27 ottobre 2008

Fine corsa



di Giulietto Chiesa - «MegaChip»

Di seguito potete leggere l'editoriale di Giulietto Chiesa comparso sul n. 4 della rivista «MegaChip».
Testo originale
[QUI]

Alcune note utili, forse, per affrontare il problema della transizione a un'altra società, che sia compatibile con la sopravvivenza del genere umano. Né più né meno. E non perché, stanti così le cose, come si dirà tra qualche riga, il nostro destino sia quello di essere eliminati dalla faccia del pianeta per manifesta incompatibilità con la natura di cui siamo parte impazzita, in quanto incapace di convivere con la sua entropia.

1) La prima considerazione-constatazione è che l'umanità ha già raggiunto, da oltre 25 anni, la situazione di "insostenibilità". Il termine usato dal Club di Roma, nel suo update del 2002, è "overshooting". Siamo in overshooting da 25 anni. E' una situazione che non si era mai verificata nella vicenda, lunga 5 miliardi di anni, della ecosfera.

Dal 1980 in avanti, circa, i popoli della Terra hanno utilizzato le risorse del pianeta, ogni anno, più di quanto esse siano in condizioni di rigenerarsi.

Cos'è esattamente l'overshooting? E' “andare oltre un limite”, anche senza volerlo. In primo luogo perché non lo si sa. Ciò avviene – dicono gli scienziati del Club di Roma - in condizione di crescita accelerata, oppure quando appare un limite o una barriera, oppure a causa di un errore di valutazione che impedisce di frenare, ovvero quando si vorrebbe frenare ma non ci sono più freni disponibili.

Overshooting contiene anche un altro aspetto: che, a un certo punto, si verifica un “picco”, doppiato il quale non si può più tornare indietro. Dove si trovi questo picco, questo Capo di Buona Speranza, è molto difficile da calcolare, perché siamo dentro problemi di altissima complessità

Siamo esattamente in una situazione in cui tutti e quattro questi aspetti sono in funzione. Inoltre si calcola che ci vorranno oltre dieci anni prima che le conseguenze dell' overshooting diventino chiaramente visibili. E ci vorranno 20 anni prima che l'overshooting diventi un'idea comunemente accettata. Bisognerà agire in questi limiti di tempo.

Ma è già evidente oggi che l'attuale architettura istituzionale della politica e dell'economia mondiale non è in grado di risolvere il problema del freno.

Quanti conoscono questa situazione? Un numero insignificante di specialisti. Pochi governanti di questo pianeta. Ecco perché questa situazione deve trovare posto in una rivista che si occupa di comunicazione e di informazione: perché questa situazione non viene comunicata e, quando lo è, è comunicata male e in forme ingannevoli.

Per esempio perfino l'opinione dei gruppi più avanzati, intellettualmente e culturalmente (per esempio Al Gore e i suoi consiglieri) è che noi "corriamo il rischio" della insostenibilità. Cioè nemmeno i più avveduti sanno che ciò è già accaduto. Di conseguenza si prendono decisioni gravemente errate.

2) Cosa occorrerebbe fare, da subito?

a) Sviluppare a ritmi forzati la ricerca scientifica e tecnologica in direzione del risparmio energetico, della riduzione dell'aumento demografico del mondo povero, dell'aumento del consumo alimentare dei poveri e della crescita delle loro condizioni di vita (perché questo riduce la natalità), dell'aumento della produzione di energie alternative, della riduzione dell'inquinamento ambientale e degli scarti: in poche parole andare verso la riduzione dell'impronta umana sull'ecosistema, sulla biosfera.

b) Pianificare gl'interventi sull'unica scala che conta, cioè su scala planetaria. Cioè dotarsi di un'architettura decisionale mondiale (si spera democratica) in grado di realizzarli. Solo una tale architettura può ampliare l'orizzonte temporale della programmazione degl'interventi e consentire effetti di lunga durata per il governo della crisi.

c) Organizzare il cambiamento di abitudini di miliardi di persone. Ciò richiede un drastico mutamento dei sistemi di informazione e comunicazione, delle istituzioni educative in generale. Mutamento che non può essere spontaneo o casuale, e che va dunque organizzato dai poteri pubblici e democratici. E' evidente che esso influirà sugli assetti proprietari del sistema mediatico, e anche per questa ragione sarà duramente osteggiato.

Vi sono alcuni corollari a queste considerazioni:

Corollario n.1. Tutti questi temi programmatici richiederebbero decenni per essere realizzati. Cioè bisognerà non dimenticare che, anche se cominciassimo oggi stesso a proporre cambiamenti, ci vorrà molto tempo prima che si producano effetti. In altri termini l 'overshooting peggiorerà nel corso del prossimi vent'anni.

Corollario n.2. Non abbiamo altri trent'anni a disposizione. Il sistema economico-sociale in cui viviamo non reggerà, senza grandi cataclismi (sociali, politici, militari) entro questo lasso di tempo.

Corollario n.3. Occorrerà rendere consapevoli grandi masse popolari, in tutti i continenti, ma soprattutto nel mondo occidentale, che i limiti dello sviluppo sono già stati raggiunti. Il fatto che non lo si veda ancora non è che la conferma che il sistema mediatico nasconde la realtà invece di renderla nota e spiegarla.

Corollario n 4. Non stiamo discutendo dell'eventualità che qualcuno, da qualche parte, decida di ridurre la crescita. La crescita, nei termini in cui è avvenuta nel corso dell'ultimo secolo, sarà fermata non da decisioni umane ma dagli eventi che derivano dalla natura dell'ecosfera, cioè dalle leggi della fisica e della chimica.

Corollario n 5. Le resistenze al cambiamento saranno enormi. In primo luogo tra i padroni del nostro tempo, le corporations, e i governi. Agli uni e agli altri sarà richiesto di perdere molto e di sottostare a condizioni e discipline che rifiuteranno di rispettare. Si imporrà una visione del “Bene Comune”, contro la quale verranno scagliate mille risposte corporative, di interessi particolari che non accetteranno di essere messi in forse. Ma non sarà solo il problema di élites egoiste. Anche miliardi di individui non vorranno, non sapranno, rinunciare alle loro abitudini, fino a che gli eventi non ve li costringeranno.

Corollario n. 6. La possibilità che scenari di grande mutamento, improvvisi, non preceduti da adeguata informazione e preparazione, provochino ondate di panico, apre la strada a forti pericoli di instabilità e a formidabili pressioni per soluzioni di guerra.

Un ulteriore aspetto della questione deve essere evidenziato.

Molte risposte fino ad ora formulate a questo tipo di considerazioni affermano che vi sono due meccanismi in azione che potranno risolvere, se non tutte, almeno una parte rilevante delle attuali e future contraddizioni. Si tratterebbe della tecnologia e del mercato. E di una combinazione di entrambi. Entrambi, in effetti, possono esercitare una influenza, ma nessuno dei due, singolarmente e insieme, sarà sufficiente. Per diversi e concomitanti motivi. La tecnologia sostitutiva e integrativa dei processi in corso non è in grado di fare fronte alla rapidità della crisi. Gli aggiustamenti tecnologici necessari per produrre mutamenti nella qualità dello sviluppo (cioè verso la sostenibilità almeno parziale, cioè verso il restringimento dell' overshooting , sicuramente non verso la sua eliminazione) richiedono tempi non inferiori ai 30-50 anni per entrare in funzione. Le tecnologie costano. Le tecnologie richiedono anch'esse ulteriori flussi di energia e di materiali. Cioè, mentre cercheranno di alleviare i problemi, ne creeranno altri. In parole più semplici: crescita della popolazione mondiale, crescita geometrica dello sviluppo dei consumi, crescita della domanda di energia in presenza di costi crescenti di estrazione dell'energia fossile organica e inorganica, saranno tutti fattori che non potranno essere fermati dalla sola crescita tecnologica (neppure nell'ipotesi ottimale che, per essa, si trovino le immense risorse necessarie) .

Per quanto concerne il mercato, esso ha proceduto fino ad ora in direzione della totale insostenibilità. E' il mercato ad avere prodotto questa situazione insostenibile. Il mercato implica una crescita esponenziale (proporzionale a ciò che è già stato accumulato) , che è racchiusa nella logica del Prodotto Interno Lordo. Ma una crescita esponenziale non può procedere indefinitamente in un qualsiasi spazio finito con risorse finite .

In altri termini, l'economia capitalistica, esattamente come la popolazione, non sempre cresce, ma entrambe sono strutturate per crescere e, quando crescono, lo fanno in modo esponenziale. Questo modo non è sostenibile.

Chiedere al mercato di risolvere questa equazione à una cosa priva di senso. Esiste una grande confusione, e un grande equivoco, su questa questione, nel quale gli economisti cadono sistematicamente perché non riescono a distinguere tra denaro e le cose materiali reali che il denaro rappresenta.

L'economia fisica (le merci, i servizi, e la loro produzione) è una cosa reale.

L'economia del denaro è un'invenzione sociale che non è soggetta alle leggi fisiche della natura.

Dunque, riassumendo, il problema non è se la crescita dell'impronta umana sull'ambiente (effetto della crescita esponenziale) si fermerà: la sola questione è quando e in che modo.

Il Club di Roma trae questa conclusione, che io ritengo assolutamente fondata: “Se noi saremo capaci di anticipare queste tendenze, allora potremo esercitare un certo controllo su di esse, scegliendo tra le varianti disponibili. Se noi le ignoreremo, allora i sistemi naturali sceglieranno l via d'uscita senza riguardo al benessere dell'Uomo”

Un'ultima notazione. Secondo una studio recentissimo dell'Unione Europea, soltanto per fare fronte al riscaldamento climatico in atto, le risorse mondiali necessarie, ogni anno che verrà, oscilleranno tra le due cifre di 230 e 614 miliardi di euro.

La quota europea di questa spesa - che, si noti, concerne soltanto le spese per fare fronte alle esigenze di adattamento e di riorganizzazione sociale e industriale - sarà pari, mediamente, ogni anno, a 70 miliardi di euro. Tutto ciò in condizioni normali. Si immagini soltanto cosa potrebbe significare, in una prospettiva di medio termine, lo spostamento di 200 milioni di persone, previsto dalle organizzazioni delle Nazioni Unite, in caso di mutamenti climatici catastrofici.

E si tenga presente un dato emerso negli ultimi mesi. Dato che ci informa che, se non fossimo folli, potremmo risolvere molti dei problemi qui esposti: la sola guerra irachena è costata (secondo diverse e autorevoli valutazioni) dai tre ai cinque trilioni di dollari.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Chi volesse approfondire i dati dello studio commissionato dal Club di Roma cui fa riferimento Giulietto Chiesa nel suo articolo può acquistare il libro "I Nuovi Limiti dello Sviluppo - La salute del Pianeta nel terzo millenio" di Donella Meadows - Dennis Meadows - Jorgen Randers.

Anonimo ha detto...

di Carlo Bertani - da comedonchisciotte.org

"Ogni satira è cieca verso le forze che si liberano nello sfacelo." Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno, Minima Moralia, (1951)
Ho appena terminato di leggere l'ultimo articolo di Giulietto Chiesa, “Fine corsa” – interessante, un'analisi spietata – e mi sto chiedendo se non ci sia ancora troppa pietas, troppo ottimismo. Se anche la ragione sia impotente nel volgere inquieto di un disastro.

Intendiamoci: gli argomenti esposti da Chiesa sono da meditare con attenzione; solo, mi chiedo, se avremo ancora il tempo per farlo.

Dalle parole di Chiesa emergono due fratture, evidenti: la prima, quella fra economia reale ed economia virtuale, monetaristica, borsistica…o come desideriamo chiamarla e la seconda, ovvero l'oramai completa incoerenza fra il percorso dell'uomo e quello della natura.

Quest'ultima divergenza è facilmente avvertibile: gli aspetti più evidenti li possiamo trovare nell'esasperazione disordinata e criminale del consumo di risorse. Dappertutto, dai metalli all'energia, dalle derrate alimentari al patrimonio vegetale e marittimo, stiamo schiantando le oramai smunte potenzialità naturali.

Sono anni che in tanti mettiamo in guardia contro questi rischi ma, si sa, il destino riservato alle Cassandre non è mai stato benigno, salvo ricordare – ancora una volta – che Cassandra aveva ragione.

Se approfondiamo un poco il problema, ossia se ne sondiamo gli aspetti metodologici, epistemologici – e finalmente osassimo pronunciare la parola “olistica”, rivolta ad una scienza che dovrebbe ammettere i suoi limiti e si guarda bene dal farlo – dovremmo accettare la nostra completa ignoranza nel non aver compreso la fondamentale essenzialità della natura, il suo volgere da miliardi di anni in complessi cicli, mentre la Storia umana si protende verso un cammino lineare. Qui, veramente, c'è da riflettere che siamo probabilmente già fottuti.

L'altra frattura – quel rimbalzare schizoide dei listini azionari, sembra d'essere sulle montagne russe – è forse meno importante, però entrerà in simbiosi con la grande bestemmia sopra citata, e ne vedremo presto i frutti avvelenati.

Da un lato l'ignoranza mai ammessa, la protervia di voler incedere, nunc et semper, su una via segnata da un destino amaro: come si può ragionevolmente credere che, senza concedere alla natura il tempo della rigenerazione – del completamento dei suoi cicli – si possa sopravvivere? Siamo, oramai, un indesiderato virus.

Dall'altra un truffaldino mestar nel torbido per truccare le carte: creare ricchezza fittizia e spacciarla per vera. Ho già affrontato l'argomento in un altro articolo, “Il crepuscolo degli Dei”, e sarebbe inutile ripetersi.

I due aspetti interdipendenti – il primo di largo respiro, il secondo solo miseria umana di menti offuscate – stanno per creare una miscela esplosiva, come lo stesso Chiesa sospetta.

Proprio oggi, Greenpeace pubblica il suo Energy Outlook e sostiene che nel 2015 le cose dovrebbero cambiare: le fonti rinnovabili inizierebbero a diventare “di peso” nel panorama planetario e ci consentirebbero di scapolare le secche della penuria energetica e del mutamento climatico.

Sagge parole, ma quel 2015 – se interpolato con il panorama economico – mi sembra terribilmente distante, come se ad un ebreo scacciato dall'Andalusia, per opera di Isabella, fossero andati a proporre, come speranza, l'indipendenza delle Fiandre.

Qui, microcosmo e macrocosmo s'intrecciano e, nell'immediato, è il microcosmo ad imporsi: inutile raccontarci frottole. Miserrimo minimo, la tentazione italiana di non ottemperare più agli accordi presi in sede europea sul clima, a causa della crisi economia. Della serie: ho il mal di testa, del cancro che mi sta corrodendo m'occuperò domani.

Questa, però, è e sarà la realtà, perché non si può lavorare per anni al solo scopo di creare ricchezza fittizia, e dunque cercare di salvare dal baratro la malata economia statunitense, per poi ritirarsi in buon ordine e dire “c'eravamo sbagliati, scusate”.

No, signori miei, Greenpeace non troverà tempo, noi non avremo tempo, nessuno avrà più tempo prima dell'eclissi.

Questa fantomatica ricchezza creata dal nulla, chiederà pegno e già l'ha ottenuto: servizievoli, le oligarchie mondiali hanno chinato il capo ed hanno sottoscritto demoniaci patti per sostenere le volontà dei tanti Faustus, di coloro che hanno scambiato l'anima di Gaia per ottenere infinite e labili cornucopie.

Così, oggi già sappiamo che l'unica via che ci sarà concessa sarà quella dell'acquiescenza ai paradigmi dell'economico, del tecnicismo economico, e non ci sarà simposio né dialettica.

La via indicata è segnata ad ogni passo da una diversa pietra miliare: oggi ci proteggeranno i future, domani si disserterà sugli spread, dopodomani ci salveranno i tassi. All'ultima scena, però, saranno i lupi a dire la loro.

I lupi sono animali discreti e terribili, soprattutto quando s'uniscono in branchi.

Oggi, ancora vagano, annusando l'aria che odora d'Inverno per capire quando giungerà l'ora d'addolcirla col sangue: no, nessuno ne avrà sentore. Tutto, sarà addolcito da una “pace terrificante”, come il poeta/profeta De André annunciò: il Quarto Reich non farà sconti.

Ci potremo divertire con le previsioni, questo ci sarà concesso, ma nessuno riuscirà a predire quando il branco scenderà dalla collina: ci siamo svegliati dall'inganno di Piazza Fontana un anno dopo, da quello dell'11 Settembre anni dopo. Non avremo il tempo, non ci lasceranno il tempo per capire: potremo, al massimo, elucubrare.

Già qualcuno azzarda previsioni sui futuri blocchi: USA – Cina – Giappone, saldate dall'abisso del debito, contro il resto del Mondo? Russia ed Europa avvinghiate per la simbiosi energetica? Può essere, ma mancano altri attori: l'India rimarrà a guardare? E l'America Latina? L'inganno mondiale esigerà una catarsi planetaria.

Le armi atomiche ci salveranno! Nessuno oserà premere il bottone!

Non ci sarà bisogno d'armi atomiche, batteriologiche e chimiche perché l'obiettivo è altra cosa: è validare, con la grande distruzione bellica, le false cornucopie spacciate dai banchieri. La sola rigenerazione possibile per far ripartire la “locomotiva” economica, questa bestia immonda che si nutre di sangue per generare capitali.

Una distruzione di breve termine – come quella conseguente alla guerra nucleare/chimica/batteriologica – non darebbe il tempo, il “fiato”, per far ripartire le presse dei cannoni. Nell'economia globalizzata, inoltre, poco senso avrebbe la conquista territoriale: l'Iraq insegna.

D'altro canto, l'arma assoluta fu creata già durante la Prima Guerra Mondiale, ma nessuno osò un bombardamento a gas su Londra o su Berlino. Provarono lo Sturmfeuer su una Dresda già piagata, e le atomiche sul Giappone sconfitto, non prima.

Prima, tutta la ricchezza artificialmente generata dai prestigiatori di Wall Street dovrà sostanziarsi, perché non accetteranno che i listini azionari “veleggino” sui valori di dieci anni fa. Abbiamo lavorato per niente?

Perciò, mi piacerebbe sognare riedizioni keynesiane – ma, l'indebitamento, era di questa grandezza? Cosa rimane di Keynes senza il deficit spending? – mentre, la gelida realtà che una guerra sia il mezzo più semplice per risolvere il problema, m'appare come la tragica sequenzialità degli eventi.

Gli USA si salveranno? Neanche per idea. Il capitalismo globalizzato sì, passerà di mano come avvenne dopo la Seconda Guerra Mondiale – da Londra a Washington – ed ora, dal “Nuovo Mediterraneo”, l'Oceano Pacifico, trasmigrerà a Pechino. L'importante è salvare la borsa, non la vita.

Spero, ardentemente, che qualcuno trovi argomenti così pregnanti da farmi cambiare idea. Non è una domanda retorica: lo spero per davvero.

Fonte: http://carlobertani.blogspot.com