19 febbraio 2014

Elezioni sarde, l'uomo senza collo e la voragine

di Pino Cabras.


A prima vista, il risultato delle elezioni regionali in Sardegna è leggibile innanzitutto come una sconfitta pesante del presidente uscente Cappellacci, poi come una vittoria del composito fronte del centrosinistra del neopresidente renziano Pigliaru, e infine come un risultato deludente per l'outsider Michela Murgia (sebbene per lei sia un risultato notevole dati i tempi brevi in cui è stato costruito). Ma se guardiamo le cose con sguardo più profondo scopriamo altri dettagli che possono far capire meglio il risultato.
Ho partecipato a questa battaglia elettorale candidandomi anche io nelle liste di Michela Murgia. Ho fatto leva su un impegno macroscopico e un budget microscopico. Ho strappato ad altre centinaia e centinaia di agguerriti candidati del collegio elettorale di Cagliari e provincia le preferenze di 208 anime. Sono proprio pochine, lo so, e non sono certo bastate, ma la cosa bella è che con diverse persone ho iniziato nuovi rapporti di collaborazione politica – e perfino promettenti amicizie - che non avrei mai scoperto senza l'esplorazione di talenti che si può concentrare in una campagna elettorale.
La corsa alle urne può essere affrontata in molti modi, io l'ho vissuta come un viaggio in cui si riscoprono i vecchi amici, si conoscono nuovi amici, e in cui ci si trova a sfidare gli istinti difensivi dei nemici.
In tutto il mese di campagna elettorale incontro le persone così, con contatti diretti e ravvicinati, uno per uno. Preferisco questo metodo a un generico volantinaggio. Distribuisco santini e volantini al mercato una sola volta, un sabato mattina, nella popolarissima via Quirra, a Cagliari. Mi aiutano compagni e amici di Alternativa. Sono davvero pochi i clienti del mercato che si lasciano avvicinare. Vediamo facce scavate dall'indigenza, le espressioni che riassumono anni di crisi e di abbandono in un corruccio. Le nostre frasi sul futuro si spengono di fronte all'evidenza delle loro solitudini, della vecchiaia precoce, della povertà non più nascosta pudicamente.
«Siete tutti ladri», ci dice più d'uno, mettendoci nello stesso sacco di chi vogliamo combattere. Hai voglia a spiegare le nuove liste, il nuovo progetto, l'onestà. Come il settanta per cento dei cittadini della Repubblica italiana, anche loro apprendono le notizie solo dalla televisione, e a queste proporzioni sembra ormai voler tendere la fuga degli elettori dalle urne. Non avevo avuto modo di incontrarli davvero per anni. Perciò non vogliono incontrarmi. Tutto qui.
Accanto a noi sgomitano anche i sostenitori di altri candidati di ogni schieramento, che ricevono i medesimi rifiuti. Solo uno sembra non agitarsi, e anzi la gente gli si avvicina. Alcuni lo insultano per qualche promessa mancata, ma ha la faccia di quelli che quando piove passano in mezzo alle gocce. Altri lo trattano con deferenza. Sembra non avere il collo, una testa incassata in un corpo da traffichino, un mezzo sorriso che nasconde imperturbabilità. Decido di sapere chi sia, e chiedo. Scuotono la testa increduli: «Come, non lo conosci?». Mi spiegano che è un consigliere comunale, che nel quartiere ha un pacchetto di 1300 voti e li spende in ogni elezione, per sé e per qualcuno più potente di lui, di destra o di sinistra, in un gioco di do ut des che mobilita non poche risorse. Di bocca in bocca passa la storia delle case popolari di una via lì vicina, alle quali, per ragioni sanitarie, l'uomo senza collo ha fatto cambiare i bagni in tutti gli appartamenti, ricevendone eterna gratitudine dagli abitanti e magnificandone la sua leggenda. Nel quartiere, sotto elezioni, alle vecchine con la pensione minima i galoppini pagano le bollette della luce, regalano casse di verdura, portano generi di conforto, e ai loro figli e nipoti disoccupati offrono lavoretti che durano qualche giorno. Lui sta lì per questo, al mercato. Io non so in quale piega del sottogoverno riuscirei mai a trovare la norma per blandire i clientes rifacendo la loro toilette. Lui lo sa, tutti sanno che lo sa.
Sardegna Possibile ha proposte bellissime per la riqualificazione urbana, e molti le hanno capite, ma non arrivano certo né ai 1300 clienti di quel consigliere comunale, né a quelli – molti di più - che non riesce ad accontentare e perciò lo disprezzano, associando al disprezzo tutto quello che puzza di politica. Mi avvicina un quarantenne che sbarca il lunario al mercato, con l'aria sveglia di chi sa trattare piccolissimi affari, ma parla con una rabbia secca, perché “i politici” li tratta con spregio: «se mi dai cinquanta euro porto i tuoi santini in tutte le case del quartiere dove la gente apre la porta solo se si fida». Gli dico che non ce li ho, e va via senza perdere altro tempo.
I colori della crisi si distribuiscono in migliaia di modi diversi nel mosaico dei quartieri, dei paesi e delle campagne, ma ovunque trovi sempre più gente che non vede più alcuna speranza che abbia il colore del gioco politico esistente. È una voragine sempre più vasta di non rappresentati, che riduce velocemente la porzione dell'elettorato che decide tutto, ormai una minoranza.
Chi vince vince, chi perde perde, e a chi è dentro quel gioco questo basta, fino a pronunciare dichiarazioni trionfalistiche. Eppure i dati sono evidenti: Forza Italia ha dimezzato l'elettorato, il PD ha perso un quarto degli elettori, le coalizioni dominanti hanno smarrito una marea di voti. Vince chi arretra di meno, un sorpasso all'incontrario, con una retromarcia turbo. La coalizione di Francesco Pigliaru, che per effetto della legge elettorale ha preso il 60 per cento dei seggi, li ottiene per essere arrivata prima con il 40 per cento dei voti espressi, che però corrispondono a meno del 25 per cento degli elettori complessivi. La democrazia non era nata in queste condizioni, non è mai stata come oggi. Chi non si allarma è un bieco irresponsabile. Voci autorevoli si levano per ammonire: questa è una vittoria fra le macerie.

Michela Murgia era consapevole di questa crisi e ha investito su una grande innovazione politica, la coalizione di Sardegna Possibile, che non voleva puntellare quel sistema (di suo già pronto a vincere fra le macerie), mentre voleva parlare alla “voragine” dei non rappresentati. Molti osservatori preconizzavano che con il nuovo sistema elettorale blindato che vige in Sardegna, elaborato da PD e Forza Italia, la terza forza sarebbe stata inevitabilmente ridimensionata, perché avrebbe funzionato l'eterno richiamo del “voto utile”: “non vorrete mica far vincere il governatore uscente e tenervelo per cinque anni? Votate noi, l'usato sicuro, anche se le ruote sono lisce, manca il parabrezza, facciamo fumo, ma sempre meglio di quel rottame di Ugo Merda”. Il richiamo ha funzionato su quella parte ancora sana dell'elettorato di centrosinistra, che però sente ormai la puzza inconfondibile dell'ennesima fregatura, essendo subito riprese le furibonde convulsioni di potere interne ai loro partiti, già il giorno dopo le elezioni. In questo quadro assurdo, un micro-partito della coalizione vincente, che ha preso lo 0,83% dei voti, ha eletto un consigliere.
Sardegna Possibile invece ha preso oltre il 10 per cento dei voti, strappandoli all'astensionismo, ma non ottiene nemmeno un consigliere. Siamo fuori dal consiglio regionale. La scommessa di conquistare la “voragine” al momento non è vinta, ma senza le nostre liste l'astensionismo avrebbe raggiunto livelli sconvolgenti. Rimane il compito immane di fare una ricognizione profonda e duratura di un'enorme terra di nessuno, che non vota più, ma potrebbe farlo, riconquistando la democrazia e rompendo la gabbia micidiale del bipolarismo. Non è questione solo sarda. Renzi e Berlusconi naturalmente vogliono impedirlo, prolungando le rendite di posizione del sistema “castale” al prezzo della distruzione dei partiti. A loro basta che si voti per il rito della democrazia, anche se a votare si rimane in pochi.
Ambire ad altro è anche una questione di sopravvivenza della democrazia.

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