11 giugno 2008

Nuovi record nella corsa agli armamenti

Il testo ripropone l'articolo US leads soaring military spending: report, apparso il 9 giugno 2008 su «Geopolitical Monitor».

Traduzione di Pino Cabras




La spesa militare mondiale è cresciuta del 45% negli ultimi dieci anni, con gli Stati Uniti a concentrare quasi la metà di tutta la spesa, ha rivelato il 9 giugno 2008 il SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute). Secondo il rapporto annuale dell'istituto svedese, solo lo scorso anno le spese militari sono cresciute del 6%.

Nel corso del 2007, ben 1339 miliardi di dollari (851 miliardi di euro) sono stati impiegati in armi e altre spese militari. La somma corrisponde al 2,5% del Prodotto Interno Lordo (PIL) mondiale ovvero a 202 dollari (128 euro, NdT) per ciascuna delle 6,6 miliardi di persone del pianeta.

Gli Stati Uniti totalizzano grandissima parte delle spese verso scopi militari: hanno messo sul piatto 547 miliardi di dollari nel solo 2007, ossia il 45% della spesa totale.

Gran Bretagna, Cina, Francia e Giappone, che si piazzano dopo nella lista dei grandi spenditori, seppure molto dopo, assommano appena al quattro o al cinque per cento ciascuno.
«I fattori che guidano gli aumenti nella spesa militare mondiale comprendono gli obiettivi di politica estera delle nazioni, le minacce reali o supposte, i conflitti armati e le politiche di contribuzione alle operazioni multilaterali di peacekeeping, combinati con la disponibilità di risorse economiche», sostiene il rapporto del SIPRI.

L'aumento è tanto «eccessivo quanto osceno», ha detto ai giornalisti durante la presentazione del rapporto annuale a Stoccolma un importante esponente del SIPRI, Jayantha Dhanapala, che in passato si è occupato di questioni di disarmo all'ONU.

A registrare la maggiore crescita regionale è stata l'Europa dell'Est, che ha visto le sue spese militari raggiungere un tasso di crescita siderale del 162% tra il 1998 e il 2007 e del 15% tra il 2006 e il 2007.

La Russia, le cui spese hanno avuto un balzo del 13% lo scorso anno, sono state responsabili dell'86% della crescita nella regione, secondo il SIPRI.

Il Nord America nel mentre ha visto le sue spese militari gonfiarsi del 65%, spinte in larga misura dagli Stati Uniti, che hanno visto i propri costi crescere del 59% a partire dagli attentati dell'11 settembre 2001 a New York e Washington.

«Nel 2007 le spese statunitensi sono le più alte dai tempi della Seconda Guerra Mondiale», sostiene il rapporto del SIPRI.

Negli ultimi dieci anni il Medio Oriente ha incrementato le spese militari del 62%, l'Asia Meridionale del 57%, mentre l'Africa e l'Asia Orientale del 51% ciascuna.
L'Europa Occidentale è stata la regione con la minima crescita delle spese militari (+6%), seguita dall'America Centrale (+14%).

A livello di singole nazioni, «la Cina ha aumentato le sue spese militari di tre volte in termini reali nel corso dell'ultimo decennio», ha rimarcato il SIPRI, aggiungendo tuttavia che «a causa della sua rapida crescita economica, il peso economico delle spese militari è ancora moderato, intorno al 2,1% del PIL».

Come diretta conseguenza degli accresciuti esborsi militari, le vendite delle 100 più importanti società che producono armamenti (tranne in Cina) son balzate di circa il 9% nel 2006 rispetto all'anno prima fino a un volume di 315 miliardi di dollari, ha ricordato il SIPRI.

63 su 100 delle massime aziende a produzione militare fanno hanno la sede principale in USA e in Europa Occidentale, assommando da sole un volume d'affari di 292,3 miliardi di dollari nel 2006, l'ultimo hanno per il quale il SIPRI abbia questi dettagli.

Nel suo rapporto, l'istituto svedese ha anche descritto il fatto che durante lo scorso anno si sono scatenati 14 grandi conflitti armati: lo stesso numero del 2006. Nel 2001erano 20, ricorda il SIPRI.
«Sta emergendo un nuovo tipo di conflitto e assistiamo a una frammentazione della violenza» in luoghi come l'Iraq e la provincia sudanese del Darfur, ha detto nella conferenza stampa di Stoccolma la ricercatrice Ekaterina Stepanova.

Questa violenza non-statale «può avere conseguenze devastanti per i civili. Tutti gli attori tendono ad essere opportunisti e possono cambiare parte in conflitto», ha aggiunto la Stepanova.
Nell'azzardare una nota di ottimismo, il capo del SIPRI Bates Gill ha detto nel frattempo che entrambi i candidati alle elezioni presidenziali statunitensi di quest'anno potrebbero aprire la strada «alle più promettenti opportunità di vedere un progresso reale nel controllo delle armi nucleari mai viste negli ultimi dieci anni».

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