27 settembre 2010

11 settembre, la madre di tutte le coincidenze

di Eric Margolis, New York, 10 settembre 2010.
Traduzione per Megachip a cura di Emanuela Waldis e Pino Cabras.
Fonte: http://www.ericmargolis.com/political_commentaries/--the-mother-of-all-coincidences.aspx.


Vi proponiamo la traduzione di un articolo sull’11/9 scritto da un giornalista statunitense, Eric S. Margolis, che ha collaborato spesso con i media mainstream, dai tradizionali «Toronto Sun» e «New York Times» al più recente aggregatore di notizie «Huffington Post». L’articolo sembra segnalare che tira un’aria diversa sul tema 11 settembre. Perfino un giornalista che finora non si è discostato troppo dalle versioni governative - un conservatore che fa parte del think tank International Institute of Strategic Studies, una vita da inviato globetrotter nelle aree di crisi - perfino lui riorganizza i discorsi, i ricordi, i collegamenti dei fatti connessi all’11/9, per concludere che la verità è stata insabbiata.
Rivela anche di aver incontrato Bin Laden negli anni novanta, sebbene questa rimanga solo una sua dichiarazione. «Huffington Post» ha subito cancellato questo articolo scomodo. Non sarà l’unica resistenza ai ripensamenti, ma un giornalista a fine carriera si può concedere libertà sconosciute, e allargare l’area che rompe i tabù.

"Gli interessi economici degli Stati Uniti e strategici in Medio Oriente e il mondo musulmano sono minacciati dall’agonia della Palestina, che inevitabilmente si difende pianificando azioni terroristiche volte a colpire le ricchezze americane e persino gli stessi cittadini"
Eric Margolis. Sun Média. 2 septembre 2001.

Dall’11 settembre i lettori chiedono di continuo il mio parere su questi attacchi. Sono stato talmente sommerso da migliaia di e-mail che ancora mi gira la testa.
Una delle teorie più pittoresche è quella del generale Hamid Gul, ex direttore dell'ISI, (l’agenzia dei servizi di intelligence pakistani). Continua a sostenere che l’11 settembre fu organizzato dal Mossad israeliano e da un gruppuscolo di estrema destra formato da generali della US Air Force.
Ho ispezionato le rovine delle Torri Gemelle a New York, dove mi era capitato abbastanza spesso di cenare al ristorante dell’ultimo piano. Il centro ("Downtown") di Manhattan era avvolto da miasmi orribili e maleodoranti dovuti agli attentati. Non avevo mai respirato niente di tanto nauseante. Ho impiegato giorni per liberarmi da questo odore. Come newyorkese, questi avvenimenti mi hanno fortemente sconvolto, ma non mi hanno sorpreso, giacché nove giorni prima avevo previsto un attacco di grande portata contro gli USA. [Vedere citazione sopra – NdT]
Nel corso di una delle mie visite al Pentagono per una riunione sul Medio Oriente, ho ispezionato anche il muro esterno colpito dal terzo aereo dirottato.
Ho visto delle foto del luogo dell'impatto e non comprendo cosa sia successo a tutti i detriti dell'aereo. Non ne restava praticamente nulla.
Nel 1993, il mio volo Lufthansa per il Cairo è stato dirottato mentre sorvolava la Germania. Il pirata dell'aria di origine etiope, ci ha riportato fino a New York. Minacciava di fare schiantare l'aereo su Wall Street.
Il nostro aereo fu intercettato dai caccia F15 americani che avevano ricevuto l'ordine di sparare in caso di necessità. Ma dov’era la difesa aerea l’11 settembre 2001?
All'indomani dell’11 settembre, la CNN mi ha chiesto se ci fosse Bin Laden dietro questi attacchi. «Dobbiamo ancora vedere le prove» ho risposto. E a tutt’oggi mantengo questa stessa posizione.
Bin Laden ha negato che lui o al-Qa‛ida fossero i responsabili degli attacchi aerei dell’11/9 e della morte di quasi 3000 persone. Il complotto è stato organizzato ad Amburgo in Germania e a Madrid in Spagna, non in Afghanistan. Un pakistano, Khalid Sheik Mohammed, ha affermato di essere lui la mente dell’11 settembre, ma questo dopo che la CIA lo ha torturato sottoponendolo a 183 sedute con simulazione di annegamento.
Pur negando ogni sua implicazione, Osama Bin Laden ha detto che secondo lui le motivazioni degli attacchi di New York erano da ricercarsi parzialmente nella distruzione da parte di Israele del centro di Beirut all'epoca dell'invasione del Libano nel 1982, che aveva provocato circa 18mila vittime civili.
I video trasmessi in seguito per confermare che Bin Laden era colpevole sono dei falsi mal confezionati. Sono stati ritrovati a loro dire in Afghanistan dagli uomini dell’Alleanza del Nord che combatte i taliban, che era stata creata e finanziata dai servizi segreti russi.
Ho incontrato Osama Bin Laden in Afghanistan e ho detto alla CNN che non era l'uomo che appariva su questi video.
Subito dopo l’11 settembre, il Segretario di Stato Colin Powell aveva promesso agli americani che il Dipartimento di Stato avrebbe divulgato un "White Paper" con le prove dettagliate della colpevolezza di Bin Laden. Il governo taliban dell'Afghanistan aveva richiesto questo documento come preliminare all'estradizione di Bin Laden richiesta dagli USA.
Ebbene questo famoso "White Paper" non è mai stato diffuso, gli USA hanno ignorato le procedure legali in vigore e hanno invaso l'Afghanistan. Stiamo ancora aspettando queste famose prove.
Io non so ancora se Osama Bin Laden fosse davvero dietro questi attacchi. Numerosi elementi fattuali potrebbero far sospettare di lui e di al-Qa‛ida, ma mancano sempre all’appello le prove certe a sostegno di questa ipotesi. Una cosa è sicura: gli attacchi furono pianificati e organizzati in Germania, non in Afghanistan. Dei 19 pirati dell'aria, 15 erano sauditi, due erano originari degli Emirati arabi uniti, uno era egiziano e un altro libanesi.
Peraltro, ho detto e ripetuto fin dal giorno dell’11/9 come la pericolosità e le dimensioni di al-Qa‛ida fossero state immensamente esagerate, cosa del resto confermata dal prestigioso Istituto Internazionale di studi Strategici (IISS) nell’esplosivo rapporto pubblicato a Londra questa settimana. Il numero di membri di al-Qa‛ida, nata per combattere i comunisti afghani, non ha mai superato le 300 unità.
Attualmente, secondo Leon Panetta, capo della CIA, non ci sono non più di 50 uomini di al-Qa‛ida in Afghanistan. E tuttavia, il presidente Obama ha triplicato le truppe USA in Afghanistan, portando il loro numero a 120mila, a causa di ciò che lui definisce "la minaccia" al-Qa‛ida. Che cosa succede?
Sono tanti coloro che credono che al-Qa‛ida sia un'invenzione americana utilizzata per giustificare le operazioni militari all'estero. Non condivido questo punto di vista. Osama Bin Laden non è stato mai un agente della CIA, anche se il suo gruppo ha beneficiato indirettamente di fondi da parte della CIA per combattere i comunisti.
Tornando all’11 settembre, non riesco a capire come dei piloti dilettanti siano stati in grado di manovrare a bassa quota aerei di quelle dimensioni e colpire esattamente il WTC ed il Pentagono. Come mi faceva notare un agente dell’Intelligence pakistana, «se fossero stati veramente dei dilettanti, avrebbero fatto schiantare i loro aerei l'uno contro l'altro, non sul World Trade Center!».
L'arresto di "addetti ai traslochi" israeliani mentre filmavano gli attacchi danzando di gioia, e quello seguente di gruppi di studenti israeliani che avrebbero "seguito" i futuri pirati dell'aria, resta un profondo mistero per me. Stessa cosa dicasi per l’immobilità della difesa aerea.
La Commissione di inchiesta sull’11/9 e stata un'operazione di cancellazione, come tutte le commissioni governative. Esse nascono appositamente per occultare e non per rivelare la verità.
Nel 2006, un sondaggio di Scripps Howard e del «Washington Post» ha rivelato che il 36% di un campione di 1000 americani interrogati era convinto che dietro gli attacchi ci sia stato il governo USA. Sono molti gli americani che non credono nella versione ufficiale sull’11 settembre.
Stessa cosa per gli europei. Il mondo musulmano nel suo complesso pensa che l’11 settembre sia stato opera d’Israele e dell’estrema destra neoconservatrice guidata da Dick Cheney.
Se la versione ufficiale sull’11/9 fosse vera significherebbe che gli attacchi hanno sorpreso l'amministrazione in piena letargia mentre al contrario, proprio in quel periodo, avrebbe dovuto essere in massima allerta. Condoleezza Rice, l’incompetente perfetta, la Consigliera nazionale per la sicurezza di George W. Bush, non solo ignorò tutta una serie di avvertimenti molto preoccupanti riguardo a probabili futuri attentati, ma tagliò persino i fondi la lotta antiterroristica proprio nel periodo antecedente l’11/9.
La Casa Bianca ed i media si sono precipitati ad incolpare i musulmani sostenendo che questi «odiavano lo stile di vita ed i valori americani», diffondendo così il concetto di «terrorismo islamico» che vuole che sia la fede musulmana, e non i problemi politici, all'origine degli attacchi.
Questo balla pericolosa ha contaminato l'America, e ha portato ai massimi livelli l'islamofobia. Il continuo fracasso creato attorno alla costruzione di una moschea nel centro di Manhattan, e le minacce di un prete della Florida di bruciare testi del Corano sono i due più recenti e deplorevoli esempi di quanto possa essersi inasprito l’odio religioso.
Il commando suicida che aveva attaccato New York e Washington aveva giustificato chiaramente il suo atto: a) punire gli Stati Uniti per il loro appoggio a Israele nella sua politica di repressione contro i palestinesi; b) ciò che essi definiscono come occupazione USA dell’Arabia Saudita. Benché fossero tutti musulmani, la religione non era il fattore scatenante.
Come ha ben fatto notare il veterano della del CIA Michael Scheuer, il mondo musulmano era furioso contro gli Stati Uniti per la loro politica nella regione, e non per i valori, le libertà o la religione americana.
Queste motivazioni all'origine degli attacchi dell’11/9 sono state largamente ignorate dall'isteria crescente per via del " terrorismo islamico." L’invio di lettere contenenti antrace spedite a New York, in Florida ed a Washington proprio subito dopo l’11/9 aveva chiaramente per scopo quello di aumentare la collera contro i musulmani.
Gli autori di queste missive avvelenate non sono mai stati identificati.
Tuttavia, questi attacchi all'antrace hanno accelerato l'approvazione delle leggi semi-totalitarie del PATRIOT ACT, che hanno limitato drasticamente le libertà individuali degli americani e hanno imposto nuove leggi draconiane.
I falsi video e le cassette audio di Bin Laden. Gli attacchi all'antrace. Il Corano ritrovato intatto in modo del tutto improbabile a Ground Zero. Le prove ritrovate nella valigia che uno dei pirati pare non fosse riuscito a far imbarcare sull’aereo poi dirottato. Le affermazioni immediatamente diffuse a solo poche ore di distanza dagli eventi secondo cui al-Qai‛da fosse dietro gli attentati. Questi piloti dilettanti kamikaze e l’anomalo velocissimo cedimento delle Torri.
Ma ancora più scioccante, la registrazione del colloquio a Londra tra il presidente George Bush e il primo ministro Tony Blair, laddove si sente il presidente degli USA fare questa terribile proposta per scatenare la guerra con l'Iraq: dipingere degli aerei USA con colori dell'ONU e provocare le difese aeree irachene per spingerle ad attaccare sparando ebcreando così un "casus belli". Bush avrebbe anche preannunciato a Blair che dopo l'Iraq, avrebbe attaccato l'Arabia Saudita, la Siria ed il Pakistan.
Nel 1939, la Germania nazista aveva travestito i suoi soldati con le uniformi polacche al fine di provocare un incidente di frontiera e giustificare così l'invasione della Polonia da parte della Germania. I piani di Bush erano dello stesso stampo. Un presidente capace di concepire tali operazioni criminali potrebbe andare ben più oltre pur di realizzare i suoi sogni imperialistici.
Per un vecchio giornalista come me tutto ciò odora di marcio. Ci sono veramente troppe domande senza risposte, troppi sospetti, e poi non dimentichiamo la famosa locuzione di Cicerone che dice "cui bono", "a chi giova tutto ciò?"
Il 28 febbraio 1933, un incendio, scatenato da un ebreo olandese, distrusse il Parlamento tedesco, il Reichstag (dove Hitler non si sedette mai, NdT).
Mentre le rovine del Reichstag fumavano ancora, Adolf Hitler dichiarò «guerra al terrorismo».
Venne promulgato un decreto «per la Protezione del Popolo e dello Stato», che sospendeva tutte le protezioni legali in materia di libertà di parola, di riunione, di proprietà, e di libertà individuali. L'incendio del Reichstag permise al governo di fermare senza la benché minima procedura legale le persone sospettate di terrorismo e di dare praticamente i pieni poteri alla Polizia.
Tutto questo vi ricorda qualche cosa?
Ed ecco un'altra coincidenza sorprendente. Due anni prima dell’11/9, una serie di esplosioni in edifici abitativi in Russia uccise più di 200 persone. Si accusò il " terrorismo islamico" ceceno.
Il panico invase la Russia e favorì l'ascesa al potere dell'ex-agente del KGB Vladimir Putin.
Agenti della sicurezza russa appartenenti al FSB furono presi con le mani nel sacco mentre tentavano di piazzare esplosivi in un altro edificio, ma la storia fu soffocata.
Un ex agente del FSB, Alexander Litvinenko, che tentò di fa luce su questo episodio, fu assassinato a Londra avvelenato con polonio radioattivo.
Con lo stesso sistema i neoconservatori dell'amministrazione Bush utilizzarono sfacciatamente l’attentato dell’ 11/9 per promuovere l'invasione dell'Iraq.
Subito prima dell'invasione i sondaggi mostravano come l’80% degli americani fossero convinti, a torto, che Saddam Hussein fosse dietro gli attacchi dell’11/9.
Il Dottor Goebbels sarebbe stato fiero.
Alla fine cosa possiamo concludere?
1) Non sappiamo ancora che cosa sia veramente accaduto l’11 settembre.
2) La versione ufficiale non è credibile.
3) L’11 settembre è servito per giustificare le invasioni strategiche dell'Afghanistan e dell'Iraq ricco in petrolio.
4) gli attacchi hanno precipitato il popolo americano in guerre contro il mondo musulmano e hanno arricchito l'industria USA degli armamenti.
5) L’11 settembre ha favorito i neoconservatori pro-israeliani, dando le redini del potere a questo gruppo inizialmente marginale, e con questi ha rafforzato anche l'estrema destra totalitaria americana.
6) la guerra ingiustificata di Bush contro l'Iraq ha distrutto uno dei due grandi nemici dell'Israele.
7) L’11 settembre ha immerso l'America in quello che potrebbe essere definito uno stato di guerra permanente contro il mondo musulmano, il che era uno dei principali obiettivi dei neoconservatori.
Ma a tutt’oggi io non ho prove di come l’11 settembre sia stato un complotto ordito dall'estrema destra o da Israele oppure sia il risultato di una gigantesca operazione di depistaggio («cover-up»).
Forse fu soltanto la "madre" di tutte le coincidenze.
Oppure ha potuto non essere che l’azione di 19 arabi furibondi e un'amministrazione Bush maldestra alla ricerca di un capro espiatorio.

Traduzione per Megachip a cura di Emanuela Waldis e Pino Cabras.
Fonte: http://www.ericmargolis.com/political_commentaries/--the-mother-of-all-coincidences.aspx.

25 settembre 2010

Ahmadinejād e l'11/9

di Pino Cabras –da Megachip.


In qualche modo è giunta a tutti la notizia che il 24 settembre 2010 il presidente iraniano Mahmūd Ahmadinejād ha posto la questione della verità sull’11 settembre 2001 in una sede solenne, l’Assemblea Generale dell’Onu. Sia lo speaker sia l’argomento sono fra i più difficili da trattare nella sfera del pubblico dibattito in Occidente, perché quando si parla di loro i media si mettono l’elmetto in testa, dentro una logica militarizzata, la stessa che ha portato in altre circostanze - che so, «La Repubblica», «Le Monde» - a chiudere un occhio sulle menzogne che poi sostennero l’Occidente nel dare inizio ai massacri iracheni. Sfumature, concessioni, parziali apprezzamenti, atteggiamenti spassionati, sono tutte cose scoraggiate, quando si va come alla guerra.
Gli ostacoli alla guerra diventano altrettanti nuovi Hitler, anche quando dicono cose comprensibilmente politiche, ragionevoli, discutibili, controverse, ma ancora perfettamente dentro il campo del razionale. I nostri giornali non hanno quasi più corrispondenti in Medio Oriente, e al nostro pubblico (ma ho l’impressione anche alle élite) rimangono idee vaghe delle ragioni politiche di quelle comunità. Se dovesse servire lo ribadisco ancora, per capire come la penso: Ahmadinejād non mi piace, così come non mi piace il suo sottostare a quella specie di Vaticano moltiplicato per dieci che condiziona clericalmente la vivace e dialettica vita politica iraniana. Penso che la società e la repubblica iraniana debbano e possano trovare un modo per “costituzionalizzare” la forte opposizione interna al regime politico degli ayatollah dentro un nuovo compromesso che garantisca certo la sovranità nazionale dell’Iran, ma nei termini di una società con istituti democratici più solidi.
Tuttavia guardo freddamente a come in Occidente viene affrontato Ahmadinejād e scopro abnormi distorsioni del suo pensiero. Vorrei poterlo leggere senza i troppi aggettivi con cui viene filtrato. Magari leggendo il testo autentico e criticarlo con il mio giudizio. Non voglio capitolare davanti all’istupidimento della propaganda di ogni risma, voglio vedere le carte.

[Lo faccio spesso su Ahmadinejād e pertanto, per non farla lunga qui, vi propongo di leggere, quando vi va bene, altri articoli in cui analizzavo i meccanismi con cui sono manipolati i suoi discorsi (QUI e QUI), o alcune considerazioni sull’uso della recente vicenda Sakineh (QUI).]
Il discorso al Palazzo di Vetro è stato presentato dai media più importanti secondo la linea poi riassunta da Obama: parole «odiose e offensive».
Per chi voglia leggersi l’intero discorso, c’è invece la traduzione di Massimo Mazzucco.
Per quel che in particolare riguarda il ragionamento del presidente iraniano sull’11 settembre, vi proponiamo qui direttamente gli estratti da noi tradotti. Come potrete vedere, non si tratta di parole «odiose e offensive». Riportano un dubbio che si fa strada sempre di più in merito alle verità correnti della vicenda 11/9 proposte da governi e media occidentali. Sappiamo che questo dubbio può essere utilizzato da Ahmadinejād per criticare l’impianto delle guerre volute dai paesi che hanno invaso i paesi confinanti al suo.
Ma occorre andare oltre i suoi interessi. Porre fine a quei massacri e pericoli è interesse suo come nostro. La guerra afghana e quella irachena non sono risolte. L’evento fondante della Guerra Infinita, la rappresentazione mitologica dell’11/9, va rivisto, senza fermarsi alle verità fin qui ufficializzate. Per fare un esempio storico: in Italia si tentò di ragionare sulla Strategia della tensione che coinvolse nello stragismo pezzi importanti degli apparati statali in un disegno politico dagli effetti duraturi: parlare di settori deviati e complici con coperture statali fu il primo passo di un'ipotesi investigativa seria, anche nel caso delle stragi del 1992-1993. Sono segreti difficili da scardinare. Pensate cosa ha detto il procuratore Roberto Scarpinato in un'intervista a Marco Travaglio in merito alle complicità dello stragismo italiano: «Molte stragi d’Italia nascondono retroscena che coinvolgono decine, se non centinaia di persone. Pensi a Portella della Ginestra: la banda Giuliano, i mafiosi, i servizi segreti, esponenti delle Forze dell’ordine, il ministero dell’Interno. Pensi alle stragi della destra eversiva. Così quelle politico-mafiose del 1992-93. La storia insegna che quando un segreto dura nel tempo sebbene condiviso da decine e decine di persone, è il segno che su quel segreto è impresso il sigillo del potere. Un potere che cavalca la storia riproducendosi nelle sue componenti fondamentali e che eleva intorno al proprio operato un muro invalicabile di omertà, perché è così forte da poter depistare le indagini, alimentare la disinformazione, distruggere la vita delle persone».
Per molti versi è anche il ritratto dello stragismo globale conosciuto a partire dalla fase inaugurata l'11 settembre 2001 (si pensi al 7 luglio 2005 londinese).
Nell'intrico bellico mediorientale non potranno mai funzionare delle "exit strategy" che vogliano fare a meno di questi elementi: 1) un coinvolgimento politico dell'Iran; 2) una revisione delle ragioni fondanti della "guerra al terrorismo", ossia una seria inchiesta; 3) un piano di lungo termine per la questione della Terra Santa.
L'alternativa è più guerra ancora. In quest'ottica, le parole che seguono non appaiono affatto gli insulti del pazzo che qualcuno dipinge, bensì i ragionamenti di un uomo politico con cui converrà parlare.


Ecco gli estratti sull’11 settembre del discorso di Mahmūd Ahmadinejād all’Assemblea Generale dell’Onu:
L’evento dell’11 settembre (…) ha condizionato il mondo intero per circa un decennio.
Tutto ad un tratto, le notizie dell’attacco alle torri gemelle sono state trasmesse utilizzando numerosi filmati dell’incidente.
Quasi tutti i governi e i personaggi noti condannarono duramente questo incidente.
Ma poi si attivò una macchina della propaganda in tutta la sua potenza; si considerò implicito che tutto il mondo fosse esposto a un grandissimo pericolo, chiamato terrorismo, e che l’unico modo per salvare il mondo fosse quello di dispiegare delle forze in Afghanistan.
Alla fine l’Afghanistan, e subito dopo l’Iraq, sono stati occupati.
Prego prendete nota:
È stato detto che circa tremila persone sono state uccise l’11 Settembre e per questo tutti noi ci siamo tutti molto rattristati. Come, fino ad oggi, in Afghanistan e in Iraq centinaia di migliaia di persone sono state uccise, ci sono milioni di feriti e sfollati, e il conflitto è ancora in atto e si sta espandendo.
Nell’identificare quei responsabili degli attacchi, ci sono state tre versioni.
1) Che un potentissimo e complesso gruppo terroristico, capace di raggirare con successo tutti i livelli dell’intelligence e della sicurezza americana, effettuò l’attacco. Questa è la versione ufficiale sostenuta dagli statisti americani.
2) Che qualche segmento all’interno del governo USA ha orchestrato l’attacco per invertire il declino dell’economia americana e la sua influenza in Medio Oriente con lo scopo di salvare il regime sionista. La maggioranza del popolo americano così come delle altre nazioni e politici concordano con questa versione.
3) E’ stato commesso da un gruppo terroristico, ma il governo americano lo ha supportato e ha approfittato dalla situazione. Apparentemente, questa versione ha pochi sostenitori.
La prova principale di colpevolezza che viene collegata all’incidente erano alcuni passaporti trovati in mezzo a un’enorme massa di detriti e un video di un individuo il cui domicilio era sconosciuto ma era noto che fosse coinvolto in affari petroliferi con alcuni funzionari americani. È stato anche omesso e detto che, a causa dell’esplosione e del fuoco, nessuna traccia degli attentatori suicidi è stata trovata.
Rimangono, comunque, alcune questioni a cui occorre rispondere:
1) Non sarebbe stato ragionevole che una prima indagine approfondita fosse condotta da gruppi indipendenti per identificare definitivamente gli elementi coinvolti nell’attacco e poi elaborare un piano razionale per prendere dei provvedimenti contro di loro?
2) Prendendo per buona la versione del governo americano, è razionale scatenare una guerra classica con un amplissimo dispiego di truppe che ha provocato la morte di centinaia di migliaia di persone per combattere un gruppo terroristico?
3) Non è stato possibile agire nel modo in cui l’Iran ha combattuto il gruppo terroristico Riggi che ha ucciso e ferito 400 persone innocenti in Iran? Nell’operazione iraniana a nessun innocente è stato fatto del male.
Si propone che le Nazioni Unite istituiscano una commissione d’inchiesta indipendente sugli eventi dell’11 settembre affinché in futuro non sia proibito esporre punti di vista sulla questione.
Desidero annunciare qui che l’anno prossimo la Repubblica Islamica dell’Iran ospiterà una conferenza di studio sul terrorismo e sui mezzi per affrontarlo. Invito funzionari, studenti, intellettuali, ricercatori e istituti di ricerca di tutti i paesi a partecipare a questa conferenza.

Traduzione per Megachip a cura di Cipriano Tulli

Il testo completo del discorso di Ahmadinejad all’Onu: IRNA.
La traduzione per luogocomune.net a cura di Massimo Mazzucco: (QUI)
La traduzione e trasmissione curata da Russia Today:



18 settembre 2010

Lo scandalo Sakineh

di Thierry Meyssan*
Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras.



Il saggista Bernard- Henry Lévy e il Presidente Nicolas Sarkozy hanno mobilitato l'opinione pubblica francese per sottrarre alla lapidazione una donna iraniana accusata di adulterio. Sommersi dall’emozione, i francesi non si sono presi il tempo per verificare l’accusa, fino a che Dieudonné MBala M’Bala non è andato a Teheran. Una volta lì, la vicenda si è rivelata del tutto falsa.
Thierry Meyssan si sofferma su questa spettacolare e azzardata manipolazione.

L’annuncio di un autodafé del Corano da parte di un pastore statunitense in occasione del nono anniversario degli attentati dell'11 settembre ha scosso il mondo musulmano. La notizia ha avuto contraccolpi diversi a seconda delle culture.
Per gli occidentali questa provocazione va relativizzata. Certo, si tratta di un libro che i musulmani reputano sacro, ma alla fine non è altro che carta che brucia.
Al contrario, nel mondo musulmano, si ritiene che nel bruciare il Corano si tenti di separare gli uomini dalla parola “divina” e di negar loro la salvezza.
Ne sono conseguite reazioni emotive incontrollabili che gli occidentali percepiscono come isteria religiosa. Mai una cosa simile potrebbe manifestarsi in Europa, e ancor meno in Francia, paese forgiato da un secolo di combattiva laicità. Eppure ...

Mobilitazione
Di recente il saggista Bernard-Henri Lévy [1] ha messo in guardia l'opinione pubblica sul caso di Sakineh Mohammadi-Ashtiani, una giovane donna che avrebbe dovuto essere condannata alla lapidazione per adulterio. Ha lanciato una petizione su internet per fare pressione sulle autorità iraniane affinché rinunciassero a cotanta barbarie.
In costante contatto telefonico con il figlio della vittima, che vive a Tabriz (Iran), e con il suo avvocato, Javid Houstan Kian, da poco trasferitosi in Francia per sottrarsi al regime, Lévy non è stato avaro di dettagli: la lapidazione, la cui messa in pratica sarebbe stata interrotta da una moratoria, sarebbe ricominciata su impulso del presidente Ahmadinejad. L’esecuzione della signora Mohammadi-Ashtiani, avrebbe potuto avverarsi alla fine del Ramadan. Nel frattempo, il direttore della sua prigione, furioso per via del chiasso mediatico, le avrebbe fatto infliggere 99 frustate.
Il saggista concentra i suoi attacchi sulle modalità dell’esecuzione. Scrive:
«Perché la lapidazione? Non esiste un altro modo di dare la morte, in Iran? Perché è il più abominevole di tutti. Perché questo attentato contro il volto, questa pioggia di pietre su un volto innocente e nudo, questo raffinarsi della crudeltà che arriva persino a codificare le dimensioni delle pietre per assicurarsi che la vittima soffra più a lungo, sono un raro concentrato di disumanità e barbarie. Perché c’è, in questa maniera di distruggere un volto, di farne esplodere la carne e ridurla a un magma sanguinante, perché c’è in questo gesto di bombardare una faccia fino a farne uscire poltiglia, qualcosa di più che il mettere a morte. La lapidazione non è una condanna a morte. La lapidazione è più che una condanna a morte. La lapidazione è la liquidazione di una carne che è stata processata, in un qualche modo retroattivo, proprio questa carne: la carne di una donna giovane e bella, forse amante, forse amata, e che ha forse goduto di questa felicità di essere amata e di amare.»
Il presidente Sarkozy ha confermato le informazioni di Lévy in occasione della conferenza annuale degli ambasciatori di Francia, [2]. Al termine del suo discorso, ha dichiarato che la condannata era ormai «sotto la responsabilità della Francia».
Ben presto, numerose associazioni e personalità hanno aderito a questo movimento e sono state raccolte più di 140.000 firme. Il primo ministro François Fillon è apparso sugli schermi del principale telegiornale della televisione pubblica per esprimere la sua solidarietà a Sakineh, «sorella di noi tutti», mentre l'ex segretario di Stato per i Diritti Umani, Rama Yade, affermava che la Francia faceva ormai di questo caso una « questione personale».

Mistificazione
Benché non ne abbiano coscienza, la reazione emotiva dei francesi rimanda alla parte religiosa del loro inconscio collettivo. Che siano cristiani o meno, sono stati segnati dalla storia di Gesù e dell'adultera.
Ricordiamo il mito [3].
I farisei, un gruppo di ebrei arroganti, tentano di mettere in difficoltà Gesù. Gli portano una donna appena sorpresa in flagrante adulterio. Secondo la Legge di Mosè, dovrebbe essere lapidata, ma questa sanzione crudele è fortunatamente caduta in disuso. Chiedono allora a Gesù cosa convenga fare: se raccomanderà che la si debba lapidare, apparirà come un fanatico, se rifiuta di punirla, sarà messo sotto accusa per avere sfidato la Legge. Tuttavia, Gesù salva la donna rispondendo loro: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra». Ha dunque invertito il dilemma: se i farisei la lapidano, pretendono di essere puri, se non lo fanno, sono loro a violare la Legge. E il testo precisa: «Si ritirarono uno a uno, a partire dai più anziani».
Questo mito nel pensiero occidentale è il fondamento della separazione tra legge religiosa e civile. L'adultera ha peccato davanti a Dio e non deve renderne conto che a lui. Non ha commesso un reato e dunque non può essere giudicata dagli uomini.
La lapidazione annunciata di Sakineh è avvertita dai francesi come una terribile regressione: la Repubblica islamica dell’Iran dev’essere un regime religioso che applica la Legge di Mosè rivista alla luce del Corano, la Shari‘a. I mullah devono essere dei fanatici fallocrati che reprimono gli amori delle donne fuori del matrimonio e le tengono sottomesse agli uomini. Accecati dal loro stesso oscurantismo, arrivano a uccidere e nella maniera peggiore.
Qui si tratta proprio di isteria religiosa collettiva, perché in un caso del genere la reazione normale di chiunque sarebbe dovuta essere quella di verificare i capi d’accusa. Ma per settimane nessuno si è preso la briga di farlo.

Interrogativi
diedonnembalambalaAvendo a sua volta firmato questa petizione, il leader del partito antisionista Dieudonne M'Bala M'Bala, trovandosi a Teheran nel quadro di un progetto cinematografico, ha desiderato intercedere in favore della condannata. Ha chiesto udienza dalle autorità competenti ed è stato ricevuto da Ali Zadeh, vice presidente del Consiglio della Magistratura e portavoce del Ministro della Giustizia.
L'intervista deve essere stata sul genere di una farsa: con Zadeh che si domandava se il suo interlocutore, umorista di professione, non lo stesse per caso prendendo in giro nel dargli conto della sua apprensione. Mentre dal canto suo M'Bala M'Bala si faceva ripetere più volte le risposte alle sue domande, non potendo credere di essere stato manipolato sino a quel punto. La Repubblica islamica, succeduta alla dittatura dello scià Reza Pahlavi, si è innanzitutto preoccupata di porre fine all’arbitrio e di instaurare uno Stato di diritto quanto più possibile rigoroso. Per quanto riguarda i delitti da giudicare in corte d’assise, già da lungo tempo è previsto l’appello. In qualunque stato della causa, La Corte di Cassazione può essere automaticamente interpellata per verificare la legittimità della procedura. Il sistema giudiziario offre garanzie assai superiori rispetto a quelle dei tribunali francesi, e gli errori sono molto meno frequenti.
Tuttavia, le condanne hanno conservato una particolare durezza. Il paese applica in particolare la pena capitale. Piuttosto che ridurre il “quantum” delle pene, la Repubblica islamica ha scelto di limitarne l’applicazione. Il perdono delle vittime, o dei loro familiari, è sufficiente per annullare l'esecuzione delle pene. Proprio per via di questa disposizione e del suo uso massiccio, non esiste l’istituto della grazia presidenziale.
La pena capitale è spesso comminata, ma molto raramente applicata. Il sistema giudiziario prevede una dilazione di circa cinque anni tra la sentenza e la sua esecuzione, nella speranza che la famiglia della vittima conceda il perdono, e il condannato sia perciò graziato e immediatamente liberato. In pratica, le esecuzioni capitali riguardano soprattutto i grossi trafficanti di droga, i terroristi, e gli omicidi di bambini. L'esecuzione è eseguita per pubblica impiccagione.
Possiamo sperare che la rivoluzione islamica continuerà la sua evoluzione e abolisca prossimamente la pena di morte.
Comunque sia, la Costituzione dell’Iran si basa sul principio della separazione dei poteri. La magistratura è un potere indipendente e il presidente Ahmadinejad non può interferire con una qualsivoglia decisione dei tribunali.

Manipolazioni
Nel caso Sakineh, tutte le informazioni diffuse da Bernard-Henry Levy e confermate da Nicolas Sarkozy sono false.
1. Questa signora non è stata processata per adulterio, ma per omicidio. Inoltre, in Iran non è prevista la condanna per adulterio. Anziché abrogare questa incriminazione, la legge ha prescritto delle condizioni, per poter stabilire il fatto, impossibili da mettere insieme: occorre che quattro persone siano state testimoni nello stesso istante. [3]
2. La Repubblica islamica non riconosce lo Shari‘a, bensì esclusivamente la Legge civile votata dai rappresentanti del popolo in seno al Parlamento.
3. La signora Mohammadi – Ashtiani ha drogato il marito e l’ha fatto uccidere nel sonno dal suo amante, Issa Taheri. Lei e il suo complice sono stati giudicati entrambi in primo e secondo grado. Gli «amanti diabolici» sono stati condannati a morte in tutti e due i gradi del giudizio. La Corte non ha fatto distinzioni di sesso nel pronunciare la condanna degli accusati. Va notato che, nell’atto di accusa, la relazione intima tra i due assassini non è menzionata, proprio perché non la si può provare secondo la legge iraniana, quantunque i parenti la dichiarino come un fatto certo.
4. La pena di morte potrà essere eseguita per impiccagione. La lapidazione, che era in vigore sotto il regime dello scià e per qualche anno ancora dopo la sua deposizione, è stata abolita dalla Rivoluzione islamica. Indignato per le asserzioni di Bernard-Henri Lévy e Nicolas Sarkozy, il vicepresidente iraniano del Consiglio della magistratura ha dichiarato a Dieudonne M'Bala M'Bala di voler sfidare le insigni personalità sioniste a trovare un testo di legge iraniana in vigore che preveda la lapidazione.
5. La sentenza è ora all'esame della Corte di Cassazione, che deve verificare la regolarità di ogni dettaglio della procedura. Se questa non è stata scrupolosamente rispettata, la sentenza sarà annullata. Questa procedura di riesame sospende il processo. Poiché questo non è ancora definitivo, l'imputata gode tuttora della presunzione di innocenza e non si è mai posta la questione di giustiziarla alla fine del Ramadan.
6. Javid Houstan Kian, presentato come l’avvocato della Signora Mohammadi-Ashtiani, è un impostore. È legato al figlio dell’accusata, ma non ha ricevuto alcun mandato da questa signora e non ha avuto alcun contatto con lei. E’ membro dei Mujaheddin del popolo, un'organizzazione terroristica protetta da Israele e dai neo conservatori [4].
7. Il figlio della donna vive normalmente a Tabriz. È libero di esprimersi senza impedimenti e telefona spesso a Lévy per criticare il proprio paese, a riprova del carattere libero e democratico del suo governo.
In definitiva: niente, assolutamente niente nella versione Sarkozy-Lévy della vicenda di Sakineh Mohammadi-Ashtiani, è vero. Forse, Bernard- Henry Lévy ha rilanciato in buona fede delle accuse false che servivano alla sua crociata contro l'Iran.
Quanto al presidente Nicolas Sarkozy non può invocare la negligenza. Il servizio diplomatico francese, il più prestigioso al mondo, gli ha certamente indirizzato tutti i rapporti sul caso. Ha dunque deliberatamente mentito all’opinione pubblica francese, probabilmente per giustificare a posteriori le drastiche sanzioni prese contro l'Iran a danno soprattutto dell'economia francese, già duramente deteriorata dalla sua politica.

*Thierry Meyssan, Analista politico francese, presidente-fondatore del Réseau Voltaire.
Fonte: http://www.voltairenet.org
Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras.

[1] Si veda il dossier Bernard-Henry Lévy, Réseau Voltaire.
[2] Discours à la conférence annuelle des ambassadeurs de France, di Nicolas Sarkozy, Réseau Voltaire, 25 agosto 2010.
[3] Il termine mito deve essere preso qui nel senso più neutro. Che si creda o no ai Vangeli, la storia della donna adultera appartiene alla simbologia occidentale.
[4] Sullo stesso tipo di disinformazione, si legga Pour diaboliser l’Iran, «Rue 89» confond crimes pédophiles et homosexualité, Réseau Voltaire, 13 juillet 2007.
[5] Si veda il dossier Les Mujahedin-e Khalq, Réseau Voltaire.


Nota di Pino Cabras

L’articolo di Thierry Meyssan, al di là di qualche ossequio di troppo alle presunte virtù liberali del governo iraniano, che purtroppo dà invece oltremodo da fare ad Amnesty International, e al di là di alcune imprecisioni, espone nondimeno dei fatti molto importanti, in grado di ridimensionare drasticamente la rappresentazione corrente della vicenda.

Mi rendo conto che il caso Sakineh, come ogni minaccia concreta della violenza di Stato su una vita umana con un nome e un cognome, ha risvolti morali che ci fanno sentire responsabili della difesa di quella vita e proprio quella. Ma nel caso di specie il piccolo vagone del caso giudiziario iraniano è inserito in un lungo treno composto da carrozze cariche di buona fede e soprattutto da una potente locomotiva mediatica che ha altri scopi, anche se li dissimula benissimo.
Personalmente uso un criterio guida che negli ultimi anni mi ha fornito una mappa infallibile nel percorso delle notizie, anche se sembrerà solo una battuta: quando in una causa compare la firma, l'engagement, il supporto battagliero di Bernard-Henry Lévy, dobbiamo sapere che quella causa è irrimediabilmente contaminata da gravissime falsità: è accaduto nella guerra dell'Ossetia del Sud nel 2008, nella strage di Gaza del 2009, e ora sull'Iran.

I fomentatori della campagna su Sakineh sono stati abilissimi.

Si parte da una causa in sé giusta, su cui già si impegna Amnesty International come in mille altri casi che nessuno di norma si fila.

La si deforma stuzzicando il pregiudizio antiislamico e dipingendola come l'oppressione del Regime sulle donne.

La si personalizza nello stile del "reality show" in base all'assunto che se di un individuo conosci il nome automaticamente diventa un tuo "prossimo" e tirarti fuori sarebbe disumano.

Si crea l'evento autopropulsivo e alla moda, con i VIP - compresi quelli davvero perbene - che associano la loro faccia e la loro lacrima con quel nome concreto.

Si lanciano coinvolgenti aggiornamenti che trascinano la stampa progressista e chi ha un approccio vivace, onesto e impegnato alle notizie.

Infine si scarica il tutto sull'immagine demonizzata di Teheran per costruire il consenso preventivo alla prossima guerra contro l'Iran, durante la quale centinaia di migliaia di donne - come in Iraq - saranno lapidate dalle bombe di un Occidente così femminista da non voler disturbare con un ricordo i loro troppi nomi.

L'articolo di Meyssan richiama il fatto che la procedura penale iraniana attuale rende ardua se non impossibile l’esecuzione di una condanna per adulterio, potendo procedersi solo in presenza di quattro testimoni del fatto, una testimonianza che “deve essere basata sull’osservazione e non sulle congetture”. È una di quelle salvifiche ipocrisie formali dettate dal buon senso che rendono il mondo islamico molto più flessibile di quanto ci si aspetti: si omaggia la forma, gli articoli della legge penale ricalcano certi precetti della Shari‘a, per cui si tiene in piedi un vecchio istituto, ma lo si rende inapplicabile. Quattro testimoni che assistono tutti alla consumazione di un adulterio sarebbero un "unicum" statistico perfino a San Francisco.
La vita pratica dei paesi musulmani offre vari esempi. Mi viene in mente l'istituto islamico del "matrimonio temporaneo", che può durare addirittura solo mezz'ora, con tanto di dote matrimoniale conferita dallo "sposo", anche in vile denaro: così quella mezz'ora la sta passando mica con una prostituta, ma con una moglie.
O i musulmani dello Xinjang che mangiano tranquillamente maiale perché a tavola lo chiamano "montone", riproducendo le gesta dei preti nostrani che mangiavano carne nei venerdì di Quaresima con la formula "ego te baptizo piscem".
A qualunque latitudine la giustizia divina si piega al pragmatico convenzionalismo del vivere umano. Si chiama ipocrisia. Ma l’ipocrisia riporta la durezza della Legge al passo delle cose mondane. Nel male, ma anche nel bene.

La controprova dei due pesi e due misure l'abbiamo dal silenzio della stampa mainstream sul caso di Teresa Lewis. Meritava forse meno clamore? In base a quale ragione, peso, qualità di una vita umana?



14 settembre 2010

Ecco i video mai visti, ecco le minacce

di Pino Cabras - da Megachip.


Video dell’area di Ground Zero, mai vista così da vicino, e puntuali minacce. Così è trascorso il IX anniversario dei mega-attentati di New York per Kurt Sonnenfeld, il documentarista ufficiale della protezione civile USA. Proprio mentre diversi siti stavano divulgando con il contagocce immagini inedite dell’11 /9, Sonnenfeld ha cominciato a diffondere una parte delle tante ore di riprese da lui realizzate in mezzo ai fumi inestinguibili di Ground Zero nelle settimane successive. Lo ha fatto dal suo esilio in Argentina. E proprio l’11 settembre scorso, a quanto denuncia, ha subito ancora una volta - assieme alla sua famiglia – delle azioni persecutorie e minacciose in pieno giorno, esattamente quando si trovava assieme a giornalisti.


Difficile non pensare a un nesso con le immagini inedite appena annunciate, che avrebbe messo on line poco dopo. Le riprese che vedrete qui di seguito sono una prima mondiale. Vedrete Ground Zero da vicino come mai prima d’ora.




«È impossibile vivere con questo livello di minacce, sappiamo che questo tipo di azioni dei servizi segreti fa parte del protocollo che precede una “cattura extralegale”, un termine sofisticato dei servizi per ricoprire un’azione vile come può esserlo un sequestro», ha affermato Kurt Sonnenfeld.
Sua moglie Paula Sonnenfeld ha aggiunto: «Agli Stati Uniti e ai loro servizi dà fastidio la nostra attitudine alla lotta. Oggi, quando è accaduto questo strano episodio alla porta di casa, stavo in terrazza mentre parlavo con un giornalista radiofonico in vista di un’intervista che ci faranno il prossimo giovedì. Sono uscita dal soggiorno perché li dentro c’era Kurt insieme a due giornalisti che lo intervistavano».
Cosa è accaduto, esattamente?
«Hanno scattato delle foto della facciata della casa, gli ingressi e la parte alta. Hanno ripreso la garitta che si trova nel retro, dove 24 ore su 24 si trova un poliziotto federale».
Kurt Sonnenfeld ha aggiunto: «martedì 14 a mezzogiorno ci presenteremo direttamente alla Camera Federale, a sporgere denuncia affinché ci sia assicurata la necessaria protezione e si effettuino le relative indagini. Queste sono le condizioni in cui viviamo quotidianamente. Cosa faremo quando le nostre figlie dovranno andare alle superiori?»
«Tutta la nostra famiglia si è compromessa con la ricerca della verità e la giustizia, non smetteremo di raccontare la mia particolare esperienza in merito a quanto è successo a New York a partire dall’11 settembre 2001.»
 

Nuove informazioni e materiali inediti sono in via di pubblicazione - nonostante le limitazioni e le minacce ricevute - sul sito www.elperseguido.net.
Altro materiale inedito in video si trova nella pagina creata dai sostenitori di Sonnenfeld, su Facebook.
 

«Se dovesse capitarci qualcosa si deve sapere che l’unico responsabile è il Governo degli Stati Uniti, e che l’indagine continuerà, che le voci continueranno ad alzarsi.» ha concluso Kurt Sonnenfeld.

12 settembre 2010

«Le Monde» scopre i dubbi sull'11 settembre

di Giulietto Chiesa – da Megachip.


«Le Monde» dell'11 settembre 2010 si accorge, con nove anni di ritardo, che la versione ufficiale dell'11 Settembre non sta in piedi. Quanto a tempestività giornalistica non c'è male! Ma, come si suol dire, meglio tardi che mai. Naturalmente le carte in tavola non vengono messe: né tutte, né le più importanti. Ma, come il lettore potrà leggere da questi estratti che traduciamo dalla pagina web del più autorevole giornale francese, «Le Monde» è costretto a riconoscere che la storia ufficiale non solo puzza di marcio, ma che nemmeno l'amministrazione americana di Barack Obama è in condizione di tirarla fuori dal congelatore che non funziona più. Che cosa diranno ora i "debunkers"?
C'è solo da immaginare che metteranno anche «Le Monde» nella categoria dei cospirazionisti. Povero «Le Monde»! Ma, a giudicare dalle prime reazioni dei lettori del giornale francese, quasi la metà non solo non protestano ma insistono, chiedono chiarimenti, si stupiscono.
L'altra metà s'indigna, naturalmente. Vorrebbero che «Le Monde» pubblicasse non solo il link a Loose Change, ma anche quelli dei siti cosiddetti debunking. Come se, in questi anni, fosse esistita una qualche par condicio tra la menzogna di tutti i media (alla quale «Le Monde» ha attivamente partecipato) e le verità delle domande che, insieme a migliaia di altri ricercatori di tutto il mondo, andavamo ponendo. Il bello è che il prossimo anno, il decimo anniversario, sarà tutto un festival di rivelazioni attorno al mistero.
«Le Monde» ha solo preso atto che la pagina, chiusa dalla versione ufficiale («è stato Osama bin Laden») si va riaprendo inesorabilmente. E si va riaprendo perché l'Impero sta sgretolandosi, giorno dopo giorno, e non c'è cemento che possa tenerlo insieme ancora molto a lungo. E, quando la nave affonda, è noto che i topi scappano.


ESTRATTI DELL’ARTICOLO DI «LE MONDE»:

Titolo: Gli Stati Uniti non hanno ancora finito con l'11 settembre
di Heléne Bekmezian - [lemonde.fr] - 11 settembre 2010.

Già nove anni. Nove anni che gli aerei della American Airlines hanno colpito le torri gemelle del World Trade Center di Manhattan, uccidendo più di tremila persone e ferendone più di seimila in un attentato rivendicato da Al-Qa‛ida.
(almeno tre gravi imprecisioni sono contenute in queste tre righe iniziali, per finire con l'affermazione, completamente destituita di fondamento, secondo cui Al-Qaida avrebbe rivendicato l'attentato, ma non ne segnaleremo le altre per non perdere tempo, ndr).
Oppure si trattava di aerei militari? E non ci sono state anche, piuttosto, settantamila feriti, se noi contassimo le vittime delle polveri tossiche? E quanto si dovrà attendere per giudicare gli autori presunti di tutto ciò? E perché Ground Zero è ancora un cantiere? Nove anni dopo, dunque, le domande rimangono e gli Stati Uniti sono ancora lontani dall'aver tratto le somme con l'11 settembre.
Ancora nessun processo. Un anno dopo aver annunciato che cinque presunti autori degli attentati dell'11 settembre 2001 saranno giudicati da un tribunale federale di New York, e non da un tribunale militare, la Casa Bianca non sembra oggi avere premura di giudicare questi uomini.
Secondo il «Daily News», il governo ha difficoltà a trovare una città pronta ad accogliere questo processo, che potrebbe durare anni e avere conseguenze sulla vita locale. Peggio ancora, con le elezioni di mezzo termine che si annunciano delicate per i democratici, questi ultimi non hanno interesse a riportare questo dossier dinnanzi a agli occhi del pubblico. (...)
Migliaia di vittime sono all'abbandono. Sono i dimenticati dell'11 settembre: circa settantamila persone - pompieri e squadre di soccorso - sono tuttora censite come vittime delle polveri tossiche prodotte dal crollo delle torri, con sintomi di difficoltà respiratorie, malattie dei polmoni, disturbi psicologici.
(...)
Domande senza risposte. Immediatamente dopo gli attentati sono apparsi dubbi sulla versione ufficiale dei fatti, in primo luogo i dubbi sollevati dalle famiglie delle vittime. In seguito sono fiorite su internet le teorie della cospirazione, attraverso video e siti web. Quasi ogni giorno, si può dire, decine di nuovi video vengono scoperti e pubblicati, alimentando i dubbi. Sebbene, puntualmente, le autorità abbiano contraddetto alcune teorie del complotto pubblicando nuovi documenti o nuovi video, non c'è mai stata una spiegazione globale e ufficiale capace di rispondere, una buona volta per tutte a tutte le domande che venivano poste (versioni contraddittorie sulla natura degli aerei, immagini che mostrano esplosioni sospette...).
I dubbi non hanno fatto che svilupparsi, tanto più che le autorità non hanno mai accettato di aprire un’inchiesta indipendente, che era chiesta dalle famiglie delle vittime.
In uno dei primi e più celebri filmati di questo genere, la serie "Loose Change" (dell'Associazione Reopen 911) , venivano evidenziati fatti giudicati sospetti e basati su dati documentati e testimonianze.







(coloro che hanno seguito tutte le polemiche in questi anni e che quindi conoscono i rudimenti minimi della materia, avranno notato le ambiguità, reticenze, perfino la sciatteria, e le imprecisioni che caratterizzano questo non capolavoro della letteratura giornalistica. Ma ce n'è abbastanza per essere soddisfatti. Gli spiragli verso la verità si vanno allargando. ndr)

10 settembre 2010

11/9: immagini inedite, nove anni dopo

di Pino Cabras - da Megachip.

Vanno osservate, le nuove immagini dell'11 settembre 2001. Il grande pubblico non le ha mai viste. Tra le registrazioni riesumate, una sequenza da vicino dell'Edificio 7 del World Trade Center, prima del suo repentino e sconcertante crollo, avvenuto a tratti in caduta libera. I filmati sono stati rilasciati solo ora dall'agenzia NIST in base a una richiesta legata al Freedom of Information Act, la legge statunitense che regola l'accesso ai documenti classificati. Vediamo le riprese grazie a un collettivo (International Center for 9/11 Studies) che ha messo su YouTube sia il materiale girato quel giorno dalla troupe di una TV locale newyorchese sia altri videoclip di grande interesse.
Per quanto sia presto per commentare a fondo le nuove immagini, le proponiamo subito all'attenzione pubblica.


IL WTC7 PRIMA DEL CROLLO (IMMAGINI INEDITE):




Il crollo avvenne più tardi con tempi e caratteristiche che ricalcavano le modalità di una demolizione intenzionale. Le indagini e le conclusioni del NIST sul collasso del WTC7 hanno cercato di dare spiegazioni che hanno sollevato dubbi enormi sulla loro validità (clicca qui per approfondire, e anche qui).
L’Edificio 7 era un grattacielo di 47 piani alto 174 metri, collocato nell’isolato a nord del complesso del World Trade Center. Il suo crollo racchiude uno degli eventi più oscuri dell’11 settembre 2001. Era già un luogo di segreti, e la sua fine non è stata da meno. La dice lunga di come funziona il sistema dell’informazione il fatto che molti - a distanza di nove anni dai mega-attentati - nemmeno si ricordino del crollo di questa “terza torre”. Eppure sarebbe una storia molto interessante, tutta da riscoprire. Tra i più impegnati in questa ricerca ci sono gli architetti e ingegneri civili raccolti dall’architetto Robert Gage intorno al movimento «Architects and Engineers for 9/11 Truth» nonché i promotori della recente campagna di sensibilizzazione Building What? (possibile traduzione: "Edificio ché?").

IL CROLLO DEL WTC7 (IMMAGINI EDITE):

 

Ritorniamo alle immagini inedite sull'11/9. L'International Center for 9/11 Studies ha pubblicato nel suo canale su YouTube anche due video provenienti dalla banca dati del NIST.
Il primo è senza tagli: si tratta di materiale girato grezzo relativo a un'intervista a caldo con Barry Jennings.
Il secondo è un suggestivo seppur breve videoclip, girato con una telecamera a infrarossi (tecnologia FLIR) puntata sulle porzioni delle Torri Gemelle in preda ad alcuni incendi. Il canale in questione posterà ulteriori video a breve.








Recentemente erano stati rilasciati anche altri video, relativi alle Torri Gemelle. Nel video qui di seguito, al momento 0:59 si può notare un'esplosione ad alta pressione che avviene sotto l'area dell'impatto, mentre l'edificio è ancora in piedi.



Nel rapporto finale sul crollo delle Torri Gemelle emanato dal NIST, si cerca di spiegare questa esplosione suggerendo che possa trattarsi di uno sbuffo di fumo derivante dalla pressione causata dall'eventuale crollo di un muro o di un piano dell'edificio, o dall'apertura improvvisa di una porta (NCSTAR1-5A, p. 52)

Tuttavia non vediamo scagliati solo polvere e fumo. Si vede anche la violentissima fuoriuscita di un oggetto massiccio durante l'esplosione, come da specifico fotogramma.

Altri interessanti video possono essere osservati QUI.

Da tempo, peraltro, è on line un'analisi delle immagini già disponibili, a cura di David Chandler, che punta l'attenzione sul probabile uso di cariche da taglio per colpire la struttura delle Torri. La proponiamo in questa pagina, assieme alle immagini inedite, perché pochi l'hanno potuta vedere, sinora:







9 settembre 2010

Tremonti: 8 punti per amministrare il declino

di Pino Cabras - da Megachip.



Che l’Italia debba passare anni terribili è ormai cosa certa. Vi basti l’intervista concessa dal ministro Giulio Tremonti a «la Repubblica» del 4 settembre 2010, che pure – bontà sua - si intitolava “L’emergenza è finita”. In una sorta di manifesto per la politica dei prossimi anni, uno degli esponenti più in vista delle classi dirigenti italiote riesce ad esprimere propositi che quando non sono banali e perciò inutili, sono contradditori, impossibili e perfino molto pericolosi.

Tremonti è uno che conta molto nel governo attuale, è in pole position per il dopo-Berlusconi, ed esprime propositi che sembrano essere largamente predominanti anche nel campo devastato della complice opposizione istituzionale. Perciò leggere lui significa leggere il punto di equilibrio fra le schegge della Seconda Repubblica e i tasselli della Terza in fieri. Tralascio altre considerazioni, senza alambiccarmi in complessi ragionamenti politici, ora che Gianfranco Fini spariglia il quadro delle alleanze di governo e non siamo perciò a bocce ferme. Cerco invece di prestare la dovuta attenzione agli otto punti che Tremonti mette al centro dell’agenda politica per il Sistema Italia. Un sistema che vuole trasformare economicamente (anzi, lui dice «re-ingegnerizzare», io dico «dov’eri, nel frattempo in questi anni?», ma tant’è…).
Ecco gli otto punti dello statista di Sondrio: «1) la competizione con i giganti; 2) il costo delle regole; 3) il Sud; 4) il nucleare; 5) il rapporto capitale-lavoro; 6) il fisco; 7) il federalismo fiscale; 8) il capitale umano, cioè ricerca scientifica e istruzione tecnica». Vediamoli uno per uno.

1) la competizione con i giganti. Tremonti sostiene che l’Europa come blocco continentale sarà il luogo della vocazione e della decisione politica naturale in cui si giocherà il futuro dell’Italia. A prima vista una banalità che qualunque politico ripeterebbe, anche con fondate ragioni. In realtà c’è una questione più insidiosa. Tremonti rivela un’ulteriore recente trasformazione dell’Europa, avvenuta all’insaputa dei suoi cittadini. C’è una mutazione della sovranità e dei meccanismi decisionali, con più potere sottratto ai parlamenti nazionali a favore di un nuovo costrutto comunitario nel quale gli Stati giocheranno tutte le loro carte e i loro “do ut des”. Svanirà l’usuale mercato delle vacche che si estenua sulle piccinerie, ma sarà sostituito da una negoziazione che prenderà decisioni più elitarie, più strategiche e dalle conseguenze durature e rigide. La scelta nucleare, come vedremo si inquadra in questa nuova situazione.

2) il costo delle regole. Ricordate il Tremonti di due anni fa, il Tremonti anti-“mercatista” (parola sua), quando agli esordi della Grande Crisi lasciava il cerino del liberismo in mano alle sinistre? Tremonti è come una carta moschicida che cattura i concetti del momento, anche i più contraddittori. Ora riesce chissà come ad abbinare la sua fase antithatcheriana e quasi no global a un rinnovato entusiasmo per un laissez-faire vecchio come il cucco, che imbelletta con slogan: «stop regulation, less regulation, better regulation».
E così siamo a posto. Dietro al solito programma della deregolamentazione, Tremonti vellica gli appetiti del suo blocco sociale di riferimento, parassitario, speculativo, orientato a consumare il territorio. Tremonti ha in fondo catturato lo spirito del tempo. Pochi giorni dopo l’intervista veniva ucciso Angelo Vassallo, un sindaco simbolo del buon uso delle regole, mentre la Federmeccanica disdettava il contratto nazionale dei metalmeccanici, un’altra regolamentazione insopportabile per il blocco sociale leghista-tremontiano. Il liberismo si ripresenta con la faccia delle locuste e con i salari sotto tiro. Tremonti aspira a essere il garante di questo nuovo e precario equilibrio, senza reali opposizioni all’altezza.

3) Il Sud. Sulla necessità di superare il dualismo dell’Italia Tremonti inserisce il pilota automatico ed estrae un’impressionante sequela di frasi fatte, vuote come un appartamento sfitto. Idee non pervenute.

4) Il nucleare. Qui Tremonti supera se stesso. Riduce la complessa questione energetica italiana ed europea all’infima porzione di energia elettrica producibile - fra molti anni e dopo immani investimenti - con le tecnologie nucleari obsolete che ci sbologneranno i francesi. Siccome non credo che Giulio Tremonti non abbia mai sentito parlare di energie rinnovabili, torno un attimo alla casella iniziale, quella del blocco europeo: è lì che l’Italia tremontiana può fare questo costosissimo favore a Parigi in cambio di chissà quale indulgenza di Sarkozy sui nostri vizi, qualora altri stati avessero qualcosa da dire. Ha buoni maestri, Giulio: il Mussolini che voleva spendere «qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo delle trattative», o il Berlusconi che per compensare altre infedeltà sgradite a Washington è subito pronto ad aggiungere soldati per le guerre della Casa Bianca. Il nucleare tremontiano produrrà pochi megawatt, molti lucrosi appalti per cricche, soldi facili per Parigi, e dividendi di potere senza buoni effetti sull’interesse nazionale. Non parlo del rischio ambientale.

5) il rapporto capitale-lavoro. Tremonti vuole la fine dei contratti nazionali. Vuole far giocare l’Italia non nel campionato dell’innovazione, ma in quello della competizione basata sui ribassi salariali. Quale territorio - sia esso una regione, o l’Italia tutta, o il blocco continentale europeo – potrebbe mai vincere su questo terreno? Quale prospettiva c’è, se il salario medio mensile di un operaio tessile cinese è 60 dollari? Forse converrebbe un’altra strada. Ma Tremonti in realtà quella strada non la sa. Non gli basta scrivere i suoi libri apodittici e anticinesi per dare una prospettiva. Va detto che lui almeno li ha scritti. Veltroni, per dire, ha scritto una cianfrusaglia di 68 pagine: “Quando cade l'acrobata, entrano i clown”. Andiamo bene.

6) Il fisco. Lo stesso fabbricante degli “scudi” che hanno fatto felici i commercialisti delle mafie annuncia un «cantiere della riforma fiscale». Fa come quelli che risolvono i problemi istituendo una commissione. Lui apre “un cantiere”, fino ad essere così spudorato da proclamare il “favor” fiscale per famiglia, lavoro, ricerca, cioè esattamente le realtà più massacrate da Tremonti.

7) Il federalismo fiscale. Tremonti ne fa una questione di efficienza differenziata, in combinazione con la fine dei contratti nazionali. È un disegno in grado di spaccare definitivamente il paese, non senza aver prima moltiplicato i centri di costo delle burocrazie centralistiche regionali. Anche questa non è vera strategia. È moneta di scambio con un puntello del suo blocco sociale e di potere, la Lega Nord, una moneta maneggiata con agghiacciante disinvoltura

8) Il capitale umano, cioè ricerca scientifica e istruzione tecnica. Anche qui, niente idee, niente di niente. Solo che nel frattempo i tagli fanno scempio di insegnanti, studenti, famiglie e ricercatori.

Giulio Tremonti è dunque questo. Esprime un coacervo di attrezzi concettuali contradditori usati allo scopo di sostenere il suo ruolo di curatore fallimentare della Seconda Repubblica, forse dell’Unità d’Italia. Dietro le sue parole altisonanti c’è in realtà un obiettivo più simile a quello che perseguiva un altro Giulio, il meno funambolico Andreotti: «tirare a campare». Negli anni di Giulio Andreotti, un ventennio fa, in nome della sopravvivenza di un blocco si potere si dilapidarono in pochi anni risorse immense, confluite nel debito che abbiamo ancora in groppa. Gli anni di Giulio Tremonti sono l’amministrazione del declino dell’Italia, con l’obiettivo di sacrificare qualsiasi cosa, e con qualsiasi alleanza, purché sopravviva il blocco d’interessi – di censo e di territori - su cui fa perno. L’opposizione presente nelle istituzioni non ha un pensiero alternativo. Rovesciare quegli otto punti, i loro vuoti, le loro illusioni e le loro ingiustizie, con un programma politico radicalmente alternativo: è il primo compito di chi voglia fare politica in modo sensato, oggi in Italia.

1 settembre 2010

Il Think Tank governativo: «infiltrare i siti “cospirazionisti”»

di Paul Joseph Watson - PrisonPlanet.com,
Traduzione per Megachip a cura di Cipriano Tulli e Tziu Treccole.


Furibondo per il fatto che il coinvolgimento dello Stato nei maggiori attacchi terroristici sia stato rivelato al pubblico più ampio mai raggiunto prima attraverso internet, un think tank britannico strettamente legato a Downing Street ha fatto appello alle autorità affinché siano infiltrati i siti che trattano di cospirazioni nel tentativo di «incrementare la fiducia nel governo».

«Un rapporto pubblicato oggi da Demos, “The Power of Unreason” (trad. “Il potere dell’irrazionalità”), sostiene che la segretezza che circonda le indagini di eventi come gli attacchi di New York dell’11 settembre e gli attentati di Londra del 7 Luglio fornisce solo maggior peso alle accuse senza prove sul fatto che siano stati perpetrati “dall’interno”», riferisce il quotidiano londinese «Independent».
In altre parole, il fatto che lo schiacciante ammontare di prove indichi che tanto il 7 luglio quanto l’11/9 fossero in una maniera o nell’altra “inside jobs”, e che un enorme numero di persone ne sia ora al corrente per via della crescente influenza di internet, sta ostacolando i tentativi di commettere altri atti terroristici, perciò il governo ha bisogno di cambiare la sua strategia.
Nel rapporto, Demos «raccomanda al governo di reagire infiltrando i siti internet che trattano queste teorie.» Uno degli strumenti che Demos già utilizza per “contrattaccare” rispetto alle teorie dei complotti consiste nell’etichettare chiunque sfidi la versione ufficiale del governo come un estremista o un reclutatore di terroristi.
La strategia rispecchia quella sostenuta dallo “zar” dell’informazione della Casa Bianca, Cass Sunstein, che in un “libro bianco” del 2008 faceva appello affinché i siti web che trattavano di complotti fossero infiltrati e indeboliti con lo scopo di ridurne l’influenza. Nello stesso rapporto, Sunstein si appellava inoltre affinché fossero prese misure fiscali contro le teorie cospirazioniste (ossia ogni punto di vista che differisca dalla versione ufficiale) e per l’assoluto divieto di esprimersi liberamente su quanto sia disapprovato dalle autorità.
Quel che Demos e Sunstein stanno auspicando è la classica infiltrazione stile “provocateur” - aggiornata al XXI secolo - venuta alla ribalta durante gli anni del Cointelpro, un programmma FBI del periodo 1956-1971 volto a intralciare, marginalizzare e neutralizzare i dissidenti politici, spesso con l’uso di metodi illegali.
Il fatto che i governi di ambedue le parti politiche siano stati continuamente scoperti a mentire in modo sistematico su tutto ciò che arrivava alla luce del sole, con la collaborazione obbediente dei grandi organi mediatici che hanno aiutato le autorità a insabbiare i propri misfatti, ha provocato un crollo totale della fiducia da parte della gente, un effetto che ora sta seriamente frustrando i tentativi dello Stato intesi a ottenere un consenso di riflesso, con milioni di persone che si ribellano al sistema attraverso la disobbedienza civile e la non-collaborazione in una miriade di modi diversi.
Questo è il motivo per cui Demos, un organo delle autorità britanniche, si accalora affinché si infiltrino i “siti cospirazionisti” - cioè i gruppi di persone che trasmettono la verità - per cercare di “aumentare la fiducia” in un governo che ha perso tutta la sua credibilità.
Come abbiamo documentato, i governi di tutto il mondo, specialmente quello USA e quello israeliano, già impiegano squadre di agenti il cui unico compito è quello di infiltrare e sovvertire i siti web che pubblicano la verità sulla corruzione e le atrocità dei governi.
Demos è un’avanguardia della rete Common Purpose, un gruppo che il capitano di corvetta Brian Gerrish ha descritto come un giocatore chiave per far avanzare il ruolo della Gran Bretagna nel nuovo ordine mondiale. Julia Middleton, la responsabile di Common Purpose, siede nel comitato consultivo di Demos.
Demos è stata fondata nel 1993 dai marxisti Martin Jacques e Geoff Mulgan, ed è stata vista collaborare strettamente con il governo laburista di Tony Blair. Mulgan iniziò a lavorare a Downing Street nel 1997.
Anche l’attuale primo ministro britannico David Cameron collabora strettamente con Demos e ha pronunciato dei discorsi agli eventi del gruppo. Demos ha abitualmente operato come piattaforma degli elitisti che desiderano alterare drasticamente gli assetti sociali, abolire le libertà, e sacrificare la sovranità britannica prefiggendosi un governo globale.
Il 9 Agosto 2006 il ministro degli Interni britannico John Reid, un altro ex marxista, tenne un discorso a una conferenza Demos nel quale sostenne che i britannici «dovrebbero modificare la loro nozione di libertà», lamentando che la libertà è «usata in modo distorto e abusata dai terroristi».
Di Demos sono sono partner svariate altre organizzazioni globaliste dal governo all’industria, tra cui l’IBM, il Carnegie United Kingdom Trust e la Shell International. Il logo dell’organizzazione contiene un “occhio che tutto vede” all’interno della grafica.
Sebbene il gruppo si ponga come un think tank indipendente, Demos è poco più di un’azienda di pubbliche relazioni del governo e dei servizi di sicurezza britannici. Il suo tentativo di demonizzare le teorie sulle cospirazioni per «aumentare la fiducia nel governo» è un evidente stratagemma volto a eseguire gli ordini dei suoi padroni, demonizzando chiunque contesti uno Stato corrotto e bugiardo e le sue infami attività come un estremista e un potenziale terrorista interno - contribuendo a quel processo di normalizzazione che cerca di schiacciare la libertà di parola in internet.

Fonte: http://www.prisonplanet.com/government-think-tank-calls-for-infiltrating-conspiracy-websites.html