di Pino Cabras.
C’è una clamorosa notizia, appena divulgata
in questo caldo luglio 2014 dall'informazione mainstream, che dimostra quanto traviante sia la definizione di
“complottista”, usata per screditare chi fa normale giornalismo d'inchiesta. La
notizia, per chi la voleva vedere, c'era
già cinque anni fa, ed è semplice e terribile: gran parte degli attentati
terroristici sul suolo USA sono indotti dalla stessa organizzazione che li
dovrebbe combattere: l’FBI.
Noi quella notizia l’avevamo voluta vedere
già nel 2009, quando pubblicammo – tra gli altri - un articolo intitolato «Retroscena di un falso attentato» (leggete più avanti
e confrontate).
A quel tempo, invece, la Rai e la Repubblica ripetevano le veline dell'FBI: fanno così molto spesso, senza correggersi mai, o facendolo solo molti anni dopo, quando chi voleva raggiungere un certo effetto lo ha già raggiunto. Così,
le notizie che possono smentire l’allarme gridato spariscono. Rimane invece la
prima impressione dell’allarme, quando la notizia urlata e falsa si deposita
nella coscienza di lettori e spettatori. Ed è per colpa di questa informazione -
che si è preoccupata solo di aizzare (quando glielo ordinavano), o di sopire e
troncare (quando faceva comodo) - che ogni giorno ci è stato rubato un pezzo di
libertà, di sovranità, e infine imposto lo spionaggio totalitario della NSA.
Non stiamo parlando di un generico
sottofondo di notizie: si tratta dei modi con cui si è lanciato un allarme sicurezza permanente che ha
fatto da base giuridica e premessa politica delle guerre di aggressione
intraprese dal 2001 in poi, nonché delle leggi che hanno consentito lo
spionaggio onnipervasivo e reintrodotto gli arresti extralegali e la tortura.
In questo quadro emerge chiaramente che il terrorismo in USA è un’interminabile
catena di azioni false flag (sotto
falsa bandiera), in cui gli attori hanno sempre il fiato sul collo dell’FBI,
che li manipola per i propri fini. Era così già dal primo attentato alle Torri
gemelle di New York, nel 1993, fu così per una parte dei soggetti implicati nei
mega-attentati dell’11 settembre 2001, è stato così per Mutanda Bomber e per la
maratona di Boston.
L’indagine di Human Rights Watch
sarebbe già sufficiente da sola per dire che questo è un metodo di governo e
che il cosiddetto terrorismo è in prevalenza una forma di manipolazione di
massa coperta da entità statali e usata con l’accordo dei pochi proprietari della
quasi totalità dei grandi organi di informazione che sono adibiti a organizzare
l’isteria collettiva a comando.
La
realtà è tuttavia con ogni probabilità ancora più vasta e incancrenita, tanto
che l’indagine sarebbe da estendere anche oltre gli USA (pensiamo agli
attentati di Londra del 2005), oltre l’FBI (pensiamo al terrorismo
internazionale segnato e finanziato da un intreccio di servizi segreti di vari
paesi), e oltre i piccoli episodi (pensiamo anche all’11 settembre e all’allarme
antrace del 2001).
Vi proponiamo di seguito sia il pezzo di RaiNews
di oggi sia il pezzo pubblicato da Megachip nel 2009. In coda troverete anche i
link ad altri articoli che aiuteranno a comprendere la portata della notizia. Buona
lettura.
Human Rights Watch denuncia:
"Fbi pagava musulmani per attentati"
Secondo un'indagine su
27 processi e 215 interviste, l'agenzia di intelligence interna americana
"ha creato dei terroristi sollecitando i loro obiettivi ad agire e
compiere atti di terrorismo"
da
RAINews.it – 22 luglio 2014.
Musulmani
incoraggiati per compiere atti di terrorismo. A volte anche retribuiti. A
denunciare l'operato dell'Fbi, la polizia federale americana è una ong
statunitense, Human Rights Watch.In un rapporto pubblicato in rete, l'organizzazione accusa l'Fbi di aver
violato la legge e di non aver perseguito le reali minacce (qui la versione pdf scaricabile, in inglese).
Con
la collaborazione dell'Istituto per i diritti umani dell'Università della
Colombia, Human Rights Watch ha esaminato 27 casi di indagini che sono passate
attraverso un processo, intervistando 215 persone, incluse quelle accusate o
condannate per atti di terrorismo.
«In molti casi il governo, usando i suoi
informatori, ha sviluppato falsi complotti terroristici, persuadendo e in
alcuni casi facendo pressione su individui, per farli partecipare e fornire
risorse per attentati», scrive Hrw. Per l'organizzazione, metà
dei casi esaminati fa parte di operazioni portate avanti con l'inganno e nel 30%
dei casi un agente sotto copertura ha giocato un ruolo attivo nel complotto.
«Agli americani è stato detto che il loro governo
veglia sulla loro sicurezza prevenendo e perseguendo il terrorismo all'interno
degli Stati Uniti», ha detto Andrea Prasow, vice direttore di HRW a Washington.
«Ma se si osserva da vicino si scopre che molte di queste persone non avrebbero
mai commesso crimini se non fossero stati incoraggiati da agenti federali, a
volte anche pagati».
Secondo Hrw, l'FBI spesso individua soggetti
vulnerabili, con problemi mentali o dalla scarsa intelligenza, come Rezwan Ferdaus,
un 27enne condannato a 17 anni di carcere perché accusato di voler attaccare il
Pentagono e il Congresso con piccoli droni carichi di esplosivo, in un falso
complotto organizzato dagli stessi agenti americani.
Il ministro della Giustizia, Eric Holder, cui l'Fbi risponde,
ha difeso l'operato dei 'federali' e delle loro "operazioni sotto
copertura".
Retroscena
di un falso attentato
"Attentato sventato a New
York", strombazzavano i media il 20.05.2009. La notizia ha meritato
titoloni e tanti commenti, ma finora si è indagato poco. Così scopriamo che...
di Pino Cabras – Megachip, 27
maggio 2009.
"Attentato
sventato a New York", strombazzavano i media il 20 maggio 2009. La notizia
ha meritato titoloni e tanti commenti che hanno riempito le "breaking
news" e qualche paginone, ma finora si è indagato poco.
Per
la maggior parte dei media è scattato il riflesso di chi dice "non
abbassiamo la guardia". E Dick Cheney, l'anima nera della precedente
amministrazione USA, ne ha approfittato per l'ennesima tirata contro chi vuole
smantellare il sistema da lui messo in piedi. Ma cosa è successo davvero a New
York? Un'analisi appena più approfondita rivela sorprese clamorose.
Le
vicende di "attentati sventati" degli ultimi anni mostrano in comune
il ruolo ambiguo dei servizi di sicurezza.
Non
fa eccezione l'ultimo caso newyorchese.
Scopriamo
che i quattro «terroristi islamici» hanno una biografia da sfigati ricattabili,
delinquenti abituali statunitensi di facile manipolabilità, e dal profilo
jihadista improbabile. Il loro ordigno al plastico disposto dinnanzi a una
sinagoga non è esploso, era "inerte". Gli era stato fornito da un
quinto elemento, un agente dell'FBI infiltratosi con la promessa di fornire un
kit del perfetto terrorista che comprendeva anche un falso missile (per
abbattere un aereo). Le mosse erano seguite passo dopo passo, di fatto
governate, da molti mesi, in sinergia con altre agenzie federali.
Un
importante elemento di raccordo fra i quattro e l'FBI era il cinquantaduenne
pakistano Shahed Hussain, diventato informatore dell'agenzia federale dopo che
nel 2002 era stato incriminato per banali reati legati a questioni
d'immigrazione, e reso così prono ai ricatti. Hussein si presentava ai quattro
con molta disponibilità di denaro e con promesse di procurare armi e ordigni
speciali.
Ma
il pezzo grosso dell'FBI è un altro. Risponde al nome di Robert Fuller. È un
agente che ricompare in diverse vicende controverse, sin dalle circostanze
legate agli eventi dell'11 settembre 2001.
Fuller
nell'agosto del 2001 ebbe l'incarico di rintracciare e arrestare due persone
molto sospette, Khalid al-Mindhar e Nawaf al-Hamzi. La segnalazione era giunta
dalla CIA il 23 agosto dopo che i due erano giunti sul suolo USA. Qualche
settimana ancora, e i loro nomi sarebbero stati ricompresi nella lista dei
presunti dirottatori dell'11/9. La ricerca di Fuller fu talmente svogliata, che
finanche la Commissione sull'11/9 ebbe a menzionarne l'indolente inefficacia.
Fuller
riappare in cronaca nel novembre 2004. A Washington, sul marciapiede davanti
alla Casa Bianca, un uomo si dà fuoco. È lo yemenita Mohamed Alanssi.
Sopravvive con il trenta per cento del corpo coperto di ustioni. Nel frattempo
emerge un documento di suo pugno nel quale spiega in qualche modo l'insano gesto.
È una lettera per Robert Fuller, eccolo lì di nuovo, il quale lo aveva
reclutato come informatore. Alanssi scrive di voler vedere la sua famiglia in
Yemen prima di dover testimoniare in un tribunale USA su spinta di Fuller
perché si dice certo che, dopo quella deposizione, la sua famiglia e lui stesso
moriranno. Al «Washington Post» rivela: «Ho fatto un grosso errore a
collaborare con l'FBI. L'FBI ha distrutto la vita mia e della mia famiglia,
intanto che mi prometteva l'ottenimento della cittadinanza e di pagarmi 100
mila dollari». La somma fu erogata, ma Alanssi non acquisì la cittadinanza USA.
La moneta di scambio era una testimonianza a carico di svariati imputati
islamici.
Robert
Fuller lo rivediamo in Afghanistan, all'aeroporto di Bagram, dove interroga -
con i metodi disumani consentiti in questi anni di torture e pressioni - un
quattordicenne afghano, Omar Khadr, orbo di un occhio dopo il combattimento in
cui è stato catturato. A Khadr sono mostrate diverse foto di presunti
guerriglieri, e gli viene chiesto un qualche riconoscimento. Fuller riesce a
estorcere al giovane l'identificazione di un uomo canadese di origine
mediorientale, Maher Arar, che a quel punto deve rispondere all'accusa di
essere stato fra i guerriglieri afghani. Arar è arrestato sul suolo canadese e
diventa uno dei tanti casi di «extraordinary rendition». Nell'incertezza
giuridica sul grado di copertura sulle pratiche di tortura, Arar è consegnato
alla Siria, dove ci sono meno esitazioni costituzionali sui supplizi di Stato
(e questo è uno dei più stupefacenti casi di collaborazione fra paesi che
altrimenti non si risparmiano atti ostili). Lì Arar viene torturato per mesi e
mesi, come è avvenuto in tanti altri casi. Il ragazzo che lo ha accusato
finisce intanto nel campo di Guantanamo, dove la commissione militare speciale
lo processa nel gennaio 2009. Fuller è chiamato a testimoniare e l'agente FBI
ribadisce che il riconoscimento di Arar è avvenuto sulla base di una foto. Il
controesame del testimone spinge Fuller ad ammettere che all'inizio il
riconoscimento non era stato così netto, anzi era proprio vago, e che solo una
protratta «intensa pressione» aveva spinto Khadr a ricomporre in modo più
assertivo il ricordo.
Peccato
che nel frattempo gli inquirenti canadesi trovano le prove che il loro
concittadino, proprio nel periodo in cui secondo Khadr e Fuller si trovava in
Afghanistan, era invece in patria. Le autorità si rivolgono alla Siria per
riavere Arar, evidentemente innocente. La sua
storia viene raccontata dalla cronista Kerry Pither in un libro (Dark Days: The
Story Of Four Canadians Tortured In The Name Of Fighting Terrorism).
E
poi arriviamo all'ultima vicenda.
I
quattro
terroristi "islamici"
fatti arrestare da Robert Fuller nel 2009 sono: James Cromtie, 44 anni, di cui
12 in prigione, un bugiardo patologico, un violento; David Williams, 28 anni,
pluripregiudicato, il quale possiede una pistola da quando se ne compra una coi
soldi datigli dall'FBI; Onta Williams, 32 anni, una vita dentro e fuori le
prigioni; Laguerre Payen, 27 anni, pregiudicato, schizofrenico sottoposto a
trattamento con psicofarmaci.
I
quattro hanno incontrato questa caricatura di jihadismo soltanto perché un
agente provocatore glielo ha proposto, con insistenze e azioni perseveranti,
prospettando loro denaro e armi. Li ha messi insieme lui, insomma. L'allegra
compagnia "islamista" non si priva di droghe, banchetti e sontuose bevute.
Il
ritratto che emerge somiglia a quello di altri personaggi bizzarri che abbiamo
imparato a riconoscere anche nelle cronache sulle deviazioni dei servizi
segreti italiani nel corso degli anni, anche di recente, come nei casi di Mario
Scaramella o Igor Marini. Sempre oltre il filo dell'impostura e della
millanteria, questi soggetti compiono atti che si muovono macchiettisticamente
lungo le frange esterne delle trame dei servizi segreti, con coperture,
depistaggi, manovre che creano confusione, ma sempre disseminate di
riconoscibili contatti con autorità governative. La commistione di vero e falso
dei loro racconti e delle schede che li riguardano sembra indicare anche una
loro strutturale indifferenza psicologica rispetto al confine tra verità e
inganno. Basterebbe poco a smascherare le trame.
Tutta
la vicenda dei quattro balordi di New York somiglia maledettamente a un sistema
messo in piedi qualche anno fa nell'ambito della Guerra al Terrore. Un comitato
di consulenti in seno al Pentagono, il Defense Science Board, nell'estate del
2002 ha proposto la creazione di una squadra di un centinaio di uomini, il P2OG
(Proactive, Preemptive Operations Group, ossia Gruppo azioni attive e
preventive), con il compito di eseguire missioni segrete miranti a 'stimolare reazioni'
nei gruppi terroristici, spingendoli a commettere azioni violente che poi li
metterebbero nelle condizioni di subire il 'contrattacco' delle forze
statunitensi.
Il
paradosso di una simile operazione è spinto fino a limiti estremi. Pare che il
piano debba in qualche modo opporsi al terrorismo causandolo.
In
base al documento prodotto presso il Dipartimento della Difesa statunitense,
altre strategie comprendono il furto di denaro a delle cellule di terroristi o
azioni di depistaggio attraverso comunicazioni false. Viene subito alla mente
il caso del falso comunicato n. 7 delle Brigate Rosse durante il sequestro di
Aldo Moro, nel lontano 1978, uno dei tanti depistaggi degli 'anni di piombo',
quando erano in incubazione su scala limitata i metodi poi estesi alla
globalizzazione della paura.
Gli
atti precisi cui ricorrere per 'stimolare reazioni' nei gruppi terroristici non
sono stati svelati, il tutto in ragione della riservatezza di fonti e contatti
da non compromettere.
Un'organizzazione
come questa è perfetta per creare confusione e depistaggi, quel genere di caos
che si determina nel passaggio dall'«infiltrazione» alla «provocazione».
Il
documento del Pentagono si spinge poi a spiegare che l'uso di questa tattica
consentirebbe di considerare responsabili degli atti terroristici provocati
quei paesi che ospitassero i terroristi, a quel punto considerati dei paesi a
rischio sovranità.
Il
grande giornalista investigativo Seymour Hersh, una mosca bianca fra la grande
stampa, ha rivelato già all'inizio del 2005 che il P2OG è stato
rimesso all'opera.
Cosa svelava Hersh?
«Sotto
il nuovo approccio di Rumsfeld, mi è stato riferito (da fonti interne ai servizi
americani, ndr) che agenti militari USA sarebbero stati autorizzati all'estero
a fingersi uomini d'affari stranieri corrotti, intenti a comprare pezzi di
contrabbando che possano essere utilizzabili per sistemi d'armamento atomici.
In certi casi, stando alle fonti del Pentagono, dei cittadini locali potrebbero
essere reclutati per entrare a far parte di gruppi guerriglieri o terroristici.
Ciò potrebbe comprendere l'organizzazione e l'esecuzione di operazioni di
combattimento, o perfino attività terroristiche.»
Evidenziamo:
«perfino attività terroristiche».
Anche
il prossimo libro di Hersh, di imminente pubblicazione, sarà incentrato
sull'esistenza di un mondo pseudo-terroristico e para-terroristico che ha
pericolosi punti di contatto con strutture dotate di una qualche patina di
legalità.
La
recente vicenda di New York, così come le vicende degli attentati londinesi
reali o sventati tra il 2005 e il 2007, e altri episodi ancora, sembrano
indicare un metodo di lavoro molto consolidato, in grado di inquinare la scena
pubblica con una paura indotta.
Fonte: http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=58359&typeb=0&retroscena-di-un-falso-attentato.
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