23 gennaio 2016

Occidente: i media al polonio

di Pino Cabras.


Quando nel 2013 alcuni scienziati svizzeri trovarono livelli di Polonio-210 diciotto volte più elevati del normale nella salma, riesumata, del primo presidente dell'Autorità Palestinese, Yasser Arafat, la notizia non aprì le edizioni dei telegiornali occidentali come invece è stato ieri per il delitto della spia russa Aleksandr Litvinenko. Preferivano bacchettare chi osasse alludere a quelle potenti strutture che avrebbero potuto procurarsi un veleno così difficile da maneggiare. Allora no, non si doveva parlare di "avvelenamento di Stato".

Viceversa, tutti gli organi della NATO (ossia l'intero grande sistema informativo occidentale) sanno invece di dover per forza aprire le notizie con le accuse britanniche a Putin per l'omicidio Litvinenko (con la ridicola innovazione giuridica della responsabilità "probabile", che nei titoli diventa però certissima).

Nel terreno immenso delle notizie di rilevanza mondiale, i grandi media sanno a memoria quali piste battere e quali trascurare del tutto. La redazione è il dio che decide cosa devono sapere milioni di persone, quando innalza piccole notizie al rango di scoop planetario o invece sommerge le grandi notizie annacquandole a pagina 17 o tacendole del tutto.

Eppure proprio in questi giorni emergono notizie sempre più raccapriccianti sui bombardamenti della popolazione civile yemenita da parte dell'Arabia saudita. Pensate all'effetto devastante che avrebbero le foto dell'infanzia spezzata. Ma sulle prime pagine non se ne parla. Il dio redazionale decide che non contano nulla, e nessuno sarà ritenuto responsabile, nemmeno "probabile".

Tutto questo avviene nonostante abbiamo notizie certe sui tappeti rossi con cui David Cameron e i suoi colleghi in Europa e oltreoceano accolgono i piranhas della dinastia saudita.

Così come abbiamo notizie certe sulle bombe - di Cameron e italiane - vendute a Riad per dilaniare migliaia di bimbi in Yemen. Cause ed effetti passano sotto silenzio, e nessuna immagine è usata per scuotere le coscienze.

Dunque abboccate pure, giornalisti, alla lista delle notizie che fanno piacere al cerchio magico della NATO! Non abbiate schiena dritta! Bevetevi di tutto, e soprattutto, fatelo bere alle masse! Magari evitate di raccontare che in Ucraina i nazisti protetti dagli apparati repressivi dello Stato danno una caccia spietata e assassina agli oppositori più eminenti, uccidendoli senza che voi scriviate un solo rigo, nemmeno quando le vittime sono vostri famosi colleghi. Oppure continuate pure a nascondere la repressione selvaggia di Erdoğan sul giornalismo turco, non sia mai che la vostra narrazione atlantista ne risenta.

La notizia 'Made in UK' su Litvinenko aveva in realtà un'importanza molto più modesta: l'indagine per un omicidio che fu certo eclatante per le sue modalità non ha portato a prove certe e si è persa in un labirinto di sospetti, come accade a molti delitti di mafia e certi assassinii politici, quando purtroppo non si trovano dimostrazioni sufficienti.

Dunque: trasformare in una notizia mondiale e in un affare di Stato il caso Litvinenko (un vicolo cieco di illazioni del tutto carenti presso qualsiasi tribunale) è una precisa scelta politica, una chiara provocazione, sulla linea delle recenti provocazioni antirusse giocate con l'abbattimento di aerei civili e militari.

Tra sanzioni e isteria mediatica, si crea in tal modo un clima di guerra, mentre i riflessi di un pubblico continuamente aizzato alla russofobia allontaneranno milioni di europei dai loro interessi, per primo l'interesse a costruire un sistema di sicurezza comune con la Russia.

L'edizione del 22 gennaio di «la Repubblica» ha dedicato al caso addirittura le pagine 2, 3 e 4, cioè il blocco principale delle notizie, con tutti i tromboni russofobi in gran spolvero contro «lo Zar Oscuro». Mentre in prima pagina campeggia la fotonotizia della vedova che invoca sanzioni a Putin.

Possibile che in quelle quattro paginate non ci sia stato spazio per riportare cosa ne pensa un altro congiunto di Litvinenko, suo fratello Maksim? Il quale, mentre nel 2006 chiedeva indagini sul governo russo, oggi sostiene che Aleksandr sia stato ucciso da servizi occidentali perché era un agente doppiogiochista che in realtà raccoglieva informazioni presso russi residenti in Regno Unito, nemici di Mosca. E dice anche che la lettera del suo consanguineo che puntava il dito contro Putin era semplicemente un falso. Interessante, no?

Si badi bene, è quasi impossibile avere la più pallida idea di chi menta e chi no, ma chiediamoci: perché - se l'intento fosse davvero una genuina volontà di investigare - i giornali trascurano questo lato della vicenda, nascondendolo alla vista di un pubblico adulto e vaccinato che potrebbe giudicare autonomamente?

Il caso Litvinenko, come minimo, è molto controverso, per nulla lineare, maturato a ridosso di uno degli ambienti più torbidi del pianeta - la mafia russa di Londra - dove da anni si riscontra un alto tasso di delitti, tradimenti, doppiogiochismi intrecciati con le grandi partite della finanza e dei servizi segreti di tanti paesi. Una zona grigia che non consente il complottismo semplicistico delle redazioni ossessionate dalla Russia.

Eppure - come suggerisce il caso Arafat che richiamavamo all'inizio - nel mondo risulta che non sia solo la Russia a possedere veleni radioattivi.

Una nebbia così povera di fatti certi dovrebbe forse giustificare questo volume di fuoco usato contro un unico bersaglio, il Cattivissimo Putin? Certo, le 329 pagine del rapporto sul caso Litvinenko citano 186 volte il nome di Vladimir Putin (niente male in mancanza di prove), e una cinquantina di volte citano il nome di Anna Politkovskaya, la giornalista uccisa dieci anni fa e che da sempre deve scandire il rosario delle accuse a Putin, anche quando non c'entra con un'indagine.

Bastava a metterci in allarme un altro esempio recente: il caso doping negli sport olimpici. Anche lì, stessa procedura standard: tutti i media dell'Occidente - con perfetta sincronia totalitaria - aprono con pagine e pagine (le prime) sul "doping di Stato" russo e riportano persino false dichiarazioni di Putin, che nemmeno si curano di correggere. Poi nei giorni successivi si scopre che il doping riguardava molti altri paesi: notizia in taglio basso, quasi invisibile. Al pubblico rimane l'imprinting della prima notizia urlata.

Non si dimentichino nemmeno le notizie più assurde, diffuse pur di insudiciare con ogni mezzo la nomea di un leader nemico, come quella dello «sperma di Putin inviato via posta a ogni cittadina russa per fecondarsi». E si potrebbero fare molti altri esempi.

Emerge chiarissimo il meccanismo pavloviano stimolato dal sistema dei media NATO, teso a consolidare ogni giorno un'immagine stereotipata e negativa del potere russo, in un quadro che tace notizie che bucherebbero la bolla mediatica in cui siamo affondati.

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