Le premesse:La letterina di Ezio Mauro, 5 settembre (2014)La lettera di Putin, 10 settembre (2013)
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La lettera
di risposta di Vladimir Vladimirovic Putin ad Ezio Occidente Mauro non si è
fatta attendere.
L'aveva
scritta esattamente 365 giorni fa, ben un anno prima che il direttore di Repubblica
prendesse tra le mani la tastiera per trascrivere l'atto notarile con cui ha
formalmente consegnato un ampio settore dell'opinione pubblica italiana nelle
mani - e nelle tasche - della «Terza Nato», quella di ultima generazione.
Dispiace
deludere Ezio Occidente, ma il messaggio del presidente Putin era in realtà
destinato al popolo americano, dato l'elevato livello di tensione che in quei
giorni aveva portato le relazioni tra i leader delle due superpotenze mondiali al
minimo storico dalla fine della guerra fredda (o dall'episodio del Kursk nel
2000).
Si ricorda
forse Mauro che cosa era successo esattamente un anno fa vicino a Damasco?
I media
occidentali avevano mostrato i corpi ammassati e privi di vita di adulti,
anziani, donne e bambini. Le prime informazioni che circolavano sui nostri
media parlavano di un attacco letale da parte delle forze lealiste del
presidente siriano Bashar al-Assad, che avrebbero utilizzato del gas per
sopprimere i ribelli, fino ad uccidere quasi 1500 civili.
Memorabili
furono gli strilli del Washington Post e del Daily Mail, come di tutti i grandi avamposti del
pensiero unico occidentale
L'ondata di
sdegno si era alzata uniforme lungo tutto il vecchio e il nuovo mondo.
Quest'ultimo - vuoi perché più fresco e arzillo - era arditamente balzato in
piedi per primo e con grande determinazione aveva iniziato a chiedere, anzi a
esigere, un intervento armato contro Damasco.
Qualcuno poi ha dimostrato che la strage non era certo opera del governo siriano. Ma a quel tempo l'Occidente aveva trovato l'ennesimo Hitler da strapazzare.
Qualcuno poi ha dimostrato che la strage non era certo opera del governo siriano. Ma a quel tempo l'Occidente aveva trovato l'ennesimo Hitler da strapazzare.
Tutto
sarebbe andato per il verso auspicato dai trombettieri del mondo nuovo se
soltanto l'Orso della Moscova e il Dragone della Grande Muraglia non si fossero
messi di mezzo (con un veto all'intervento armato votato al Consiglio di
Sicurezza dell’Onu) bloccando così la mano armata e protetta da Dio. Proprio il
Washington Post pubblicò un intero sermone del vicario di Dio a
Washington, il Nobel per la Pace più armato del pianeta:
«L’America non è il poliziotto del mondo. Succedono cose terribili in mezzo al mondo, e andrebbe oltre i nostri mezzi raddrizzare ogni torto. Ma quando, con uno sforzo e un rischio modesti, possiamo impedire che i bimbi siano ammazzati con il gas, e in questo modo far sì che i nostri bimbi siano più sicuri nel lungo periodo, ritengo che dobbiamo agire. Questo è ciò che rende l’America diversa. È ciò che ci rende eccezionali. Con umiltà, ma con risolutezza, facciamo in modo di non perdere mai di vista questa essenziale verità.»
Putin allora
prende metaforicamente in mano la penna (con ogni probabilità assistito da ghost writer abilissimi) e sulle pagine
del New York Times risponde indirettamente all'insidioso invito che Ezio
Occidente gli porgerà a bruciapelo di lì a dodici mesi, quando intimerà: «Anche
Vladimir Putin dovrebbe riflettere sulla sfida islamista, domandandosi per chi
suona la campana, magari recuperando negli archivi del Cremlino la lettera che
l'ayatollah Khomeini scrisse all'ultimo segretario generale del Pcus nel gennaio
del 1989: “È chiaro come il cristallo che l'Islam erediterà le Russie”.»
Il
presidente russo affronta tutte le questioni sul tappeto. Allude alla
sorte, simile a quella della Lega delle Nazioni, che toccherebbe all'Onu,
qualora smettesse di rivestire un ruolo di peso reale. E poi ipotizza gli scenari
di caos e destabilizzazione che abbiamo conosciuto negli ultimi mesi di questo
assai piovoso 2014, in particolare a Tripoli e a Gaza:
«Il potenziale attacco da parte degli Stati Uniti contro la Siria [...] porterà a un aumento delle vittime innocenti e a un’escalation, diffondendo potenzialmente il conflitto molto lontano dai confini della Siria. Un attacco incrementerebbe la violenza e scatenerebbe una nuova ondata di terrorismo. Minerebbe gli sforzi multilaterali intesi a risolvere il problema nucleare iraniano e il conflitto Israelo-Palestinese, e destabilizzerebbe ulteriormente il Medio Oriente e il Nord Africa. Precipiterebbe l’intero sistema del diritto e dell’ordine internazionale nello squilibrio.»
Ma Putin
mette anche l’«Occidente» in guardia dalla minaccia che gruppi di terroristi
armati (da chi?) potrebbero rappresentare ai danni della sicurezza
internazionale, quasi a voler prendere le distanze con un anno di anticipo
dalle acrobatiche accuse di Mauro che mettono sullo stesso piano Russia e Stato
Islamico:
«Il Dipartimento di Stato USA ha designato il Fronte Al-Nusra e lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, che combattono con l’opposizione, come organizzazioni terroristiche. Questo conflitto interno, alimentato dalle armi straniere fornite all’opposizione, è uno dei più sanguinosi del mondo. Mercenari provenienti dai vicini paesi arabi, nonché centinaia di militanti che accorrono dai paesi occidentali e persino dalla Russia, sono per noi materia di profonda preoccupazione. Non potrebbero forse far ritorno nei nostri paesi con l’esperienza acquisita in Siria? Dopo tutto, dopo aver combattuto in Libia, gli estremisti si sono spostati in Mali. Tutto ciò minaccia tutti noi.»
Vladimir
Vladimirovic va oltre, ricordando a tutti i paladini della giustizia mondiale
(direttore di Repubblica incluso) il significato delle tanto invocate
"regole", che vanno rispettate sia che ci piacciano sia che non ci
piacciano:
«Non stiamo proteggendo il governo siriano, ma il diritto internazionale. Dobbiamo usare il Consiglio di sicurezza dell’Onu e crediamo che salvaguardare la legge e l’ordine nel mondo complesso e tumultuoso di oggi sia uno dei pochi modi per evitare che le relazioni internazionali scivolino nel caos. La legge è ancora la legge, e dobbiamo seguirla che ci piaccia o meno. In base al diritto internazionale vigente, l’uso della forza è consentito solo per autodifesa o su decisione del Consiglio di Sicurezza. Qualsiasi altra cosa è inaccettabile in base alla Carta delle Nazioni Unite e costituirebbe un atto di aggressione».
Putin evoca
ancora una volta l'arma del dialogo e della negoziazione:
«Dobbiamo
smettere di usare il linguaggio della forza e tornare sul sentiero della
soluzione diplomatica e politica», proprio quel dialogo che Mauro invoca a suon
di armi della Nato.
L'ultima
annotazione di Putin pare trovarlo in una posizione condivisa da Mauro, cioè la
diversità tra le popolazioni, nonostante la quale siamo comunque tutti uguali
di fronte al Dio invocato da Obama, quello che avrebbe dovuto proteggergli la
mano assassina.
«La mia relazione di lavoro e personale con il presidente Obama è contrassegnata da crescente fiducia. Questo lo apprezzo. Ho studiato attentamente il suo discorso alla nazione martedì. E sono piuttosto in disaccordo con una tesi che ha portato avanti in merito all’eccezionalità americana, quando afferma che il modo di fare degli Stati Uniti è “ciò che rende l’America diversa. È ciò che ci rende eccezionali”. È altamente pericoloso incoraggiare le persone a sentirsi eccezionali, a prescindere dalla motivazione. Ci sono paesi grandi e paesi piccoli, ricchi e poveri, quelli con lunghe tradizioni democratiche e quelli ancora sulla propria strada verso la democrazia. Anche le loro politiche sono diverse. Siamo tutti diversi, ma quando chiediamo la benedizione del Signore, non dobbiamo dimenticare che Dio ci ha creati uguali.»
Mauro non si
è mai sognato di menzionare, nemmeno lontanamente, questo documento importante
per la sua unicità e per la franchezza e la trasparenza espositiva. Al
contrario, nel suo accorato appello prova ad imbastire un dualismo tra
Occidente e le entità "altre", la Russia e il Califfato dei
decapitatori, da lui messe sullo stesso piano.
«Hanno il
terrore di tutto questo, nonostante la nostra testimonianza infedele della
democrazia e il cattivo uso delle nostre libertà. Lo ha Putin, con la sua
sovranità oligarchica. E lo ha radicalmente l'Is» rispetto alla nostra
gerarchia di valori virtuali che dovrebbe definirci. Per Ezio Mauro, i
cattivoni del Cremlino e il Califfo 2.0 minacciano i nostri valori, quelli che
definiscono la «comunità di destino - non solo l'alleanza - con gli Stati
Uniti».
Ma vediamo
nello specifico quali sono i valori attualmente minacciati dai nostri nemici di
civiltà.
«Oggi noi dobbiamo vedere (se non fosse bastato l'11 settembre) che non è l'America soltanto il bersaglio, ma è questo nostro insieme di valori e questo nostro sistema di vita, fatto di libertà, di istituzioni, di controlli, di regole, di parlamenti, di diritti.»
È curioso
che Mauro utilizzi queste belle parole, ricche di storia e di significato, ma,
purtroppo, svuotate di qualsiasi contenuto originale una volta osservate dalla
sua postazione. Ossia la direzione di un quotidiano in mano a un oligarca,
Carlo de Benedetti, che sa come piegare a suo favore le regole e le leggi.
Sono state
le "regole" decise dai "parlamenti" sotto il
"controllo" delle "istituzioni" a regalarci questi
"diritti", sembra volerci suggerire Mauro.
Sono altresì
quelle "regole" che hanno «rotto il tavolo di compensazione dei
conflitti, il legame sociale tra il ricco e il povero, la responsabilità comune
di società».
Ezio Mauro
sembra anche fare un mea culpa quando ammette che «tra i precari fino a
quarant'anni e licenziati di 50, produciamo esclusi per i quali la democrazia
materiale non produce effetti: e perché per loro dovrebbe produrne la
democrazia politica, la partecipazione, il voto?»
Difficile,
però, incolpare Putin di uno dei punti più bassi della civiltà occidentale.
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