29 luglio 2008

Sardegna, terra di War Games. Ipotesi di riconversione

di Pino Cabras


Fonte dell'immagine: Sardegna DigitalLibrary

Il CoMiPa un punto di osservazione davvero propizio per capire il rapporto fra attività militari e territorio, più che in altre parti d’Italia, più che in altri territori anche di altri paesi.
Parlo del Comitato Misto Paritetico sulle Servitù Militari (CoMiPa) della Sardegna, del quale faccio parte dal 2005.
In ogni regione è presente un Comitato misto paritetico che ha il compito di esaminare i programmi delle installazioni militari per conciliarli con i piani di assetto territoriale della Regione. La legge 898/1976 che istituiva i CoMiPa - composti alla pari da sette rappresentanti dello Stato e sette della Regione - intendeva trovare un equilibrio fra esigenze molto diverse fra di loro.
Nelle cose militari di Sardegna, il dare e l’avere per cinquant’anni si è fissato in tremendi squilibri. I poligoni militari dell’isola occupano 24mila ettari. In tutte le altre regioni messe insieme si raggranellano appena 16mila ettari. Qui si concentra dunque il 60% dei poligoni della nazione. La percentuale degli ordigni esplosi nelle esercitazioni sale all’80%, senza contare le esercitazioni di forze armate straniere non comprese in questo computo.
Durante le riunioni e le missioni sul campo del CoMiPa ho visto da vicino la mole sproporzionata del carico di attività e presenze militari. L’impatto economico e ambientale è enorme: aree a perdita d’occhio off limits, rischi ambientali con sparuti controlli, superfici sottratte ad attività economiche connaturali a quei territori, popolazioni non coinvolte, accordi mai rispettati, altri accordi ancora segreti.
Un dato su tutti mi colpisce. Durante il dopoguerra, mentre tutti i comuni costieri sardi tendevano a raddoppiare la popolazione, il comune di Teulada la vedeva dimezzare, nonostante avesse alcune delle insenature più belle del Mediterraneo e una pianura nota come il Giardino, settemila fertilissimi ettari di paradiso agrario oggi ridotti a una landa devastata dai cingoli. I terreni furono espropriati e in molti casi ottenuti anche con l’inganno, quando ai contadini fu promesso – intanto che venivano caricati sui camion - che sui loro fondi sarebbe stata fatta la riforma agraria. Piccola pesca, un film di Enrico Pitzianti, racconta bene quel che rimane di questa piccola deportazione sconosciuta.


Ho avuto però il privilegio di assistere ad alcuni importanti cambiamenti. Nulla è più come prima, non ci sono precedenti altrettanto forti: esistono nuovi accordi, con molti beni restituiti al demanio civile e la base di La Maddalena smantellata e in via di riconversione. Qualcosa di più di un piccolo passo, sebbene i poligoni di Teulada, Quirra e Capo Frasca non siano stati ancora ridimensionati.


Perfino gli avversari del presidente della Regione Renato Soru riconoscono che su questo tema ha esercitato una spinta che prima del suo ufficio non c’era. Tanto è vero che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ancorché non entusiasta, si trova a in mezzo al ballo della riconversione e balla anche lui, in vista del G8 del 2009 previsto nell’arcipelago maddalenino. Allo stesso modo anche il sindaco di centro-destra di Cagliari si avvantaggia nel gestire l’arrivo di una manna immobiliare che ora ritorna civile. Per non parlare dei miei colleghi di centro-destra nel CoMiPa, che si son trovati senza patemi a votare con me contro il governo, a volte quello di Berlusconi, a volte di Prodi, mentre rinvenivano ferme sponde nell’istituzione regionale nel corso della battaglia procedurale per la riduzione delle servitù militari.

Oggi c’è insomma una Regione che non si distrae, non lascia cadere, non si fa sostituire l’agenda, e dice ad esempio che quando un ministro mette una firma in calce a un testo, quelle parole non devono essere mai dimenticate. Le firme dei ministri di venticinque anni fa promettevano un riequilibrio “a breve termine”. Tutto venne sottoscritto nonostante i blocchi militari, l’URSS, l’equilibrio del terrore, cose che non ci sono più da ormai tanto tempo. Quanto accidenti doveva durare un “breve termine”? Un mio caro amico americano mi corregge, quando mi congedo dicendogli “ci vediamo i prossimi giorni”, perché questa frase – mi dice puntigliosamente - è un “nonsense”, visto che non fissa un’ora e una data.

In questi ultimi quattro anni sono state stabilite date, percorsi, tempi, per non rassegnarci agli accordi “nonsense”, che restano tali se non li rivendichiamo con forza.
La Sardegna aveva ceduto troppe superfici e troppe stagioni all’uso militare, senza proporzione e senza equità rispetto al resto del Paese. Quando la Germania fu riunificata, ottenne un programma comunitario per la riconversione economica e sociale delle aree dipendenti dalle produzioni e dalle presenze militari. Qualcosa di simile serve anche in Sardegna. L’economia dell’isola può convivere con una significativa presenza militare. È una realtà corposa e radicata, anche solo per il grande numero di persone che vi lavorano. Riconversione vuol dire però cambiare nella quantità e nella qualità della presenza militare. Nella quantità, chiedendo esercitazioni più corte, molti terreni più liberi, molti specchi d’acqua più disponibili. Nella qualità, legando le competenze riutilizzabili in ambito civile provenienti dal mondo militare alla qualità economica e tecnologica della Sardegna. La presenza militare sarebbe percepita con una diversa armonia fra dare e avere.

Il fatto che si sia smantellata la base statunitense di La Maddalena, che fungeva da punto di appoggio per i sommergibili nucleari, non deve far pensare che sia stato un fatto scontato, anzi. Nel 2005 circolavano ancora dei piani dettagliati che descrivevano addirittura un suo imminente ampliamento. La base sarebbe diventata così molto più grande, in larghezza e in profondità, rispetto ai tempi della Guerra Fredda. Dopo la fine dell’URSS sembrava più facile chiudere qualche base e allontanarci dall’Apocalisse nucleare. Viceversa sembrava che andassimo verso una maggiore militarizzazione. Perché accadeva tutto questo? Osservando gli avvenimenti eravamo preoccupati. Vedevamo prendere corpo la preparazione a qualcosa di smisurato e terribile nella scacchiera eurasiatica, una grande guerra. Ancora oggi vediamo troppi movimenti verso quella direzione. Le basi USA nel Vicino e Medio oriente sono cresciute anno per anno, la pressione sulla Russia è aumentata sempre di più, sin dentro il cuore dell’Asia, fino a un passo dal gigante risvegliato, la Cina, a sua volta avvisata che la pressione crescerà anche per essa. Per contro Russia e Cina danno segno di rispondere con un impressionante aumento delle spese militari e il rafforzamento della loro integrazione militare nella Shanghai Cooperation Organization.

Il fatto però è che il dio della guerra si vede scavare molta terra sotto i piedi dal dio del deficit.
Gestire un impero costa.

A La Maddalena si puntava a raddoppiare. Ma i conti impietosi forse hanno spinto a lasciare, per concentrarsi su altri dispendiosi obiettivi da nuova Guerra Fredda, come i sistemi anti-missile da piazzare in Polonia. Anche lì però non è gratis. Il primo ministro polacco Donald Tusk chiede che gli Stati Uniti «forniscano miliardi di dollari di investimenti USA per aggiornare la difesa aerea polacca in cambio dell’ospitare 10 missili intercettori a due stadi» (Reuters, 4 luglio 2008).
Il commentatore conservatore statunitense Pat Buchanan ironizza:
«Perché non dire al presidente Tusk che se vuole un sistema di difesa aerea se lo può comprare? Che noi americani non vogliamo più pagare la Polonia per avere il privilegio di difendere la Polonia? Che la trattativa sui missili anti-missile si chiude qui?»

Ancora una volta: gli equilibri si contrattano, con dignità e senza arrendevolezze, e i risultati si possono ottenere. Per questo insisteremo ancora, affinché non si abbandoni la partita mirante a chiudere il poligono di Capo Teulada. Così come non può essere accettata la recente imposizione di «una striscia tattica polifunzionale» (in pratica un aeroporto per voli senza pilota UAV) nel poligono interforze del Salto di Quirra. Anche qui forse dovremo sperare nel deficit: la stretta finanziaria sta strozzando perfino la routine della polizia (e questo è un segnale preoccupante di tenuta del sistema), ma si estende in altri ambiti, portando a lesinare sulla benzina, figuriamoci sui missili e gli UAV.

Riconvertire è necessario, per non farci travolgere dall’oscillazione dei governi fra le velleità belliche e l’inclemenza del disavanzo, mentre un’idea di come il territorio potrebbe meglio vivere ce l’abbiamo.


1 commento:

stuarthwyman ha detto...

Ciao!

...ti ho citato qui:

http://debunkerfakeblog.blogspot.com/2008/07/fake-blog-undicisettembre.html

riportando un estratto del tuo post...

Non ho sviluppato tutto ciò che volevo dire, ma in un post successivo, se basterà, pubblicherò il resto.