di Pino Cabras – da 3D, inserto di «Terra».
Le notizie scomode che oggi sgocciolano e trapelano dal mondo dei segreti e del potere, quelle di Wikileaks, sono un giornalismo nuovo? Un nuovo modo di concepire la democrazia? La stagione delle rivelazioni è un ritorno dello scoop, dopo che per trent’anni il «Washington Post» ha campato di rendita sul vecchio scandalo del Watergate e il «New York Times» sui “Pentagon Papers” che avevano messo a nudo la guerra del Vietnam.
I nuovi spifferatori sono eroi della verità che lottano contro strutture menzognere e violente? O c’è dell’altro? Per saperlo dobbiamo capire le circostanze che rendono possibile l’uso delle rivelazioni.
Esplode la notizia, erompe con essa una grande libertà, e il potere non sa controllarla. I cattivi passano qualche guaio. Così piace credere, quando vediamo la crudeltà delle guerre che buca il velo bugiardo della propaganda e si mostra nel suo orrore, e da qui poi vediamo il Pentagono intrallazzare per chiudere Wikileaks. La censura vecchio stile perde terreno.
Sappiamo che a spifferare i documenti sono funzionari, avvocati, ufficiali, impiegati, o perfino semplici cittadini che hanno in mano informazioni sensibili da far conoscere. Sono un misto fra “confidenti”, “obiettori di coscienza” e “attivisti politici”. Wikileaks li rende anonimi codificando i dati. La comunità del sito, centinaia di persone, fa i controlli incrociati, o fa perfino alleanze nuove con i vecchi giornali, come il «New York Times».
Julian Assange di Wikileaks diventa così un nuovo eroe mediatico: perché va bene il formicaio della comunità, ma il sistema vuole vedere invece la formica regina e fabbricare i suoi eroi di carta. La chioma bianca di Assange va così sulle copertine dei grandi media.
Ma non dimenticate il contesto. I servizi segreti sono anche servizi di informazione, e immettono nel circuito dei media enormi flussi di notizie che possono creare studiate conseguenze. Cordate di agenti segreti in lotta fra loro – anche all’interno di ogni servizio - possono violare esse stesse i segreti e vedere di nascosto l’effetto che fa.
L’idea comunemente accettata del Watergate, ad esempio, è che il libero giornalismo anglosassone, “cane da guardia del potere”, abbia smascherato Nixon. Invece lo scandalo fu pilotato da “gole profonde” interne all'establishment USA e ai suoi giochi di potere, abilissime nel mettere in mezzo il presidente di allora, fino a farlo dimettere. Il giornalista Russ Baker nel 2009 ha pubblicato un libro, “Family of Secrets”, in cui dimostra l’ambiguo ruolo di George Bush padre, da sempre legato alla CIA, nell’incastrare Nixon e usare per i suoi scopi lo slancio dei giornalisti “eroi” come Bob Woodward, ben scelti dall’élite. Un’icona del giornalismo USA, Dan Rather, dopo aver letto il libro ha ammesso: «mi ha costretto a ripensare persino gli eventi che ho visto con i miei occhi».
Wikileaks è vulnerabile come può esserlo la polizia quando raccoglie la soffiata ben pilotata con cui una banda fa sgominare un clan rivale. Chi agguanta il timone di Wikileaks, come fa Assange, sconta la difficoltà estrema di tenere insieme un sistema contradditorio che è anarchico ma bisognoso d’ordine, pronto a distruggere i segreti ma obbligato a blindare l’identità delle fonti: cioè costretto, che impensabile paradosso, a produrre nuovi segreti. È una missione impossibile, condotta in mezzo ai professionisti del segreto e delle operazioni coperte. Infatti l’organizzazione perde pezzi. Il vaso di Pandora non può che essere un luogo instabile.
Questa è la distanza critica, persino la diffidenza, con cui occorre osservare il fenomeno Wikileaks. Tuttavia è pur sempre un porto franco dell'informazione, su cui transitano documenti in sé veri e verificati, che preoccupano chi pianifica le guerre. Il loro valore è sostanziale, se presi uno per uno. Ma poi occorre inserirli in un contesto che li interpreti. Altrimenti c’è chi li contestualizza per i suoi fini. Magari per nuove guerre.
Tratto da 3D, inserto di «Terra», 23 ottobre 2010.
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