Il
vincitore del premio Pulitzer spiega come risistemare il giornalismo:
la stampa dovrebbe 'licenziare il 90% dei redattori e promuovere
quelli che non si possono controllare'.
Nota
preliminare di Pino Cabras.
A
volte i mitografi che fanno la guardia alle “versioni ufficiali”
sono proprio sfigati, va detto. Il 23 settembre 2013, sul blog di
Paolo Attivissimo è apparso un articolo dal titolo “Abbottabad Report: anche il Pakistan smentisce i complottisti”, firmato da
Hammer. Il caso ha voluto che, quasi contemporaneamente, uno dei più
acclamati giornalisti investigativi del mondo, Seymour Hersh,
che sta scrivendo un libro in parte dedicato ai fatti di Abbottabad,
definisca quello stesso documento - che Attivissimo & C. prendono
per oro colato - come un «rapporto
fatto di stronzate».
Dunque,
riepiloghiamo:
Da
una parte abbiamo Hersh, il giornalista che ha messo con le spalle al
muro interi governi scoperchiando il massacro di My Lai negli anni
sessanta e le nefandezze di Abu Ghraib negli anni duemila, nonché profondo
conoscitore dell'Asia e delle dinamiche interne delle forze armate USA.
Dall'altra
abbiamo presunti sbufalatori implacabili che non hanno scritto un
rigo su una delle bufale più clamorose del Millennio (la sepoltura
in mare di Bin laden “secondo le usanze islamiche”) e che si
affidano alla genuinità di un report ufficiale redatto in seno al
mondo politico del “Paese più pericoloso del mondo”, il
Pakistan, un sistema politico che non conoscono, segnato dalla commistione di servizi segreti, dossieraggi e
attentati apocalittici, in perenne conflitto-collaborazione con la
CIA.
Cosa
prediligere?
Di
fronte a questa scelta (tra giornalismo
e mitografia che cade dal
pero), ci ha fatto
piacere tradurre il colloquio di Lisa O'Carroll del Guardian
con Seymour Hersh, che risulta estremamente interessante nella sua
durissima requisitoria contro il sistema dominante dei media.
Buona
lettura.
Seymour
Hersh su Obama, NSA e i 'patetici' media americani
di
Lisa O'Carroll - The Guardian.
Seymour
Hersh ha alcune idee estreme su come risistemare il giornalismo:
chiudere le redazioni della NBC e della ABC, cacciare il 90% dei
redattori editoriali e tornare al lavoro fondamentale dei giornalisti
che, dice, è quello di essere un outsider.
Non ci
vuole molto per far indignare Hersh, il giornalista investigativo che è stato la nemesi dei presidenti degliStati Uniti sin fagli anni sessanta
e che una volta è stato descritto dal partito repubblicano come «la
cosa più vicina a un terrorista che ha il giornalismo americano».
È
arrabbiato per la timidezza dei giornalisti in America, la loro
incapacità di sfidare la Casa Bianca ed essere un impopolare
messaggero di verità.
Non lo
fanno neanche incominciare sul New
York Times che, dice,
passa «molto più tempo a portare acqua al mulino di Obama di quanto
avrei mai pensato che potessero fare» – o la morte di Osama bin
Laden. «Nulla è stato fatto di quanto raccontato in quella storia,
è una grande bugia, non una sola parola è vera», dice Hersh della
drammatica incursione nel 2011 delle forze speciali d’élite della
marina USA.
Hersh
sta scrivendo un libro sulla sicurezza nazionale e ha dedicato un
capitolo all’uccisione di bin Laden. Afferma che di un recente
rapporto esibito da una commissione "indipendente"
pakistana sulla vita nello stabilimento Abottabad presso cui Bin
Laden era rintanato non rimarrebbe in piedi nulla se attentamente
scrutinato. «I pakistani hanno diffuso un report, non farmene
parlare. Mettiamola così, è stato redatto con un notevole input
americano. Si tratta di un rapporto fatto di stronzate», dice
anticipando le rivelazioni in arrivo sul suo libro.
L'amministrazione
Obama mente sistematicamente, sostiene, ma nessuno dei leviatani dei
media americani, né le reti televisive né le grandi testate della
stampa, osa sfidarla.
«È
una cosa patetica, sono più che ossequiosi, hanno proprio paura di
prendersela con questo ragazzo [Obama]», dichiara nel corso di
un'intervista con il Guardian.
«Era
così quando ti trovavi in una situazione in cui era accaduto
qualcosa di assai drammatico, il presidente e gli scagnozzi attorno a
lui avevano il controllo della narrazione, sapevi abbastanza bene che
avrebbero fatto del loro meglio per raccontare direttamente la
storia. Ora questo non succede più. Adesso si avvantaggiano di
qualcosa di simile e progettano il modo per rieleggere il
presidente».
Non è
nemmeno sicuro del fatto che le recenti rivelazioni sulla profondità
e l'ampiezza della sorveglianza da parte della National Security
Agency (NSA) possano avere un effetto duraturo.
Snowden
ha cambiato il dibattito sulla sorveglianza
È
certo che la talpa della NSA Edward Snowden
«ha cambiato l'intera natura del dibattito» sulla sorveglianza.
Hersh afferma che lui e altri giornalisti avevano scritto sulla
sorveglianza ma Snowden è stato fondamentale perché ha fornito
prove documentali – sebbene Hersh sia scettico sul fatto che le
rivelazioni possano cambiare la politica del governo USA.
«Duncan
Campbell [il giornalista investigativo britannico che ha fatto uscire
allo scoperto la storia dell’insabbiamento del caso Zircon],
James Bamford [giornalista USA] e Julian Assange, nonché il
sottoscritto e il New
Yorker, tutti noi abbiamo
scritto il concetto secondo cui esiste una sorveglianza costante, ma
lui [Snowden] ha esibito un documento, e questo ha cambiato l'intera
natura del dibattito: è una cosa reale, adesso», dichiara Hersh.
«I
redattori amano i documenti. I redattori da due soldi che non
avrebbero toccato storie del genere, amano i documenti, così lui ha
cambiato l’intero movimento della palla», aggiunge, prima di
specificare ulteriormente le sue osservazioni.
«Ma
non so se tutto questo andrà a significare qualcosa a lungo
[termine], a causa dei sondaggi che vedo in America: il presidente
può ancora dire agli elettori ‘al-
Qaida, al-Qaida’ e
scommetto due a uno che il pubblico voterà per questo tipo di
sorveglianza, il che suona così idiota», commenta Hersh.
Tenendo
banco davanti a una platea gremita presso la scuola estiva della City
University di Londra sul giornalismo investigativo, il 76enne Hersh
va a tutto gas, un vortice d’incredibili storie su com’era il
giornalismo di una volta, su come ha esposto il massacro di My Lai in
Vietnam, su come ha ottenuto le immagini di Abu Ghraib dei soldati
americani che brutalizzavano i prigionieri iracheni, e su cosa pensa
di Edward Snowden.
Speranza
di redenzione
Nonostante
la sua preoccupazione per la timidezza del giornalismo, ritiene che
il mercato offra ancora speranze di redenzione.
«Io
ho questa sorta di visione euristica sul giornalismo, forse possiamo
offrire speranza, perché il mondo è chiaramente gestito più che
mai da completi mentecatti... il giornalismo non è sempre
meraviglioso, non lo è, ma almeno offriamo una via d'uscita, un po’
d’integrità».
Il suo
racconto su come ha scoperto le atrocità di My Lai è un esempio del
giornalismo vecchio stile, tutto scarpe di cuoio e tenacia. Tornando
indietro al 1969, egli ebbe una dritta su un 26enne a capo di un
plotone, William Calley, che era stato imputato dall'esercito per un
presunto omicidio di massa.
Invece
di alzare la cornetta per chiamare un addetto stampa, salì in
macchina e cominciò a cercarlo nel campo militare di Fort Benning in
Georgia, dove aveva sentito che si trovava in stato di detenzione.
Girò porta a porta cercando in tutto il vasto complesso, a volte
estorcendo le informazioni lungo la sua strada, in marcia fino alla
reception, sbattendo il pugno sul tavolo e gridando: «Sergente,
voglio che Calley spunti fuori adesso».
Alla
fine i suoi sforzi furono ripagati con la pubblicazione della sua prima storia sul St.Louis Post-Despatch,
che fu poi ripubblicata in contemporanea in tutta l'America e,
infine, gli valse il premio Pulitzer. «Ho fatto cinque storie. Mi
feci pagare cento dollari per la prima, alla fine il [New
York] Times
pagava 5mila dollari».
Fu
assunto dal New York Times
per seguire lo scandalo Watergate e la finì braccando Nixon fino in
Cambogia. Quasi trenta anni dopo, Hersh ha riconquistato i titoli di
apertura a livello mondiale ancora una volta facendo notizia con la
sua rivelazione sugli abusi a danno dei prigionieri iracheni ad Abu
Ghraib.
Dedicare
più tempo
Il suo
messaggio per gli studenti di giornalismo è quello di dedicarvi
spazio e tempo. Sapeva di Abu Ghraib cinque mesi prima di riuscire a
scriverne, dopo aver ricevuto una soffiata da un alto ufficiale
dell'esercito iracheno che ha rischiato la propria vita uscendo da
Baghdad verso Damasco, per raccontargli di come i prigionieri avevano
scritto alle loro famiglie chiedendo loro di venire a ucciderli
perché erano stati "violati".
«Ci
ho messo cinque mesi a cercare un qualche documento, perché senza un
documento non c’è niente, non si va da nessuna parte».
Hersh
volge nuovamente il suo sguardo sul presidente degli Stati Uniti
Barack Obama. Aveva già detto in precedenza che la fiducia sul fatto
che la stampa americana sfidasse il governo USA sia crollata dopo
l’11 settembre, ma è fermamente convinto che Obama sia peggiore di
Bush.
«Pensate
che Obama sia stato giudicato in base ad un qualsiasi standard
razionale? Ha forse chiuso Guantánamo? È per caso finita una delle
guerre? C'è qualcuno che stia prestando attenzione all’Iraq? Sta
seriamente parlando di andare in Siria?
Non
stiamo mica andando tanto bene nelle 80 guerre in cui ci troviamo
implicati proprio adesso, perché diavolo vuole invischiarsi in
un’altra? Che cosa sta succedendo [ai giornalisti]?» si domanda.
Afferma
che il giornalismo investigativo negli USA viene ucciso dalla crisi
di fiducia, dalla mancanza di risorse e da un concetto sbagliato di
ciò che il lavoro comporti.
«A me
sembra che ci sia troppa ricerca di premi. Si tratta di giornalismo
alla ricerca del Premio Pulitzer», aggiunge. «È un giornalismo
confezionato, in modo da scegliere un bersaglio – non intendo
sminuire, perché chi lo fa lavora duro – ma sono percorsi che si
attraversano indenni e via dicendo, questo è un problema serio, ma
ci sono anche altre questioni.
Ad
esempio nell’ammazzare gente: come fa [Obama] a farla franca con il
programma dei droni, e perché noi non stiamo facendo di più? Come
lo giustifica? Dove sta l’intelligenza? Perché non scopriamo se
questa politica è buona o cattiva? Perché i giornali citano
costantemente i due o tre gruppi che monitorano gli omicidi tramite
droni? Perché non facciamo il nostro lavoro?
Il
nostro compito è scoprire noi stessi, il nostro lavoro non consiste
solo nel dire ‘qui c'è
un dibattito’. Il
nostro compito è quello di andare al di là del dibattito e scoprire
chi ha ragione e chi ha torto sulle questioni. Questo non avviene
abbastanza, costa soldi, costa tempo, mette in pericolo, solleva dei
rischi. Ci sono alcune persone – il New
York Times ha ancora
giornalisti investigativi ma lo fanno molto di più per portare acqua
al mulino del presidente di quanto avrei mai pensato che fosse ... è
come se non si osasse più essere fuori dal coro».
Ha
aggiunto che in qualche misura era più facile scrivere
sull'amministrazione del presidente George Bush. «Nell'era di Bush,
ho sentito che era molto più facile essere critici rispetto a quella
[di] Obama.
È
molto più difficile nell'era Obama», ha dichiarato.
Alla
domanda “qual è la soluzione” Hersh si accalora nel difendere la
sua tesi, ossia che la maggior parte dei redattori sono pusillanimi e
dovrebbero essere licenziati.
«Ti
dirò la soluzione: sbarazzati del 90% dei redattori che esistono ora
e inizia a promuovere redattori che non puoi controllare», dichiara.
L'ho visto al New York
Times. Vedo che ad essere
promosse sono quelle persone che alla scrivania sono più
accondiscendenti con l’editore e con quel che vogliono i redattori
anziani, mentre quelli che creano problemi non vengono promossi.
Inizia a promuovere le persone migliori che ti guardano negli occhi e
dicono 'non mi importa quel che dici'.
Né si
capisce perché il Washington
Post abbia trattenuto i
materiali di Snowden fino a quando non ha appreso che il Guardian
stava per pubblicarli».
Se
Hersh fosse a capo della US Media Inc., la sua politica di terra
bruciata non si fermerebbe ai giornali.
«Chiuderei
le redazioni dei network, e via, ricominciare tutto, tabula rasa.
Alle major, NBC, ABC, non piacerà questo: fare solo qualcosa di
diverso, fare qualcosa che faccia arrabbiare delle perrsone con te,
questo è ciò che noi dovremmo fare», afferma.
In
questo periodo Hersh è in pausa dal suo lavoro di reporter, lavora a
un libro che sicuramente risulterà una lettura spiacevole sia per
Bush che per Obama.
«La
repubblica è nei guai, mentiamo su tutto, mentire è diventato il
punto fermo». E implora i giornalisti affinché facciano qualcosa al
riguardo.
• Questo articolo è stato modificato il 1 ° ottobre 2013. Il testo originale dichiarava che Hersh ha venduto una storia sul massacro di My Lai al New York Times per 5.000 dollari, quando in realtà si trattava del Times di Londra. Hersh ha sottolineato che non intendeva in alcun modo suggerire che Osama bin Laden non sia stato ucciso in Pakistan, così come riferito sulla scorta all'autorità del presidente: stava affermando che è stato in seguito che la menzogna è cominciata. Infine, l'intervista ha avuto luogo nel mese di luglio 2013.
• Questo articolo è stato modificato il 1 ° ottobre 2013. Il testo originale dichiarava che Hersh ha venduto una storia sul massacro di My Lai al New York Times per 5.000 dollari, quando in realtà si trattava del Times di Londra. Hersh ha sottolineato che non intendeva in alcun modo suggerire che Osama bin Laden non sia stato ucciso in Pakistan, così come riferito sulla scorta all'autorità del presidente: stava affermando che è stato in seguito che la menzogna è cominciata. Infine, l'intervista ha avuto luogo nel mese di luglio 2013.
Fonte:
http://www.theguardian.com/media/media-blog/2013/sep/27/seymour-hersh-obama-nsa-american-media
Traduzione
per Megachip a cura di Alex Sfera e Pino Cabras.
Seymour
Hersh ha mostrato
al mondo il
massacro di My Lai
durante
la guerra del Vietnam,
e per quella inchiesta ha
vinto il Premio Pulitzer.
Fotografia:
Wally
McNamee
/
Corbis
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