di
Piotr.
1.
I corsari erano dei privati (spesso armatori) che ingaggiavano
comandanti abili nella navigazione per perseguire propri interessi in
condominio con quelli politici di una potenza che li forniva,
appunto, di una “lettera di corsa”. Tale lettera li abilitava ad
attaccare e saccheggiare navi di altre potenze sotto particolari
condizioni (solitamente una guerra).
Le
attività dei pirati e quelle dei corsari erano praticamente le
stesse. Cambiavano solo le coperture politiche ufficiali. Diversi
corsari finirono la loro carriera come pirati, a volte impiccati
dagli stessi governi che li avevano ingaggiati.
Di
fatto i corsari potevano permettersi di fare quelle cose
che uno Stato riteneva politicamente e/o economicamente imprudente
fare.
Una
variante molto più in grande ed organizzata erano le Compagnie
commerciali dotate di privilegi, come la famosa Compagnia Inglese
delle Indie Orientali, che benché totalmente private (la Corona
inglese non possedeva nemmeno un’azione delle Compagnie inglesi)
avevano il nulla osta per condurre guerre e attività di governo.
Corsari
e pirati hanno smosso le fantasie romantiche e libertarie di
generazioni di persone che invece storcevano il naso per le imprese
dei loro mandanti.
Oggi la storia si ripete. In peggio.
Oggi la storia si ripete. In peggio.
2.
I reparti armati dei (cosiddetti)
fondamentalisti islamici sono da più di trenta anni una forma ancor più perversa di
simili compagnie di ventura, al servizio dell’impero
statunitense. I prodromi di questa alleanza-servizio furono gettati
durante la Prima Guerra Mondiale da persone come St John Philby e
Gertrude Bell, brillanti e preparatissimi agenti inglesi che
lavoravano in stretto contatto con i principi sauditi.
L’alleanza
è stata vista all’opera in Afghanistan
negli anni Ottanta, sotto la sapiente regia criminale di Zbigniew
Brzezinski,
poi in Bosnia, in Kosovo, in Cecenia, in Libia, in Siria e ora in
Iraq. È verosimile che la sua longa
manus
arrivi fino in India, via Pakistan, e nello Xinjiang
Uyghur, in Cina.
L’ISIS,
cioè lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Siria), è la
forma
più sofisticata di questa strategia corsara.
Più ancora che Israele – che, essendo formalmente uno stato
internazionalmente riconosciuto deve sottoporsi alla legalità
internazionale, anche se non lo fa praticamente mai e si avvale di
ampie deroghe e ha un’organizzazione politico-istituzionale
complessa (ma questo conta sempre meno, lì come da noi) - l’ISIS è
la quadratura del cerchio: uno stato-non-stato
che essendo per definizione un’entità terrorista ha il “diritto”
di essere al di fuori di qualsiasi legalità. Bene fanno, dal loro
punto di vista, gli USA a chiamarla “organizzazione terrorista”:
il sostegno politico diretto, quello organizzativo via Arabia Saudita
e proprio quella stessa definizione costituiscono la “lettera di
corsa” che la Superpotenza gli fornisce. In altri termini, hanno il
diritto-dovere
di essere terroristi.
Esattamente
come succedeva coi corsari di un tempo, sotto le mentite spoglie di
“combattenti per la libertà” (anti Assad) hanno smosso le
fantasie romantiche di ingenui buonisti - a volte, ahimè, persino
caduti nella mortale tela del ragno - e di sedicenti
internazionalisti fatti perdere da Giove. Possiamo immaginare che ora
essi si sentano confusi. Noi, al contrario, iniziamo a vedere con più
chiarezza i contorni di un disegno sufficientemente preciso.
3.
Già negli anni Ottanta la Rand
Corporation
aveva “previsto” che le guerre future sarebbero state un misto di
conflitti stellari e di conflitti
premoderni condotti da entità substatali.
Una previsione non difficile, visto che la Rand
faceva parte di quel complesso che stava preparando tale scenario.
È
una strategia sostenuta da un’ottima logica. Le “guerre
stellari”, infatti, se condotte fino alle loro estreme conseguenze
non posso trasformarsi che in conflitti nucleari. La guerra di corsa
tramite entità substatali, condotta dagli USA dopo i primi colpi
“ortodossi” inferti dalla genia dei Bush e da Clinton, ha invece
permesso alla Superpotenza di lanciare
quella serie di first
strike
che sarebbero stati rischiosissimi, e quindi impossibili, in termini
di guerre ortodosse tra stati, sebbene fossero contemplati dalla New
Nuclear Posture
elaborata dai neocons
sotto Bush Jr.
L’iniziale
sbandamento dei competitor strategici dimostra che la mossa ha una
sua genialità, ovviamente criminale. Anzi, c’è la sensazione che
questi competitor preferiscano correre il rischio di guerre
substatali terroristiche piuttosto che quello di un conflitto aperto
contro un avversario spregiudicato e sempre più aggressivo perché
sempre più in difficoltà. Una difficoltà, comunque, relativa e che
cercheremo di precisare.
4.
Cosa c’è di meglio per gli USA che installare
nel centro nevralgico dell’Eurasia (già
oggetto degli incubi e dei desideri del “veggente” consigliere di
Carter per la sicurezza, Zbigniew
Brzezinski) uno
stato-non-stato, uno stato-zombie, un essere-non-essere,
un’organizzazione territoriale che al riparo della sua bandiera
nera pirata può minacciare di azioni raccapriccianti tutti gli stati
vicini, a partire da Siria, Russia, Iran, Cina, repubbliche
centroasiatiche e poi lungo il corridoio che tramite il Pakistan
penetra in India e che attraverso lo Xinjiang Uyghur prende alle
spalle la Cina? Difficile
pensare a un’arma non convenzionale migliore.
Proprio difficile. Un temibile cuneo piazzato nel bel mezzo
dell’Organizzazione
di Shanghai.
Non
solo, ma anche l’Europa può essere minacciata (non è già
stato fatto?). Può essere utile qualora si mostrasse troppo
recalcitrante al progetto neoimperiale statunitense, con annessi e
connessi tipo il rapinoso TTIP.
La
difficoltà statunitense di cui si parlava prima, non sta nel fatto
che gli Stati Uniti siano inesorabilmente in declino per chissà
quali leggi geopolitiche o economiche. In realtà la difficoltà è
insita nel sistema capitalistico stesso che oggi è ancora incentrato
sugli USA, cosa che si può contestare solo se si pensa che il
sistema capitalistico sia misurabile solo a suon di profitti,
PIL, scambi commerciali e riserve valutarie. Anche, ma non “solo”,
perché il sistema capitalistico è un sistema di potere.
In
più, le potenze emergenti sono emerse, diciamo così, “in
ritardo” (non poteva essere altrimenti) ovvero quando le
capacità distruttive militari, industriali, ecologiche e
finanziarie mondiali erano già state ipotecate massicciamente da uno
stato-continente denominato Stati Uniti d’America e dai suoi
vassalli. È vero che noi paesi occidentali a capitalismo maturo
contiamo solo per un settimo della popolazione mondiale, ma questo dà
proprio l’inquietante misura del problema, perché contiamo
immensamente di più in quanto a capacità distruttiva.
5.
Il
regista Oliver Stone e lo storico Peter Kuznick con molto acume hanno
fatto notare che con Hiroshima e Nagasaki gli USA non solo
volevano dimostrare al mondo di essere superpotenti, ma anche - cosa
ancor più preoccupante - che non avrebbero avuto alcuno scrupolo
nella difesa dei propri interessi: erano pronti a incenerire
in massa uomini, donne e bambini.
Le
popolazioni libiche, siriane e irachene martirizzate dai corsari
fondamentalisti sono la raccapricciante dimostrazione di questa
mancanza di scrupoli, episodi di genocidi compiuti a rate al posto
del singolo sterminio atomico, troppo rischioso. In questo senso
preciso l’ISIS è utilizzato come arma di distruzione di massa a
consumo.
6.
In Occidente questa strategia rimane incomprensibile ai più. È vero
che è complessa perché fa leva su un gioco intricato di interessi
differenziati, da quelli puramente ideologici a quelli puramente
mafiosi, ma la cosa è sorprendente perché oltre ad essere ormai
chiara negli obiettivi - evidentemente perché gli USA stessi se li
sono chiariti -, come si è visto è anche la riedizione di una
strategia già nota e stranota.
Confusa
poteva essere la sua percezione durante il conflitto afgano degli
anni Ottanta. Era forse difficile capire allora la connessione tra
Volker shock, invasione sovietica e nascita della
guerriglia islamista sostenuta e organizzata dagli USA. Tuttavia
alcuni studiosi, benché pochi e trattati come eccentrici, avevano
già fatto notare le connessioni tra crisi sistemica, reaganomics,
finanziarizzazione, conflitti geopolitici e la ripresa d’iniziativa
neoimperiale degli USA dopo la sconfitta in Vietnam (quante volte
gli Stati Uniti sono stati dati per spacciati?). Mi riferisco agli
studiosi raccolti nella scuola del “sistema-mondo”.
È
comunque singolare che una sinistra così determinata negli anni
Sessanta e Settanta a lottare per la difesa del filosovietico
Vietnam, pochissimi anni dopo si trovasse a strizzare l’occhiolino
a fondamentalisti sostenuti dagli USA contro una Unione Sovietica ora
considerata l’impero da sconfiggere a tutti i costi.
Con
le Torri Gemelle, inizio della Terza Guerra Mondiale a Zone di
cui oggi parla persino il papa (ci sono veramente voluti tredici anni
per capirlo in Vaticano?), la deriva totale della sinistra veniva
preannunciata con uno spettacolare canto del cigno: le enormi
dimostrazioni contro le guerre di Bush Jr e le politiche neoliberiste
globalizzate. Si era sulla strada giusta, perché erano esattamente i
due lati complementari del connubio denaro-potere messo a nudo dalla
crisi sistemica. Eppure è bastato il peggioramento di questa
crisi e il suo irrompere nei centri capitalistici occidentali e
l’elezione santificata di Barack Hussein Obama per far deragliare
ogni ragionamento e centinaia di migliaia di ex militanti venivano
trasformati in supporter attivi, passivi o incoscienti della nuova
politica imperiale.
Non
è un’esagerazione: basta confrontare i 3 milioni di persone in
piazza a Roma nel 2003 contro la guerra all’Iraq e le 300
(trecento) persone in piazza a Roma nel 2011 contro la guerra alla
Libia.
Quel
che era peggio, è che questo non era il risultato di un sofisticato
programma di condizionamento, ma l’esito delle strategie di
comunicazione introdotte ai suoi tempi dal nazista Goebbels
ricanalizzate attraverso i vecchi e i nuovi media, con una variante
decisiva. Non solo balle grosse come case ripetute all’unisono
ovunque e con ogni mezzo, ma anche condite coi termini e coi concetti
che più piacevano alla sinistra: se gettare bombe faceva storcere il
naso, bastava dire che esse erano intelligenti o addirittura
umanitarie, se non proprio aiuti umanitari sic et simpliciter.
L’impero ora parlava con un linguaggio ad ampio spettro, da quello
reazionario a quello del progresso, tecnico, sociale e politico. Non
proprio una novità, ma il bersaglio era una società in via di
disarticolazione a causa della crisi sempre più feroce, abbandonata
e addirittura tradita dagli intellettuali e politici a cui si era
affidata e dove purtroppo anche nelle poche roccaforti rimaste gli
effetti mutageni del linguaggio imperiale facevano danni.
Come
commentava allora una vignetta di Altan: “Il trucco c’è, si
vede benissimo, ma non gliene frega niente a nessuno”. Il
perché dovrebbe essere studiato a fondo per capire come uscire da
questo limbo sospeso sopra il baratro.
Ad
ogni modo la “guerra al terrorismo” non sconfiggeva alcun
terrorismo, banalmente perché non c’era nessun terrorismo da
sconfiggere. In compenso distruggeva stati, prima l’Afghanistan poi
l’Iraq.
Il
terrorismo nel frattempo entrava “in sonno” e si rifaceva vivo
con alcune necessarie dimostrazioni di esistenza a Madrid e a Londra,
nel cuore dell’Europa. In realtà era in fase di riorganizzazione,
nel senso che lo stavano riorganizzando per i nuovi teatri operativi,
forse all’inizio ancora non molto chiari nelle menti degli
strateghi statunitensi perché nelle crisi sistemiche anche chi
genera e utilizza il caos risente delle sue conseguenze.
7.
Con Obama gli obiettivi e la strategia si sono progressivamente chiariti. Una volta riorganizzato e potenziato l’esercito corsaro,
scattava la nuova offensiva che ha avuto due preludi: il discorso di
Obama all’Università del Cairo nel 2009 e le “primavere arabe”
iniziate l’anno seguente.
In
entrambi i casi la sinistra ha sfoggiato una strabiliante capacità
di non capire nulla.
Avendo
ormai scisso completamente l’anticapitalismo
dall’antimperialismo, la maggior parte del “popolo di
sinistra” si faceva avviluppare dalla melassa della coppia
buonismo-diritti umanitari (inutile ricordare i campioni italiani di
questa pasticceria), elevando ogni bla-bla a concetto e poi a Verbo.
Obama dixit. Che bello! Che differenza tra Obama e quel
guerrafondaio antimusulmano di Bush! Avete sentito cosa ha detto al
Cairo?
Nemmeno
il più pallido sospetto che l’impero stesse esponendo la nuova
dottrina di alleanza con l’Islam politico (alleanza che ha il
centro logistico, finanziario e organizzativo nell’Arabia
Saudita, il partner più fedele e di più lunga data degli USA in
Medio Oriente).
Peggio
ancora con le “primavere arabe”. Nemmeno a bombardamenti
sulla Libia già iniziati la sinistra ha avuto il buon senso di
rivedere il proprio entusiasmo per quelle “rivolte”. Apodittico è
stato il demenziale e sgradevole appello di Rossana Rossanda ad
arruolarsi nelle fila dei tagliagole di Bengasi (il cui capo
veniva direttamente da Guantánamo
con copertura della Nato), come gli antifascisti avevano fatto in
Spagna. Un appello che è stato il segno di una corruzione
aristotelica non già di un cervello anziano, bensì di alcune
generazioni di sognatori cresciuti sotto il cielo dell’impero
americano, naturale come il firmamento e invisibile come il
tempo, quindi non percepibile. Sotto questa cupola stellata e
globalizzata il capitalismo diventava non più un rapporto sociale
vivente in società e luoghi geografici materiali, bensì un
concetto che si contrapponeva a un altro concetto: il
“capitale” al “lavoro”. La cosa meno materialista dai tempi
delle discussioni sul sesso degli angeli.
Disaccoppiare
il capitalismo dall’imperialismo è come pretendere di dissociare
l’idrogeno dall’ossigeno e avere ancora acqua. Per un
cristiano è come dissociare Cristo dallo Spirito Santo. Rimane
qualcosa che pendola tra il libresco e il buonismo istintivo in preda
ad ogni demonio furbo e determinato.
Si
è giunti al punto che un capo di stato maggiore statunitense, il
generale
Wesley Clark, rivela che Libia e Siria erano già nel 2001
nella lista di obiettivi selezionati dal Pentagono e che
sedicenti marxisti continuino incuranti a credere a “rivolte
popolari”, quelle rivolte popolari che loro non sono stati e non
sono in grado di suscitare nel proprio paese. Insomma, effetti da
crisi di astinenza.
8.
Ma questi ormai sono dettagli residuali, che riguardano cioè residui
storici, privi di valore politico. Servono al più ad illustrare il
ben più grave fenomeno di una sinistra tutta che è di fronte
alla Terza Guerra Mondiale e ci arriva totalmente disattrezzata,
teoricamente, politicamente e ideologicamente. Più disattrezzata del
“popolo di destra” e spesso apertamente dalla parte dei
guerrafondai.
Ah,
Pasolini, quanta ragione avevi di inveire contro gli “irresponsabili
intellettuali di sinistra”! A che punto siamo giunti!
C’è
solo qualche sprazzo di sereno in questa estate nuvolosissima. Non si
può che essere d’accordo con Movimento 5 Stelle e SEL per la loro
opposizione all’invio di armi ai Curdi (intanto: a quali Curdi?).
Diversi ragionamenti ci accomunano, come l’indecenza di esportare
armi e l’inutilità della cosa per la risoluzione del conflitto. Ma
la vera inutilità e l’indecenza stanno nel fatto che quel
conflitto è una partita di giro in cui ci andranno di mezzo migliaia
di persone, al 90% civili, come succede in tutti i conflitti
moderni e da tempo avvertono organizzazioni come Emergency.
Il
senatore John McCain, in apparenza battitore libero ma nella realtà
executive plenipotenziario della politica di caos terroristico
di Obama, si è messo d’accordo sia coi leader del Governo
Regionale Curdo in Iraq sia con il Califfo dell’ISIS, Abu Bakr
al-Baghdadi, già Abu Du’a, già Ibrahim al-Badri, uno dei
cinque terroristi più ricercati dagli Stati Uniti con una taglia di
10 milioni di dollari.
Ci sono testimonianze e prove fotografiche (e su queste si basa la denuncia all’autorità giudiziaria del senatore McCain come complice del rapimento in Libano da parte dell’ISIS di alcune persone, sporta dai loro famigliari).
Ci sono testimonianze e prove fotografiche (e su queste si basa la denuncia all’autorità giudiziaria del senatore McCain come complice del rapimento in Libano da parte dell’ISIS di alcune persone, sporta dai loro famigliari).
Così
come Mussolini aveva bisogno di un migliaio di morti da gettare sul
tavolo delle trattative di pace, gli USA, l’ISIS e i boss
curdo-iracheni hanno bisogno di qualche migliaio di morti (civili) da
gettare sul palcoscenico della tragedia mediorientale, per portare a
termine la tripartizione dell’Iraq e lo scippo delle zone
nordorientali della Siria (altro che Siria e USA uniti contro i
terroristi, come scrivono cialtroni superficiali e pennivendoli di
regime). Il tutto a beneficio del realismo dello spettacolo.
Caro
Di Battista e caro Movimento 5 Stelle e anche cara SEL (mi
rivolgo a loro perché sono gli unici che in Parlamento abbiano
mostrato barlumi di intelligenza e di decenza), avete avuto ottime
intuizioni, ma cercate di andare oltre alle intuizioni, perché
con questa tremenda crisi sistemica destinata a peggiorare la
pura intuizione alla lunga non basta più e tutti i racconti di
fate diventeranno racconti di orchi, specialmente in politica
internazionale dove dovreste attrezzarvi un po’ meglio.
Nel
1979 Zbigniew Brzezinski aveva capito e scritto che il futuro
problema degli Stati Uniti era l’Eurasia e che quindi occorreva
balcanizzarla, in particolare la Russia e la Cina. All’inizio del
secolo scorso, in piena egemonia mondiale dell’impero britannico,
il geografo inglese Halford Mackinder scriveva «Chi controlla l’Est
Europa comanda l’Heartland: chi controlla l’Heartland
comanda l’Isola-Mondo: chi controlla l’Isola-Mondo comanda il
mondo».
L’indefesso
girovagare di McCain tra Ucraina e Medio Oriente non è dunque un
caso. Il pensiero dominante è sempre lo stesso. Ciò che è cambiato
è che gli USA hanno capito che non è necessario che siano le
proprie truppe a fare tutto il lavoro sporco.
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