9 ottobre 2013

Obama il conservatore (e una cattura libica)

di Pino Cabras - da Megachip.

Non è per voler insistere a chiamarlo Barack Obush, ma l'attuale inquilino della Casa Bianca, anche in questi giorni, continua a fare gli stessi lavoretti del suo predecessore: all'estero un clamoroso arresto extralegale in Libia, nonché un nuovo attacco militare in Somalia; mentre sul suolo americano si barcamena restando prigioniero sia di un sistema finanziario che non vuole cambiare (nemmeno quando si fermano molti ingranaggi della spesa pubblica), sia di un sistema di spionaggio elettronico che non smantellerà mai.
I media hanno dato poco risalto, in questi giorni, alla "rendition" che si è consumata a Tripoli, quando una squadra speciale delle forze armate USA ha catturato Abu Anas al-Libi. Si tratta di un vecchio arnese jihadista, una carriera passata a entrare e uscire dalle porte girevoli di al-Qa'ida, a volte come alleato, a volte come apparente nemico dell'Occidente, così come tutti gli ambigui ufficiali della galassia terrorista. La storia di questo arresto extralegale ha una coda. Pare che ben duecento marines siano stati spostati dalla Spagna a Sigonella, in Sicilia, a un tiro di drone dalla Libia, pronti a intervenire contro brutte sorprese. I libici non l'hanno infatti presa bene: persino in uno Stato fallito come la Libia del dopo-Gheddafi pensano che non sia dignitoso dire sempre di sì a una potenza straniera che cattura i propri cittadini calpestando norme sovrane. In più, nel micidiale miscuglio di poteri armati che si impasta dentro la polveriera libica, la componente dei tagliagole qa'idisti è ben presente, instabile e difficilissima da maneggiare: ha mangiato e mangia tuttora allo stesso tavolo degli altri poteri, non si fa certo dare lo sfratto.
La presidenza USA si spinge entro un percorso obbligato, Obama o non Obama. Non c'è spazio per interpretazioni improvvisate del ruolo. E ad essere fino in fondo onesti, la continuità di Obama non è solo con Bush, bensì con i comportamenti medi di tanti suoi predecessori. 
La differenza che si coglie oggi rispetto al passato è che i vincoli sono molti più di prima, e non tutti vengono dalla funzione del presidente in sé. Washington spia tutti e spende in armi più degli altri messi insieme, ma è la capitale di un impero acciaccato. Il dollaro non è più quello di una volta, il mondo non ha un solo polo. 
L'America di Obama si tiene stretta la divisa del gendarme planetario, che indossa ormai perfino come pigiama: e perciò ogni giorno lancia un drone in Pakistan, un missile in Somalia, un altro drone in Yemen, così come manda agenti pagatori, provocatori e addestratori sul campo in tanti altri scenari, Siria inclusa. Ma qualcosa non gira. Obama era a un passo dall'attaccare Damasco, ma ha dovuto retrocedere. E ora non ha molti bad boys da esibire. Il jolly Bin Laden se l'è già sputtanato, rimaneva qualche mezza calzetta come Al-Libi (che addirittura stava cercando qualche impiego parastatale, altro che Califatto mondiale). Perfino in Somalia il gendarme non si avventura nei brutti quartieri degli al-Shabaab. 
Le azioni imperiali di questi giorni sembrano limitate manutenzioni. Sono piccoli blitz fatti per far ricordare che la superpotenza c'è ancora. Il democrat Obama non ha mai messo in discussione l'ideologia neocon del "manifest destiny" dell'America. Il potere USA fa il suo mestiere perché quello sa fare, ma sa che sta consumando in un vortice sempre più drammatico le risorse future, sia nella finanza che nell'ambiente. 
Wall Street è ancora il palo della cuccagna finanziaria del pianeta, ma il prezzo per Washington è la paralisi a un passo dal default. 
L'industria energetica americana, grazie a nuove tecnologie, ha di nuovo posto gli Stati Uniti in testa alla produzione mondiale di gas e petrolio, con cui vuole assestare alcuni colpi da KO agli altri grandi produttori di idrocarburi, ma il prezzo - in questo caso - è una devastazione ambientale che avrà effetto entro pochi anni. I pozzi di shale gas infatti durano poco, Hanno la stessa logica irresponsabile dei derivati finanziari: ottenere apparenti sicurezze subito, per rinviare al futuro gli immancabili ed enormi problemi sottostanti. 
Obama non solleva lo sguardo, intanto che ci impone un presente dalla marcata impronta conservatrice.

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