27 luglio 2011

Chi erano i giovani laburisti di Utøya?

di Pino Cabras – da Megachip.



Quali erano i valori dei ragazzi e delle ragazze norvegesi dell’isola di Utøya, teatro della strage del 22 luglio 2011? I nostri media non ne hanno fatto cenno. Nel pieno del seminario estivo del movimento giovanile laburista Arbeidernes Ungdomsfylking (AUF), il suo leader Eskil Pedersen, il 19 luglio, aveva rilasciato un’intervista all’importante quotidiano «Dagbladet». E cosa leggiamo di così clamoroso in questa intervista? Proprio alla vigilia dell’incontro con il ministro degli esteri di Oslo, il laburista Jonas Gahr Store, quali temi di politica internazionale va a proporre Pedersen? Il giovanissimo politico della sinistra di governo norvegese, in modo inequivocabile, punta tutto su un solo tema: no al dialogo con Israele, sì all’embargo. Vi proponiamo qui di seguito la traduzione dell’intervista.

I lettori potranno così vedere sotto un’ulteriore luce il massacro perpetrato da Anders Behring Breivik, alias ABB, con i suoi complici. Si potranno porre domande fin qui sopite soprattutto se si accenderà poi un’altra luce, quella sul lungo documento di Breivik, che proclama in molti punti una viscerale fedeltà alla causa sionista, e quando si riveleranno i contatti organici di ABB con l'estrema destra sionista europea. L’«anti-islamico» ABB non ha consumato il suo piombo in una moschea. Ha invece sterminato le giovani leve di un'intera nuova classe dirigente sgradita. Lui sarà pazzo. Ma i pazzi come lui spesso sono in mano a manovratori e agenti d’influenza con una visione precisa. Qualunque cosa per adesso si possa pensare, intanto buona lettura.

«Il Dialogo non serve, Jonas!»

Il leader dell’AUF, Eskil Pedersen, ritiene che sia l’ora di misure più forti contro Israele.

Intervista a cura di Alexander Stenerud - dagbladet.no.
Questa settimana circa un migliaio di membri dell’organizzazione dei Giovani Laburisti (AUF) si sono radunati all’isola di Utøya per discutere di temi politici. Giovedì a Utøya verrà Jonas Gahr Store per dibattere di Medio Oriente.
Il ministro degli esteri crede nel dialogo in merito al conflitto tra Israele e Palestina, ma il leader dell’AUF Eskil Pedersen ha un chiaro messaggio per il ministro.
«Ci piace che si parli ma, da come abbiamo visto, Israele non è interessata, e non ha ascoltato nessuna delle rimostranze che le sono state fatte. Il processo di pace è un vicolo cieco, e sebbene il mondo intero strepiti affinché gli israeliani vi si conformino, loro non lo fanno. Noi della Gioventù Laburista vogliamo un embargo economico unilaterale contro Israele da parte norvegese», dichiara Pedersen.
Il leader dei giovani laburisti sostiene che il dialogo non ha più nulla da offrire di fronte a Israele, e ritiene che sia l’ora che si adottino nuovi tipi di misure. Pedersen considera che le autorità israeliane si sono spostate così tanto a destra che risulta impossibile avere alcun colloquio con loro.
«La Norvegia ha poche opportunità di esercitare in qualche modo un’influenza, e non siamo vicini ad alcuna pace in questo conflitto. Semmai il contrario. Israele si è spostata estremamente a destra, il che fa sì che scarseggino i partner dialoganti. Oserei dire che perfino i responsabili della politica estera del Partito del progresso (la formazione conservatrice liberale norvegese, NdT) faticheranno assai per trovare interlocutori in Israele. Non c’è più alcun filo diretto. Quel che intendo dire è che dovremmo parlare con chiunque, ma non possiamo sacrificare i nostri principi e le nostre politiche tanto per parlare».
La Gioventù Laburista è stata a lungo in favore del boicottaggio di Israele, ma la decisione all’ultimo congresso, che richiedeva che la Norvegia imponesse un embargo economico unilaterale del paese, era più netta che in precedenza.
«Riconosco che questa sia una misura drastica, ma ritengo che essa dia una chiara indicazione del fatto che siamo stanchi del comportamento di Israele. Larghe parti del mondo reagiscono in ogni momento, ma Israele non ascolta. Penso che la decisione sia un segno che noi dell’AUF diffidiamo di Israele, semplicemente».

Fonte: http://www.dagbladet.no/2011/07/20/nyheter/politikk/innenriks/auf/17367745.
Traduzione dal norvegese a cura di Padore Eltili.
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25 luglio 2011

Da Lee Oswald a Lee Oslo, via "Gladio"?


Erano in più di uno a far fuoco sull'isola. Un’esercitazione sull’esplosione di bombe appena conclusa a Oslo. Forse una vendetta della NATO per la decisione della Norvegia di non bombardare più la Libia?

di Webster G. Tarpley.
Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras.


I tragici attentati terroristici in Norvegia presentano un certo numero di segni rivelatori di una provocazione false flag (sotto falsa bandiera, NdT) . È stato riferito che - sebbene i media mondiali stiano cercando di focalizzare l’attenzione su Anders Behring Breivik in veste di assassino solitario nella tradizione di Lee Harvey Oswald - molti testimoni oculari concordano sul fatto che un secondo tiratore era all’opera nel massacro presso il campo estivo giovanile di Utøya, fuori Oslo .
È anche emerso che una unità speciale di polizia aveva condotto una simulazione o esercitazione, nel centro di Oslo, che includeva la detonazione di bombe: esattamente ciò che ha causato il massacro a poche centinaia di metri di distanza poco più di 48 ore più tardi. Ulteriori ricerche rivelano che le agenzie di intelligence degli Stati Uniti stavano conducendo un vasto programma di reclutamento di ufficiali in pensione della polizia norvegese con lo scopo presunto di disporre atti di sorveglianza all'interno del paese. Questo programma, noto come Unità di sorveglianza e rilevamento SIMAS, ha fornito un tramite perfetto per la penetrazione e la sovversione della polizia norvegese da parte della NATO.
È inoltre presente un movente per l'attacco: come parte del suo tentativo di far crescere una politica estera indipendente, compreso l’imminente riconoscimento diplomatico di uno stato palestinese inserito in un riavvicinamento generale con il mondo arabo, la Norvegia stava guidando gli stati più piccoli della NATO che intendevano tirarsi fuori dalla coalizione di aggressori imperialisti che sta attualmente bombardando la Libia. La Norvegia aveva programmato di mettere fine a tutti i bombardamenti e agli altri assalti contro le forze di Gheddafi non più tardi del 1° agosto.
Infine, l’operazione CIA consistente in rivelazioni parziali controllate (limited hangout, nell’orig., NdT), nota come Wikileaks, ha già fornito un caso prefabbricato e pubblicamente disponibile per incompetenza e illeciti contro l'attuale governo norvegese, che sta facendo tutte queste cose, sotto forma di una serie di dispacci reali o manipolati che documentano la presunta negligenza di questo governo nell’affrontare la minaccia terroristica, il tutto secondo la visuale dei funzionari del Dipartimento di Stato USA.

Il giornale VG di Oslo: "Diversi" testimoni oculari affermano che c’erano due tiratori sull'Isola
Come si è visto, la stampa mondiale e i media della scuola anglo-americana si sono immediatamente fissati su Breivik come un caso esemplare di assassino solitario dello stesso stampo di Lee Harvey Oswald, Sirhan Sirhan, e tanti altri. Il problema per i mitografi del terrore è che, nella maggior parte di questi casi, vi sono credibili se non schiaccianti prove che queste figure non avrebbero potuto agire da sole. Tra i più recenti assassini solitari, Breivik potrebbe essere paragonato al maggiore Nidal Hasan di Fort Hood, in Texas, la cui sparatoria con carneficina risale al novembre 2009. Hasan è accusato di aver ucciso sette persone. A quel tempo, si ritenne degno di nota che Hasan era riuscito a uccidere così tanti soldati armati nella base militare. Ma i primi rapporti suggerivano che c'era un altro se non altri due sparatori oltre a Hasan. Come accade di solito, questi tiratori supplementari furono presto cancellati dalla versione dominante nei media. [1]
Nel caso norvegese, la prova che Breivik non era da solo a rivendicare il suo tributo spaventoso di vittime è chiara e convincente. Ecco alcuni estratti da un articolo pubblicato dal quotidiano di Oslo VG:
«Molti dei giovani che erano presenti al dramma della sparatoria di Utøya, hanno riferito a VG di essere convinti che ci debba essere stato più di un esecutore. Marius Helander Roset la pensa così: - “Sono sicuro che si sparava da due diversi punti dell'isola, contemporaneamente”, ha dichiarato.

Testimoni: - C’erano due persone
La polizia ritiene che Anders Behring Breivik (32 anni) sia l'esecutore vestito da poliziotto, e lo hanno incriminato per due attacchi terroristici. I giovani intervistati da VG descrivono un esecutore aggiuntivo, che non indossava l'uniforme della polizia. La persona che li seguiva era alta circa 180 centimetri, aveva folti capelli scuri e un aspetto nordico. Aveva una pistola nella mano destra e un fucile sulla schiena. – “Io credo che ci fossero due persone che stavano sparando”, sostiene Alexander Stavdal (23 anni) ....
Alla conferenza stampa di sabato mattina la polizia ha affermato che ci sarebbero potuti essere diversi esecutori e ha sottolineato che c'è un'indagine in corso»[2]
La presenza di un secondo tiratore è ovviamente più scomoda per la teoria dell’assassino solitario, in quanto rappresenta la prova incontrovertibile di una associazione cospirativa criminale, l'elemento essenziale che la copertura mediatica è generalmente ansiosa di evitare. Nel caso norvegese, i riferimenti a un secondo sparatore sembravano essere sufficientemente persistenti anche 36 ore dopo l'evento principale, tanto da poter far resistere qualche speranza che la versione ufficiale possa essere interamente abbattuta sulla base di questo particolare.

La polizia aveva svolto esercitazioni facendo brillare delle bombe nella stessa area pochi giorni prima
Un altro segno rivelatore critico di un'operazione false flag proviene dallo svolgimento di simulazioni o esercitazioni, ufficialmente per fini di controterrorismo - da parte della polizia o dei militari contemporaneamente all'attacco terroristico, o poco prima che l'attacco terroristico vero e proprio iniziasse. A volte, le esercitazioni o simulazioni in ordine ad atti terroristici sono programmate in modo da iniziare poco dopo il momento in cui l'attacco terroristico effettivo avviene. In questi casi si scopre spesso che la sedicente esercitazione o simulazione anti-terrorismo contiene un'azione simulata o un evento che ricorda fortemente l’attacco terroristico nel mondo reale, quello che uccide davvero la gente. I media poi faranno riferimento a un’incredibile coincidenza o a una concomitanza strana, ma la realtà è che l’esercitazione terroristica è stata presa o rivoltata in diretta nella forma di uccisioni reali. Il segreto sta nel fatto che l’esercitazione con copertura legale è stata utilizzata per condurre o ricalcare il massacro reale attraverso un apparato governativo le cui risorse sono necessarie per eseguire l’atto terroristico, ma in cui ci sono molti funzionari ai quali non si consente di sapere cosa stia succedendo.
Gli eventi in Norvegia forniscono un esempio molto chiaro di questo principio. A Oslo, una potente bomba è esplosa dentro o vicino all'edificio che ospita l'ufficio del Primo Ministro. Esattamente come ci aspetteremmo, unità speciali anti-terrorismo della polizia si esercitavano con l’esplosione di bombe in una zona vicina della capitale norvegese poco più di 48 ore prima. Il pubblico non era stato informato in anticipo, ma ha scoperto quello che stava accadendo quando ha iniziato a sentire le bombe martedì e mercoledì, mentre la bomba principale è esplosa venerdì. Ecco cosa riferisce il giornale Aftenposten:
«Poliziotti armati sono stati visti nella zona intorno al Teatro dell'Opera di Oslo, e violente esplosioni si potevano udire su gran parte della città. Nessuno sapeva che era tutta una questione di esercitazioni. La Sezione Informazione della polizia di Oslo si rammarica profondamente che il pubblico non fosse a conoscenza dell'esercitazione così apparentemente drammatica .... Si trattava della squadra di emergenza, l'unità speciale della polizia nazionale contro il terrorismo, che stava conducendo una simulazione nella zona delimitata presso il molo di Bjørvika. Secondo un comunicato stampa emanato dalla polizia, quasi un giorno dopo l'esercitazione, la simulazione consisteva in una formazione sul campo nel trattare la detonazione controllata di cariche esplosive .... L'esercitazione continuerà per il resto del Mercoledì sera e si prevedono un paio di ulteriori esplosioni.... L’esercitazione ha seguito un modello che risulta familiare a tutte le forze anti-terrorismo di tutto il mondo: gli uomini si calavano dal tetto e si introducevano dalla finestra che era stata appena fatta esplodere, intanto che sparavano».[3]
Peter Power della Visor Consultants disse alla BBC Radio Five sulla scia degli attentati alla metropolitana di Londra del 7 luglio 2005 che la sua impresa aveva condotto un esercitazione basata su esplosioni che dovevano avvenire sostanzialmente nelle stesse stazioni della metropolitana londinese e alla stessa ora in cui le vere esplosioni sono effettivamente accadute. Gli eventi norvegesi presentano lo stesso tipo di strana coincidenza.

Un movente: la Norvegia ha deciso di mettere fine ai bombardamenti della Libia entro il 1° agosto
Gli obiettivi degli attacchi terroristici norvegesi sono tutti espressamente politici, compresi gli uffici governativi e un campo estivo dei giovani del Partito Laburista oggi al governo, e quindi vanno in direzione della politica. Il governo della Norvegia è attualmente una coalizione composta dal Partito Laburista, il Partito Socialista di Sinistra, e il Partito di Centro. La Norvegia ha sempre cercato di coltivare una politica estera filo-araba, come si evidenzia nella sua sponsorizzazione degli accordi di pace di Oslo tra il primo ministro israeliano Rabin e il leader palestinese Yasser Arafat a metà degli anni novanta. L'attuale governo ha annunciato la sua intenzione di concedere il riconoscimento diplomatico di uno stato palestinese nel prossimo futuro. Quando lo scorso febbraio è iniziata la destabilizzazione della Libia, il ministro degli Esteri norvegese Jonas Gahr Støre del partito laburista ha messo in guardia i partner della Norvegia nella NATO dal farsi coinvolgere.
Ma subito dopo, la Norvegia ha ceduto alle pressioni degli Stati Uniti e ha accettato di partecipare al bombardamento NATO della Libia per un periodo iniziale di tre mesi, inviando sei aerei che hanno effettuato circa il 10% di tutti i bombardamenti annoverati dall'Alleanza atlantica. Tuttavia, allo scoccare finale dei suoi tre mesi di impegno, la Norvegia aveva ridotto il suo contingente a quattro aerei per il mese di luglio, e il 10 giugno ha comunicato l'intenzione di ritirarsi del tutto entro il primo agosto dalla coalizione dei bombardamenti NATO.
La decisione norvegese di abbandonare la coalizione di attacco della NATO si è associata con una mossa simile dei Paesi Bassi, che è stata annunciata nella stessa data del 10 giugno. Gli olandesi hanno deciso di mantenere il loro contingente di sei aerei, ma non prenderanno più parte a bombardamenti su obiettivi a terra. D'ora in poi, gli olandesi sono disposti solo ad aiutare a far rispettare la no-fly zone attraverso l’interdizione aerea. C'era quindi la possibilità che l'esempio della Norvegia avesse potuto innescare una tendenza generale da parte degli stati più piccoli della NATO ad uscire dalla coalizione di bombardamento, in cui la loro presenza collettiva è altamente significativa.
Esponenti di spicco del governo norvegese sono stati tra i primi a minimizzare la presunta logica che sottostava al bombardamento della NATO, intanto che sollecitavano trattative: «Le soluzioni ai problemi in Libia sono politiche, non possono essere risolte con mezzi militari», ha dichiarato il Primo Ministro norvegese Stoltenberg ai giornalisti riuniti per una conferenza a Oslo il 13 maggio. «Stiamo sostenendo vigorosamente tutti gli sforzi intesi a trovare una soluzione politica alle sfide cui ci troviamo di fronte in Libia», ha aggiunto. Il governo norvegese ... ha promesso di ridimensionare il suo ruolo negli attacchi aerei alla Libia orchestrati dalla NATO dopo che il suo attuale impegno di tre mesi termina il 24 giugno.[4]
Questa era la politica dell'intero governo norvegese: «La Norvegia ridimensionerà il suo contributo con i caccia in Libia da sei a quattro aerei e si ritirerà completamente dalla operazione a guida NATO entro il 1° agosto», ha dichiarato venerdì il governo.... Il ministro della Difesa Grete Faremo ha detto che si aspetta la comprensione da parte degli alleati NATO perché la Norvegia ha una piccola forza aerea e non può "mantenere un grande contributo con i caccia durante un lungo periodo." La forza aerea della Norvegia sostiene intanto che i suoi jet F-16 hanno effettuato circa il 10 per cento dei bombardamenti aerei della Nato in Libia a partire dal 31 marzo. I partiti della coalizione di governo di centro-sinistra della Norvegia, erano stati in disaccordo sulla possibilità di estendere la partecipazione del paese, che avrebbe dovuto scadere il 24 giugno. La fazione più di sinistra nel governo, il Partito Socialista di Sinistra, si è opposta a una proroga, ma un compromesso è stato raggiunto affinché si rimanesse in funzione fino al 1° agosto con un minor numero di aerei. «È saggio porre fine al contributo dei caccia norvegesi. Ora la Norvegia dovrebbe impiegare i suoi sforzi per trovare una soluzione pacifica in Libia», ha dichiarato il deputato Baard Vegar Solhjell del Partito Socialista di Sinistra. [5]

Il Dipartimento di Stato si è lamentato della “mancanza di impegno” della Norvegia per l’avventura libica
La decisione norvegese di smettere di combattere la guerra contro la Libia, la prima di questo tipo da parte di qualsiasi membro dell'alleanza atlantica, ha attirato l'attenzione degli osservatori diplomatici, uno dei quali ha commentato che l'attuale governo di Oslo ha auspicato «un approccio nettamente più pacifico alle politiche globali da parte del governo norvegese .... [nonostante] le recenti pressioni da parte degli Stati Uniti in Norvegia affinché contribuisse maggiormente alla campagna militare in Libia. La Norvegia ha opposto resistenza a queste pressioni e ha spinto per un approccio più tranquillo agli attacchi della NATO sulla Libia guidati dagli USA, e ha rifiutato di fornire armi alla NATO, annunciando infine il mese scorso che la Norvegia avrebbe lasciato il suo ruolo militare in Libia dal 1° agosto. Nel mese di marzo, quando gli Stati Uniti stavano mettendo assieme il sostegno unilaterale volto a invadere la Libia, la Norvegia del ministro degli esteri Jonas Gahr Støre è stata una delle poche nazioni a mettere in guardia gli Stati Uniti contro l'intervento armato in Libia. La Norvegia inizialmente ha fornito sei aerei da combattimento per le operazioni di Libia e ha realizzato circa il 10% degli attacchi a partire dal 19 marzo. Tuttavia, i funzionari degli Stati Uniti hanno segnalato Norvegia e Danimarca per la loro 'mancanza di impegno' nella missione determinata a mandar via Gheddafi ... Altri legami Norvegia-Libia includono grandi interessi della Norvegia in Libia in materia di petrolio e fertilizzanti: la compagnia norvegese Statoil, posseduta dallo stato, ha circa 30 dipendenti presso i suoi uffici a Tripoli .... Aziende [norvegesi] hanno condotto importanti operazioni di business in Libia, in collaborazione con il regime di Gheddafi. »[6]
Allo stato attuale delle indagini, la migliore valutazione circa il motivo degli attentati norvegesi è quella di punire il paese per la sua politica estera indipendente e filo-araba in generale, e per il suo ripudio della coalizione dei bombardamenti NATO schierata contro la Libia in particolare.

Le Unità di sorveglianza e rilevamento SIMAS sono la nuova Gladio per la Norvegia?
Gli operatori dell’intelligence di USA e NATO hanno dimostrato di possedere capacità straordinarie all'interno della Norvegia, molti dei quali possono essere operativi al di fuori del controllo del governo norvegese. Ai primi di novembre 2010, il canale televisivo TV2 Oslo ha messo in luce l'esistenza di una vasta rete di risorse e di informatori segreti a libro paga dell’intelligence USA reclutati tra le fila dei poliziotti in pensione e altri funzionari. L'obiettivo apparente di questo programma era la sorveglianza dei norvegesi che stavano prendendo parte a manifestazioni e altre attività critiche nei confronti degli Stati Uniti e delle loro politiche. Uno dei norvegesi reclutati era l'ex capo della sezione anti-terrorismo della polizia di Oslo.[7]
Sebbene l'obiettivo consistesse ufficialmente solo nella sorveglianza, è possibile immaginare altre attività assai più sinistre che potrebbero essere svolte da una simile rete di poliziotti in pensione, compresa l'individuazione e la sovversione di mele marce presso le forze di polizia in servizio attivo. Alcune delle funzionalità di una rete di questo tipo non sarebbero del tutto estranee al genere di eventi che si sono appena verificati in Norvegia.
Il nome ufficiale per il tipo di cellula di spionaggio che gli Stati Uniti stavano creando in Norvegia è Surveillance Detection Unit (SDU, ossia Unità di sorveglianza e rilevamento, NdT). Le SDU a loro volta, operano nel quadro del Security Incident Management Analysis System (SIMAS, sistema di analisi nella gestione degli incidenti di sicurezza, NdT). Il SIMAS è noto per essere stato utilizzato per spionaggio e sorveglianza da parte delle ambasciate degli Stati Uniti non solo nel blocco nordico di Norvegia, Danimarca e Svezia, ma in tutto il mondo. Gli eventi terroristici inoltre sollevano la questione se il SIMAS abbia una dimensione operativa. Potrebbe questo apparato rappresentare una versione moderna delle reti Stay Behind della Guerra Fredda istituite in tutti i paesi della NATO e più conosciute sotto il nome della branca italiana, Gladio?
Al governo norvegese occorrerà scoprirlo. Finora i ministri norvegesi hanno affermato che non hanno mai approvato la rete di SDU della SIMAS. «Non abbiamo mai saputo nulla su di essa,» hanno affermato il ministro della Giustizia norvegese Knut Storberget e il ministro degli Esteri Jonas Gahr Støre in coro. Hillary Clinton ha dichiarato invece che i norvegesi erano stati informati.

L’operazione di rilascio controllato di notizie Wikileaks di matrice CIA ha ragion d’essere nel tentativo di far cadere il governo norvegese.
Grazie alle discariche documentali rilasciate della sussidiaria CIA che cura le rivelazioni parziali controllate (limited hangout, nell’orig., NdT), generalmente conosciuta come Wikileaks, è già stato fornito un chiaro percorso per l'utilizzo degli attacchi terroristici norvegesi come base adatta a rovesciare l'attuale governo. Dispacci del Dipartimento di Stato veri o manipolati e cortesemente messi a disposizione da Wikileaks ritraggono il governo norvegese, che la NATO odia, come una manica di pasticcioni e mentecatti, incapaci di prendere misure efficaci per salvaguardare la sicurezza nazionale del paese.
Alcune di queste carte sono state pubblicate sulla scia degli attacchi terroristici di Londra dal Daily Telegraph, un giornale notoriamente vicino agli ambienti di intelligence della NATO. Secondo questo articolo, mentre «si parla del tentativo da parte del servizio di polizia di sicurezza (PST) di rintracciare una particolare sospetta cellula terroristica di Al-Qa’ida, un dispaccio scritto dall'ambasciatore USA in Norvegia, Barry White, descrive [il modo in cui le autorità norvegesi] ... hanno rifiutato l'aiuto delle autorità del Regno Unito inteso a mettere sotto sorveglianza un potenziale sospetto e aggiunge: "Non solo non hanno indirizzato le proprie risorse su di lui ... ma hanno anche appena rifiutato l’offerta da parte del servizio d’intelligence del Regno Unito di due squadre di sorveglianza di dodici persone ciascuna". Il dispaccio continua affermando che i servizi di intelligence di Gran Bretagna e Stati Uniti hanno analizzato delle conversazioni in codice tra sospetti terroristi e hanno deciso di garantire la sorveglianza. Ma, dice il dispaccio, "Il PST ha invece trovato il modo di interpretare la stessa conversazione in codice tradotta sotto una luce più rosea e meno minacciosa, un’interpretazione che ha poco senso per gli USA o la Gran Bretagna."» Un catalogo anche dei più recenti fallimenti e fiaschi dell’FBI e della CIA nella cosiddetta Guerra Globale al Terrore potrebbe contribuire a mettere questi giudizi ipocriti nella giusta prospettiva, ma sarebbe anche cosa troppo voluminosa per poter essere aggiunta qui.
Un altro particolare negativo sembra fatto su misura per un tentativo di incolpare i presunti pasticci del governo norvegese per l'attentato di Oslo: «Il memorandum rivela anche come, nonostante in apparenza ci fosse sorveglianza sul sospetto, il PST ha perso le tracce di un’attrezzatura adatta a fabbricare bombe che veniva conservata in un appartamento, dopo che è stata visibilmente rimossa senza che gli investigatori» se ne accorgessero. Il PST quindi non è riuscito a stare sulle tracce di un sospetto per 14 giorni perché l’investigatore a lui assegnato fu chiamato a svolgere un altro lavoro. Il memorandum conclude: «Il PST non è all’altezza ... semplicemente non può tenere il passo.»
Un altro promemoria del Dipartimento di Stato propinato da Wikileaks, presumibilmente scritto nel 2007 ... aggiunge: « la valutazione ufficiale delle minacce della polizia (PST)... afferma che le organizzazioni terroristiche internazionali non sono una minaccia diretta contro la Norvegia.» Un promemoria scritto nel 2008, mostra come gli Stati Uniti ritenessero che la Norvegia non fosse consapevole della possibilità di un potenziale attacco terroristico. Nel dispaccio si legge: «Noi premiamo ripetutamente sulle autorità norvegesi affinché prendano sul serio il terrorismo. Cercheremo di basarci su questo slancio per combattere l'ancora diffusa sensazione che il terrorismo accada altrove, non nella tranquilla Norvegia» E un dispaccio scritto solo lo scorso anno aggiunge: «Il PST ha visto di nuovo la Danimarca come un obiettivo più che la Norvegia, per ragioni molto specificamente legate alla controversia sulle vignette.» [8].
Il governo della Norvegia ha bisogno di passare all'offensiva e stabilire tutta la verità su ciò che è appena accaduto. In caso contrario, è probabile che il governo soccomberà alla campagna orchestrata internazionalmente che i documenti Wikileaks così chiaramente presagivano.

Questo post è apparso sul blog di Webster Trapley.


Riferimenti

[1] http://www.megachip.info/tematiche/guerra-e-verita/1357-la-strage-unesercitazione-divenuta-realta.html.
[2] 2 Vedi RIA Novosti, 23 luglio 2011, http://en.rian.ru/world/20110723/165350450.html; – Dal sito web di VG: “Flere av ungdommene som var på Utøya under skytedramaet forteller til VG at de er overbevist om at det må ha vært mer enn én gjerningsmann. Det mener også Marius Helander Røset.” “Jeg har overbevist om at det var to personer som skjøt, sier Aleksander Stavdal (23).” “Vedkommende var i følge dem rundt 180 centimeter høy, hadde tykt mørkt hår og så nordisk ut. Han hadde en pistol i høyrehånden og et gevær på ryggen.” http://www.vg.no/nyheter/innenriks/oslobomben/artikkel.php?artid=10080627
[3] “Politiet glemte å informere om øvelse: Anti-terrorpolitiet avfyrte sprengladninger under en øvelse midt i Oslo, to hundre meter fra Operaen, men glemte å gi beskjed til publikum,” Aftenposten, c. July 20, 2011, http://mobil.aftenposten.no/article.htm?articleId=3569108
[4] “Libya solution more political than military-Norway,” Reuters, 13 May 2011, http://www.trust.org/alertnet/news/libya-solution-more-political-than-military-norway
[5] “Norway to quit Libya operation by August,” AP, June 10, 2011, http://www.signonsandiego.com/news/2011/jun/10/norway-to-quit-libya-operation-by-august/
[6] Tragic Irony Surrounds Oslo Bombing, Phuket Word, July 23, 2011, http://www.phuketword.com/tragic-irony-surrounds-oslo-bombings
[7] Thomas Borchert, “US-Geheimdienst mit Nordfiliale: USA lassen Norweger überwachen,” Deutsche Presse-Agentur, November 4, 2010.
[8] Mark Hughes, “WikiLeaks files show Norway unprepared for terror attack: Norway’s intelligence service had previously been criticized for its failure to keep track of suspected terror cells and the country was felt to be complacent about the prospect of a terror attack, secret cables from the WikiLeaks files reveal,” London Daily Telegraph, July 22, 2011. http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/norway/8655964/WikiLeaks-files-show-Norway-unprepared-for-terror-attack.html

24 luglio 2011

BARACK OBUSH

E' uscito il nuovo libro di Giulietto Chiesa e Pino Cabras, Barack Obush (Ponte alle Grazie, 2011).


La liquidazione di Osama, l'intervento in Libia, la manipolazione delle rivolte arabe, la guerra all'Europa e alla Cina: colpi di coda di un impero in declino.

Che significa e come si è svolta l’oscura uscita di scena di Osama bin Laden? Che fine ha fatto Al-Qa’ida, ed è mai stata come ci hanno raccontato? Chi sta andando al potere in Egitto e altrove, dopo le primavere arabe, e in che modo gli Stati Uniti tentano di controllare la riorganizzazione del potere? Chi sono i cirenaici a sostegno dei quali gli USA e noialtri abbiamo deciso di far guerra a Gheddafi? Eroici difensori della libertà o i complici di turno dell’impero? Che svolgimento avranno i tesissimi rapporti con Iran e Siria? In che modo la crisi dei Paesi europei più deboli è legata alla guerra euro-dollaro? E che cosa stanno tentando di fare gli Stati Uniti, segretamente o meno, per controbilanciare la rapidissima ascesa cinese?
Tante questioni che i nostri media lasciano irrisolte, trovano qui, grazie alla penna acuminata di Giulietto Chies a e Pino Cabras, una luce nuova. Se non rasserenante, almeno molto chiara: sullo sfondo di una guerra globale per il momento a (relativamente) bassa intensità, il ruolo degli Stati Uniti di Obama – oramai non diverso dai predecessori, e in fondo espressione più correct degli stessi interessi reali – è quello di un impero al declino, gravato dall’immenso debito, dallo svuotamento della democrazia e dalla feroce concorrenza internazionale, che tuttavia dovrà vender cara la pelle. Il più cara possibile: e a pagare potremmo essere tutti noi.






UN BRANO
"Ma quante volte è morto Osama bin Laden nei dieci anni post 11 settembre? Gli annunci e le ipotesi sulla sua dipartita si sono regolarmente susseguiti, con svariate fonti — giornalisti, leader politici, agenti o ex agenti di servizi segreti, funzionari di ogni livello nelle amministrazioni occidentali, inclusa quella americana, ecc. — che lo davano per molto malato, quasi morto, poi morto e rimorto.
Il mainstream, all’unanimità, imperterrito, lo dava ancora in vita. Nessuna stranezza in questo: il mainstream è lì esattamente per questo: per raccontare quello che vuole l’Impero. Ha funzionato sempre, perfettamente, la «legge delle ventiquattro ore». Che si manifesta così: la notizia esce, in quache modo, a caldo. C’è sempre un passacarte distratto, che non capisce, raccoglie la voce dal sen fuggita a qualcuno (o che qualcuno ha intenzionalmente fatto filtrare) e la pubblica. Poi qualcun altro, meno distratto o più furbo, se ne rende conto. E la notizia sparisce per sempre dalle pagine dei giornali e dei telegiornali. Solo gli specialisti se ne ricorderanno. Il grande pubblico la ignorerà."



barack-e-book

23 luglio 2011

Oslo: preveggenti wargames e crisi imperiali


di Pino Cabras – da Megachip.
CON IMPORTANTE AGGIORNAMENTO E RETTIFICA DEL 6 AGOSTO 2011 IN CODA ALL'ARTICOLO


Perfino a Oslo, ancora una volta, un evento terroristico di grande portata si è dispiegato a ridosso di un’esercitazione di sicurezza che aveva ad oggetto proprio un grande attentato: la polizia di Oslo appena 48 ore prima delle stragi stava conducendo un massiccio wargame ubicato nei pressi della Operahuset, il Teatro dell’Opera della capitale norvegese. Le stragi di Oslo si mostrano subito con uno scenario pieno di piste contrastanti. A caldo, così come è accaduto per lo stragismo italiano e per le stragi del decennio post 11 settembre, si creano e si cancellano rivendicazioni e ipotesi che si rincorrono: dal presunto comunicato islamista fino all’ipotesi investigativa sulla pista interna. Rimane questo fatto – l’esercitazione - che in sé non basta ancora a dimostrare nulla, ma che sarebbe sbagliato ignorare, dati i precedenti.
Come riferisce il quotidiano norvegese Aftenposten, nuclei della «polizia antiterrorismo hanno fatto esplodere delle cariche esplosive in un’esercitazione al centro di Oslo, a duecento metri dall’Opera, ma si sono dimenticati di avvisare il pubblico». L’esercitazione, svoltasi mercoledì 20 luglio, ruotava intorno all’azione di unità anti-terrorismo che attaccavano un edificio in disuso ai margini del molo Bjørvika con bombe e armi da fuoco.
«Gli uomini si sono calati dal tetto e sono entrati dalla finestra appena esplosa, intanto che sparavano». L’efficacia scenica era tale che – riferisce Aftenposten - si udivano "scoppi violenti", sotto lo sguardo attonito degli spettatori del vicino Teatro dell’Opera.
Il video dell’esercitazione dà un’idea del grado di realismo della simulazione.
politietaksion
In casi precedenti, riferibili ad analoghe esercitazioni, abbiamo visto numerosissimi punti di contatto con gli eventi in corso, fino al punto di sovrapporsi con essi. È possibile ripercorrere molti di questi casi, che mostrano sbalorditive coincidenze con la tortuosa scena del delitto, regolarmente accompagnata dai giochi di ruolo messi in campo da interi apparati coperti legalmente.
Durante gli attentati di Londra del 7 luglio 2005, ad esempio, un'agenzia di sicurezza che si curava della metropolitana stava conducendo un’esercitazione con eventi terroristici simulati che dovevano svolgersi nei medesimi orari ed esattamente negli stessi luoghi in cui accaddero per davvero. Una sfida impossibile alla statistica, su cui né Scotland Yard né il giornalismo britannico – istituzioni regolarmente sopravvalutate - hanno provato a fare obiezioni di sorta.
Dobbiamo intanto chiederci a chi giovi il massacro nella tranquilla città scandinava. La Norvegia, sebbene abbia un peso demografico molto modesto (poco più degli abitanti del Piemonte distribuiti su un territorio più vasto dell’Italia), e sebbene appaia a uno sguardo superficiale come un Paese periferico, ha in realtà una fortissima proiezione geopolitica, presentandosi come un paese chiave della NATO in vista dell’imminente corsa all’Artico, un’area che si libera sempre più dei ghiacci e “scopre” immense risorse su cui stanno puntando le grandi potenze.
È inoltre un paese petrolifero di prima grandezza, che ha nei suoi forzieri sovrani un cumulo di risorse gestite finora con oculatezza e con un’attenzione costante alla coesione sociale legata al modello scandinavo, qualcosa che non piace agli avvoltoi della finanza internazionale. È infine un comitato di emanazione parlamentare norvegese ad assegnare il Nobel per la Pace: il fatto riflette una secolare vocazione delle classi dirigenti della Norvegia a partecipare attivamente nello scenario internazionale, come ad esempio con gli “accordi di Oslo” fra israeliani e palestinesi negli anni novanta del XX secolo, e ultimamente con qualche ripensamento rispetto all’impegno militare in Libia nonché con il possibile riconoscimento dell’indipendenza palestinese.
Mettendoci nei panni dei politici norvegesi, il messaggio degli attentati che ci arriva è chiaro: in quest’epoca di caos finanziario, di intensificazione delle guerre, di lotta più aspra per le risorse energetiche e minerali, non esistono porti franchi per la nostra tranquillità, né per le nostre casseforti piene, né per i nostri pozzi petroliferi non ancora esausti come quelli britannici, e saremo anche noi chiamati a schierarci dolorosamente, perché siamo lungo le linee di frattura dei poteri imperiali in lotta per sopravvivere.  
Non è stata fatta una strage in un giorno di punta, ma in un momento in cui i palazzi erano semivuoti. Furia omicida, sì, ma a suo modo molto contenuta, come se si dovesse economizzare e ottimizzare il messaggio, sufficientemente spietato, ma militarmente contenuto. Non c’è più nemmeno l’icona di Bin Laden a fare da schermo. Si potrà capire meglio il messaggio.


AGGIORNAMENTO DEL 6 AGOSTO 2011

Una rettifica sui fatti di Oslo


Quando ho commentato a caldo la terribile strage di Oslo di venerdì 22 luglio ho commesso un errore di cui mi sono accorto in ritardo, e che cambia una parte molto importante di quella valutazione. Descrivo il mio errore. Nell’articolo, scritto la sera stessa degli attentati, ho fatto riferimento a un link che portava a un articolo del quotidiano norvegese Aftenposten: (http://mobil.aftenposten.no/article.htm?articleId=3569108). Come avevo fatto altre migliaia di volte per altri articoli, ho letto la data di pubblicazione, che in quel caso riportava il 22 luglio 2011. Si trattava di una breve cronaca accompagnata da un video in cui si descriveva un’esercitazione delle forze antiterrorismo in pieno centro di Oslo avvenuta «mercoledì», con tanto di esplosioni e mobilitazioni di uomini in armi.
La percepita vicinanza delle esercitazioni rispetto alla strage mi sembrava un fatto da segnalare con adeguata evidenza, perché in occasione dell’11 settembre 2001 americano e del 7 luglio 2005 londinese c’erano state esercitazioni degli apparati di sicurezza che avevano interferito con la linea degli eventi. Sugli attentati di Londra menzionavo il fatto che «un'agenzia di sicurezza che si curava della metropolitana stava conducendo un’esercitazione con eventi terroristici simulati che dovevano svolgersi nei medesimi orari ed esattamente negli stessi luoghi in cui accaddero per davvero. Una sfida impossibile alla statistica, su cui né Scotland Yard né il giornalismo britannico – istituzioni regolarmente sopravvalutate - hanno provato a fare obiezioni di sorta.» (http://www.youtube.com/watch?v=JKvkhe3rqtc) La data che appariva sul link di Aftenposten, tuttavia, non era quella della prima pubblicazione reale di quell’articolo. Ogni volta che quella pagina viene ricaricata sul pc - come ho potuto apprendere solo in seguito – accanto alla dicitura “Publisert”, ossia “Pubblicato il”, appare la data della pagina ricaricata, e non quella della prima vera pubblicazione. Agli occhi dell’utente è strano, ma è così, e potete verificarlo voi stessi cliccando sul link in questione. Ho perciò scritto a Hans O. Torgersen, il cronista di Aftenposten che aveva raccontato e filmato la simulazione delle forze speciali, per chiedergli quale fosse la vera data. Ieri Torgensen mi ha gentilmente attestato che la data dell’articolo è in realtà il 18 marzo 2010. Cioè oltre un anno prima. Lo si evince da questo altro link che porta allo stesso articolo, ma stavolta senza la data “cangiante”: http://www.aftenposten.no/nyheter/oslo/article3569108.ece.
Mi scuso con i lettori per questo incidente di percorso. Se non altro la lettura dei fatti di Oslo - sebbene presenti molti elementi ancora da scoprire, in particolare le influenze e gli appoggi che hanno preparato il terreno allo stragista Anders Behring Breivik – può al momento escludere la logistica di un’esercitazione che facesse da schermo, a differenza degli scenari dell’11/9, del 7/7 e di Mumbai.
I fatti sono spesso interpretati con schemi, esperienze, pregiudizi. A volte i canovacci semplificano e accelerano la raccolta degli elementi, altre volte portano a sbagliare e a dover correggere il tiro. Per mia fortuna non ho fatto almeno gli errori dei sedicenti esperti di terrorismo (come Guido Olimpio del «Corriere» che pontificava sulla «pista uigura», o come Fiamma Nirenstein del «Giornale» che distillava in un solo editoriale secoli di odio anti islamico sotto il titolo “Sono sempre loro. Ci attaccano”). Sotto l’ombrello ideologico degli orfani di Oriana Fallaci lo spiazzamento è stato davvero devastante.
Va detto che il giornalismo è nato su una carta che il giorno dopo serviva ad avvolgere il pesce; gli errori un tempo erano in qualche modo più tollerati. Oggi il web è una grande entità incancellabile, che implica un trattamento più lungo degli inevitabili sbagli di chi si espone intellettualmente. Mentre scrivo, sto verificando che un sito di anonimi cialtroni attacca tra gli altri anche Megachip proprio per la questione dell’articolo di Aftenposten, fino ad aggiungere questa perla, alla fine di un crescendo paranoico: «È un complottismo sciacallo e vigliacco: sciacallo perché sfrutta la disperazione, la tragedia e la paura; vigliacco perché non ha il coraggio di ammettere che gli autori di certe nefandezze sono spesso espressione di quelle stesse ideologie che sono alla base del complottismo. Anders Behring Breivik è della stessa pasta di tanti complottisti, e in particolare quelli di ideologia neonazista, antisemita, antiamericana.»
Eh no, carini. Breivik è della stessa pasta vostra, pasta Fallaci. Guardate cosa scrive il vostro beneamato sparacchiatore nel suo mattone di 1500 pagine: «Quando qualcuno mi chiede se sono un nazionalsocialista, mi sento profondamente offeso. Se c’è una figura storica che odio è Adolf Hitler». E meno male, aggiungiamo.
E dichiara: «Coloro che deplorano il diritto di Israele ad esistere sono o antisemiti, o sono dementi. Chi ha un po’ di senno dovrebbe sostenere il sionismo (nazionalismo israeliano) che è il diritto di autodifesa di Israele contro lo Jihad». Non vi riconoscete, pseudoamericanisti da strapazzo, quando dice: «Dunque combattiamo insieme ad Israele, a fianco dei nostri fratelli sionisti contro tutti gli anti-sionisti, contro tutti i marxisti-multiculturalisti»? Il suo è un manifesto adatto a caricature vigliacche di un Occidente altrimenti più ricco e complesso, un delirio da atei devoti ultraoccidentali ossessionati da Eurabia. Proprio come voi. È da sistemare nel vostro album di famiglia, fra le perle.



22 luglio 2011

Il Pentagono guarda ai social media come a un campo di battaglia

da rawstory.com
Traduzione per Megachip a cura di Cipriano Tulli e Pino Cabras




Il Pentagono sta chiedendo agli scienziati di trovare un modo per individuare e contrastare la propaganda sui social media network a seguito del supporto fornito da Twitter e Facebook alle rivolte arabe. La divisione di ricerca sull’high-tech dei militari statunitensi, il DARPA (Agenzia dei progetti di ricerca avanzata per la Difesa), ha richiesto a degli esperti di vagliare una «nuova scienza dei social network» nel tentativo di venire a capo degli eventi in corso sui nuovi media.
Lo scopo del programma consiste nel tracciare «la messaggistica e la disinformazione intenzionalmente ingannevole» nei social network e nel praticare «il contrasto nei confronti dei messaggi legati a ben individuate operazioni di influenza del nemico», a quanto emerge dalla richiesta di obiettivi emanata dal DARPA lo scorso 14 luglio. Il progetto riflette le preoccupazione tra gli alti ufficiali militari in merito al passo fulmineo del cambiamento in Medio Oriente, dove i social network sono stati un motore delle proteste contro alcuni alleati di lunga data degli Stati Uniti.
Alcuni alti funzionari hanno parlato privatamente della necessità di monitorare meglio i disordini palesatisi nei social network e di cercare dei modi per modellare le opinioni nel mondo arabo attraverso Twitter, Facebook o YouTube.
«Eventi di rilevanza sia strategica sia tattica per le nostre Forze Armate stanno sempre più prendendo piede nell’ambito dei social media», riporta l’annuncio del DARPA.
«Dobbiamo, pertanto, essere consapevoli del modo in cui questi eventi stanno avvenendo e dobbiamo farci trovare nella giusta posizione per difenderci all’interno di quell’ambito per contrastare quanto emerga di ostile», si afferma.
Il DARPA ha previsto che i social network potrebbero avere un effetto rivoluzionario sulla guerra.
«I cambiamenti sulla natura del conflitto risultanti dall’uso dei social media sono profondi quanto quelli risultanti dalle precedenti rivoluzioni nel mondo della comunicazione» riporta l’annuncio.
A questo proposito, dai ricercatori ci si attende che portino alla luce e classifichino «la formazione, lo sviluppo e la diffusione di idee e concetti (memi)» nei social media.
Il documento ha citato un caso in cui le autorità hanno impiegato i social media per impedire una potenziale crisi, ma non ha specificato i dettagli della vicenda.
«Per esempio, in un caso specifico le voci in merito all’ubicazione di un certo individuo hanno iniziato a diffondersi nello spazio dei social media e gli appelli per assaltare la località ipotizzata si sono fatte febbrili», viene riferito.
«Per caso, le autorità responsabili che stavano monitorando i social media, hanno seguito il montare della crisi, hanno emesso dei messaggi efficaci per dissipare le voci che giravano in rete e hanno scongiurato un attacco fisico al luogo identificato da quelle voci».
Il DARPA ha pianificato una spesa di 42 milioni di dollari nel programma SMISC (Social Media nella Comunicazione Strategica), per il quale ai potenziali fornitori si richiede di testare degli algoritmi attraverso “esperimenti” con i social media, a quanto si riferisce.
Un possibile esperimento potrebbe coinvolgere un “social media network chiuso” di due o cinquemila volontari o un gioco di ruolo online con decine di migliaia di giocatori.

Fonte: www.rawstory.com, rif. AFP. 20 luglio 2011.
Traduzione per Megachip a cura di Cipriano Tulli e Pino Cabras.

Nota dei traduttori: l’articolo conferma un’analisi presente nel capitolo “Infiltrazione cognitiva” del libro-inchiesta di Giulietto Chiesa e Pino Cabras, Barack Obush (Ponte alle Grazie, 2011).

21 luglio 2011

L'innesco di una crisi sistemica: un'analisi attuale


L'articolo che vi ripropongo il 21 luglio 2011 risale al 29 aprile 2010, oltre un anno prima. 


L'innesco di una crisi sistemica

E' spaventosamente attuale, ed è stato spaventosamente ininfluente



Mi viene in mente una frase del 1996 di Giovanni Lindo Ferretti: «Per come va il nostro mondo tutti quelli che denunciano ed evidenziano il degrado umano contribuiscono, malgrado loro, ad aumentarlo e questo “malgrado” è tutto ciò che resta alla nostra buona coscienza.»
Se la politica deve correggere un tale pessimismo, questo è il momento che agisca. Che agiamo.

17 luglio 2011

Un video manipolato e tanti pappagalli di guerra

di Pino Cabras - da Megachip.
Con intervista a Pier Paolo Murru, esperto di post-produzioni video.

 

Raccontiamo qui nuovamente un video, una storia che forse si è già impressa nelle vostre menti: la morte in presa diretta, il cecchino che spara al ragazzo che lo filma, voi che vi siete affacciati sulla Siria attraverso la sua paura e poi il suo buio, i giornali che scrivono che questa è «la nuova strategia repressiva del regime: sparare dritto su chi filma.» Vi proponiamo un’analisi tecnica stringente, che smonta pezzo dopo pezzo il video, scompone le sequenze, spiega i segreti dell’audio, fa tutto quello che non hanno fatto Enrico Mentana, Francesco Battistini e tutti gli altri che hanno raccolto la velina e l’hanno rilanciata. Come vedrete tutto fa pensare che il video sia una clamorosa bufala. Ma prima di analizzarla, come è giusto, va richiamato brevemente il contesto.

Il quadro generale: la propaganda è senza esclusione di colpi
Il contesto è quello del grande sommovimento del mondo arabo e islamico del 2011, in cui l’Occidente interviene secondo convenienza, scegliendo quali dittatori sono dei bastardi e quali invece sono pur sempre i «nostri» bastardi. I primi saranno sottoposti a un’implacabile “reductio ad Hitlerum” e accusati di ogni nefandezza, nonché soggetti a ogni tipo di attacco e di provocazione militare, diplomatica, mediatica. I secondi saranno blindati da un silenzio mediatico speculare alla campagna che invece colpisce gli altri. Chi vuole approfondire può farlo. Chi ha già approfondito ha visto operare un’instancabile macchina della menzogna, che sforna di continuo come istanze genuine centinaia di immagini, di filmati, di blog, di profili da social network che spesso si rivelano totalmente falsi. La maggior parte di questa enorme produzione sfugge alla critica, e passa per vera. È in atto un gigantesco sforzo mediatico che occulta la sua radice strategica in seno a comandi militari che lo organizzano.[1]
Il tentativo, fin qui riuscito, è quello di raccontare le vicende mediorientali con una distinzione fra buoni e cattivi che coincide con le linee di frattura degli interessi strategici dettati dall’Occidente e dalle petro-monarchie della penisola araba. Nell’ottica degli strateghi, bersagliare il mondo con messaggi e percezioni «coerenti» è denaro ben speso, tanto quanto i dollari sborsati per un cacciabombardiere. Sono armi entrambe.
Per chi ha pianificato le guerre in corso e sta preparando le prossime entro breve, è meglio azzerare il rischio che non siano accettate, ed è meglio estendere l’ombrello della pianificazione militare totale a ogni aspetto della comunicazione. La parte più succosa saranno le immagini, che dovranno trasmettere messaggi emotivamente coinvolgenti ed eticamente semplificati.

Il video del cecchino, un filmato da dissezionare. Intervista a Pier Paolo Murru, esperto video


Vale dunque la pena ritornare sul video del cecchino che tanto ha emozionato Mentana e Battistini.




Mi aiuta nella traduzione dall’arabo Naman Tarcha, che riesce a trascrivere i contenuti delle voci che si odono nel video. E rivedo svariate volte le immagini con l’aiuto di un esperto di post-produzioni video, Pier Paolo Murru, il quale entra molto in profondità nei dettagli.


Murru, innanzitutto cosa nota nella sequenza dal punto di vista tecnico?
«Vista la risoluzione e la qualità della sequenza analizzata, si tratta probabilmente di un video girato con un palmare/smartphone (forse un iPhone di vecchia generazione). Marca e modello non sono comunque informazioni importanti in questo caso.
L'uso di questo genere di strumenti, in questi contesti ad alto rischio, concederebbe alcuni vantaggi rispetto a quel che si sarebbe costretti a fare con una normale videocamera handy: ovvero tenerla a braccio teso (angolato o disteso), a diretto contatto fisico - attraverso il viewfinder interno (mirino) o a breve distanza per visionare l'LCD esterno. Infatti, grazie alla estrema leggerezza e compattezza degli smartphone, è possibile riprendere con margini di sicurezza ben più ampi proprio in quei casi in cui si renda necessario "rubare" sequenze video senza essere visti o comunque senza avere l'ingombro di un normale cineoperatore e relativa attrezzatura, posizionando l'apparecchio nel punto più consono allo scopo e alla situazione in cui ci si trova. Le lenti di questi sistemi sono tendenzialmente di origine medio grandangolare».

Da quel che mi dice, un apparecchio come quello appena descritto riesce a fare grandi cose, ma le immagini che vediamo sembrano sporche e sgranate. Come mai?
Nella sequenza l'angolo di vista è piuttosto stretto, e questo farebbe ipotizzare l'uso dello zoom digitale che giustificherebbe, in parte, l'evidente tremolio durante il movimento della mano e la qualità decisamente degradata a prescindere dalla compressione.

Ha analizzato il luogo di ripresa dove si sporge il video-operatore misterioso?
«L'operatore si trovava su un volume sopraelevato (un tetto o un balcone di una palazzina) che si affaccia su alcune strade circondate da altre palazzine. Si nota un parapetto di protezione alto circa 100/120cm (4/5 file di blocchi in calcestruzzo).»
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Quali impressioni ricava dalla sequenza video, è normale il comportamento dell’autore del filmato?
«Alla luce di quanto dicevo prima, in relazione alle possibilità concesse da questi strumenti di ripresa, e vista la situazione che presumiamo di altissimo rischio, io mi sarei accovacciato dietro al parapetto, mettendomi in totale sicurezza, e avrei esposto solo il telefono al disopra del muro osservando da basso cosa stessi riprendendo. In questo modo avrei avuto modo di "guardarmi attorno" come farebbe un periscopio a pelo d'acqua. Ma – se fosse vero questo scenario - considerata l'alta frequenza di colpi d'arma da fuoco che si sentono nella sequenza, di certo non mi sarei sporto con la sola testa, o peggio alzato in piedi, rendendomi completamente visibile e vulnerabile all'eventuale mira e tiro dei cecchini.»

Il videomaker appare dunque come un temerario. Che tipo di riprese fa?
«Nel video l'operatore usa il telefonino come fosse una videocamera standard. Cioè ponendo il cellulare fra se e il soggetto e sul medesimo asse del viso. Operazione che ritengo del tutto insensata, visto il rischio a cui si andava incontro e viste le possibilità di "monitoraggio" a distanza offerte dalle riprese effettuate con piccole videocamere come i telefoni cellulari. Anche nel caso in cui avessi deciso di espormi, alzandomi in piedi dietro al parapetto, avrei almeno tenuto il cellulare lontano dal corpo, puntandolo sul soggetto da inquadrare, e tenendo bene in vista il soggetto ad occhio nudo per carpirne le reali caratteristiche e intenzioni. In questo caso, una volta riconosciuto il militare armato (a vista o attraverso l'LCD nell'inquadratura zoomata), mi sarei buttato immediatamente al suolo per mettermi in sicurezza, e al limite avrei cercato di riprenderlo successivamente con la tecnica “a periscopio”prima descritta. Personalmente non avrei nemmeno rischiato di perdere la mano per un colpo di arma da fuoco, ma evidentemente questa è una valutazione del tutto soggettiva.»

Ecco, il momento dell’inquadratura del marmittone armato è un momento cruciale. La mano dell’operatore, che prima era una specie di gelatina sussultante, improvvisamente è fermissima. Lei fa notare che l’operatore è estremamente esposto, e sembra abbandonare ogni precauzione che una persona di buon senso adotterebbe. Cosa accade?
«Nella sequenza in questione, l'operatore dedica l'unica sequenza steady (a mano ferma e stabile) al suo killer. Si ferma, lo individua chiaramente, lo perde di vista per alcuni istanti e lo ricerca senza alcuna titubanza. Non accenna timori, almeno non nel modo con cui continua a riprendere il soldato. Lo tiene inquadrato mentre prende la mira con tutta calma, e si fa uccidere. L'asse di mira del cecchino coincide alla perfezione con l'asse di ripresa e di conseguenza con l'asse della testa o di un altro organo vitale - tale da giustificarne la morte istantanea, o quasi. Personalmente, analizzando la posizione della canna del fucile rispetto all'inquadratura, credo che l'asse sia riferito al capo e quindi dovrei dedurne che l'operatore tenesse il cellulare proprio davanti al viso, esponendosi completamente al suo assassino.»

Alla fine vediamo una strana danza fra vittima e carnefice, una sorta di tempismo perfetto…
«Un altro ragionamento mi fa sottolineare quanto sia stata perfetta la sincronia fra i due soggetti, nel cercarsi e nell'esporsi l'uno all'altro - con il cecchino e l'operatore che si "mirano" a vicenda nel medesimo istante, faccia a faccia e corpo a corpo, malgrado la sequenza precedente indicasse estrema incertezza nella ripresa e il militare avesse, sino al momento della sua inquadratura, la vista occlusa da un balcone della palazzina soprastante.»

Veniamo al clou, la sequenza dell'«uccisione». Cosa ha notato?
«L'operatore trova il militare al minuto 00:32 del video; si vedono solo le sue gambe che in quel momento esatto potevano solo indicare la presenza di una persona appostata o nascosta. Segue una raffica di fuoco che pare molto vicina (ampiezza) ma di cui non si capisce l'esatta provenienza (segnale mono) e l'operatore perde l'inquadratura - forse per cercare la fonte degli spari ma non per mettersi in sicurezza - ma semplicemente alza un po' più in alto la ripresa per poi tornare a cercare il militare. A 00:37 il militare fa il primo passo avanti e la camera risolleva l'inquadratura. L'operatore ritrova il suo soggetto a 00:42 e qui entrambi si fermano, l'uno in fronte all'altro - ma il cecchino ha ancora il fucile in posizione di sicurezza (con la canna puntata al suolo). Ancora l'operatore non si mette in sicurezza. Immediatamente dopo si trovano l'uno, come già detto, nel mirino dell'altro e il cecchino alza la canna del fucile e la punta sulla presunta vittima.»
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L'operatore pare voler fare qualcosa (agita la camera) ma invece di mettersi definitivamente in sicurezza - torna a riprendere il tizio in grigioverde.
«Sì, e lo fa dopo quei 4 secondi che servono al militare per prendere la mira; ed ecco lo sparo, mentre l'operatore continua a riprendere.
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L'uomo che riprende il video, prima di questa sequenza, tiene in mano l'apparecchio oltre il parapetto, visto che in alcuni fotogrammi immediatamente precedenti allo sparo, inquadra la strada sotto la sua posizione dove si vede la stessa ombra dell'edificio che lo ospita». (fotogramma sotto).
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Il video, a questo punto, dopo lo sparo diventa buio, ma si sente ancora l’audio. Diventa meno interessante?
«Tutt’altro. È da notare come il telefono non sia precipitato in strada dopo lo sparo (malgrado la posizione dell'operatore non sia sostanzialmente cambiata), ma sia stato tenuto in mano e riportato all'interno del terrazzo, sino ad impattare al suolo.
Il primo impatto del telefono avviene (analizzando l'audio) a circa 7 decimi di secondo dallo sparo (tempo compatibile con una piccola parabola o una caduta diretta all'indietro) - innescando poi un rimbalzo stretto che dura circa 1.8 secondi. A livello video, l'unica modifica nel segnale, è sancita da un buco nero a breve distanza dallo sparo. Si tratta di totale assenza di informazioni per alcuni fotogrammi, riferibile forse all'impatto sul pavimento dell'apparecchio - anche se si percepisce un fenomeno di rimbalzo (in audio e in video) che farebbe pensare ad un urto più morbido in cui l'energia cinetica sia stata smorzata in più tempi prima del contatto finale con la pavimentazione del terrazzo. Personalmente mi sarei aspettato che il telefono si disintegrasse vista la violenza estrema e la dinamica del fatto, ma qui entra in gioco la fisica e visti i pochi elementi in gioco è difficile scartare o validare un elemento come questo.
Queste sono valutazioni generali e non sempre sostanziali che però, a mio avviso, meritano di essere considerate nell'insieme».

A questo punto l’analisi dell’audio diventa fondamentale, non crede?
«Vi sono diversi aspetti poco chiari nella struttura della colonna audio, ma ne esporrò i principali per evitare di entrare troppo in territori tecnici. Vediamoli però graficamente.
Gli eventi audio più importanti sono due assenze di segnale a ∞ dB, alcuni secondi dopo lo sparo e dopo qualche altro secondo di eventi audio:
videoaudiospettro01
Poco dopo lo sparo e la caduta al suolo del telefono (con conseguente rimbalzo stretto) si presenta il primo silenzio (indicato col segno infinito ):
videoaudiospettro02
Meglio si nota nell'immagine seguente, dove ho indicato il primo "buco", che avviene su una voce che si tronca di netto a 00:49 (primo segno rosso/abrupt interruption). Segue il silenziamento a 00:50 (segno giallo) di circa 5 secondi a ∞ dB. Segue un fading (secondo segno rosso/fade in) di altre voci che proseguono sino ad un ulteriore taglio (terzo segno rosso/fade out) che porta un altro silenzio a ∞ dB a 01:01 (secondo segno giallo) per poco meno di 2 secondi. Un ultimo evento (quarto segno rosso/ abrupt in) reintroduce brutalmente le voci che procedono sino alla fine della sequenza.»
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La nettezza e lunghezza di questi buchi nel sonoro e la regolarità delle dissolvenze sembra abbastanza anomala. Ma vada avanti. Ci sono altri eventi rilevanti nell’audio?
«Sì. Questi altri eventi sono presenti sotto la colonna audio riferita alle vicinanze dell'operatore (dall'inizio sino allo sparo che lo mette al suolo), che hanno strutture ricorrenti. Ovvero si tratta di eventi audio che si ripetono nella medesima forma e nella medesima tonalità lungo lo scorrere del tempo. Seppure non vi sia sovrapponibilità d'onda a causa del fatto che vi sono più fonti di rumore ambientale (spari, urla, voci etc...), questi eventi vanno evidenziati in quanto appaiono e scompaiono in "abrupt waveform changes/awc". Ossia dei cambiamenti repentini della forma d'onda, negli innesti fra eventi sonori, nell'entrata e nell'uscita di altrettante sorgenti di rumore ambientale. Senza doversi vedere tutte le campionature e senza infilarci nell'analisi dei sample, se ne può sentire distintamente uno fra il punto 00:16 e il punto 00:18, ma ve ne sono diversi lungo questa prima parte di sequenza. Così come arrivano determinati "pattern" di sottofondo (insiemi di proteste, cantilene e urla) che si ripetono per poi scomparire di netto, anche al rientro dalle attenuazioni di segnale causate dagli spari. Questa discontinuità generale si manifesta, a livello meramente uditivo, anche all'inizio della sequenza, quando la voce dietro la telecamera (nelle sue immediate vicinanze visto che si sentono chiaramente i suoni delle consonanti occlusive bilabiali, cioè i suoni delle P e delle B, che vanno a "colpire" la pastiglia del microfono) parla velocemente senza tentennare, per poi sottolineare pochi cicli di affanno respiratorio in cui l'emissione d'aria viene sparata anch'essa sul microfono producendo il classico rumore a bassa frequenza simile al wind noise (rumore del vento). Affanni che però si fermano di netto nell'immediato proseguo della sequenza. Si passa da un respiro da debito d'ossigeno che dura 3 secondi (da 00:08 a 00:11), alla totale assenza di respiro per tutto il seguito della sequenza.
Altre considerazioni sulla colonna audio, che a mio avviso meritano interesse, sono la quasi totale assenza di rapporto fra direzionalità del microfono (e dell'apparecchio di ripresa teoricamente solidale) e le caratteristiche dei suoni in relazione all'ambiente in cui questi sono stati presi in audio.»

Cioè il microfono e la “telecamera”, essendo – come dice – «solidali», si spostano assieme. E però i rumori che sentiamo sono slegati dai movimenti che vediamo?
«Sebbene la colonna audio sia in doppio canale/mono (i due canali destro/sinistro sono identici per cui è impossibile fare una preziosa analisi della fase per identificare le diverse sorgenti sonore nello spazio...), non si identificano sostanziali modificazioni in ampiezza dinamica e struttura, al cambiare del punto di ripresa. Questo indicherebbe che, indipendentemente dove si punti l'apparecchio e il relativo microfono, la presa audio conserva le medesime caratteristiche, anche quando l'operatore tiene l'apparecchio basso e in prossimità del parapetto al punto 00:23 (area occlusa). Più precisamente, vi sono modificazioni di volume e struttura, ma apparentemente non collegate ai movimenti/direzione espressi nella sequenza. Ovvero, sono presenti modifiche sostanziali dell'onda sonora malgrado il punto di ripresa video rimanga immutato o con poche variazioni e viceversa. In parte, questo può essere causato dall'attenuazione automatica che segue ogni evento audio particolarmente violento (come gli spari che tipicamente generano awc), ma è meno comprensibile laddove non vi siano eventi di questo genere.»

Non immaginavo che l’analisi dell’audio potesse svelare tanti micro-dettagli. Si possono trovare altri indizi su come viene maneggiato lo strumento di ripresa, sul fatto che sia all’aperto o al chiuso?
«In questo caso specifico possiamo anche registrare la presenza del "ticchettio" che si produce maneggiando questi apparecchi, prodotto dai microurti delle dita sulle parti in plastica del telefono.
Ma c’è di più. Immediatamente dopo la ricomparsa del segnale dai ∞ dB (00:54), le caratteristiche audio riferite alle sequenze audio finali si percepiscono come più soggette a riverbero ambientale, rendendole più simili ad una presa in ambienti chiusi/occlusi piuttosto che a cielo aperto come la prima parte di video. Si ascolti la sostanziale differenza fra la presa iniziale (voce introduttiva) e quella finale (voci attorno alla vittima) in cui si caratterizzano forti similitudini con quanto è ottenibile effettuando una presa audio al chiuso e con sorgenti molto vicine al microfono. In questa parte del video (telecamera al suolo) vi sono anche diversi contatti/strofinamenti con il microfono (humming/rumble a basse frequenze) senza però innescare movimento nella ripresa che appare pressoché identica sino all'ultimo fotogramma.
Le caratteristiche di tipo acustico e di riverberazione ambientale potrebbero anche essere state generate dalla posizione finale dell'apparecchio, magari in una zona occlusa e vicino a delle pareti, malgrado questa specifica caratteristica sia presente su tutte le sorgenti, compresi gli spari in strada che in questa area del filmato, comprendono veri e propri rimbalzi/eco - e code più lunghe. Volendo sforzarsi un poco oltre, forse si tratta di diverse armi posizionate in altrettante aree e forse il telefono è rimbalzato sino a dentro casa (nel caso fosse un balcone). Certo è che questo nuovo assetto audio parte dal silenzio e dai vari cut & fading di cui s'è parlato sopra - e prosegue sino alla fine - e non contiene più nessuno di quei pattern di protesta che erano presenti all'inizio, pur trovandosi molto vicino a livello strettamente temporale a quella zona del video. In definitiva vi sono due macro registri, ognuno con le proprie caratteristiche acustiche.
È comunque una pratica assai difficile quella di comprendere la posizione delle diverse sorgenti audio in relazione al punto di ripresa; nella sequenza l'unico soggetto umano visibile è il cecchino che spara un solo colpo. Tutte le altre voci, urla, spari, cantilene etc. non hanno soggetti/sorgenti a vista e le strade inquadrate appaiano del tutto deserte, malgrado l'apparente prossimità degli eventi audio che è possibile percepire nell'ascolto della sequenza audio. Anche in linea del tutto generale, non c'è molta corrispondenza fra ciò che si sente e ciò che si vede... ma in assenza di analisi di fase (impossibile a causa del segnale dual mono) è impossibile dare un parere profondo e preciso sulla questione riferita a questo aspetto.»

Possiamo trarre delle conclusioni da questa analisi?
«Sbilanciarsi in senso assoluto verso un'unica interpretazione, sopratutto in presenza di così tanti elementi particolari, non è cosa facile né da prendersi alla leggera. Certamente vi sono molteplici aspetti che fanno apparire l'audio come opera di mixaggio di varie fonti preregistrate e sarei disonesto se non ipotizzassi tale configurazione. Situazione che giustificherebbe in un sol colpo tutte le caratteristiche che ho riscontrato nella colonna audio e in quella video. Personalmente, vista la quantità di "sintomi", penso si tratti di un falso, probabilmente creato a tavolino o miscelando diverse altre fonti tratte da altrettanti materiali audiovisivi.
È certo che l'opzione fictional spiegherebbe in un sol colpo tutte le caratteristiche, le contraddizioni e le manipolazioni - riscontrare nella sequenza.»

Le parole di Murru sono giustamente prudenti, ma altrettanto nette nell’indicare quale linea di ricerca privilegiare in base ai fondati elementi di prova raccolti.
Anche la traduzione e trascrizione delle voci che si odono nel video ha qualche stranezza. Leggiamola.

Cosa si dice nel video
00.02: «LA POLIZIA SPARA SUI FRATELLI CITTADINI .. NELLA VIA DI AL SHAM (a Damasco NdR), NELLA ZONA DI KARM AL SHAMI».
(Poi aggiunge la data) «1/7/2011 SENZA MOTIVO, NON C’È NÉ MANIFESTAZIONE NÉ NULLA...»
(le voci non identificate pronunciano parole di cui non si afferra precisamente il senso:
Uno: «OGGI?». Risponde l'altro: «SONO QUI DALLA MATTINA» (sembra di udire un’eco).
00.40: si sentono voci chiare di una presunta manifestazione (sebbene pochi secondi prima si dicesse «NON C’È NÉ MANIFESTAZIONE NÉ NULLA», ammesso che si parlasse del presente.
Le voci della folla urlano:
«TAKBIR»: ossia l'invito a glorificare Dio… e la folla risponde: «ALLAHU AKBAR» («Dio è più grande»)
Dopo lo sparo si ode una parola mozzata: l'inizio di «HROO...» che presumibilmente compone la prima parte di «HROOB»: che significa «SCAPPA!»
00.56: L'annuncio di morte dice: «LA PALLOTTOLA LO HA COLPITO IN TESTA?»
Cui segue un espressione di lutto: «O DIO, O DIO»
Una frase didascalicamente melodrammatica giunge dalla voce della presunta vittima «MI HA UCCISO». Nel frattempo una voce chiede : «COSA? RIPRENDO?»

Conclusioni
Dobbiamo chiederci come faccia il sistema dei media ad accogliere simili video come se fossero stille di oro colato, quando i precedenti delle manipolazioni informative e le caratteristiche intrinseche dei filmati dovrebbero portare a diffidarne radicalmente, per trattarli invece con le pinze. Invece vengono lanciati in prima pagina. I perché non sono rassicuranti.
Per smontare un video ho impiegato molto tempo, e sono dovuto entrare in dettagli tecnicamente complicati, per quanto illuminanti. Nel frattempo, in milioni di case, l’homo videns è stato bombardato da altre decine di filmati, servizi giornalistici, narrazioni molto semplici e molto false.
Smitizzare un video taroccato mentre accade tutto il resto mi sembra come fermare uno tsunami con un cucchiaino. Eppure mi pare un avamposto del dovere.
Le macchine della menzogna paiono invincibili, ma come insegna la vicenda Murdoch in Gran Bretagna in questi giorni, una volta raggiunta una massa critica di eventi che si oppongono a un certo sistema, anche quelle macchine possono essere sconfitte. È sperabile che accada anche per la propaganda dei tanti pappagalli di guerra.



[1] Nick Fielding, Ian Cobain, Revealed: US spy operation that manipulates social media, in The Guardian, 17 marzo 2011.

Articolo correlato: Vietato pubblicare notizie.

15 luglio 2011

Licenziato perché rivela il terrorismo di Stato dall'interno

di Paul Joseph Watson - Prison Planet.com
Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras.


Un analista di intelligence della polizia britannica, al quale fu chiesto di creare una valutazione strategica riguardante le minacce terroristiche è stato licenziato quando ha detto ai suoi superiori che la minaccia di una "tirannia interna" era di gran lunga superiore a quella del terrorismo islamico, dopo aver scoperto che sia quello del 7 luglio 2005 sia quello dell’11 settembre 2001 sono stati degli attentati false flag (sotto falsa bandiera, NdT).

Tony Farrell, una laurea in statistica, ha lavorato per 12 anni come “analista di intelligence della polizia” presso la polizia del South Yorkshire. Il suo incarico consisteva nel fornire ogni anno una 'Matrice di valutazione delle minacce strategiche' volta a consentire alla polizia di scegliere le priorità nell’uso delle risorse e nelle attività.
Aspettandosi che Farrell rigurgitasse la tesi che gli estremisti musulmani costituivano la più grande minaccia, i suoi capi rimasero sbalorditi quando Farrell riferì invece che gli attentati di Londra del 2005 erano stati organizzati dai servizi segreti britannici e che la versione ufficiale era una "menzogna mostruosa".
Durante un'ora di intervista con Richard D. Hall che è stata trasmessa a livello nazionale sulla tv britannica la scorsa settimana, Farrell ha rivelato come una settimana prima del 5° anniversario del 7 luglio, nel 2010, ha iniziato la ricerca di informazioni che suggerivano che la versione ufficiale dietro l’11/9 è stata un'invenzione totale. Farrell cita l'Alex Jones Show come una causa del suo risveglio nei confronti di questa conoscenza.
Dopo aver condiviso le sue preoccupazioni con il cappellano della polizia, a Farrell è stato suggerito di indagare anche sugli attentati dinamitardi di Londra del luglio 2005.
«Qualcosa che non aveva sospettato nemmeno ‘nei suoi sogni più sfrenati’ a quel punto ha cominciato a svilupparsi», scrive Nick Kollerstrom. «Dopo aver letto gran parte delle testimonianze, disponibili ma non riportate pubblicamente, nonché altre prove relative ai fatti del 7 luglio, Tony ha scoperto che non poteva che concludere che la versione ufficiale del 7 luglio era “una mostruosa menzogna.” Anziché verso gli attentatori suicidi della versione ufficiale, alla quale lui e tutti i suoi colleghi avevano creduto senza ombra di dubbio, si è reso conto che il peso delle prove puntava fortemente in direzione del fatto che il 7 luglio sia stato un evento orchestrato dai servizi segreti britannici più che qualsiasi altra cosa.»
Al veloce avvicinarsi del termine conclusivo entro il quale doveva presentare il suo rapporto all’Intelligence Strategic Management Board, Farrell ha lottato con la propria coscienza, ben sapendo che se avesse divulgato la sua tesi sul fatto che la tirannia interna e non il terrorismo interno o islamico fosse la principale minaccia, avrebbe potuto facilmente perdere il suo lavoro e con esso una carriera di 12 anni.
In un colloquio con il direttore dei dell’intelligence presso la polizia del South Yorkshire svoltosi il 6 luglio, Farrell avvertì che la sua scoperta sul fatto che il 7/7 era stato "deliberatamente progettato" da parte dello Stato minacciava di causare un «crollo totale della fiducia tra il governo e le masse.»
Dopo aver affermato che la minaccia proveniente dalla tirannia interna «superava di gran lunga» quella posta dal terrorismo islamico, il direttore dell’Intelligence che interloquiva con Farrell gli ha risposto così: «Tony, tu e io non potremo mai ottenere da loro che dicano la verità .... Noi siamo semplici soldatini del governo».
I superiori di Farrell in seguito gli ordinarono di andare dal medico del lavoro, uno sviluppo che lo stesso Farrell ha interpretato come un’implicazione del fatto che i suoi colleghi ritenevano che stesse avendo un crollo mentale.
«Il 7 luglio 2010, il suo manager di prima linea, un ispettore capo, trascorse buona parte della giornata con lui, cercando di riportarlo ad attenersi al progetto originario e ad agire in modo da evitare di smuovere le acque. Non avrebbero potuto raggiungere un qualche tipo di compromesso, poi lui avrebbe potuto prendere la sua pausa di tre settimane?», scrive Kollerstrom. «Per adempiere a ciò, avrebbe dovuto chiudere un occhio sulla propria valutazione e depositare deliberatamente un’analisi fuorviante. I suo modelli 'strategici' apparivano promettenti secondo il suo diretto superiore, e tuttavia lui non riusciva a mettere da parte le sue nuove convinzioni sulla nuova “tirannia interna”.»
Le convinzioni cristiane di Farrell e la sua adesione all’ottavo comandamento, "Non dire falsa testimonianza", alla fine lo hanno costretto a presentare una “Matrice di valutazione strategica” che includeva le sue ferme convinzioni sul fatto che la minaccia del terrorismo islamico era "insignificante" rispetto al pericolo rappresentato dal terrorismo di Stato.
A Farrell venne detto che la sua conclusione non combaciava con il “Modello Nazionale di Intelligence” e che le sue convinzioni erano "incompatibili" con la sua posizione. Nonostante sia stato lodato per il suo eccellente servizio e nonostante che il direttore delle Finanze della polizia gli abbia detto che la sua conclusione "poteva essere giusta", Farrell è stato sollevato da ogni incarico il 2 settembre 2010.
Il suo caso è ora in appello presso un Tribunale del lavoro ed è stabilito che sarà ascoltato a Sheffield ai primi di settembre 2011.
La storia di Farrell ci ricorda che la consapevolezza del terrorismo sotto falsa bandiera è così diffusa che le persone all'interno sono ormai prossime alla realizzazione che l'intera guerra al terrore è una favola costruita in base a miti su inesistenti complotti di Al-Qa’ida. Come abbiamo già sufficientemente documentato, ogni singola grande trama terroristica nel Regno Unito o negli Stati Uniti è stata progettata, provocata o addirittura messa in scena da elementi all'interno del governo.
Questa consapevolezza è ormai così diffusa che le persone oneste all'interno del sistema stanno scoprendo la verità e la fanno trapelare, nonostante i media dell’establishment si producano nei loro sforzi più intensi per demonizzare qualsiasi scetticismo nei confronti della versione ufficiale di un qualsivoglia grande evento equiparandolo alla malattia mentale.
Questa storia serve anche a ricordare il grandissimo numero di professionisti equilibrati, rispettati, preparati e credibili che si sono pubblicamente esposti per denunciare le favole ufficiali che stanno sia dietro l’11/9, sia dietro il 7/7.
Tony Farrell dovrebbe essere lodato per il suo coraggio nel sacrificare tutta la sua carriera per la verità, e rappresenta un fulgido esempio per tutti gli altri che lavorano all'interno delle classi dirigenti e che stiano considerando di rivelare le malefatte, la corruzione e la tirannia vera e propria all'interno del governo.
Guarda l'intervista completa con Tony Farrell per gentile concessione di RichPlanet.net. Farrell sarà presto anche all’Alex Jones Show.







Fonte: http://www.prisonplanet.com/police-intelligence-analyst-fired-for-blowing-whistle-on-false-flag-terror.html.

Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras.

12 luglio 2011

Intervista esclusiva di IRIB su "Barack Obush" (audio)

Un'intervista alla radio iraniana in italiano IRIB: