di
Pino Cabras.
La
Sardegna - anche se non tutti se ne sono accorti - è già
diventata un laboratorio politico. È un destino che tocca a
chi sopporta una crisi economica e sociale molto grave. Prendete la
Grecia e l'Italia: sono massacrate da un'Europa che funziona come un
regime, e sono i paesi in cui gli elettori stanno cambiando di più
il loro voto. Ridimensionano i vecchi partiti e premiano i nuovi.
I
partiti che fanno da guardia al vecchio ordine resistono ovunque
arroccandosi: coltivano le residue
clientele, sperimentano "larghe intese", accolgono chiunque abbia
qualcosa da scambiare con chi si arrocca. Fuori dalla loro
piazzaforte, nascono nuovi soggetti politici con un consenso di
massa, anche molto diversi fra di loro. In Grecia troviamo sia la
speranza di Syriza sia l'incubo nazista di Alba Dorata, in Italia c'è
l'indignazione civica a cinque stelle. Ma siamo solo all'inizio.
La
crisi della Sardegna ha il suo laboratorio, in vista delle elezioni del 16 febbraio. Anche qui ci sono i
potentati che si arroccano. Anche qui, fuori dalla cittadella del
ceto politico dominante, emergono le alternative, con buona
pace di chi vive nell'illusione che le scelte siano ancora quelle due
di sempre.
Sardegna
Possibile è la
più forte alternativa in campo,
e Michela Murgia -
che l'ha saputa costruire - è una personalità politica in grado di
poter segnare la storia della Sardegna dei prossimi dieci anni. La
criticano perché non corrisponde all'identikit dei tecnocrati
presunti competenti. Normale: i partiti della crisi hanno abboccato a
Monti e a Fornero, e hanno creduto a ogni portatore insano di
superstizioni economiche distruttive. Da troppo tempo non hanno in
casa politici di razza che abbiano visioni coraggiose, e quando fuori
ne vedono uno, anzi una, non sanno riconoscerla. Si riparano sotto le
care certezze degli assessorati gestiti come feudi, e dietro i passi
felpati dei baroni. Chiamano competenza
il volare rasoterra. Sono conservatori, e non sanno nemmeno di
esserlo, come accade ormai da tempo. Non è un caso che abbiano perso
per strada la maggioranza dei militanti e degli elettori.
In
tutte le coalizioni sono presenti partiti indipendentisti. Nella
coalizione di Michela Murgia la componente che auspica l'indipendenza
della Sardegna è più forte, con un impianto ideologico
anti-nazionalista e anti-etnicista. Segno dei tempi: siamo nel 2014,
l'anno che propone i pacifici referendum sull'indipendenza della
Scozia e della Catalogna.
Il
campo del centrodestra
cosa presenta? Cappellacci.
E quello del centrosinistra? Capi
e lacci. Ossia
capibastone (direbbe
Barracciu) e trappole
paralizzanti. Tra Cappellacci e capi e lacci, la Sardegna è
inceppata.
Ugo
Cappellacci va giudicato per i suoi risultati.
Oggi dice di non avere padrini e di odiare lo Stato patrigno. Cinque
anni fa il Caimandrillo
lo aveva pescato dalla "borghesia compradora" dell'isola, per
lanciarlo con tutta la potenza di fuoco delle sue tv. Sotto i
tabelloni dei palchi dominati dalla scritta Berlusconi Presidente, al
ragionier Ugo venivano concessi discorsi di pochi minuti, mentre Re
Bunga Bunga comiziava dovunque in modo fluviale, proprio con la
postura del padrino: braccio sulla spalla del bravo ragazzo, discorsi
interminabili e barzellette grasse.
Lo slogan era «la
Sardegna torna a sorridere».
Quello slogan è il boomerang più triste della storia. Cosa abbiamo
da sorridere oggi, a Cappellaccilandia? Stiamo forse meglio di cinque
anni fa? Abbiamo il lavoro promesso, o ne abbiamo perso tanto? È
stato trattenuto chi fuggiva a cercare speranza? Si è sanato un
centimetro di territorio danneggiato? Sono diminuite le servitù
militari? Si viaggia meglio? Niente di tutto ciò. Il bilancio è
interamente negativo. La classe dirigente che accompagnava il
disastro aveva i valori di Sisinnio
Peppa Pig,
gli orizzonti di Wedding
Planner Sanjust,
lo slancio "riformatorio" di Mario
Montblanc Diana.
Con un simile bilancio una classe politica va semplicemente mandata a
casa, senza appello.
Anche
il centrosinistra dei capi e lacci ha un bilancio in perdita.
Tenta di usare un fazzoletto di seta, scelto in affanno, Francesco
Pigliaru, per ricoprire un vecchio vaso sbeccato, ricolmo di
oggetti alla rinfusa: renziani liberisti, comunisti
senza operai, vetero-indipendentisti, notabili
e sotto-boss, neo-sovranisti, gente in buona fede e profumata,
politicanti incalliti meno profumati, indagati attaccati alla
poltrona, innovatori così timidi da essere ormai conservatori. Tutti
costoro non amano Cappellacci, certo, e pretendono il voto da chi,
come loro, non lo ama. Ma non osano fare nulla di nuovo per sfidare
Ugo & friends. Così formano un fronte di arroccati, ancora
fiduciosi che Pigliaru, il professore renziano, possa mettere ordine,
tanto poi gli imporranno gli assessori con un bigliettino e
scomporranno i suoi progetti nel puzzle delle sottocorrenti
politiche. Al palco in cui si presenta Pigliaru, lo scenario è in
stile Renzi. Ma quando la telecamera zooma sulla prima fila del suo
pubblico, inquadra le facce di sempre, sono tutti lì: il
Rottamatore non rottama nemmeno gli indagati. E questi celebrano
il fazzoletto di seta che li copre.
Mentre
infuria la crisi, una classe dirigente siffatta non ha soluzioni, non
immagina un futuro, è perfino pericolosa perché si allea con chi
vuole fare carne di porco della democrazia rappresentativa.
L'incontro di Renzi con Berlusconi per varare una legge elettorale
incostituzionale è il bollo finale di questa marea, oggi
conservatrice e domani reazionaria. Questi comandano, e per loro la
Sardegna è un incidente, un niente che schiacceranno in nome di
interessi "superiori".
Aggiungo
una considerazione su Pigliaru. Essendomi laureato nella facoltà in
cui ha insegnato, ho visto da vicino che ha formato una scuola di
allievi rigorosi, che danno del tu alla matematica e alla statistica,
e hanno passione per le scienze sociali. Ma vedo anche i limiti suoi
e della sua scuola. Sono limiti
ideologici. Pigliaru non
mette in discussione l'attuale regime europeo, e quando
la Banca Centrale Europea scrive i suoi diktat
assurdi, lui le dà ragione.
Come buona parte dei dirigenti partoriti dalla sinistra italiana
negli ultimi anni, accetta
in tutto le regole dell'austerity della trojka che
demoliscono la civiltà europea. A lui e al suo mondo rimane il ruolo
della pomata che si stende sulle ferite, causate da un'arma che non
vogliono condannare né fermare. Pigliaru e Renzi sono conservatori
compassionevoli sotto il ritratto di Che Guevara. Predicano la parità
dei diritti, ma la
grande finanza non si tocca.
Raccomandano la centralità della scuola, ma accettano le regole dei
licantropi che si annidano nei corridoi brussellesi, francofortini e
romani, che sono la vera causa delle mancate manutenzioni sui tetti
dei licei e dell'umiliazione degli insegnanti. Amministrano il poco
promettendo che sarà molto, ma accettano tutto ciò che lo renderà
più scarso ancora: pareggio
di bilancio in Costituzione, Fiscal
Compact,
precariato. Sul lavoro
promettono leggi danesi per preparare salari cinesi. Per cominciare, secondo Pigliaru, la Sardegna dovrà essere la prima cavia su cui inoculare il Job Act di Renzi.
Abbiamo già visto in Grecia come va a finire. Non risolleveranno un bel niente. Meno potere avranno, meglio sarà.
Abbiamo già visto in Grecia come va a finire. Non risolleveranno un bel niente. Meno potere avranno, meglio sarà.
Se
governa ancora questa classe politica, fra cinque anni a
vincere le elezioni sarà chi prometterà di riconquistare il diritto
perduto di tutti a mangiare tre pasti al giorno.
Ecco
perché Sardegna Possibile, prima ancora di tante altre
competenze e infrastrutture, rivendica la competenza numero uno di un
popolo, la sua infrastruttura fondamentale: ossia la volontà di
liberarsi dalle dipendenze politiche in
ogni campo della vita sociale e nel territorio. Perciò non
si fanno accordi elettorali con una classe dirigente che ha fallito.
Semplice.
Il
laboratorio sardo rinnova i suoi alambicchi, trova energie nuove,
costruisce l'alternativa. Ecco perché partecipo e mi candido
nella lista Comunidades, sostenuto anche dal laboratorio
politico Alternativa.
Gli
elettori sardi hanno in mano per la prima volta da anni un progetto
che non si appiattisce sul presente. La valanga di voti al MoVimento
Cinque Stelle di Grillo, un anno fa, ha dimostrato che la volontà
dell'elettorato può raggiungere numeri travolgenti. Oggi c'è una
proposta di governo
che non chiede di delegare ogni cinque anni, ma di partecipare ogni
giorno, correggendo anche gli errori, che certo ci saranno. Il
progetto di Michela Murgia mi piace perché non perde tempo con il
solito miraggio della
crescita del PIL, ma
crede a una riconversione
ecologica e sociale delle produzioni,
e punta a salvare i beni
comuni, ad aiutare
le imprese virtuose e sociali.
Nel mondo si
può fare.
E anche qui. Una volta liberata dai feudi, la macchina della Regione
potrà essere riorganizzata, senza doppioni e sprechi, con meno
assessorati e più progetti, e premierà chi la farà funzionare
meglio. Il baricentro sarà il servizio alle comunità della
Sardegna. L'orizzonte un Mediterraneo di pace, e un ruolo diverso in
Europa.
Pino
Cabras
è candidato alle elezioni regionali nella lista Comunidades,
per la coalizione Sardegna
Possibile
di Michela
Murgia.
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