7 gennaio 2016

La disperata corsa saudita


di Pino Cabras.


La scena che si sta mostrando al mondo, dopo l'esecuzione dello sceicco sciita Nimr al-Nimr da parte delle autorità saudite, spiega bene dove volesse andare a parare Riad con questa macabra provocazione politica. Di fronte alle reazioni iraniane, prevedibili e tanto cercate, gli Stati più interconnessi con l'Arabia Saudita hanno fatto a gara a chi rompeva prima le relazioni diplomatiche con l'Iran. Il Bahrein, il Sudan e il Kuwait sono stati i più solerti nell'accodarsi alla scelta saudita. Ma è prevedibile che Riad premerà da subito su tutta la sua "clientela vicina", tutti gli stati arabi su cui ha gettato il grande peso dei propri petrodollari, a partire dall'Egitto, affinché chiudano le ambasciate iraniane e richiamino i propri ambasciatori a Teheran, blocchino i collegamenti aerei, rendano più accidentato il rientro dell'Iran nei salotti buoni della diplomazia.
Riad fa un calcolo forse disperato, ma certamente determinato: vuole sabotare con ogni possibile mezzo i risultati dell'accordo sul nucleare consacrato dalle massime potenze del pianeta, che ha finalmente riconosciuto un ruolo e un peso che l'Iran ha conquistato in mezzo ai disastri della "guerra infinita" angloamericana nel cosiddetto "Medio Oriente allargato". Dove gli altri hanno seminato caos, Teheran ha offerto un ordine politico più efficace, fino a porsi al centro di un crocevia di portata mondiale.
Pochi in Occidente ricordano che il presidente iraniano Rouhani è anche il presidente del Movimento dei paesi non allineati, che raccoglie 120 Stati che rappresentano i due terzi della popolazione mondiale. Ma soprattutto, dopo l'accordo sul nucleare, l'Iran recupera le essenziali relazioni con gli Stati più potenti, cosicché il suo peso nella regione mediorientale aumenta. All'Arabia saudita tutto questo non piace, come possiamo dedurre da altri fatti.
Le azioni dei sauditi di questo drammatico inizio del 2016 vanno infatti legate ad altre loro recenti azioni. L'intervento aereo russo in Siria è stato abbastanza forte da togliere ogni velo con cui l'Arabia saudita provava fin qui a coprire il suo sostanzioso appoggio alle milizie jihadiste. Di fronte al tentativo della grande diplomazia - che intende replicare per la Siria l'esperienza di successo del negoziato 5+1 per l'Iran - il Regno saudita è stato costretto in fretta e furia a organizzare nel dicembre 2015 una "sua" conferenza internazionale delle opposizioni contro il presidente siriano Assad. Come per dire: non ci escluderete di certo, anche quando la nostra mostruosa creatura Frankenstein, l'ISIS-Daesh, dovesse risultare definitivamente sconfitta.
Nel frattempo l'Arabia Saudita, in coalizione con i suoi "clientes", ha continuato la sua aggressione allo Yemen, scaricando su uno dei paesi più poveri del mondo (ma che è la porta del Mar Rosso) una quantità impressionante di bombe, con risultati che risultano criminali dal punto di vista dei costi umani, disastrosi dal punto di vista dell'efficacia militare e astronomici dal punto di vista finanziario.
Sempre sul fronte finanziario, i sauditi da un anno in qua stanno scommettendo su una grande operazione: pompare tantissimo petrolio, così tanto da far abbassare il prezzo, in modo da strangolare i paesi la cui economia si regge in grande misura sull'esportazione di idrocarburi. Tra questi, ancora l'odiato Iran, ma soprattutto la Russia (ripetendo uno schema che sul finire degli anni ottanta aveva piegato l'URSS), e persino l'industria nordamericana dello shale oil, che risulterebbe soffocata nella culla dopo qualche anno di prezzi così bassi.
Solo che la coperta è corta: i ricavi sono crollati anche per l'Arabia saudita, che ha meno denaro con cui comprare alleati e che sperimenta deficit inediti, in grado di farla collassare. Non è ancora crollata, certo, ma la classe dirigente gioca ormai con un elemento di disperazione in più.
È in questo contesto che si legge meglio anche la recente stretta che i sauditi hanno imposto ai media, fino a far oscurare Al Manar, la TV degli Hezbollah libanesi, dal satellite Arabsat, assieme ad altri canali sgraditi, ugualmente testimoni scomodi delle tragedie militari causate o sponsorizzate da Riad.
Altre mosse sono andate in controtendenza, come accade nelle scacchiere geopolitiche, che muovono i pezzi in modi strani e difficili da leggere. Ad esempio, perfino Riad non può estraniarsi dalla rinascita della Russia come grande potenza, tanto che si sono moltiplicati i viaggi dei dignitari sauditi a Mosca, alla ricerca di un nuovo "modus vivendi" in Medio Oriente, con promesse di affari reciprocamente vantaggiosi, forniture militari, disponibilità a considerare un ruolo meno preponderante degli USA negli equilibri regionali. Tutti sanno la misura dei danni che possono infliggere e subire (e che viceversa possono non infliggere e non subire). Ad esempio il wahhabismo saudita ha una forte influenza ideologica e militare sulla galassia jihadista che potrebbe intensificare le sue azioni nel Caucaso e in tutto il fianco sud dell'ex URSS, ponendosi come una minaccia concreta alla sicurezza russa e ad ogni tentativo di "Via della Seta" dell'Eurasia del futuro. Per contro, i sauditi hanno capito benissimo il messaggio recapitato dai missili da crociera Kalibr che dal Mar Caspio hanno colpito in Siria: quei missili russi hanno un raggio d'azione in grado di colpire con precisione devastante qualsiasi punto della penisola arabica.
Le cancellerie di mezzo mondo ora sono in allarme. La cadenza dei cambiamenti diplomatici avvenuti in una sola settimana va a una velocità troppo insostenibile, perciò tutti, a partire dal Segretario generale dell'ONU, invitano a trovare canali di dialogo. Gli scenari di guerra e di pace lungo l'arco di crisi mediorientale somigliano sempre di più a una corsa contro il tempo. Fra tutti i giocatori che sfidano il calendario, i sauditi sembrano essere i più impazienti.




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