25 giugno 2013

Lo Spirito di Messina


di Pino Cabras - da Megachip.



Da Messina a Messina, la politica è stata per mesi in un ottovolante, con ubriacature d'alta quota, cadute repentine, giudizi definitivi smentiti da fatti contrari nel giro di breve tempo. Fu proprio Messina, lo scorso ottobre, a far capire che la politica italiana non sarebbe più stata la stessa. Beppe Grillo aveva appena attraversato a nuoto lo Stretto, e da lì iniziava una campagna elettorale spettacolare che lo portava al grande exploit siciliano, fino a fare del Movimento Cinque Stelle il punto di coagulo dell'opposizione italiana. Oggi a Messina diventa trionfalmente sindaco Renato Accorinti, l'uomo della battaglia No Ponte, un vero alieno contro una vera piovra di potentati locali, a capo di un movimento che rompe tutti gli schemi senza stare affatto nemmeno nello schema del M5S, che d'altro canto vince clamorosamente a Ragusa con Federico Piccitto.

Nessuno può più illudersi di tenere in cassaforte i voti di appartenenza. Nessun leader può più coltivare l'illusione di “dettare la linea”. I ballottaggi siciliani arrivano dopo i boom e i flop dei partiti e delle liste, con votanti che si muovono con la forza incontenibile dei fiumi in piena. Sia il bacino sempre più esteso di quelli che non votano, sia la corrente sempre più instabile di quelli che ancora vanno alle urne, hanno una cosa in comune: non possono più essere rappresentati da quel che c'era prima, e ancora non stanno fermi in quel che c'è ora.

I meccanismi elettorali e le consuetudini con il potere hanno consentito alle classi dirigenti italiane di resistere, fino ad arroccarsi con momentanea efficacia: il Tigitre è diventato il Tigiquattro meno uno, la presidenza della Repubblica è stata imbalsamata, Palazzo Chigi è presidiato dai maggiordomi, c'è sempre qualcuno che ha un microfono per Violante, e fino ad oggi anche il Caimandrillo ha fatto finta di poter rivincere. Una Restaurazione.

Per contro, il M5S è stato ben al di sotto della Rivoluzione promessa. I rappresentanti in Parlamento sono stati scelti con meccanismi che non potevano che produrre una rappresentanza troppo debole, rispetto alle esigenze tattiche e alla duttilità delle battaglie parlamentari necessarie.

Eppure nulla è immobilizzato per davvero. La crisi eroderà giorno dopo giorno i vecchi strumenti del potere e molte leve del consenso residuo. Tutti dovranno giocare la partita del consenso futuro, mai scontato.
La mia sarà forse un'impressione, ma l'abisso dei non rappresentati è una voragine sempre più vasta. Troppo più estesa per chi spera ancora di circoscriverla o fregarla arroccandosi. Sino a poco tempo fa la “voragine” poteva ambire a organizzarsi per contare almeno come una minoranza influente, come un'opposizione che esercita una pressione su un sistema politico ancora forte, pur sempre rappresentativo di vasti interessi.

Oggi quegli interessi possono sgretolarsi (perfino con la classica e temibile “rovina comune delle classi in lotta”), creando un vuoto che qualcuno riempirà.

Non sembra più il tempo adatto per vivacchiare con partitini che si accontentano di un piccolo potere di negoziazione e di interdizione verso gli altri. Bisogna pensare già oggi al governo che sarà espresso da un popolo capace di sentire il peso della propria sovranità e farsi maggioranza cosciente, inItalia e in Europa. Da Messina viene un insegnamento: occorre rompere gli schemi.

Sarebbe perfino una rivincita sul cosiddetto “spirito di Messina” del 1955, quello della Conferenza da cui si fece strada l'Europa che conosciamo, ormai vicina al capolinea.


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