Vladimir
Vladimirovic Putin non è andato in Germania ad assistere alle
celebrazioni su un'importante vicenda storica di un quarto di secolo
fa, la rimozione del Muro di Berlino. Era a Pechino per fare la
Storia del prossimo quarto di secolo, mentre firmava un altro storico
mega-accordo sul gas con il presidente cinese Xi Jinping.
A Putin non
manca il senso della Storia. Venticique anni fa era proprio in
Germania Est, e precisamente a Dresda, dove soggiornava da quattro
anni in veste di ufficiale del KGB. Aveva avuto modo tante volte di
girare in tutto il vasto centro di quella città ricca di storia, che
nei secoli si era guadagnata la definizione di Elbflorenz (“Firenze
sull'Elba”). Ricca di storia, sì, eppure nessuno degli edifici che costeggiava le camminate di Putin aveva più di cinquant'anni. La
città infatti era stata letteralmente rasa al suolo dal 13 al 15
febbraio 1945 dai bombardieri britannici e americani. Morirono
decine di migliaia di persone, quasi tutte civili. La Repubblica
Democratica Tedesca aveva ricostruito la città, facendo di essa un
primario centro industriale e di ricerca. Quando la Germania Ovest
annesse la Germania Est, non trovò certo una terra di nessuno. Era
un paese industriale ricostruito dopo una catastrofe. Proprio nel
rapporto con quello Stato era nata l'Ostpolitik, il modo di stemperare la Guerra Fredda per evitare un'altra
catastrofe.
Ci si spiava, ci si parlava. Putin ha fatto la gavetta
lì.
La vecchia guardia dei politici europei
dei tempi andati non perde ormai occasione per dirlo: separare i
destini dell'Europa dalla Russia è un suicidio politico, un errore
strategico, una follia economica, un'avventura insensata. L'ultimo
leader dell'URSS, Mikhail Gorbaciov, si è pronunciato in tal senso nell'occasione più solenne, proprio
la celebrazione dei 25 anni dalla rimozione del Muro, con una
dichiarazione che si schiera nettamente con quel fa e dice
l'inquilino odierno del Cremlino, Vladimir Putin.
Nel corso dei mesi della crisi ucraina
abbiamo sentito anche le dichiarazioni dell'ex primo ministro
francese Dominique De Villepin, quelle degli ex presidenti del
Consiglio italiani Silvio Berlusconi e Romano Prodi, per non parlare
degli ex cancellieri tedeschi Gerhard Schröder
e Helmut
Kohl (quest'ultimo praticamente silenziato da tutti i principali
organi di informazione italiani), e altri ancora, come l'ex
cancelliere austriaco Wolfgang Schüssel. Sono tutti politici che
hanno dovuto fare i conti - al loro tempo - con l'ingombrante
superpotenza degli USA: tutti la vedevano come un interlocutore
essenziale e indispensabile, ma agivano per salvaguardare spazi di
manovra per sé, in modo da essere autonomi nel nome di interessi radicati
presso le proprie classi dirigenti nazionali e nella “Casa comune
europea”.
All'alba del “momento unipolare”
statunitense, quando crollava la cortina di ferro fra l'Est e l'Ovest
dell'Europa, e poi negli anni successivi, ognuno di questi politici
ha giocato le sue scommesse, vincendone e perdendone. Nessuno di loro
pensava che il suo compito fosse obbedire ciecamente agli USA.
Gorbaciov fu sconfitto da coloro che vollero la fine dell'URSS; Kohl
scommise sulla riunificazione tedesca ma assisté allo sconvolgimento
degli equilibri europei che seguirono; De Villepin vide le
istituzioni golliste della vecchia Francia indipendente travolte
dalle presidenze atlantiste di Sarkozy e di Hollande; Berlusconi e
Prodi - lungo i decenni - hanno contribuito gravemente al declino
dell'Italia, ma si ricorda anche qualche tentativo da parte loro di
non azzerare la capacità di manovra internazionale ereditata dalla
Prima Repubblica. La cosiddetta “sovranità limitata” non era
sinonimo di “sovranità azzerata”.
Questi diversi governanti parlavano
spesso della Casa comune europea. Questa casa non è stata poi
costruita per vari motivi. Dov'è che sono mancati i mattoni? Perché
quella casa non c'è? Perché tutti questi governanti avevano limiti
e ambiguità, perché hanno proiettato gravi errori sulle generazioni
successive, perché c'erano condizioni - storiche e oggettive - che
non controllavano, perché maturava una crisi più grande che stava
fuori e al di sopra della crisi europea, ossia la crisi dell'Impero
atlantico e della potenza nordamericana.
Intanto l'Impero in crisi puntava a far
pagare a tutti il prezzo sempre più esoso della propria
sopravvivenza. Il dollaro non era più quello di una volta, la
finanza si faceva via via più devastante, ma anche la NATO non era
quella di prima: in contrasto contro ogni altra logica, si espandeva.
L'Impero doveva accentuare tutte le spinte militari, aumentare la
dose di controllo fino a rendere la propria “intelligence” un
incubo orwelliano e a trasformare la Casa comune europea in una Caserma.
In pieno revival berlinese, visito a
Berlino la sede della STASI, diventata un museo che vorrebbe
perpetuare la vergogna di un sistema che impiegava decine di migliaia
di persone per violare “le vite degli altri”. Scatto molte foto
ai microfoni nascosti negli orologi, alle macchine fotografiche
mascherate da innaffiatoi o tronchi d'albero, ai campioni di tessuto degli
oppositori (da far odorare ai cani per rintracciarli prima), ai
registratori e alle bobine che carpivano migliaia di voci. Mentre
fotografo questo tragicomico modernariato dello spionaggio, mi rendo
conto di quanto esso sia poca cosa di fronte a quel che ha rivelato
Edward Snowden.
Potete anche voi visitare il museo della STASI, ma
non c'è ancora un museo che spieghi che tutte le vostre email - anche
se siete uomini potenti, anzi, soprattutto se siete potenti - sono in
pancia alla NSA e ad altre strutture spionistiche atlantiche.
Strutture con budget sterminati che vogliono e ottengono una sola
cosa, la TIA – Total Information Awareness, ossia la sorveglianza
totalitaria. Altro che il buffo innaffiatoio della vecchia Germania Est.
Ecco perché le classi dirigenti
europee di nuova generazione, dal lato atlantico, oggi sono molto
cambiate: totalmente ricattabili, asservite, incapaci di affermare
una propria elaborazione autonoma, disarticolate. Se la generazione
dei grandi vecchi che abbiamo citato commetteva errori e subiva
sconfitte, questa generazione è addirittura annichilita, almeno a Ovest: perché
innanzitutto non è libera. E si fa portare in guerra, a partire dal
disastro ucraino.
Gli esponenti più avveduti delle
classi dirigenti, ovunque in Europa, sanno che la Guerra Fredda e le
sanzioni sono un pessimo affare e che la sicurezza collettiva non può
esistere se va contro qualcuno, specie se quel qualcuno ha il peso
della Russia. I più liberi di parlare restano i vecchi ed ex
politici. Nessuno di loro ha consuetudine con i politici della
generazione Obama. Li vedono come maggiordomi che – così come
Barack – non possiedono pensiero autonomo, ma recitano un copione
redatto presso i veri piani alti dell'Impero e della finanza, e lo
recitano meccanicamente fino in fondo, anche quando sanno che
annienterà la sovranità dei propri paesi, sacrificata all'altare di
una nuova Guerra Fredda.
Perciò, i vecchi, com'è naturale,
guardano con attenzione speciale a Mosca, dove vedono una classe
dirigente vera. Putin e Lavrov sovrintendono al proprio copione, e
questo rende leggibile il loro operato. La politica internazionale
del Cremlino mira a essere "prevedibile", cioè esplicita
nell'enunciare i propri interessi di lungo periodo, senza aree di
ambiguità. Quando Putin dice di non voler ricostruire l'Unione
Sovietica, è vero. E quando dice che non consentirà alla NATO di
minare l'efficacia della deterrenza nucleare, è altrettanto vero.
Capirlo ci consentirebbe di risparmiare sulle spese militari che
ingrassano coloro per i quali Obama fa il piazzista.
L'americano Paul Craig Roberts, un
altro reduce di quando la politica governava ancora qualche
decisione, è arrivato a definire Putin “il leader del mondo morale”. Suonerà una definizione controversa
per molti potenziali lettori, letteralmente bombardati dalla campagna
anti-russa e dall'isteria anti-Putin che fa scrivere a tutta la stampa
occidentale anche le
notizie più assurde pur di lordare con sangue e sperma la sua
reputazione.
Ma c'è qualcosa che spiega lo stesso
la definizione usata da Roberts. Un tempo l'ideologia occidentale era
riassunta nell'espressione “siamo il Mondo Libero”, un concetto
già smentito dalle sue guerre e dai dittatori al suo servizio, e
oggi sempre più inconsistente, fino a diventare
un'autorappresentazione al
limite della patologia. La nemesi è in atto: Vladimir Putin si
sta ritrovando a essere il leader del Mondo Libero così come
è da intendere oggi, ossia il mondo che per emanciparsi deve
sganciarsi dal dominio di Washington, e perciò costruisce nuove
alleanze fra continenti, popoli, gruppi di interesse, forze militari,
movimenti politici molto diversi.
Putin non aveva lavorato per questo
obiettivo, perché stava lavorando a
sollevare la marea geopolitica del suo immenso paese. Nel sollevarsi,
la marea a sua volta ha sospinto la barca del Cremlino fino a un
rango di relazioni autenticamente «globali», a dispetto della
definizione che i burattinai russofobi fanno leggere a Obama sul
suggeritore elettronico: «Russia
potenza “regionale”».
Il che rivela il vero pensiero che le classi dirigenti imperiali
rivolgono anche a tutti gli altri attori internazionali: a Washington
non accettano il mondo multipolare e faranno di tutto per spegnere
ogni ambizione da potenza globale, impedendo prima di tutto ai vari
attori “regionali” di interagire, separandoli artificialmente
contro i loro interessi.
Con
l'Europa la faccenda funziona, tanto che ora
il Muro lo vogliono costruire da Ovest, per separare l'Ucraina dalla
Russia sul modello del Muro israeliano, che hanno già digerito senza
menare scandalo. Con la Cina e i BRICS funziona molto meno, tanto che
la velleità USA viene travolta da giganteschi
accordi economici che cambieranno gli assetti mondiali, e fuori
dal dollaro.
In
Russia sanno che rimane loro poco tempo per sganciarsi dai mille fili
che li legano ancora alla finanza anglosassone e alle leve che
manovrano il prezzo degli idrocarburi, e sanno anche che l'esito non
è scontato.
In
America sanno che rimane poco tempo per impedire il sorgere di
un mondo multipolare e riallineare a sé interi continenti,
dall'Africa, all'Europa asservita dei nuovi trattati, fino al Caos
artificiale in Medio Oriente, mentre si prepara ogni grado di
aggressione a danno delle grandi potenze eurasiatiche.
In
Europa, i vecchi politici sanno che rimane poco tempo alle loro vite
per testimoniare l'urgenza di ricostruire un buon rapporto con la
Russia, da cui passano le strade della sicurezza collettiva. Rimane
quindi poco tempo all'Europa tutta per ascoltarli, anziché allearsi
con i nazisti ucraini e farsi governare dagli incubi robotici del
neoliberismo reale degli Juncker e dei Katainen.
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