di Marc Tracy.
Mercoledì sera, nell'ascensore che portava giù
all'auditorium da 400 posti presso la City University del New York Graduate
Center, un uomo di mezza età che sembrava un economista si vantava così con una
coppia di persone di mezza età che sembravano economisti: «io in realtà ho
visto per la prima volta Piketty già nel 2001. Un posticino al Village.
Suonava "Capitalismo Patrimoniale", versione acustica, e Emmanuel
Saez è uscito per il bis».
Sto scherzando, naturalmente. Ma non si può evitare di
essere presi alla sprovvista nel vedere quale accoglienza da rockstar abbia
ricevuto Thomas Piketty, un economista francese, da quando il suo libro "Il Capitale nel XXI secolo" è stato
pubblicato nella sua traduzione in inglese il mese scorso.
Se il mondo dei giornali e riviste di centro-sinistra
fosse una stanza, non si potrebbero far oscillare le braccia lì dentro senza
urtare una recensione del libro di Piketty (quasi certamente positiva).
Matthew Yglesias su Vox
("Puoi darmi il ragionamento di Piketty in quattro punti chiave?").
Martin Wolf - il Paul
Krugman britannico (a meno che Krugman non sia il Martin Wolf americano) - ha
appena detto anche lui la sua sulle colonne del Financial
Times.
Anche la destra non ha potuto scansarlo del tutto.
Il libro di Piketty si guadagna il suo grandioso
titolo con il confluire, tutta in una volta, di un'intera generazione: utilizza
risme di dati nuovi di zecca per raccontare la storia più convincente a
disposizione sul problema sociale e politico già ora al primo punto dell'ordine
del giorno, cioè la disuguaglianza economica.
E così l'evento di ieri sera al CUNY dava la
sensazione della tappa clou di una sorta di vorticosa grande tournée del Nord
America (Piketty ha 11 tappe in tre città questa settimana)
«Questo sembra essere il posto giusto dove stare!», è
quel che l'economista in ascensore effettivamente ha detto ai due economisti in
ascensore.
Chase Robinson, presidente ad interim del
Graduate Center, analogamente ha detto nel suo discorso di apertura: «mi hanno
detto che è il biglietto più figo in città» La sala non era proprio al pieno,
anche se è stato dichiarato il tutto esaurito. A giudicare
da Twitter, c'è stato un uso estensivo del live-stream, tra cui una gara di bevute interrotta presso gli uffici di The
Nation.
Il sottotesto dell'evento avrebbe potuto essere quello
di una generazione - i tre interlocutori principali e, direi, la maggior parte
del pubblico era composta da Baby Boomers - messa di fronte ai propri errori da
parte di un uomo più giovane. Piketty ha solo 42 anni. «Alcuni di noi si sono
laureati in un periodo particolare di questa curva, quando le cose sembravano
andare benissimo», ha osservato l'economista della Columbia Joseph Stiglitz, «e
ciò ci ha dato una visione particolarmente distorta del mondo».
A loro la serata ha fornito una opportunità di
riscatto, non solo nella forma del riconoscimento della precedente «visione
distorta del mondo», ma anche per proporre i criteri per far sì che il mondo
torni indietro al modo in cui pensavano che fosse.
Per i più giovani spettatori, nel frattempo, la serata
risultava ancora più importante: se non otteniamo che il mondo torni a
quel modo, in tal caso, suggerisce il libro di Piketty, la disuguaglianza
dilagante - che è già diventata un fattore fondamentale nella vita americana -
potrà solo peggiorare.
Piketty, che appare persino più giovane dei suoi anni,
e indossa un abito grigio e una camicia bianca con colletto parzialmente aperto
- un look che forse richiama il suo connazionale Bernard-Henri Lévy - ha
iniziato con un breve riepilogo. (Piketty parlava inglese con moderato accento.
Il libro è stato tradotto da Arthur Goldhammer, che, vi rivelo, è mio cugino.)
Ha fatto clic su un paio di diapositive, in stile PowerPoint, tra cui una che
conduceva chiunque al suo sito web. Ma era così preso dalla sua storia che
alla fine si è reso conto che non era riuscito a scegliere più di una dozzina
di slides.
Vedere Piketty raccontare la sua storia fin qui
familiare, di persona, ha fatto capire quanto sia importante la narratività
della sua narrazione, ossia la sua qualità narrativa. Piketty non sarebbe
diventato questo grosso argomento se, usando gli stessi dati e le medesime
intuizioni, non avesse modellato un grande filo conduttore, con il suo
inizio, la sua metà e il suo finale premonitore.
La storia è questa. In precedenza, grazie al lavoro
dell'economista di metà del secolo scorso Simon Kuznets, il consenso
diffuso riteneva che la disuguaglianza stesse tendendo a restringersi. Ma
utilizzando i dati fiscali di quasi 50 Paesi, e facendolo risalire nel tempo di
svariati decenni e, nel caso della Francia, indietro fino al XVIII secolo,
Piketty dimostra che Kuznets, che ha sviluppato la sua omonima Curva negli anni cinquanta e sessanta, ha vissuto
la sfortunata coincidenza di stare presso l'unico punto nel tempo in cui la
disuguaglianza poteva apparire in via di riduzione: subito dopo che due guerre
mondiali e una depressione avevano demolito i patrimoni accumulati dai più
ricchi del mondo.
In realtà, Piketty dimostra che quel periodo -
i circa trent'anni economicamente gloriosi che hanno seguito la Seconda Guerra
Mondiale, noti in Francia letteralmente come Les Trente Glorieuses - era anomalo,
mentre di fatto, in generale, la disuguaglianza si allarga, perché, dopo le
imposte, il tasso di remunerazione del capitale (r)1 supera il tasso di crescita delle
economie» (g) di più volte.
Traduzione: i redditi da capitale tendono ad essere
più grandi e a crescere a tassi più veloci di quanto facciano i salari, il che
significa che chi è già ricco, poiché fa comunque la maggior parte dei propri
soldi attraverso investimenti ed eredità, diventa ancora più ricco. Se i
graffitari dovessero mai scoprire Piketty, allora l'equazione
r>g
apparirà su tutti i muri delle città.
Tutti i conti tornano, e sono comprensibili. Chiunque
abbia familiarità con l'ascesa dell'industria della finanza - o anche solo con
la magia degli interessi composti - capirà perché r supererebbe
g. Chiunque può capire in che modo gli Stati Uniti, come Piketty
ha riconosciuto, potrebbero temporaneamente rompere lo stampino, trasformando
in miliardari delle emerite nullità non attraverso l'accumulazione di capitale,
ma tramite salari sbalorditivi per dei "supermanager",
sebbene questi supermanager naturalmente continueranno, attraverso i loro
eredi, quel che Piketty definisce "capitalismo patrimoniale", e anche
se, come ha notato Krugman, uno sguardo al Forbes 400, con i suoi quattro Walton nella top
ten, rivela che l'America non è immune dalla ricchezza ereditaria. Chiunque può
capire perché il capitale può aver perso terreno in favore dei salari
all'incirca nel periodo 1913-1950, e se non ci riuscisse a capirlo, si potrebbe
osservare il grafico di Piketty (come quello poco più sotto, che deriva dal suo
lavoro) e vedere così il gigantesco cratere che rappresenta la distruzione di
capitale che si è verificata durante tale periodo:
Nell'imparare la storia, si può anche capire perché
l'opera di Piketty abbia preso piede presso un pubblico più ampio ancora. E si
può similmente capire perché gli economisti sarebbero così entusiasti in
merito, al di là dei suoi notevoli progressi nell'ambito della professione
stessa (che, ci hanno ricordato gli altri economisti, sono prodigiosi): ecco un
modo, tanto sofisticato quanto facile da capire, che sa raccontare il passato
economico, è in grado di spiegare la nostra crisi attuale e perfino di
suggerire ciò che potrebbe riservare il futuro. E che cosa ci riserva il
futuro? Beh, in parte perché siamo sperabilmente fuori da delle guerre
mondiali, il divario tra r
e g continuerà a crescere,
a un ritmo sempre più veloce. L'unica cosa che non sappiamo è come
possiamo evitare che ciò accada.
A cercare di rispondere a questa domanda finale e
cruciale c'erano Stiglitz e Krugman, ciascuno dei quali ha
pronunciato un breve intervento dopo che aveva parlato Piketty.
Stiglitz - vincitore del Nobel per l'Economia - ha
insistito sul fatto che la politica può correggere i saccheggi che il rapporto r>g
presagisce:
«La disuguaglianza non è solo il risultato di forze
economiche», ha affermato, «ma gli stessi processi politici sono influenzati
dal livello e dalla natura della disuguaglianza». Ha inoltre aggiunto: «non è
inevitabile che r sia maggiore di g. È l'effetto delle nostre
politiche». Nel citare distintamente la sentenza Citizens United, ha
osservato che una maggiore disuguaglianza consolida un maggiore potere in mano
ai ricchi, che utilizzeranno tale maggiore potere per raddoppiare in peggio
quelle politiche (tassi in ribasso sulle plusvalenze, tasse di successione più
basse, ostacoli bassi per il finanziamento stesso delle campagne elettorali),
che garantiscono una disuguaglianza ancora più grande, e così via, in un
circolo vizioso.
Krugman, in un discorso che in gran parte ricalcava un
post sul suo blog
pubblicato il precedente mercoledì, ha riconosciuto la forza del libro nel
fornire prove empiriche a sostegno delle denunce a lungo formulate dai liberals
in merito alle disuguaglianze, oltreché nel raccontare quella storia - «questa analisi
non è solo importante, è bella», ha scritto. Nel corso di tutti i loro
interventi, Piketty sedeva vicino al podio, raggiante di soddisfazione.
Sembrava reduce da un orgasmo. Chi potrebbe biasimarlo?
All'inizio della sua presentazione, Steven Durlauf
dell'Università del Wisconsin si è impegnato a recitare il ruolo del
"guastafeste" e a portare una "prospettiva da secchione".
Non ci ha deluso. In prevalenza ha tirato fuori dei cavilli, senza dubbio
importanti nell'ambito della professione, circa l'uso che Piketty fa dei dati.
Sono esitante nell'analizzare la sua presentazione, perché era francamente al
di sopra della mia portata, ma in ogni caso ritiene in generale che il libro
sia valido, importante, brillante, e tutto il resto. Dopo l'evento, ho chiesto
a Piketty se fosse preoccupato del fatto che i suoi metodi e le sue conclusioni
fossero abbastanza complesse da poter essere usate male da mani inesperte. Ha
scosso la testa e ha dichiarato: «Quando l'economia appare troppo complicata,
di solito è un brutto segno».
Ci sono stati abbastanza economisti eminenti e ben
ferrati di centro e di sinistra - davvero tutti costoro - ad aver dato
al libro il loro Sigillo di Approvazione della Brava Massaia per far sì che la
maggior parte dei non esperti rimanga soddisfatta. E purtroppo, un impegno in
profondità che scrutini da destra il libro di Piketty deve ancora emergere
[...].
Pertanto, come chiedeva quel rivoluzionario: che
fare?
La soluzione di Piketty al problema r>g
è una imposta progressiva globale sulla ricchezza
degli individui. Questa è di gran lunga la parte del suo libro che ha
ricevuto il maggior numero di critiche: non per la sua saggezza, ma per la sua
praticabilità. (Tassare i ricchi in un paese è già abbastanza difficile.)
Piketty minimizza la questione; nel rilevare che le
aliquote marginali delle imposte per le fasce più alte raggiunsero i loro
picchi storici più elevati negli anni cinquanta, proprio quando la
disuguaglianza era comunque al suo punto più basso, ha sostenuto con un
sorriso: «La storia della tassazione è piena di sorprese».
È chiaro che occorra inserire alcuni cunei per
bloccare i raggi del ciclo ricchezza-potenza che Krugman ha definito «spirale
politico-economica di disuguaglianza, in cui una grande ricchezza porta a
un grande potere, che viene utilizzato per rinforzare la concentrazione della
ricchezza».
Senza citare Piketty, Mark Schmitt ha suggerito che la riforma
del finanziamento elettorale sia l'ingresso giusto all'interno del talvolta
nebuloso dibattito sulla disuguaglianza. Ciò sembra avere molto senso.
Krugman ha chiuso con una nota insolitamente
ottimistica. Teddy Roosevelt, ha osservato, pronunciò il suo famoso discorso sul Progressivismo
facendo appello a una tassazione progressiva sul reddito e sulle successioni
delle "grandi fortune", già nel 1910, ben prima dei cataclismi
che hanno rallentato temporaneamente il fattore r. Perfino le
radici del New Deal, ha affermato Krugman, risalgono a decenni prima del 1933.
In altre parole, degli americani riflessivi erano in grado di riconoscere il
problema delle disuguaglianze e di proporre soluzioni per risolvere tutto da
soli, senza l'ausilio di abitudini sociali né tendenze impersonali. Una legge
economica come r>g ha il potenziale per essere in ogni bit
l'ossimoro che il termine "legge economica" suggerisce. Krugman è
sembrato voler sostenere che per tutte le strutture accattivanti e anche
"belle" che Piketty descrive, la politica, non l'economia, resti
l'arte finale del possibile.
Fonte: http://www.newrepublic.com/article/117407/thomas-piketty-speech-economics-sensation-visits-new-york
Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras.
NOTA:
1. Piketty
definisce il "capitale," forse in un senso troppo allargato,
essenzialmente come ricchezza derivante da altre cose che non siano salari.
Thomas
Piketty su Ricchezza, Reddito, Disuguaglianza
Una delle
conferenze in USA di aprile 2014.
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