di
Pino Cabras.
Nelle polemiche elettorali di queste settimane, qualcuno ha smarrito gli argomenti seri. Il tema delle servitù militari in Sardegna, con il suo carico di sofferenze, morti, ingiustizie, devastazioni ambientali, è il più serio di tutti, il vero banco di prova per misurare serietà e coerenza in vista delle elezioni del 16 febbraio.
Pagliuzza
e trave? Cinque metri e migliaia di kmq
Vedo
molti commentatori in zona Pigliaru-Cappellacci con in mano la
matita rossa. Annotano soddisfatti che Michela Murgia ha sbagliato
nell'indicare il Bruncu Spina (1829 metri s.l.m.) come montagna più
alta della Sardegna, in luogo di Punta La Marmora (1834 metri
s.l.m.). Per cinque metri, centinaia di commenti. La vita è fatta di
priorità.
Eppure,
fra i campioni dei loro schieramenti, avrebbero potuto scoprire
distrazioni geografiche ben più gravi. Avrebbero bisogno,
loro sì, di un bel ripasso di geografia sarda, quella che conta,
quella che scompare dai loro programmi, o si annacqua nella retorica,
o si perde fra le minoranze pacifiste ininfluenti dei loro
schieramenti (ben presidiati dai guardiani della Nato). La lacuna si
misura in decine di migliaia di km quadri a mare, e in decine
di migliaia di ettari a terra. Sono le superfici sottratte alla
Sardegna per le attività militari, in una misura di gran lunga
superiore al resto dei territori della Repubblica Italiana e senza
paragoni in Europa. Cinque metri e migliaia di kmq, ecco le misure
di pagliuzza e trave, nella Sardegna del 2014.
I
poligoni militari dell’isola, oltre ai 14mila ettari di servitù,
occupano 24mila ettari di demanio. In tutte le altre regioni messe
insieme si raggranellano appena 16mila ettari. Qui si concentra
dunque il 60%
dei poligoni gestiti dalle forze armate italiane. La percentuale
degli ordigni esplosi nelle esercitazioni sale all’80%, senza
contare le esercitazioni di forze armate straniere non comprese in
questo computo.
Sono
numeri da paese occupato.
Gli
effetti negativi riguardano non solo i poligoni, ma aree più vaste.
Le polveri inquinanti viaggiano. Lo
sa il vento.
E in un paese occupato la regola è semplice: qui possono
sperimentare in segreto ogni tipo di arma letale, affittando a caro
prezzo le strutture, qui rimangono i veleni, ma i profitti volano
via, altrove. I cosiddetti indennizzi
di oggi sono spiccioli che d'ora in poi dovremo considerare un
insulto.
Presenza
militare massiccia e vita civile: una conciliazione impossibile
Nel
periodo 2005-2010 ho fatto parte del Comitato Misto Paritetico
sulle Servitù Militari (CoMiPa) della Sardegna, un tavolo
istituzionale con il compito di esaminare i programmi delle
installazioni militari per conciliarli con i piani di assetto
territoriale della Regione. La legge 898/1976 che istituiva i CoMiPa
- composti alla pari da sette rappresentanti dello Stato e sette
della Regione - intendeva trovare un equilibrio fra esigenze molto
diverse fra di loro. Alla fine della mia esperienza mi son reso conto
che in Sardegna erano esigenze inconciliabili. Troppe le pretese dei
militari, e troppo il loro potere, mentre erano senza schiena i
partiti sardi.
Durante
le riunioni e le tante missioni sul campo del CoMiPa, ho visto
da vicino la mole sproporzionata del carico di attività
e presenze militari che grava sulla Sardegna. L’impatto
economico e ambientale è enorme: aree a perdita d’occhio off
limits, rischi ambientali con sparuti controlli, superfici
sottratte ad attività economiche connaturali a quei territori,
popolazioni non coinvolte, accordi mai rispettati, altri accordi
ancora segreti.
Un
dato su tutti mi colpisce. Durante il dopoguerra, mentre tutti i
comuni costieri sardi tendevano a raddoppiare la popolazione, il
comune di Teulada la vedeva dimezzare, nonostante avesse alcune delle
insenature più belle del Mediterraneo e una pianura nota come il
Giardino, settemila fertilissimi ettari di paradiso agrario oggi
ridotti a una landa devastata dai cingoli. I terreni furono
espropriati e in molti casi ottenuti anche con l’inganno, quando ai
contadini fu promesso – intanto che venivano caricati sui camion -
che sui loro fondi sarebbe stata fatta la riforma agraria.
Piccola pesca,
un film di Enrico Pitzianti, racconta bene quel che rimane di questa
piccola deportazione sconosciuta.
Il
disastro ambientale registrato nell'ambito del poligono di Quirra,
così come emerge dalle inchieste in corso, spiega che non c'è
solo un problema di giustizia, ma una vera e propria emergenza,
che richiede scelte politiche di grande portata. Quando la
Germania fu riunificata, ottenne un programma comunitario per la
riconversione economica e sociale delle aree dipendenti dalle
produzioni e dalle presenze militari. Si trattava di vasti sistemi
costruiti decennio dopo decennio, e furono riconvertiti in un tempo
ragionevolmente breve, con consistenti risorse non solo nazionali.
Perché internazionali erano state le cause di quel prolungato
impatto militare.
In
un altro emisfero, a Portorico, la dismissione di un grande
poligono ha comportato la creazione di un Fondo da centinaia di
milioni di dollari. Qualcosa di simile, e certamente molto più in
grande, serve anche per la Sardegna, da subito. Più avanti vediamo
come.
La
chiusura della base per sommergibili nucleari USA di La
Maddalena è avvenuta nei
modi che sappiamo, e rappresenta il modo in cui non
dovrebbe realizzarsi una vera riconversione. Dopo la fine dell’URSS
sembrava più facile chiudere qualche base e allontanarci
dall’Apocalisse nucleare. Viceversa la pressione militare non si
allenta. Perché accade tutto questo? È una catena lunga di fatti e
luoghi che va dal Mediterraneo all'Asia centrale, fra guerre,
disordini, nuovi
posizionamenti geopolitici.
Le basi USA nel Vicino e Medio oriente sono cresciute anno per anno,
la pressione sulla Russia è aumentata sempre di più, sin dentro il
cuore dell’Asia, fino a un passo dal gigante risvegliato, la Cina,
a sua volta avvisata che la pressione crescerà anche per essa. Per
contro Russia e Cina danno segno di rispondere con un impressionante
aumento delle spese militari e il rafforzamento della loro
integrazione militare nella
Shanghai
Cooperation Organization.
Il
fatto però è che il dio della guerra si vede scavare molta terra
sotto i piedi dal dio del debito. Gestire un impero costa, e le
enormi spese militari stridono con i tagli in altri settori. Si apre
una contraddizione nella quale possiamo inserirci. È il momento
storico giusto per cambiare il posto della Sardegna nel mondo, a
partire dalla funzione militare.
Togliere
le basi alla guerra
I
candidati delle liste della coalizione che sostiene la candidatura di
Michela Murgia alla presidenza della Regione Sardegna si sono
confrontati in un focus group con gli attivisti che da anni si
battono contro le basi e le servitù militari in Sardegna, nonché
con i familiari delle vittime della “Sindrome di Quirra”. Ne è
emerso un documento molto sintetico con obiettivi chiari e ben
definiti, intitolato “La Sardegna toglie le basi alla guerra”.
Ecco i punti in sintesi:
- La Regione Sardegna in base alle leggi dello Stato richiede la sospensione immediata delle attività militari nelle quali si sono registrate patologie.
- Convocazione di una commissione indipendente internazionale per la quantificazione dei danni economici, sociali, ambientali, sanitari e culturali.
- La Regione si dovrà impegnare in tutte le sedi (compresa quella giudiziaria) per tutelare il popolo sardo e il suo territorio dai danni causati dalla presenza militare, anche attraverso campagne informative sui rischi.
- Apertura della vertenza con le istituzioni italiane e sovranazionali per bonifiche, dismissione e riconversione.
- La Regione dovrà gestire i fondi per la bonifica dovuti dall'inquinatore attraverso la creazione di una filiera integrata per nuove opportunità economiche.
Tutti
i punti mi sembrano ugualmente importanti, ma attiro l'attenzione in
particolare sul secondo e sul terzo punto, che mirano a un vero
audit
sui danni accumulati in sessanta anni e
individuano un
quadro di reati da perseguire.
Una cosa che pochi sanno è che perfino gli stessi regolamenti Nato
prescrivono che si bonifichino le aree interessate dopo
ogni esercitazione.
In Sardegna non sono mai stati applicati, generando un cumulo
abnorme di bonifiche mai fatte. Si tratta di un fatto colossale, di
portata internazionale. Già da solo basterebbe a svelare
l'insensibilità e la complicità
criminale di intere
classi dirigenti italiane,
molto attente a piazzare nelle classi dirigenti sarde un solido
sistema collaborazionista,
a sua volta attento a spegnere,
annacquare, diluire le proteste.
Anche
l'ultimo punto del programma merita molta attenzione. Finora abbiamo
avuto poco
lavoro
sotto
il segno del cancro.
Ma possiamo creare
tanto lavoro sotto il segno della pace.
Si
dovranno promuovere progetti su scala internazionale:
progetti
di recupero, riconversione e valorizzazione di siti militari dismessi
e loro destinazione a vantaggio di imprese con piani coerenti o per
finalità turistiche/ricreative e per interventi collaterali di
infrastrutturazione, riassetto del paesaggio, piccoli interventi di
abbellimento delle aree edificate, interventi di urbanizzazione
primaria tesi a qualificare il tessuto urbano e ambientale (che non
devono, però, rappresentare l'elemento preponderante dei progetti),
e opere di urbanizzazione secondaria.
Obiettivi
principali: Diversificare le attività economiche nelle zone
dipendenti dal settore difesa, riconvertire l'economia ed agevolare
l'adeguamento delle imprese sane, in tutti gli ambiti.1
Sono
impegni che può perseguire soltanto una Sardegna governata senza gli
ingombri dei politici appiattiti sulle esigenze degli occupanti
militari.
Chi,
da attivista anti-basi, si candida nelle liste di Cappellacci e
Pigliaru avrà una sorta di diritto di tribuna che consentirà grandi
declamazioni in materia, ma in mezzo a un deserto. Però non sposterà
di un centimetro le coalizioni
di Berlusconi e Renzi,
che rimangono irremovibili
macchine atlantiste,
obbedienti agli ordini della Nato, e del tutto indifferenti ai nostri
diritti.
L'unica
novità potrà venire dalla forza
che acquisirà lo schieramento che si raccoglie intorno alla
candidatura di Michela
Murgia
alla Presidenza della Regione.
Il
16 febbraio l'alternativa
c'è.
1 Azioni
possibili:
- Consulenza tecnica; costituzione di associazioni; azioni di cooperazione e creazione di reti informative; scouting risorse per risanamento, rinnovamento infrastrutturale e incentivazione di attività alternative.
- Concorsi d’idee per la riqualificazione delle aree interessate.
- Collegamenti con istituti e agenzie che a livello internazionale si occupano di riconversione dal militare al civile [ad esempio BICC – Bonn International Center for Conversion (creato dal governo del Nord Reno Westfalia); SIPRI – Stockolm Peace Reseach Institute; NCECD; OEA - Office of Economic Adjustment del Dipartimento della Difesa USA.
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