In Ucraina i nazisti danno una caccia spietata e
assassina agli oppositori più eminenti, con un una cadenza sempre più intensa. Appena nelle ultime 72 ore sono
tre le personalità uccise in agguati ben organizzati, vere esecuzioni, con un
messaggio inequivocabile: vi ammazziamo
casa per casa.
Nomi pesanti: Oles Buzina, un giornalista molto noto, assai efficace in televisione, ucciso davanti a casa dopo mesi di minacce; Oleg Kalashnikov, un ex deputato, freddato sull'uscio; Sergej Sukhobok, un altro operatore dell'informazione che gestiva un sito e un giornale indipendenti. Tutti personaggi troppo fastidiosi per il regime di Kiev nel suo momento più delicato.
Nomi pesanti: Oles Buzina, un giornalista molto noto, assai efficace in televisione, ucciso davanti a casa dopo mesi di minacce; Oleg Kalashnikov, un ex deputato, freddato sull'uscio; Sergej Sukhobok, un altro operatore dell'informazione che gestiva un sito e un giornale indipendenti. Tutti personaggi troppo fastidiosi per il regime di Kiev nel suo momento più delicato.
Il
giornalismo occidentale non si è ancora accorto che siamo di fronte a una svolta politica drammatica. Il blocco
di potere ucraino vuole risolvere le sue enormi difficoltà eliminando
fisicamente le voci contrarie perché troppo pericolose in questa fase.
Il
regime non vuole permettersi nessun
contropotere che gli possa far pagare il prezzo dei suoi gravi insuccessi
militari e finanziari, né vuole che maturino vie alternative alla crisi
permanente delle istituzioni ucraine. Ha in mano uno Stato indebolito, predato
da appetiti locali, atlantici e polacchi, incapace di chiudere il cerchio della
divisione etnica che esso stesso ha fomentato, privo di risorse che assicurino
un futuro credibile a una qualsiasi azione di governo, già nei prossimi mesi.
In
questo quadro esplode del tutto apertamente il nazismo, cioè quel che le istituzioni europee, i governi, il
giornalismo occidentale, la maggior parte dei politici e degli intellettuali,
tappandosi occhi e orecchie e forse anche il naso, non avevano voluto percepire
come elemento costitutivo dell’indigesto
pasticcio ucraino. Oggi non ci sono più scuse, nel momento che i dirigenti
ucraini fanno a gara per esprimere «dichiarazioni
di giubilo e commenti del tipo “se lo è meritato”» (come riferisce oggi la Repubblica a pag. 19). Eppure i
segnali c'erano tutti, sin dal momento in cui le proteste di Euromajdan sono
state totalmente egemonizzate in funzione di un colpo di Stato che ha
rovesciato un governo regolarmente eletto, mentre alla guida degli apparati
repressivi si insediavano esponenti di partiti nazisti. Le testate occidentali minimizzavano:
‘i nazisti-nazisti prendono pochi voti’, dicevano. E a molti ciò sembrava una
garanzia sufficiente. Non avevano voluto capire che quella minoranza
determinata era l'ingrediente fondamentale del nuovo regime: nella polizia, nei
servizi segreti, negli unici reparti delle forze armate non soggetti a
diserzioni di massa e pertanto lasciati liberi di compiere massacri e crimini
di guerra, da Odessa
al Donbass, sotto l’occhio benevolo degli addestratori NATO. Tutta l'ideologia
ufficiale del nuovo regime è stata conformata a una dose crescente di valori e
metodi nazisti, in modo inesorabile, con la copertura decisiva degli USA e l'acquiescenza codarda degli europei.
Non
è un caso che ora gli assassini nazisti lavorino di più. Si sta infatti
avvicinando il 70° anniversario della sconfitta del nazismo durante la Seconda
guerra mondiale, e le solenni celebrazioni previste avrebbero messo comunque a
nudo la loro natura. In una situazione normale non ci sarebbe posto per i
nazisti e nessuna narrazione potrebbe assegnare loro un ruolo compatibile con
l'Europa post-1945. Perciò hanno dapprima forzato ogni forma di revisionismo
storico ufficiale, elevando le castronerie nazistoidi a nuova verità di Stato
(il premier Yatsenyuk dichiara alla tv tedesca che «l'Unione Sovietica invase
Ucraina e Germania durante la seconda guerra mondiale. Dobbiamo evitare che si
ripeta»), poi hanno inserito il revisionismo come premessa della nuova
legislazione che mette fuori legge il partito comunista, infine hanno moltiplicato le relazioni
incrociate con il nuovo “cuore nero” dell'Europa, che batte sul Baltico, dove si cumulano i
revanscismi e le ambizioni territoriali della Polonia, le sfilate di nazisti in
Estonia e Lettonia, l'espansione delle attività permanenti della NATO a un
passo dalla Russia e fin dentro l'Ucraina stessa.
Si tratta di
una miscela politica pericolosissima - pronta a espandersi in un territorio
vasto e composito in seno all’Europa - e inevitabilmente portata a generare
fortissime opposizioni e profonde revisioni della postura nucleare di Mosca. A
Kiev non basta più la sfilza di strani suicidi e incidenti che hanno eliminato
dalla scena sette politici di opposizione solo da gennaio in qua, cui si
aggiungono almeno altri otto dissidenti eliminati. Non basta più uccidere tanti
giornalisti, chiudere canali televisivi, ritirare in massa gli accrediti
giornalistici ai “filo-russi”.
Ora si gioca a carte più scoperte, si uccide con un
messaggio. I giornalisti sono nel mirino, proprio
nel momento in cui i nazisti stanno migliorando le loro carriere, ormai azionisti di riferimento
di quella nuova forma di Europa non più antinazista tanto cara alla
sottosegretaria USA Victoria Nuland.
Nessun
quotidiano italiano oggi racconta questa mattanza in prima pagina, e questo
“sopire e troncare” ci consente di misurare il diverso peso che invece fu dato
alle pallottole che colpirono la redazione di Charlie Hebdo a Parigi e l’agnello
sacrificale Boris Nemtsov a Mosca. Lo
scandalo trova posto solo a pagina 19, dove finalmente riescono a disgustarsi
per le dichiarazioni di Anton Gerashenko, consigliere del ministro dell’interno
ucraino, che sul suo sito fa scrivere di Buzina: «bersaglio annichilito». Lo
stesso sito che tre giorni fa pubblicava una lista di proscrizione con gli
indirizzi dei dissidenti, compresi gli ultimi tre “bersagli annichiliti”, incluso
Oleg Kalashnikov.
Certo,
suonerebbe strano dire “Je suis Kalashnikov”. Ma suona
strano anche dire soltanto “Je suis
Charlie”, o “Je suis Nemtsov”, e
fermarsi lì, dove in troppi si fermano. Tra l'altro, nella mattanza di Kiev, i
delitti politici sono molto più leggibili, abbastanza da togliere alibi a quei
larghi settori delle élites
occidentali che si sono fin qui schierate
(tranne significative e lodevoli eccezioni, specie in Germania) con il buco nero neonazista di
Kiev.
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