di
Pino Cabras.
In
Europa ritorna, ricaricata dai greci di oggi, un'antica parola dei
greci di ieri: politica. La parola va a braccetto con
un'altra parola plurimillenaria, pure greca: democrazia.
Con la squillante vittoria del NO nel referendum greco anti-austerity
del 5 luglio 2015, si apre infatti per i popoli europei un mondo di
possibilità politiche che gli oligarchi non avevano preso in
considerazione. Ma non solo loro. Anche fra coloro che combattono gli
oligarchi in troppi avevano perso fiducia nelle possibilità della
politica, fino a non capire la portata dirompente del referendum:
accusavano Tsipras di essere una specie di Ponzio Pilato, e pensavano
che il voto delle elezioni parlamentari di gennaio bastasse al
governo per tutte le drammatiche decisioni che doveva affrontare
mentre l'Europa gli muoveva guerra, senza rimettere le decisioni al
popolo.
C'è
invece una grandissima differenza fra il voto del 25 gennaio e quello
storico del 5 luglio. A gennaio Syriza raccoglieva il 36 per cento
dei voti espressi, che a loro volta erano il 64 per cento del corpo
elettorale. Il premio della legge elettorale e l'alleanza con il
partito Anel, un altro 5 per cento, consentivano di governare, ma in
un contesto di sfiducia nel sistema politico, simile alla
disaffezione che colpisce ovunque in Europa i sistemi politici.
Il
referendum di luglio ha sollevato l'affluenza e ha chiarito in modo
molto solenne che quasi due votanti su tre non sono più disposti
ad accettare le vessazioni degli usurai internazionali protetti
dall'Europa finanziaria a trazione tedesca. È un NO più forte della
paura del salto nel buio, più potente dei bancomat a singhiozzo, più
travolgente dei media che hanno inondato i greci e gli europei tutti
di una valanga di bugie, come solo in occasione di guerre succede. I
nove giorni che sconvolsero l'Europa – quanti appena ne sono
passati tra l'annuncio di Tsipras e il giorno del referendum – sono
bastati a far cadere tutte le maschere e gli equivoci che occultavano
il vero volto delle istituzioni europee nemiche dei popoli. Se i
popoli si sollevano, le oligarchie perdono: una verità semplice
semplice che spaventa più di tutto i potenti, che infatti reagiscono
facendo parlare tutti gli spara-balle del loro arsenale, dai
gazzettieri più infami fino ai maggiordomi miracolati come Renzi.
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[A
proposito dello scendiletto della Merkel, confrontatelo ora con
Tsipras. Il tempo è galantuomo, a volte. Ha ingannato un po' di
militanti e militonti con la veste del Rottamatore e gli hashtag del
#cambiaverso. Oggi è nudo, con le sue leggi reazionarie e i suoi
conservatorismi, tanto da rivelarsi in pieno per quello che è: un
manovratore di bassa levatura politica, senza legittimazione popolare
misurabile. Un tappo che ostruisce il corso della politica e della
democrazia, e comincia anche a fare errori grossolani di valutazione
mentre il mondo che lo sostiene rischia di franare rovinosamente].
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Ora
si apre una fase in cui l'oligarchia degli eurocrati combatterà una
battaglia feroce per sopravvivere. Come
nota Pier Luigi Fagan, «il
nucleo PPE-socialisti mai concederà nulla ad un rappresentante
dell'area critico-scettica perché altrimenti Podemos, Grillo, la
Lega, la Le Pen...»
Faranno
quindi la
guardia a un sistema
anelastico, rigidissimo,
scaricando tensioni sull'intero Continente. Ma perderanno
definitivamente la credibilità residua del loro vecchio inganno
spacciato per “sogno europeo”. I più anelastici di tutti, a
Berlino, già dichiarano per bocca del ministro delle finanze Sigmar
Gabriel che «con il no la Grecia ha bruciato i ponti con l'Europa,
non ci sarà un altro piano d'aiuti» (ossia i finanziamenti che in
realtà aiutano le banche tedesche e spremono i greci). Testardo come
un mulo, questo Gabriel. Il
mulo di Berlino.
Il
dramma in corso nelle segrete
stanze berlinesi è definito
da Giuseppe Masala come il
dilemma
della Prigioniera Angela.
«-
Se dice sì
a Varoufakis, allora
regala la Spagna a Podemos, il Portogallo ai comunisti e l'Italia a
Grillo.
-
Se gli dice
no, allora fa schiantare
la moneta unica, l'Italia, la Spagna e il Portogallo (ed altri).
Risultato
finale: sia che dica sì,
sia che dica no, distrugge la moneta unica e l'egemonia tedesca in
Europa.»
Uno
scenario simile è descritto
anche da Marcello Foa, che aggiunge una terza opzione, quella di
un imperio totalitario che si spoglia pienamente di ogni parvenza
democratica. Ma anche questa opzione significa la fine dell'Europa
istituzionale che conosciamo.
Insomma,
grazie al referendum greco siamo giunti al dunque di un grande nodo
geopolitico, che si intreccia con altre tensioni europee: non si
deve dimenticare che la NATO (ossia gli USA) ha acceso tanti focolai
– su tutti l'Ucraina - per impedire all'Europa di fare accordi
strategici convenienti con la Russia e altre potenze e legarla così
a un futuro di subalternità alla potenza nordamericana in declino, dovesse costare anche l'ascesa di movimenti nazisti.
Interverranno altri attori in una scena che cambierà
rapidamente già nel corso di questi mesi.
La
nuova leva dirigente greca ha dimostrato che con il coraggio e
il primato della politica si può mettere di nuovo il peso
dei popoli nel corso degli eventi. Le sponde sensibili non
mancano, in seno ai popoli, e perfino presso tante cattedre che
esprimono idee in grado di buttare nella pattumiera decenni di
neoliberismo. Si pensi ad esempio al peso che può avere l'enciclica
di questo papa. Sarebbe uno spreco immane non cercare tutte queste
voci, ora che è tornata la politica.
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