29 aprile 2012

Disarmare la finanza per rifondare l'Europa


Sintesi della video-intervista di Giulietto Chiesa al Prof. Bruno Amoroso, membro del Comitato Scientifico di Alternativa.



Una parte della sinistra, quella divenuta suo malgrado extraparlamentare, ha sposato la tesi dell'uscita dall'euro punto e basta. Lei che cosa ne pensa, sia in termini monetaristici, sia in termini di concreta strategia politica (che sono due cose diverse)? L'Unione Europea ha un destino, oppure è destinata a crollare?
Le proposte critiche si sono orientate in due direzioni principali. La prima è quella degli economisti keynesiani che propongono il superamento della parentesi dell'Euro per i 17 paesi partecipanti e che si sono distaccati dallo SME dei 27 paesi. Si tratta di una proposta di ritorno al sistema del serpente monetario, con le sovranità monetarie nazionali, e con fasce di variazione concordate nei cambi. Inoltre si propone un Fondo di solidarietà al quale dovrebbero concorrere sia i paesi con un eccesso di surplus sia quelli con un eccesso di deficit nella bilancia dei pagamenti. Il Fondo dovrebbe aiutare in modo mirato i paesi in difficoltà. È una proposta lineare e che si rifà sia al modello keynesiano, sia alle esperienze di cooperazione monetaria del sistema europeo precedenti all'Euro. La debolezza della proposta è che non tiene conto che gli Stati nazionali non dispongono più di governi autonomi e di forze politiche capaci di gestire queste politiche. La Globalizzazione ha modificato tutto questo in forma irreversibile.
La seconda proposta, nella quale io colloco la mia, è quella di tentare di risolvere i problemi prodotti dall'Euro dentro questo sistema. I problemi nascono da una divisione tra i paesi dell`area tedesca e quelli dell`Europa del sud. Per questo è ipotizzabile una divisione dell'Euro in due zone, con rapporti di cambio concordati e meccanismi di solidarietà del tipo di quelli descritti sopra. Le ragioni della mia preferenza per questa proposta sono due. Prima, le debolezze dei governi nazionali singolarmente presi sono evidenti, ormai ridotti a ruoli prefettizi rispetto alla BCE. Un semplice ritorno ai sistemi statali nazionali porterebbe probabilmente a una dissoluzione dell'intero progetto europeo. La divisione proposta della zona euro costringerebbe i governi e i movimenti politici dell`Europa del sud a riprendere una propria iniziativa più aderente alla realtà dei propri sistemi produttivi e sociali e consentirebbe uno spazio d’intervento ai movimenti sociali, politici e sindacali di questi paesi. Seconda, si riaprirebbe un processo di rifondazione dell'assetto istituzionale europeo, che ponga una alternativa al modello istituzionale centralizzato di Bruxelles in direzione di una struttura federale europea costruita però non su singoli stati e paesi ma su aree mesoregionali omogenee. Questo è quanto di fatto già avviene nell'area dei paesi baltici e dell'Europa centrale, mentre è assente per i paesi dell'Europa del Sud (Europa mediterranea). È evidente che questo richiederebbe una ricontrattazione di tutti i passaggi strategici della fase post guerra fredda (Maastricht, Lisbona, ecc.) totalmente inadeguati a questi nuovi indirizzi.

Esiste, secondo lei, una competizione tra dollaro ed euro? O, per dirla in altri termini, Wall Street-City of London e Francoforte agiscono in modo solidale, oppure non è così?
A mio avviso i sistemi finanziari hanno costruito legami che impediscono ogni forma di competizione interna e hanno anche il pieno controllo dei sistemi monetari (dollaro, sterlina e euro) come dimostra la loro presenza nei posti chiave del governo dell'economia e della moneta sia negli Stati Uniti sia in Europa. La possibilità di rompere questo monopolio risiede anzitutto nel formarsi di volontà politiche diverse che sono la premessa indispensabile perché l'Euro possa eventualmente svolgere un ruolo autonomo rispetto a obiettivi sia interni sia internazionali. Questo non è raggiungibile né con le attuali istituzioni monetarie europee, controllate dalla Goldman Sachs (Mario Draghi), né con iniziative di sovranità nazionali che, per la loro debolezza intrinseca, potrebbero forse aiutare le condizioni socioeconomiche interne, ma rimanendo dipendenti per il loro ruolo internazionale. Questo è quanto oggi avviene, ad esempio, con la corona dei paesi scandinavi. Diverso sarebbe il caso del formarsi di aree monetarie forti dentro il sistema dell'UE (come è oggi il caso della sterlina inglese) che concatenando moneta e sistemi produttivi potrebbero tornare a svolgere un ruolo di trascinamento dell'Euro in nuove direzioni. La proposta francese dell'Unione per il Mediterraneo sembrava potesse rappresentare un passo importante in questa direzione, ma poi è stata invece strumentalizzata da Sarkozy per una ripresa delle politiche coloniali europee.

Quali sono le regole della finanza che occorre cambiare per evitare un collasso come quello del 1929? E in Italia, Fiscal compact, pareggio di bilancio e la linea Monti cosa ci daranno, oltre alla recessione?
Il nodo da risolvere è quello di togliere tutti quegli spazi di autonomia che i sistemi finanziari si sono conquistati rispetto ai sistemi politici e economici. La finanza va disarmata chiudendo le istituzioni mediante le quali può operare in modo autonomo (borse, società di rating, grandi società finanziarie e banche nazionali e transnazionali). La finanza va drenata del proprio potere togliendo alla moneta la funzione di “strumento di accumulazione di ricchezza”, riportandola a quella di “misura di conto” e “strumento di scambio”. La moneta deve essere emessa dagli Stati con funzioni precise di sostegno dell`economia e dei suoi equilibri interni. L'accumulo di moneta per operazioni finanziarie crea ostacolo all`uso della moneta per gli scambi commerciali e gli investimenti; è di fatto un’appropriazione indebita della moneta emessa dallo Stato che i privati fanno sottraendo così lo strumento necessario per investimenti e per il consumo. Il meccanismo d’intervento necessario è semplice: tassare in forma fortemente progressiva tutte le forme di risparmio e di accumulo finanziario che superino i limiti del “risparmio famigliare”. La moneta va rimessa in circolazione per investimenti e consumo limitando così anche il bisogno di espandere le emissioni con effetti inflazionistici.

La Cina sta rallentando, e non è una sorpresa. Quanti anni di crescita lei concede alla Cina? E sul versante dei delicatissimi equilibri geopolitici, intravede una grande guerra all’orizzonte?
La Cina dimostra una grande saggezza nello gestire i processi di crescita della propria economia nelle fasi che tutti abbiamo conosciuto, e cioè di una crescita che si finanzia sull`utilizzo del basso costo della manodopera abbondante e sulle esportazioni per avere accesso alle valute necessarie per i rifornimenti energetici e delle tecnologie. Dopo aver attuato in circa 15 anni una trasformazione industriale e civile (urbanizzazione ecc.) che ha richiesto in Occidente 150 anni, la Cina sta affrontando i problemi della coesione territoriale e sociale spostando l'asse della crescita dall`esportazione al consumo interno. La Cina sa anche molto bene che la sua collocazione dentro un orizzonte temporale di due decenni alla testa dell'economia mondiale costituisce l'incubo dei paesi occidentali incapaci finora financo di pensare ad una propria ricollocazione dentro un sistema mondiale che li veda nel ruolo di partner di uno sviluppo la cui centralità risiede altrove. La Globalizzazione è il piano di apartheid pensato dall`Occidente per controllare i mercati mondiali e impedire un sistema policentrico che ne possa minacciare il ruolo di potere. Le guerre degli ultimi trenta anni seguono un filo rosso che porta allo smantellamento di tutti i possibili poli di potere regionale (Iugoslavia, Iraq, Mondo arabo, Afghanistan, Iran, ecc.) autonomi dall'Occidente per l'accerchiamento della Cina. Due soggetti potrebbero ancora svolgere un ruolo diverso per contribuire a creare un sistema mondiale di cooperazione e co-sviluppo alternativo a quello del saccheggio e della guerra. Questi sono la Russia e l'Unione Europea, se all'interno di quest'ultima sorgessero forti aree mesoregionali (l'Europa Mediterranea) capaci di condizionare gli sviluppi europei. Se questo non avverrà assisteremo presto a una nuova situazione di “guerra fredda” basata su un nuovo equilibrio del terrore rappresentato oltre che dalle armi atomiche da nuove tecnologie di annientamento anche più terrificanti.

Infine, cosa pensa della decrescita?
Il problema della decrescita ha senso rispetto al tema dei limiti delle risorse e di una autolimitazione delle forme di consumo irragionevoli. Ma questo nella consapevolezza che il mondo non è fatto di gente ricca e obesa che sperpera risorse, ma di miliardi di persone che ancora faticano per trovare forme di sopravvivenza materiale e mentale. Se la decrescita è una proposta che riguarda noi occidentali, delle classi medio alte, e i nostri sistemi produttivi spesso costruiti sullo spreco e sul superfluo, ben venga. Si tratta di una proposta di qualità ed etica che non può che essere condivisa.  Ma se il mantenimento degli attuali squilibri distributivi e delle forme di vita ad alto consumo energetico significa imporre la decrescita alle famiglie e ai lavoratori, come si sta facendo oggi, questa indicazione rischia di svolgere un ruolo di legittimazione alla conservazione di quella che Keynes definiva il vizio maggiore delle nostre società, e cioè l'iniqua distribuzione dei redditi e della ricchezza. In conclusione penso che la diffusione di questo concetto, anche tra forze di sinistra e movimenti sociali, rischia di diventare un mezzo di distrazione di massa rispetto a quelli che sono i problemi e le cause del nostro malsviluppo.

Il link su Megachip: QUI.

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