di Pino Cabras
Mi capita di insistere molto su questo punto: gli eventi ai quali assistiamo non sono chissà che di imprevedibile.
Non era imprevedibile la riaffermazione del ruolo globale della Russia (di cui tutti si sono accorti ad agosto). Bastava guardare senza pregiudizi e senza retorica a quel che succedeva a Mosca.
Non era imprevedibile la catastrofe finanziaria che ha trasformato in pochi giorni la fisionomia del capitalismo americano (di cui si è avuta l'eclatante percezione a settembre). Uno shock che trasformerà profondamente anche la nostra vita nei prossimi anni. Anche qui, bastava leggere alcuni dati di fondo, ampiamente disponibili per chi doveva valutarli.
Nel giro di un mese vediamo già segnato il profilo di questo 2008, un anno da ricordare.
Eppure la data è solo un punto di rottura. Il fatto è che i mass-media e le classi dirigenti non hanno parlato ai popoli degli scricchiolii inequivocabili che pure udivano per tempo (e da tempo). Troppe convenienze, calcoli a breve termine, temporeggiamenti, complicità: non emergeva la verità dei cambiamenti necessari.
Sulle voci dissonanti veniva messa la sordina. Una di queste voci è quella del parlamentare repubblicano statunitense Ron Paul. Lo seguo con interesse da un bel po' di tempo. Il "meltdown finanziario" lo aveva ampiamente previsto, tanto che lo dichiarava durante la sua campagna alle primarie in qualità di candidato alla presidenza. Raccoglieva folle nelle città, interesse in internet, finanziamenti crescenti, mentre diceva - in tempi non sospetti - che saremmo arrivati a quel che poi tutti quanti abbiamo visto. La grande stampa e i grandi network TV, il centro dell'agorà politica, facevano di tutto per non citarlo mai, per espellerlo sostanzialmente dal centro del dibattito, perfino quando prendeva il quadruplo dei voti del pompatissimo Rudolph Giuliani e surclassava Mike Huckabee.
Oggi Ron Paul viene un po' riscoperto, anche perché è uno dei pochi a dire cose interessanti in mezzo allo smarrimento che sorge accanto al Grande Baratro del nuovo 1929.
Paul dice qualcosa di molto più interessante e più saggio di quanto dicano Bush, McCain e lo stesso Obama, assorbiti dal ruolo e dalle parole di un tipo di presidente che ormai appartiene al passato, mentre servono riforme che richiedono un coraggio inaudito e una visione dei problemi da grandi svolte.
Sono poco più di sette minuti, ma l'intervista alla CNN di Wolf Blitzer a Ron Paul parla di scenari economici - e militari - oggi quasi impensabili, ma di cui sentiremo ancora parlare.
22 settembre 2008
Ron Paul e la crisi finanziaria: una voce ragionevole
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
3 commenti:
Ti segnalo al proposito questo interessante articolo del grande Robert Scheer che chiama l'operazione Paulson "Financial Fascism"
http://www.thenation.com/doc/20081006/scheer
Guido Pisa
Salve,non conosco a sufficenza l'inglese,potete fare una sintetica traduzione di questa intervista a paul ??
grazie Molte
Guido,
purtroppo non ho tempo per tradurre l'intervista di Ron Paul.
So che non è la stessa cosa, ma suggerisco di visitare sia la voce "Ron Paul" di Wikipedia in italiano (http://it.wikipedia.org/wiki/Ron_Paul), sia un blog di suoi simpatizzanti italiani (http://www.italians4ronpaul.blogspot.com).
L'intervista resa all CNN è in perfetta continuità e coerenza con documenti più datati di Paul. E' estremamente critico nei confronti del "bailout" perché non incide sulle cause profonde della crisi finanziaria. Per Paul occorre riformare il sistema, tornare a una moneta più sensata, a un bilancio in equilibrio, cambiare totalmente le priorità in politica estera e prendersi cura delle urgenze del popolo americano in patria, diminuire le tasse. Il "bailout" perpetuerebbe gli ultimi due decenni di capitalismo sedicente "di libero mercato". Per Paul un capitalismo di mercato dovrebbe basarsi non sui debiti e i consumi, bensì sul risparmio e sul lavoro (cosa che invece oggi fanno i Cinesi guadagnando posizioni). Il "bailout" appare a Paul come la rianimazione di un sistema fallito, una politica inflattiva in grado di distruggere il dollaro. Una tale distruzione sarebbe ancora più pervasiva del danno che sarebbe inflitto ai risparmi da un crollo dovuto all'assenza di questo intervento straordinario. Inutile tenere alti i prezzi per vivere al di sopra dei nostri mezzi, dice in sostanza Paul, quando poi il dollaro non potrà acquistare un bel nulla.
Meglio riportare le cose al giusto livello, sopportando un brutto anno anziché un brutto decennio. E' contrario a interventi pubblici che continuino la dipendenza del mercato dalle politiche ormai insostenibili di 'defict spending'. Lungi dal dare ossigeno al cittadino comune di "Main Street", un intervento pubblico che acquisti i crediti inesigibili - secondo la proposta di McCain - scaricherebbe gli errori di Wall Street su Main Street. Per Paul neanche Obama ha soluzioni concrete.
Posta un commento