di Pino Cabras – da Megachip.
Una
strage in Siria, venerdì 25 maggio 2012, nella città di Houla, ha
superato la soglia cinica che i media usano per dare importanza a una
notizia nei casi di conflitti a “bassa intensità”. Cento morti in un
giorno sono stati annunciati molte volte, spesso falsamente o senza
poterlo verificare.
Stavolta,
però, tutte le parti del conflitto siriano concordano: la gamma delle
atrocità misurate a Houla si pesa proprio su una scala orrenda e
verificabile, quella della carneficina di massa che colpisce gli
innocenti. Per metà bambini.
Ecco
dunque le prime pagine, che raccontano l’imminente fallimento del piano
di pace di Kofi Annan accettato il 27 marzo dal governo siriano. Ma in
questi ultimi due mesi le prime pagine poco hanno detto sulle enormi
difficoltà e le gravi azioni che hanno indebolito e svuotato sin da
subito il piano delle Nazioni Unite. La strage di Houla è solo l’ultimo fatto in ordine di tempo, fra le migliaia di violazioni del piano fin qui registrate, fra
bombe stragiste contro i gangli dello stato, azioni di guerriglia,
massacri interetnici perpetrati da squadroni della morte, traffici
transfrontalieri di armi (con una tensione sempre maggiore in Libano),
fino a sottrazioni di controllo del territorio che diventeranno la
premessa per “zone cuscinetto” in grado di rendere endemica la guerra
civile e l’internazionalizzazione del conflitto.
La parola “libanizzazione”, vecchia di decenni, torna in auge per provare a descrivere quel che può attendere la Siria.
Il
coinvolgimento dei carri armati negli scontri di Houla è stato
interpretato da un’organizzazione londinese inattendibile,
l’Osservatorio siriano per i diritti umani, come l'unica causa del
massacro: i morti sarebbero da imputare ai bombardamenti dell’esercito
di Assad durante le manifestazioni antiregime di venerdì. Gran parte dei
media occidentali e delle petromonarchie arabe accredita questa
versione. Un riflesso rimane nel comunicato di condanna scaturito dalla
riunione del Consiglio di sicurezza dell'Onu, con la Russia che si è
allineata agli altri membri nel menzionare una responsabilità
dell'esercito siriano nella violazione del cessate il fuoco. Le
agghiaccianti immagini delle vittime che possiamo osservare sollevano
però alcuni dubbi. I morti non appaiono colpiti da bombardamenti
indiscriminati ma da esecuzioni, compresi i bambini. In un contesto in
cui operano squadroni della morte e agenti del caos di diverse tendenze,
la vicenda assume una luce diversa (e non meno inquietante).
In
questo film dell’orrore non vedrete la testa di una bambina che spunta
dalle macerie, come a Gaza nel 2009, ma corpicini di infanti stesi a
fianco di un muro intatto e macchiato da uno schizzo di sangue. Nella
contabilità dell’orrore cambia poco. Nella comprensione dei fatti cambia
prospettiva.
Anche
in questa occasione il Centro di informazioni “Vox Clamans” della
diocesi greco-cattolica di Homs raccoglie testimonianze che descrivono
uno scenario analogo a quello di altri massacri avvenuti negli scorsi
mesi: bande sempre meglio armate attaccano sia l’esercito - impegnandolo
in una reazione e di fatto bloccandolo dopo avergli causato gravi
perdite - sia i civili di diverse etnie.
Emerge
una strategia criminale, con famigerati precedenti in Centroamerica e
in Iraq, in grado di fare a pezzi il livello minimo di sicurezza che gli
stati hanno il compito di garantire nel patto di cittadinanza. È un
tipo di pressione che di per sé azzera qualsiasi piano di pace, o
qualunque tentativo di ricondurre a un’autorità statale il monopolio
legittimo della violenza.
Chi alimenta tutto questo? Ne abbiamo parlato in passato, offrendo una panoramica.
Il piano di Annan non piace a chi vuole il cambio di regime costi quel
che costi. Non piace agli USA né alle petromonarchie del Golfo. Una
delle più patenti violazioni del piano è stata l’escalation del traffico
di armamenti e altri equipaggiamenti dall’estero in favore dei settori
più inflessibili dell’opposizione siriana. Il piano non piace ai gruppi
sempre più organizzati del terrorismo di tipo al-qaedista (che in Libia è
stato un soggetto chiave della guerra e da lì alimenta un flusso per la
Siria), milizie di assassini fanatici che vogliono condizionare
violentemente la loro oggettiva alleanza con Washington e Riyad. E
sicuramente non piace ai settori più incredibilmente miopi e retrivi del
regime siriano, che sentono minacciate le loro rendite di posizione
dalle riforme impostate da Assad sotto la pressione degli eventi.
In
una situazione che muta di giorno in giorno sono persino possibili
convergenze d’interessi da parte di chi da una transizione pacifica
ritiene di avere soltanto da perdere.
Ci
sono molti osservatori, anche in Italia, che guardano ai fatti di Siria
leggendoli con categorie fuorvianti, fino ad attribuire le migliaia di
morti dei disordini a un’unica mano assassina. La realtà si presenta
invece molto sfaccettata, e non si presta a essere giudicata con il
metro italiano. Perché, se volessimo proprio usare questo metro, in
Siria sta succedendo una Nassiriya al giorno e una strage di Bologna
alla settimana. Noi non siamo venuti a capo delle nostre tensioni
causate da episodi diluiti nei decenni. Dovremo perciò essere molto
prudenti nel giudicare cosa sia bene per i siriani quando gli episodi
hanno una frequenza e una dimensione immensamente più grave della nostra
esperienza storica.
In pochi hanno letto una proposta di Johan Galtung (“Siria: le soluzioni sono possibili invertendo le formule. Ecco come”)
per cercare soluzioni al dramma siriano. Andrebbe invece diffusa e
dibattuta, fra quanti hanno a cuore il futuro della pace in Medio
Oriente e nel mondo.
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