di Pino Cabras.
Siamo di fronte
a una svolta drammatica nella situazione internazionale. Un gravissimo episodio
militare con una strage in Siria avviene lo stesso giorno in cui qualcuno tenta
una strage a New York. La bomba di Manhattan, dato il luogo, attira più
attenzione e distrae verso altre tensioni, al prezzo di trenta feriti. Ma sono
le bombe in Siria a cambiare lo scenario.
Per singolare e perfetta coincidenza, dopo il bombardamento è scattata immediatamente un'offensiva delle forze di Daesh (ISIS), tese a riconquistare posizioni strategiche in una delle aree chiave per la tenuta territoriale dello pseudo-Califfato. L'offensiva jihadista è stata bloccata con un ulteriore costo in termini di vite umane pagato dall'esercito di Damasco.
Altra "coincidenza": si intensificano nel Sud della Siria gli attacchi israeliani all'esercito siriano impegnato in operazioni militari contro milizie jihadiste legate ad Al-Qa'ida.
Per capire la gravità della situazione, si consideri che la Russia ha convocato una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dell'ONU per discutere del bombardamento di Deir Ez-Zor, che - a quanto conferma il portavoce del Ministero russo della Difesa, Igor Konachenkov - è stato condotto da due cacciaF-16, due aerei di attacco al suolo A-10 e un drone, tutti entrati dalla frontiera irachena.
Da parte americana, il CentCom (il Comando Centrale degli Stati Uniti) ha dichiarato che si è trattato di un errore perché «la Siria ha una situazione sul terreno complessa con varie forze militari e milizie che combattono in prossimità».
I militari siriani dichiarano che non se la bevono, e accusano gli USA di essere l'aviazione di Daesh.
Mosca inizia dapprima con una dichiarazione circospetta e fa notare che - come minimo - gli USA agiscono con irresponsabilità: «Se l'attacco aereo è stato causato da dalle coordinate errate di obiettivi, allora si tratta di una diretta conseguenza della ostinata mancanza di volontà della parte americana di coordinarsi con la Russia nelle sue azioni contro i gruppi terroristici in Siria», ha sottolineato Konashenkov, lasciando uno spiraglio all'interpretazione dell'aggressione come un errore, seppure criminalmente colposo.
Tuttavia, con il passare delle ore, le accuse russe diventano molto esplicite e dirette.
La portavoce del Ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha dichiarato all'emittente Rossiya 24 : «Se già precedentemente potevamo dubitare che la Casa Bianca proteggesse il Fronte Al-Nusra, ora, dopo l'attacco aereo contro l'esercito siriano, possiamo trarre una conclusione inquietante per il mondo intero: la Casa Bianca protegge Daesh».
Mosca - nell'osservare una serie infinita di doppiogiochismi sulla vicenda siriana - ha sempre presenti le prime reazioni di due grandi vecchi dell'imperialismo USA, Zbigniew Brzezinski eJohn McCain: entrambi, non appena era iniziato l'intervento russo in Siria, nell'autunno del 2015, imputavano a Mosca di "distruggere i nostri asset". Dove gli asset, le risorse, erano i jihadisti che venivano armati in mille modi, direttamente o indirettamente, dagli USA e i loro alleati.
Una parte delle classi dirigenti washingtoniane non vuole rinunciare a usare l'ISIS e le altre formazioni jihadiste come propria risorsa strategica.
O il presidente Barack Obama è complice diretto di questa scelta o non controlla i suoi falchi. In entrambi i casi Washington ci porta sull'orlo della catastrofe. Può bastare l'abbattimento legittimo di altri aerei coinvolti in simili provocazioni per scatenare uno scontro diretto con conseguenze terribili. Altro che tregua.
Nel frattempo
l'ambasciatrice USA all'ONU, il super falco Samantha Power, scrive una dichiarazione direttamente col mitra.
Dice che la richiesta di convocare il Consiglio di Sicurezza dell'ONU è solo un
trucco e che l'ISIS è colpa di Damasco e di Mosca. Power fa il nome di Assad e
attacca la Russia. Ma in realtà il suo bersaglio è il segretario di Stato
Kerry, che ha negoziato la pace in Siria. Pronuncia il suo discorso a
Manhattan, e le sue parole si confondono fra le sirene delle ambulanze di New
York.
Siamo in buone
mani.
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