I
tratti salienti del 2015 iniziano a delinearsi. Cercherò in futuro
di analizzarli meglio, ma quelli centrali mi sembrano che vertano su
alcuni punti salienti.
Due
parole sul metodo
Come
al solito non uso una sfera di cristallo, ma un po’ di logica
applicata ai fatti. Alcuni sono fatti certi, altri sono il risultato
di incroci di fonti informative di diversa provenienza e di diversa
tendenza. Non ho servizi di intelligence a mia disposizione e quindi
mi devo accontentare. Quelli che invece si accontentano di una sola
fonte, di fatto si accontentano anche di essere ricettori passivi di
servizi di intelligence. Data l’origine promiscua delle mie
informazioni, requisito essenziale è non fare il tifo per una
parte, ma cercare di essere un lettore equilibrato. Ciò non vuol
dire che il mio cuore non stia dalla parte degli aggrediti, degli
umiliati e degli offesi. L’osservatore puramente razionale e
neutrale è una mostruosa finzione al servizio del pensiero
dominante. Essere equilibrato nell’osservazione e nell’analisi
non vuol dire essere indifferente, bensì analizzare con
disincanto il maggior numero possibile di linee di forza in gioco per
poter intervenire a vantaggio degli aggrediti, degli umiliati e degli
offesi.
Non
solo, per l’analisi del comportamento di entità statali e
dei conflitti in corso tra loro non è né lecito né produttivo
suddividere il mondo tra Buoni e Cattivi. Gli scontri geopolitici
avvengono tra sistemi costituiti di potere che agiscono
guidati dal criterio dell’interesse e dell’opportunità e quindi
attraverso tali criteri devono essere interpretati e analizzati. Cosa
che tra l’altro dimostra l’idiozia di insignire del Nobel per la
Pace, che dovrebbe avere un significato etico, tali entità o i loro
rappresentanti, qualunque essi siano.
Durante
le crisi agiscono in primo o secondo piano anche entità
substatali, che possono essere classi o raggruppamenti sociali
di altra natura, o più precisamente rispecchianti le molteplici
nature che emergono o riemergono quando un sistema di sicurezze viene
messo in crisi e si aprono vistose crepe nell’ordinamento sociale,
istituzionale e simbolico che fino a quel momento era stato
sovrimposto all’intera società e in diversa misura accettato.
Un’entità
substatale richiede un’analisi duplice, la prima riguardante la sua
origine economica e sociologica (come ad esempio l’emarginazione) e
quella simbolica e mitologica in senso lato (come la costruzione o
ricostruzione di un’identità attraverso l’adesione a fedeltà
ideali concepite come antagoniste dell’ordine emarginante; queste
fedeltà ideali possono essere totalmente differenti e avere origini
e storie situate agli antipodi: si pensi alla lotta di classe
e allo jihadismo); la seconda riguarda il ruolo di queste
entità nell’ambito dei conflitti tra quei sistemi di interessi e
di rappresentazioni del mondo di ordine superiore che sono appunto
gli Stati, quegli scontri cioè che caratterizzano le grandi linee di
forza di ogni crisi sistemica. Tutto sommato questa è la lezione
leniniana.
E’
bene quindi non applicare agli Stati giudizi di carattere morale per
spiegare l’analisi del loro operato. Ovverosia, è da evitare di
dare agli Stati giudizi etici essenzialistici, del tipo “lo Stato X
è intrinsecamente aggressivo” o “lo Stato Y è amante della
pace”.
Rispetto
alle entità statali, la suddivisione da applicare è di altro tipo.
In questo momento storico ritengo che la suddivisione più pertinente
sia:
a)
potenze che tendono alla guerra, attualmente gli Usa e
poi l’Europa, perché non trovano altre soluzioni alle loro
enormi difficoltà.
b)
potenze che vogliono preservare la pace perché la guerra non
gli conviene, come attualmente la Russia e la Cina.
Questo
è quanto e non rivestirò questa differenza con altre qualità,
riguardanti l’etica o le cosiddette “caratteristiche nazionali”,
se non forse negli elogi o nelle invettive, che non sono moti
propriamente razionali. Non perché l’etica non sia importante o
perché non esistano “caratteristiche nazionali”, che ad ogni
modo non dipendono da apparati simbolici particolari o da fenomeni
metafisici come il “destino manifesto”, bensì dalla collocazione
delle nazioni nella storia e nella geografia. Non uso questi criteri
perché produrrebbero rumori di sottofondo in analisi per forza di
cose stringate e che richiedono perciò di arrivare velocemente al
dunque.
Le
conseguenze del metodo
Diverse
volte, anche se non sempre, questo metodo mi ha permesso di cogliere
nel segno, come quando, purtroppo, ho previsto un sanguinoso attentato in Europa di matrice islamista,venti giorni prima della strage del Charlie
Hebdo.
Ho
però sbagliato quando scrissi che dalla signora Mogherini nella sua
carica di Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Sicurezza
della UE, mi aspettavo qualche guizzo di dignità e indipendenza.
Così non è stato. La signora Mogherini si sta comportando come un
ripetitore passivo del Minculpop atlantico. La sua richiesta di nuove
sanzioni alla Russia motivate dal nulla ne è l’ennesima
prova.
E
il nulla è proprio il nulla, nel senso più stretto del termine.
Gli
analisti militari indipendenti hanno stabilito che i proiettili che
hanno ucciso i civili a Mariupol sono stati lanciati dalle forze
armate ucraine, UAF, e caduti su Mariupol per errore (d’altra
parte spessissimo la UAF bombarda a casaccio o con vistosi errori).
Quindi non sono state lanciate dalle forze armate della Novorussia,
NAF, che in quel momento non avevano in corso nessuna operazione
militare nella zona di Mariupol (stavano invece combattendo nella
zona di Donetsk).
In
secondo luogo, che le forze armate russe stiano intervenendo nel
Donbass è stato escluso dal Capo di Stato Maggiore ucraino, generale
Viktor Muzhenko. Una dichiarazione che ha irritato tutto il
menzognificio atlantico:
Le due motivazioni per le sanzioni quindi semplicemente non esistevano.
Può essere che la presa di posizione della UE sia “diplomatica” e nasconda manovre dietro le quinte.
Ma mentre la UE fa i suoi giochi diplomatici e non riesce ad esprimere nessuna politica estera indipendente, ogni ora che passa in Ucraina si muore.
Il re è nudo ma la coscienza dei dirigenti europei è invece opaca e anche su di essa pesano le morti non solo dei civili e dei soldati della Novorussia, ma anche di tutti quei giovani ucraini mandati allo sbaraglio in missioni disperate, fallite già prima di iniziare.
In
questi giorni ci sono frenetici incontri incrociati, a Monaco, Kiex e
Mosca, tra Kerry, Mogherini, Poroshenko, Hollande, Merkel, Lavrov e
Putin. È successo sempre così quando la junta è stata
sull’orlo di un disastro militare. E, come vedremo subito, oggi la
junta è sull’orlo dell’ennesimo disastro militare.
Da
questi incontri uscirà qualcosa di più di un ennesimo cessate il
fuoco ad hoc? Lo spero ardentemente, ma non ci credo, non riesco a
trovare nessun ragionevole motivo per crederlo. E Dio solo sa quanto
sarei immensamente felice di sbagliarmi.
La
guerra in Europa nel 2015
Partiamo
quindi da qui. Il 2015 sarà l’anno in cui la crisi ucraina
raggiungerà il punto di catastrofe, in senso matematico. Cioè
subirà un cambiamento di forma radicale.
E’
la prima volta che mi dovrò soffermare sui particolari di un
conflitto armato, ma occorre farlo. La guerra è e sarà uno degli
ingredienti centrali dello sviluppo della crisi sistemica.
I
dati parlano chiaro. La NAF, benché in enorme minoranza numerica
(circa 20.000 combattenti e 15-20.000 addetti alle retrovie, alla
sicurezza e alla logistica) è estremamente più motivata
e più efficiente della UAF, a parte gravissimi errori come a Peski e
Avdeevki, dovuti probabilmente a scontri interni alla dirigenza della
Novorussia.
Attualmente
a Debaltsevo circa 6.000-8.000 soldati ucraini, presumibilmente quasi
la metà delle forze ucraine oggi effettivamente in grado di
combattere, stanno per essere definitivamente chiusi in una sacca.
Anzi, recentissime notizie danno la sacca ormai chiusa. Una sorta di
piccola Stalingrado che potrebbe essere feroce se gli ucraini non si
arrendono. In tutti i casi una sconfitta pesantissima per la junta
di Kiev.
La
NAF si è mossa molto lentamente, evitando di utilizzare tutta la sua
potente artiglieria perché la città è piena di civili. Civili
russofoni,
quindi considerati sottouomini dalla junta.
Non dimentichiamo che la
Timoshenko dopo il golpe li voleva eliminare tutti con le atomiche:
Oggi
dovrebbe iniziare l’evacuazione. Un’operazione delicatissima,
perché potrebbe essere boicottata dalla UAF assediata, dato che i
civili sono l’unica ragione per cui l’artiglieria della NAF non
si scatena e perché si presta a sanguinose provocazioni false
flag.
Guardando
il conflitto nel suo complesso, osserviamo che la NAF deve comunque
frenarsi nello slancio. C’è un motivo militare: spingendosi in
avanti avrebbe il problema di consolidare e mantenere linee molto
lunghe con pochissimo personale. Ma c’è un motivo ben più
importante, ed è politico. Mosca non desidera affatto che la NAF si
faccia attrarre dalla prospettiva di un’espansione e tiene a freno
i comandanti militari e politici più focosi, suscitando così accuse
a Putin da parte dei nazionalisti russi di “tradire” il Donbass.
Basta informarsi un po’ per sapere che le cose stanno così. A noi,
al contrario, viene raccontato che Mosca sta spronando la NAF alla
conquista dell’Ucraina. Menzogne costruite scientemente e ripetute
da media ignoranti.
Nel
campo ucraino solo i battaglioni di volontari sono motivati; e
l’ideologia che li motiva purtroppo la conosciamo. La UAF è in
seria difficoltà. Tutti gli ultimi attacchi (quelli che hanno rotto
la tregua) sono stati di fatto missioni suicide, spiegabili solo
dalla volontà statunitense di fare dell’Ucraina un punto di crisi
permanente e di permanente divisione tra Europa e Russia.
“Combatteremo la Russia fino all’ultimo ucraino”, non è
più solo lo slogan virtuale di Washington, ma un dato di fatto. A
volte i comandanti ucraini mentono apertamente ai soldati
sull’obiettivo della missione.
Come quei poveracci inviati a riconquistare il Nuovo Terminal dell’aeroporto di Donetsk ai quali avevano fatto credere fino all’ultimo che dovevano andare a “recuperare i feriti”.
E’ stato un massacro, come si può capire da un video:
Come quei poveracci inviati a riconquistare il Nuovo Terminal dell’aeroporto di Donetsk ai quali avevano fatto credere fino all’ultimo che dovevano andare a “recuperare i feriti”.
E’ stato un massacro, come si può capire da un video:
Avvertiamo
che questo video è la versione non censurata delle immagini
solitamente divulgate; non è un bello spettacolo ma nel vederlo si
capisce l’orrore di quella guerra in mezzo all’Europa, a cui noi,
colpevolmente, non prestiamo la minima attenzione.
Un
alto responsabile degli uffici di reclutamento ucraini ha rivelato
che interi villaggi sfuggono alla coscrizione rifugiandosi in Russia,
aggiungendo “si stenta a crederlo, proprio in Russia”.
Solo una persona obnubilata dall’ideologia di guerra può stentare
a crederlo. Un quotidiano ucraino ha scritto che la 4ª
mobilitazione, l’ultima, ha visto l’80 per cento dei
coscritti rifiutarsi di andare a combattere.
Per
contro la Novorussia ha proclamato la mobilitazione generale. Sarà
su base volontaria, tuttavia i responsabili si aspettano un afflusso
di 100mila uomini e potrebbe non essere solo propaganda.
Se
non interverranno altri fatti, cioè un intervento diretto o
indiretto massiccio della Nato o nuovi negoziati di pace, ciò
che si può quindi prevedere è che la NAF nel 2015 conquisti Odessa
e Mariupol, dando così continuità territoriale alla Crimea e
tagliando fuori Kiev dall’accesso al mare. A quel punto si fermerà.
Non andrà ad assediare Kiev, ma attenderà la mediazione
internazionale. Se ci sarà. E si può anche prevedere che Mosca a
quel punto avrà parecchie difficoltà a rifiutare per la seconda
volta la richiesta dei territori controllati dalla NAF di essere
annessi alla Russia.
La
junta di Kiev è nel panico e in questo 2015 rischia di
frantumarsi. Assediato dalla destra ultrà (a Kiev ci sono ripetute
manifestazioni antigovernative dei battaglioni di volontari nazisti
che protestano contro il progetto di loro scioglimento) e prostrato
dal disastro della sua “offensiva invernale”, nessun analista
sano di mente oggi scommette un euro sulla vita dell’oligarca
Poroshenko, primo ministro della junta (se il governo
pre-golpe faceva gli interessi degli oligarchi, il governo dopo-golpe
è direttamente in mano agli oligarchi, un gran passo in
avanti).
Poroshenko
ha capito che l’esistenza sua e quella dell’Ucraina dipendono
dalla pace con la Novorussia (per questo vuole sciogliere i
battaglioni di volontari, che vedono la pace come il fumo negli
occhi, visto che la sola ragione per cui esistono e hanno un ruolo è
la guerra). Oggi la sua propensione al compromesso è spalleggiata
anche dal mondo degli affari, persino dai settori che erano più
oltranzisti. E non a caso Putin gli ha fin da subito teso la mano,
riconoscendo le elezioni di maggio, pur pesantemente viziate
dall’esclusione dei partiti di opposizione e di larghe regioni del
Paese, e non riconoscendo invece ufficialmente le elezioni di
novembre nel Donbass (attirandosi anche
in questo caso feroci critiche dai nazionalisti russi).
Come
è stato detto, Putin preferisce una cattiva pace a una buona
guerra. Una verità che in Occidente è da nascondere, perché il
presidente russo deve essere a tutti i costi demonizzato. Anche nel
suo caso è iniziato l’accostamento a Hitler. Un classico: Hitler-
Milosevic, Hitler-Saddam, Hitler-Ahmadinejad, Hitler-Gheddafi,
Hitler-Assad e adesso Hitler-Putin.
Putin
invece sa che un’Ucraina unita e federale sarebbe lo scenario più
vantaggioso per la Russia e un punto di ricucitura con la UE. Lo
sanno bene anche negli Usa. E quindi se il deciso hard-power
statunitense avrà la meglio sull’indeciso soft-power di
Obama le cose si metteranno molto male per Poroshenko, per l’Ucraina
e per l’Europa intera.
Ci
si può immaginare la signora Clinton, che stufa di una politica
estera in confusione, stufa delle micro-fronde e delle
micro-diplomazie sotterranee europee, dice; «Obama,
move over there,
let me work! And
you, European ”leaders”, shut the fuck up! Line
the fuck up! Fuck the Eu!».
Purtroppo
gli ultimi sviluppi mostrano un Obama assediato e costretto, almeno
apparentemente, ad adeguarsi alle richieste dei falchi, cioè aiuti
letali all’Ucraina e sostegno massiccio anche politico al partito
della guerra, ovvero all’ultra destra nazionalista. In questo
scenario Poroshenko sarà visto con crescente sospetto dagli Usa e
sempre più contestato da nazisti e nazistoidi.
Alla
fine, potrebbe essere più utile come vittima sacrificale di un
attacco terroristico false flag, mettiamo al Parlamento di
Kiev. Una sorta di incendio del Reichstag.
Altre
opportune vittime dello stesso attentato, cioè i capi dell’ultra
destra, farebbero scattare una decomposizione tribale dell’Ucraina,
con presa del potere da parte di isterici signori della guerra e con
bande di nazisti alla caccia degli oppositori e specialmente dei
russofoni che sarebbero costretti a formare bande di autodifesa. Il
caos imperiale al suo apogeo. Il massimo a cui possono
attingere gli Usa a meno di dichiarare apertamente guerra alla
Russia. O a meno di una revisione radicale della loro strategia.
Evento ad oggi inconcepibile, e vedremo perché.
Il
caos imperiale nel 2015
La
crisi sistemica genera caos sistemico che decompone le società in
quelle formazioni sociali che lo sviluppo aveva incastrato e
accomodato in un sistema garantito da patti costituzionali. I
nazionalismi etnici e religiosi, tutta la varietà di particolarismi
oggi sotto i nostri occhi, sono un risultato di questa
decomposizione, iniziata in una larga parte del mondo all’inizio
degli anni Novanta, quando le riforme neoliberiste hanno
codificato la crisi sistemica. Ecco perché anche le Costituzioni
devono essere “riformate”. Perché in quella guisa oggi non
servono più.
Laddove
si ha interesse a limitare o tenere sotto controllo la decomposizione
sociale occorre che si instauri uno stato autoritario, che
imponga un nuovo senso comune, che non può più far leva su
uno sviluppo esistente ma dovrà ricorrere alla mitologia di un
nuovo sviluppo legata alla realtà di una situazione di
guerra. Guerra con un nemico interno o esterno. È ciò che sta
succedendo negli Usa e nella UE.
Ma
altrove l’impero del caos cerca di utilizzare per i suoi fini ogni
forma di divisione, sociale, etnica, culturale, religiosa, per far
fallire compagini statali non asservibili. Che altro è il Piano per
il Medioriente del ministro
degli Esteri israeliano, Oded Yinon,
presentato nel 1982? Che
altro voleva dire il “take
out” di Iraq, Siria,
Libano, Libia, Somalia, Sudan e Iran, deciso dal Pentagono fin dal
2001 e rivelato
dal generale Wesley Clark?
A
questi Paesi si è aggiunta da un anno l’infelicissima Ucraina,
centro di snodo dell’Europa geografica e politica.
La
UE non ha nessuna intenzione di pagare la sopravvivenza dell’Ucraina,
e nemmeno gli Usa. L’insidioso Soros ha calcolato che servirebbero
50 miliardi di dollari all’anno. Ma gli alleati della junta
hanno pianificato solo 20 miliardi in tre anni. Aspettiamoci una
migrazione biblica da quel Paese, in parte verso la Russia e in parte
verso la UE. Una migrazione che porterà con sé rancori per il
nostro tradimento e la consapevolezza che li abbiamo usati come carne
da macello contro i Russi. Una migrazione che porterà nella UE anche
un gran numero di persone radicalizzate a destra, piene di rabbia e a
volte addestrate militarmente; una sorta di rientro di jihadisti.
Per
molti osservatori l’Ucraina è ormai uno Stato fallito. Obama è
entrato nell’usuale trip decisionale (armo la junta,
non armo la junta,
armo la junta).
Quella confusione e quella indecisione che gli sono state
rimproverate. L’ultima mossa è stata una rivendicazione della
paternità del regime
change, ammettendo pochi
giorni fa alla CNN che Washington “had
brokered a deal to transition power in Ucraine”.
Vuol dire che armerà veramente la junta
prima della fine dell’inverno, quando è verosimile un’offensiva
della NAF? O sta prendendo tempo nei confronti dei falchi, mentre
pensa che la strategia migliore sia lasciare l’Ucraina nel caos
imperiale, come immensa gatta da pelare per la UE e la Russia? Con il
rischio però che questa gatta da pelare invece che fonte di dissidio
diventi motivo per una riconciliazione tra Bruxelles e Mosca? Ma se
c’è riconciliazione, le probabilità di successo della
Transatlantic Trade and
Investment Partnership
(il Ttip) si riducono al
lumicino. E gli Usa si ritroverebbero potenti ma quasi isolati,
essendo a un punto morto anche le trattative per la parallela
Trans-Pacific
Partnership (Tpp).
Sono
eventualità che Obama non può controllare e che impensieriscono i
falchi.
Ed
è possibile un’escalation in Ucraina e una de-escalation
in Medioriente? C’è da dubitarne.
Putin
per ora non ha sbagliato una mossa. Ha usato le sanzioni per rendere
autonoma la Russia in molti settori e ha stretto un numero
straordinario di accordi economici e finanziari coi sei settimi di
umanità che circondano l’Occidente in crisi (senza contare che
lo stesso interscambio tra Usa e Russia è aumentato del 7% da quando
sono iniziate le sanzioni). È riuscito a non far coinvolgere il suo
Paese nel conflitto e a riprendersi la Crimea senza colpo ferire. Ma
nonostante la sua accortezza e pazienza, la crisi ucraina potrà
finire solo con tre scenari: a) una provocazione diretta contro la
Russia con suo inevitabile coinvolgimento nel conflitto; b)
un’Ucraina a pezzi e al collasso, abbandonata dall’Occidente
e lasciata come problema alla sfera d’influenza della Russia e -
nelle intenzioni, ma non è detto - come causa di perenne discordia
con l’Europa; c) una negoziazione seria tra Russia e UE con
all’ordine del giorno la denazificazione dell’Ucraina, la
sua neutralità e la ricostruzione del Paese.
Per
ora l’unica mossa consentita alla UE dal suo padrino d’oltre
Atlantico è stata l’estensione di sanzioni talmente
imbarazzanti e controproducenti che vengono proclamate a gran voce ma
la cui precisa definizione viene rimandata nella speranza che succeda
qualcosa.
L’Europa
nel 2015
Le
nuovi sanzioni, se saranno prese, non hanno nessuna possibilità di
danneggiare la Russia. Ma sono un pesante segnale di subordinazione
alla logica della contrapposizione. Segnali che costano morti.
Tuttavia
sembra che la diplomazia della Grecia di Syriza abbia giocato
un ruolo importante nel frenare la UE da decisioni affrettate e
troppo pesanti riguardo Mosca. Io non sono un tifoso tripudiante di
Syriza, ma prendo le distanze da una sinistra italiana che,
dimenticandosi di essere la più incapace d’Europa, si è lanciata
in una sequenza di critiche massimaliste e puriste al nuovo governo
greco, senza nemmeno dargli il tempo di insediarsi e orientarsi nel
potere. Vedo anch’io alcuni segnali preoccupanti ma credo che sia
d’obbligo non affrettarsi nel giudizio.
Secondo
molti puri e duri, il governo greco in due giorni avrebbe dovuto: a)
proclamare il default, b) uscire dall’Euro, c) uscire dalla Nato,
d) opporsi con un veto alle nuove sanzioni contro la Russia.
L’unica
maniera che il nuovo governo greco avrebbe per fare queste cose
dall’oggi al domani senza un contraccolpo catastrofico passa
attraverso una militarizzazione della società, previa sostituzione
di tutte le linee di comando dei militari greci (che hanno espresso i
famigerati “colonnelli” negli anni Sessanta-Settanta) a sostegno
di una mobilitazione di massa continua.
La
nostra sinistra, maestra delle concettualizzazioni pure e dure, ha da
tempo perso di vista la realtà materiale, sperduta così com’è
nel concetto e nei modelli. Si dimentica ad esempio che la Grecia ha
11 milioni di abitanti, non 1.100 milioni. Non ha la bomba atomica ma
un esercito striminzito di meno di 90.000 uomini. Ha meno di 132.000
kmq e non 9 milioni. Dove va con la Dracma un Paese così? Qual è la
potenza politica, militare, economica e finanziaria che starebbe
dietro alla nuova Dracma, che la sosterrebbe in una crisi sistemica
teatro di battaglia di contendenti colossali? Una Dracma non
ereditata dalla storia e quindi inserita in qualche modo nei giochi
finanziari ed economici attuali, ma nata da una rottura con l’Europa,
con la Nato e con gli Stati Uniti?
Non
è lecita la prudenza? Non è lecito sondare il terreno,
cercarsi prima degli alleati sicuri e con la possibilità di
intervenire? È difficile ricordarsi cosa succedeva ai Paesi in odore
di defezione durante la Guerra Fredda? Ci siamo già scordati di
Gladio? Ci siamo già scordati delle bombe in Italia per dieci anni
consecutivi? Ci siamo scordati, per l’appunto, dei Colonnelli
greci? E la guerra allora era fredda mentre oggi è già molto
calda. E la crisi sistemica era agli inizi, non era arrivata ai
livelli di oggi che non lasciano più molto spazio di manovra.
È
vero, ripeto, ci sono indizi preoccupanti su come si muoverà Syriza.
Ma per ora sono solo indizi, non prove. Alla fine dell’anno ci
saranno le elezioni spagnole. Ma già da prima, con la semplice
prospettiva di una vittoria di Podemos, l’Unione Europea
dovrà fare parecchi conti. Senza parlare delle elezioni britanniche
in maggio che potrebbero dare molto fiato alle posizioni cosiddette
“euroscettiche”. E spero che non si obietti l’ovvietà che
l’Ukip non è di sinistra. Il quadro sta cambiando. Potrebbe non
essere un cambiamento sufficiente, ma un cambiamento è in atto.
Non
per nulla la Bce cerca di arrivare a più miti consigli, e vara in
barba a una quasi impotente Germania il quantitative easing
(QE) di Mario Draghi. Ovviamente, come vedremo, non è l’unico
motivo per cui lo fa. E inoltre bisogna vedere i vincoli e le
costrizioni a cui la Germania cercherà di sottoporre la decisione di
Draghi. Ad esempio il QE potrebbe venire incontro alla Grecia.
Sarebbe la cosa più naturale. Ma potrebbe anche essere usato in modo
discriminatorio per ricattare ancora di più Tsipras. Le recentissime
dichiarazioni di Mario Draghi sembrano accreditare
quest’ultima ipotesi. Ma attenzione alle apparenze. Attenzione alle
declamazioni. Attenzione allo spettacolo che avviene sul
palcoscenico, perché è più importante il backstage. Attenzione a
non urlare “al lupo! al lupo!” prima di controllare se il lupo è
alla catena.
Ad
ogni modo c’è chi dice che è tardi per il QE e chi dice
che è insufficiente. La realtà è che comunque vada servirà solo
come lenitivo per guadagnare un attimo di respiro e avrà come
effetto netto finale l’inasprimento della crisi. A meno che non
si riconsideri tutta la costruzione europea e il nostro “modello di
sviluppo” (termine che non amo) fin dalle radici.
La
crisi finanziaria nel 2015
Con
molta probabilità il 2015 sarà infatti anche l’anno della nuova
crisi finanziaria. Non possiamo dire molto sul futuro dell’Europa
se non vediamo più da vicino questo punto.
La
prossima crisi finanziaria sarà peggiore di quelle precedenti per il
semplice motivo che tipicamente nel tentativo di superare una crisi
si creano effetti che vanno a ingigantire esponenzialmente la
crisi successiva, e così via.
È
impressionante constatare sui grafici come dal 2000 il prezzo
dell’oro fisico sia cresciuto nella stessa ragione della sua
crescita dopo il Nixon
shock, cioè dopo
l’inizio della crisi sistemica attuale. Solamente negli ultimi tre
anni si è abbassato grazie alle manovre
sull’oro cartaceo (futures)
tese a sostenere il corso del Dollaro.
Cosa
che - classico effetto inintenzionale - ha consentito alla Cina
e alla Russia di acquistare quantità straordinarie di oro
fisico in vista della prossima crisi finanziaria globale e della
progressiva sostituzione del Dollaro nel commercio mondiale.
Poco
da stupirsi se “Holt unser Gold heim!”, rimpatriamo il
nostro oro, sia da tempo un motto molto popolare in Germania. Non si
sa mai, meglio far ritornare alla base le 2.400 tonnellate d’oro
depositate negli Usa e in altri Paesi, in particolare in Inghilterra
e Francia. Ma i tedeschi quell’oro non lo avranno mai indietro.
Gli Stati Uniti praticamente non hanno più un’oncia di quel
metallo e i pochissimi lingotti che hanno restituito alla Germania
erano probabilmente quelli rubati alla Libia, un furto che è costato
qualche decina di migliaia di morti. Farne sparire le origini è
infatti una delle più plausibili spiegazioni che sono state date
all’inspiegabile fatto che i lingotti sono stati rifusi dalla
Bundesbank. Ad ogni modo, con una media di 78 tonnellate all’anno,
stando alle dichiarazioni della stessa BuBa, la Germania dovrà
attendere 30 anni per rivedere tutto il suo malloppo. Ma tutti sanno
che sarà un’attesa vana. A partire dalla BuBa, che infatti aveva
inizialmente chiesto indietro solo 300 delle 1.500 tonnellate
depositate a New York e si era preoccupata poco del ritmo lentissimo
di rientro, fino a dichiarare che in fin dei conti l’oro tedesco
stava benissimo anche negli Usa. Per poi ricredersi per le pressioni
di un agguerrito comitato e probabilmente per i nuovi calcoli
economici, finanziari e politici che si sono fatti.
Un
analogo problema lo stanno sperimentando Belgio e Olanda, gli unici
in Europa che abbiano iniziato un piano di rimpatrio dell’oro.
L’Italia, che ufficialmente possiede la terza riserva del mondo,
cosa aspetta? Non vuole irritare la Fed o ha stabilito che tanto è
fiato sprecato? Qualcuno si sta chiedendo perché i Paesi europei di
“area tedesca” stiano cercando di rimpatriare il loro oro?
Qualcuno si è chiesto perché Russia e Cina lo accumulino a ritmi
mai visti prima nella storia?
Facciamoci
allora un’altra domanda: il QE di Mario Draghi seguirà la stessa
sorte del QE di Shinzo Abe (o più precisamente del QQE,
perché il Governatore Kuroda-san pretende che sia anche
“qualitative” oltre che quantitative - non per
nulla son giapponesi)?
La
domanda da porsi è se il QE, o QQE, europeo sia, parimenti a quello
asiatico, un tentativo di aumentare l’inflazione nella speranza di
rilanciare l’economia reale. È una domanda importante perché in
Giappone, come si sa, non ha funzionato. Il reddito delle famiglie è
sceso del 6% e il Pil del 7%. In compenso si sono formate
bolle speculative più grandi di quelle già rovinose del
“decennio perso” dell’economia nipponica. Un periodo nero,
voglio ricordare, innescato dal Plaza Accord del 1985 che di
fatto è da considerare come il canto del cigno del potere di
lobbying dell’economia reale statunitense prima della
finanziarizzazione selvaggia iniziata alla fine degli anni Ottanta e
consacrata nel 1995 da un accordo opposto chiamato, infatti, Reverse
Plaza Accord (gli accordi del 1985 non erano altro che
l’imposizione forzata da parte degli Usa della rivalutazione dello
Yen - che viene però incensato da qualcuno in quanto esempio di
“moneta indipendente”).
Un
effetto sicuro della Abenomics è stato quello di indebolire
lo Yen senza per altro riuscire a ridurre l’enorme debito pubblico,
240% del Pil. In altre parole il Giappone è come un’enorme Grecia,
col vantaggio formale di avere una moneta e una banca centrale
indipendenti e quello sostanziale di essere la terza economia del
mondo, quindi too big to fail, e, soprattutto, di essere
geopoliticamente strategico per gli Usa.
Ciò
nonostante, più di un analista non esclude un futuro default del
debito sovrano e un collasso dell’economia del Sol Levante.
L’Europa
sta per diventare il Giappone occidentale?
Il
QE europeo è un aiuto agli Usa per bilanciare il famoso tapering
della Fed, che stenta ad essere implementato, dopo trilioni di
dollari stampati e messi in circolazione? Trilioni che non
hanno sortito sull’economia reale un grande effetto, se sono
veri i dati di una caduta a picco dei prezzi dei beni industriali
negli Usa, cosa che farebbe direttamente a pugni col +5% di Pil
sbandierato da Obama.
La
realtà è che questi trilioni, come vedremo, hanno gonfiato
nuove bolle speculative.
Analisti
di lungo corso operanti quotidianamente sui mercati, suggeriscono di
sostituire il termine “Teoria monetaria” con “Bubbleology”,
scienza delle bolle monetarie. La loro analisi della crisi
solitamente non va molto indietro al 2008, anno dello scoppio della
bolla immobiliare (d’altronde da noi non si va quasi mai indietro
al 2000, anno dell’Euro), tuttavia sono persone concrete, poco
avvezze alla (inconsistente) teoria ma spaventate dalla (consistente)
pratica. E quindi il suggerimento è molto pertinente.
La
Cina dal canto suo ha deciso di utilizzare lo stesso antidoto
per contrastare l’indebolimento della propria economia. E quindi
non c’è da stupirsi che lo stesso effetto sia stato raggiunto: una
bolla borsistica. Per loro fortuna la bolla è scoppiata
abbastanza alla svelta. Forse perché sono cattivi “comunisti” e
hanno un governo centrale molto occhiuto. Ad ogni modo, dato che
l’Impero di Mezzo ha i migliori “fondamentali” economici del
mondo, la vicenda cinese è una riprova di quanto stiamo dicendo:
quando la crescita della base monetaria e degli strumenti creditizi
diventa non una leva per la crescita dell’economia reale ma il
sostituto di questa crescita, le bolle speculative sono
inevitabili.
La
discesa a picco del prezzo del petrolio ha solo parzialmente
danneggiato l’economia del babau russo, ma avrà invece effetti
molto brutti in Occidente. È fantastico che fino a ieri il prezzo
crescente del petrolio fosse visto come il peggior incubo - tanto che
una delle giustificazioni dell’Euro era che costituiva uno scudo
rispetto alla crescita dei prezzi dell’energia - e oggi ci dicono
invece che è tutto il contrario. Come mai? Schizofrenia?
Il
fatto è che il prezzo alto del barile era un problema per l’economia
reale. Ma il prezzo basso è un grossissimo problema per un’economia
finanziarizzata. Solo per fare un esempio, si prenda il Canada, dove
l’enorme bolla immobiliare (più grande di quella statunitense del
2008, secondo gli esperti) rischia di scoppiare dato che non è più
sostenuta dall’alto prezzo del petrolio. Ed è solo un esempio.
Di
tipo peculiare sono poi le sofferenze per il circuito “mercato
delle armi-mercato del petrolio”, col risultato che uno dei pochi
settori dell’economia reale che ancora tira, quello (orrendo) della
produzione di armamenti, rischia una forte riduzione.
La
situazione in Canada è un esempio di come l’economia
finanziarizzata e quella reale, non solo divergano in misura
geometrica, ma abbiano anche logiche contrastanti.
Per
quale motivo Renzi e Padoan hanno deciso di rendere scalabili le
Banche Popolari? Per quale motivo stanno stravolgendo
la natura e la missione della Cassa Depositi e Prestiti? Perché
hanno deciso di svendere quei pochi istituti finanziari che ancora
avevano legami con l’economia reale e coi cittadini? Perché
vogliono privatizzare quel mondo e quell’altro? C’è un unico
vero motivo, al di là dei side-effect: per fornire alle
fauci insaziabili della finanza un po’ di carne fresca e rimandarne
per qualche tempo il suo collasso. Perché il nostro debito
pubblico aumenta nonostante un’austerity feroce, se non,
essenzialmente, per la trasformazione delle sofferenze finanziarie
private in sofferenze pubbliche?
E
allora ci si domanderà: perché di quell’enorme flusso di soldi
generato finora negli Usa e in Europa, solo miseri rivoli sono
arrivati all’economia reale, e la stessa cosa è destinata a
ripetersi col QE europeo?
Esiste
una risposta sbagliata e una risposta giusta.
La
risposta più semplice è nota ed è divulgata sia a destra sia a
sinistra: è in atto da tempo un complotto dei banchieri
massonico-giudaici. Questa è la risposta sbagliata! I banchieri e i
finanzieri, che siano framassoni o non lo siano, che siano ebrei o
gentili, sono solo agenti (non innocenti) di un fenomeno più
generale e oggettivo.
La
risposta giusta, infatti, è che imprestare soldi a una economia
reale che non produce sufficienti profitti o non ne produce affatto,
equivale a un prestito a fondo perduto. I soldi vanno solo dove se
ne producono altri e in Occidente questo luogo da decenni è la
finanza speculativa. E se il denaro prodotto dal denaro è carta
straccia tanto quello prestato lo si vedrà solo se qualcuno non ne
riconosce più il valore. Chi minaccia di farlo è, ovviamente,
passibile di eliminazione fisica. Lo potranno fare, quando lo
riterranno conveniente, solo in pochi, bene armati: la Cina, la
Russia, forse l’India. Succederà nel 2015? Sarà una catastrofe o
sono ancora possibili sgonfiamenti pilotati delle bolle? Chi ne farà
le spese?
L’impero
nel 2015
Ecco
allora l’importanza centrale dei giochi geopolitici di alleanza e
di conflitto nella crisi sistemica. Gli Usa sanno benissimo che il
bluff finanziario smetterà di reggere quando esso metterà
seriamente a repentaglio lo sviluppo cinese e quello russo, oltre a
quello dei loro alleati di fatto o di diritto. Questo bluff serve a
mantenere l’egemonia planetaria statunitense sul mondo e, di
converso, l’egemonia serve a sostenere il bluff. Per gli Usa è
vitale, a meno di riformare la propria società fin dalle radici.
Cosa che nemmeno il più audace dei candidati alla Casa Bianca
oserebbe mettere nel suo programma: per cose infinitamente più
timide, l’esclusione a priori dalla corsa presidenziale è certa e
l’eliminazione fisica quasi.
Allora
occorre indebolire i competitor. Si suscitano così “primavere”
sulla sponda Sud del Mediterraneo per escludere da quei paesi la
Russia e la Cina e contemporaneamente creare un cordone sanitario
rivolto all’Europa, per scongiurare ipotesi di politiche
indipendenti del Vecchio Continente; e per completare l’opera, dopo
aver capito che un attacco diretto in Medioriente era troppo
rischioso, si è consentito che un esercito di decapitatori,
lapidatori e tagliagole dilagasse nella Mezzaluna Fertile. Poi ci si
rivolge all’Europa e si scatena un golpe nazista a Kiev con tanto
di minaccia di pulizia etnica degli ucraini russofoni, per suscitare
la prevista reazione della Russia, sanzionarla, aprire un fronte
orientale di guerra anche in Europa e stringere così a coorte il
Vecchio Continente, per metà imbelle e per metà comprato.
Ma
gli effetti sono spesso inintenzionali. Russia e Cina cementano
un’alleanza inimmaginabile fino a qualche anno prima, che
riguarda infrastrutture, energia, armamenti, cibo, tecnologia.
L’India tiene i piedi in due staffe e rifiuta di sbilanciarsi
verso gli Usa.
Il
Dollaro, che gli Usa vogliono strenuamente difendere, si trova così
sempre più alla mercé dei grandi competitor, specialmente della
Cina. Se gli Stati Uniti non riescono a imbrigliare l’economia
cinese in una nuova mondializzazione, innanzitutto finanziaria,
l’affondamento del Dollaro può essere solo questione di tempo e di
scelta politica. In sole due mosse: 1) vendita degli immensi asset
finanziari denominati in dollari posseduti dalla Cina, 2) vendita dei
dollari guadagnati con la prima vendita. In pochi minuti, anni di
Quantitative Easing
verrebbero vanificati (si veda quanto
ha scritto in proposito l'ex sottosegretario al Tesoro di Reagan,
Paul Craig Roberts). Questa sarebbe la mossa
finanziaria, quella
cinese. Dal canto suo la Russia potrebbe attuare la mossa
energetica, tagliando gas
e petrolio all’Europa Occidentale.
Sarebbero
mosse rischiosissime, è più che evidente, ma potrebbero essere
obbligate in assenza di negoziazioni serie e globali sul disarmo,
l’economia e la finanza. E quindi, in definitiva, sul Potere.
L’alternativa per Cina e Russia è attendere nella speranza che
Washington non lanci un attacco nucleare. Una speranza e un’attesa
che rischiano seriamente di essere vane, perché tutte le mosse
intermedie degli Stati Uniti hanno mostrato ritorni progressivamente
decrescenti ed effetti inintenzionali disastrosi. E le mosse rimaste
sono poche e verosimilmente non migliori di quelle precedenti.
Come
conseguenza, la forza di attrazione degli Usa e dell’Occidente
scema senza soste, mentre quella del nuovo asse euroasiatico aumenta
allo stesso ritmo.
La
guerra e la pace nel 2015
Dato
questo quadro, si capisce perché l’hard power statunitense
accusi
Obama di avere una strategia confusa e proponga invece un uso
diretto e massiccio della forza militare. Un uso, però,
rischiosissimo, perché di fronte ci sono potenze che a detta di Paul
Craig Roberts, possono singolarmente far polpette degli Usa. Roberts
non afferma ciò per perorare un massiccio riarmo statunitense. Al
contrario, quel che vuole è un ridimensionamento della potenza degli
Usa e la loro accettazione di negoziati globali. Cioè il
riconoscimento che l’epoca dell’egemonia incontrastata degli Usa
sta tramontando. Un processo testimoniato dal fatto che dall’inizio
del millennio gli Stati Uniti sono permanentemente in guerra con
quasi tutto il mondo.
Con
gli Usa presi in mezzo a queste contraddizioni, si capisce perché il
boccino del QE, che anche in Europa non potrà mai essere un QQE, sia
ora passato all'Unione Europea.
Nell’ambito
di questa nuova politica monetaria espansiva è verosimile un
allentamento dell’austerity e l’accomodamento di parte delle
esigenze dei PIIGS, a partire dalla Grecia (a meno di un’impuntatura
da parte della Merkel per far saltare tutto e uscire dall’Euro
dando la colpa agli altri). Anzi, i PIIGS potrebbero diventare i
migliori alleati di questa novella politica Fed-Bce che
soppianterebbe quella della Troika.
Cosa
ciò possa significare per il futuro dell’Euro e della UE non è
facile da capire. Innanzitutto perché nonostante le apparenze sarà
più una scelta politica che non economica. In secondo luogo perché
nel corso del processo potrebbero prendere forza dinamiche più
radicali dovute alla crescente paura per l’aggressiva politica
imperiale e all’insoddisfacente recupero economico e sociale (se la
fonte finanziaria all’origine è più copiosa, il rivolo che
arriverà all’economia reale sarà più grande, ma sarà sempre un
rivolo). Non solo. È da escludere un effetto uniforme nel tempo,
nelle regioni europee e in tutti i settori dell’economia europea.
Gli effetti saranno a macchia di leopardo sia nel tempo che nello
spazio.
Anche
i quattro QE statunitensi hanno generato effetti contrastanti. Ad
esempio dopo i primi due c’è stato un ribasso della Borsa, ma dopo
il terzo e il quarto un rialzo. L’effetto netto comunque è stato
l’indebolimento del Dollaro e l’approfondimento della frattura
del mercato internazionale.
L’annuncio
del QE europeo ha già provocato la nota reazione della Banca
Nazionale Svizzera, una reazione che alla Borsa di Zurigo è costata
100 miliardi di franchi. Certo, l’Euro indebolito sta facendo
tirare un po’ il fiato agli esportatori, ma in un mercato
mondiale diviso in due, quanto lunga sarà questa boccata d’aria?
Certo, se il Ttip verrà firmato i grandissimi esportatori ne avranno
notevoli guadagni, ma per il resto della società si tratterà di
raschiare il fondo del barile a prezzi altissimi in termini di
democrazia, diritti, salute e ambiente.
Tuttavia
il problema centrale rimane l’accumulo mostruoso di capitale
fittizio rispetto alle possibilità dell’economia reale. Un
accumulo che come il famoso tirannosauro di Jurassic Park si
avventa su tutto ciò che si muove nell’economia reale e,
soprattutto, si configura come il più grande problema economico
della nostra epoca.
Ci
sono troppi capitali accumulati per un singolo mondo. Figurarsi
per un mondo diviso in due. E “troppi” significa che questi
capitali rischiano di essere considerati per quel che sono, cioè
carta straccia. Quadrilioni di potere, ovvero di possibilità
di mobilitare risorse, che diventano improvvisamente carta straccia.
Questo è l’incubo. Il loro incubo. Capitali in forte
“esubero” possiamo dire. Milioni di miliardi pronti per essere
macellati. E non è solo un problema occidentale. È un problema
dell’accumulazione di capitale, anche se oggi è principalmente un
problema storico dell’Occidente.
Non
c’è quindi da stupirsi che qualcuno in Occidente pensi che la
guerra sia la sola igiene del mondo. D’altra parte, non ha mica
tutti i torti: senza più il mondo ogni vincolo materiale scompare e
di conseguenza i problemi. L’apogeo dell’economia virtuale.
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