meschina, quando le strade proprio non ce la fanno a contenere la massa umana.
Parliamo di una forte realtà popolare, di manifestazioni di una grandezza senza precedenti nella storia della Siria. Anziché raccattare testimonianze dai social network, i grandi media farebbero bene a chiedersi perché i loro rozzi schemini sulle rivolte arabe facciano cilecca. Nel dubbio, intanto, le manifestazioni per loro non esistono. In termini puramente numerici, il confronto fra i milioni che appoggiano il presidente con le migliaia di manifestanti anti-Assad delle scorse settimane mostra un divario indiscutibile. Può non piacere, ma ignorarlo significa partecipare a una manipolazione sfacciata dell’informazione, e non fa sorgere domande corrette su cosa stia accadendo in Siria.
I familiari dei soldati, e sono tanti, hanno il polso della situazione. Non credono ai tentativi orwelliani dei grandi canali via satellite in lingua araba di raccontare bombardamenti di villaggi, massacri e fosse comuni perpetrati dal regime. In molti, persino fra quelli che conoscono le scomode prigioni del loro paese, ritengono che la Siria sia al centro di una campagna di destabilizzazione nello stile di quelle che subivano i paesi latinoamericani negli anni settanta, con gruppi armati foraggiati dall'estero, e un’escalation di misure diplomatiche in vista di un intervento militare, domani, della NATO.
I pochi giornalisti occidentali sul campo in questi mesi, e anche gli inviati di Al Jazeera prima che si dimettessero per protesta contro le false rappresentazioni della situazione in Siria e Libano, hanno tutti verificato la portata del consenso popolare al presidente, a dispetto degli innegabili problemi.
Lo schemino dittatura/libertà è in questo caso inservibile. I conti tornerebbero se si usasse lo schema sovranità/dipendenza, e magari un terzo schema: laicità/religione; e un quarto: conflitti interetnici.
Sembra che le masse siriane non vadano a consigliarsi da Rosy Bindi né da Napolitano. Hanno guardato per anni Al Jazeera, che – quando manipolava di meno le notizie e girava di più a raccoglierle – mandava quasi a morire i suoi reporter con il giubbotto antiproiettile, e quelli dimostravano come alla caduta di Saddam non sia seguito un eldorado di democrazia, ma il caos e gli eccidi in un paese usurpato, schiacciato, abusato, concretamente rovinato.
È per questo che finanche chi ha avuto la sventura di stare nelle celle riservate per anni agli oppositori, con pieno discernimento politico dice: non come in Iraq, prego. E si stringe intorno all’unica difficile, contraddittoria proposta di riforma davvero in campo, quella di Assad.
Il resto odora già di uranio impoverito, fosforo bianco e predatori sostenuti dalle aberrazioni sempre più indecenti dell’interventismo umanitario, ancora incapace di uno straccio di autocritica persino di fronte ai bombardamenti che fanno stragi di innocenti in Libia.

16 giugno 2011

Stop alla guerra libica

 stopsagherra
Fermare l'aggressione!
La nostra guerra di Libia continua, nella piena illegalità con cui è cominciata.
L'abbiamo fatta sulla base di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che viola la Carta delle Nazioni Unite, perché la Libia non stava affatto minacciando la pace e la sicurezza internazionale.
L'abbiamo fatta sulla base di un'ondata di informazioni false che non sono state mai verificate: non c'erano i 10 mila morti, non c'erano le fosse comuni; non ci sono mai stati bombardamenti su manifestazioni civili.

Migliaia di missioni di bombardamento della Nato, cui noi partecipiamo, hanno già prodotto centinaia di morti di civili. Noi uccidiamo e non proteggiamo.
Siamo intervenuti in una guerra civile sostenendo una parte contro l'altra senza nemmeno sapere chi sono quelli che diciamo di sostenere.
E finanziamo la rivolta con decine di milioni di euro. Tutto questo non è nemmeno scritto nella risoluzione dell'Onu.
Senza nessuna legittimità noi puntiamo all'uccisione del capo di uno Stato sovrano. E questo assassinio, già eseguito contro uno dei suoi figli, viene pubblicamente auspicato e conclamato dai capi delle potenze occidentali di cui siamo alleati. Stiamo assistendo inerti a un ritorno alla barbarie.
La vergogna di questo atteggiamento infame deve essere distribuita equamente tra tutte le forze politiche italiane. Solo rare voci si levano a protestare. Il pacifismo è inerte e tace anch'esso.
Ma noi non possiamo accettare in silenzio tutto ciò. Non è in nostro nome che si uccide, violando ancora una volta la nostra Costituzione.
Noi non abbiamo voce, ma vogliamo parlare a chi è ancora in grado di ascoltare. Questa aggressione deve finire.
Primi firmatari:
Angelo Del Boca
Giulietto Chiesa
Massimo Fini
Maurizio Pallante
Fernando Rossi
Luigi Sertorio
Nicola Tranfaglia
Francesco Badalini
Marino Badiale
Monia Benini
Pier Paolo Dal Monte
Ermes Drigo


FERMARE L'AGGRESSIONE! firmapetizione

12 giugno 2011

La doppiezza di Obama

di Pino Cabras - da Megachip.



Va bene che la giustizia e la coerenza non sono cosa di questo mondo, tanto meno in politica. Però i due pesi e le due misure che usa Barack Obama nelle crisi internazionali sono talmente squilibrati da rivelare una doppiezza che lo squalifica sempre di più. Ad esempio su Siria e Bahrain. Nei confronti della Siria di Assad, un giorno sì e l'altro pure il presidente USA chiede sanzioni in nome dei diritti umani violati, con lo stesso schema - e le stesse falsità - che hanno portato alla guerra di Libia. Nei confronti del Bahrain di Al-Khalifa, che ha schiacciato le opposizioni con l'aiuto dell'esercito saudita e con massacri e torture, invece, Obama ha disteso i tappeti rossi.
Non davanti a tutti, però. Il Principe del Bahrain Salman al-Khalifa infatti è stato ricevuto da Obama lo scorso 7 giugno alla Casa Bianca, senza conferenza stampa, né imbarazzanti foto ricordo, lasciate alla Clinton, ma con una dichiarazione di encomio per la volontà del regnante di perseguire il dialogo interno, senza menzione per le violenze. Bel dialogo davvero, con le corti marziali a pieno regime, le sparizioni di oppositori in stile argentino, e la Quinta flotta statunitense placidamente ospite dell'isola-stato araba. Il giorno che le truppe saudite hanno prestato il loro fraterno aiuto alla satrapia in difficoltà, il segretario USA della Difesa era lì a coordinare le operazioni. Rosy Bindi, forse presa dai suoi fervori per la “guerra umanitaria” in Libia, non se n’è accorta, chissà dov’era. Se n’è accorto invece quello stagionato serial killer di democrazie che risponde al nome di Henry Kissinger. L’ex segretario di Stato, mentre parlava a una selezionata platea di berlinesi, ha dichiarato, papale papale, che un cambiamento democratico in Bahrein non gioverebbe agli interessi americani. Ha pure concesso, bontà sua, che lo sconvolgimento in Bahrain e negli altri paesi arabi del Golfo Persico poneva un problema «strategico e al tempo stesso morale» per l'America. Sempre lucido questo angelo della morte, sempre bravo a individuare razionalmente i dilemmi. Scommettete cosa sceglierà, l’inventore del Piano Condor, il pianificatore delle decine di migliaia di desaparecidos? Come? Non puntate un centesimo su una scelta «morale»? Bravi anche voi. Avete imparato la lezione della Storia. Meno bravi i giornali che hanno nascosto anche queste dichiarazioni, e che continuano a ripetere il mantra delle guerre umanitarie. Sono allenati, ormai. Dimenticano l’Arabia Saudita e il Bahrein e passano con disinvoltura dalla Libia alla Siria, in sequenza.
La giustizia e la coerenza non sono cosa di questo mondo, e va bene. Ma per favore risparmiateci le lodi a Osama, questo sepolcro imbiancato che si fa campione dei diritti umanitari.