29 aprile 2010

L'innesco di una crisi sistemica

di Pino Cabras.


Con il precipitare della crisi greca si confermano le analisi di chi non era compromesso con la propaganda o con i pii desideri. La crisi si colloca nel solco di una crisi molto più vasta, una crisi sistemica. Si poteva comprendere da subito. Chi ha causato la crisi, ossia il sistema bancario ombra, punta ancora ai soliti suoi superprofitti, soverchiando i poteri collocati più alla luce del sole.
I giganti della speculazione di Wall Street sanno che il dollaro, l’architrave della finanza mondiale, dovrà cedere, perché allo stato è impossibile rifinanziare la valanga di titoli del debito pubblico statunitense che verrà a scadere fra pochi mesi. Perciò va fatta crollare l’alternativa monetaria disponibile, l’euro, e creare un bisogno forzoso ed estremo di dollari.
Nel frattempo, con i meccanismi delle "profezie che si autoadempiono", da loro dominati attraverso spaventose entità criminali (le agenzie di rating), gli speculatori decidono i tempi e i modi dei crolli, su cui hanno scommesso montagne di soldi con la certezza – a breve – di vincere.
Lo schema somiglia al crollo del 2008-2009. Allora affossavano le banche, che sapevano gravate di scommesse impossibili su debitori insolventi. Ora affossano gli stati sovrani, che sanno esposti verso trucchi creati dagli stessi speculatori e verso piramidi di debiti fuori controllo. Ecco Standard & Poor's , Moody's e Fitch a decidere ancora quando un titolo deve andare all’inferno.
Se ne fregano di avere una pessima reputazione e di non essere attendibili agli occhi di chi usa la ragione per valutare la loro “oggettività” nelle valutazioni. I meccanismi legali sono inesorabilmente dalla loro parte. La Banca Centrale europea non può acquistare i bond spagnoli o greci se il loro rating non raggiunge una certa soglia. Così, chi decide il rating può decidere quando e come far cadere i pezzi di un sistema. Stati interi.
E questo gioco da padroni dell’universo è condotto dagli speculatori non solo a dispetto di ciò che abbiamo chiamato reputazione, ma perfino nonostante le inchieste del Congresso, della Sec e della Fed. Così, per capire quali sono i veri “poteri forti”.
L’annuncio delle facce di bronzo di Goldman Sachs e JP Morgan Chase è che non si parla più di 45 miliardi di euro per salvare Atene, ma di almeno 600 miliardi di euro per salvare il “Club Med” dell’euro. Una cifra superiore a quanto dissanguò le casse Usa per impedire il collasso totale nel 2008, quando i contribuenti furono salassati per 700 miliardi di dollari, una parte dei quali allegramente finiti nei bonus dei “Masters of Universe”.
Con l’uso di titoli derivati "credit default swaps" (Cds), la speculazione anziché assicurarsi contro la bancarotta (problema di medio termine), vi ci punta direttamente per guadagnarci subito, creando contagio finanziario, di cui non avverte la minima responsabilità. Nella sua ottica, questi al momento saranno problemi insolubili delle banche europee.
Lo ricorda Federico Rampini su «la Repubblica» del 29 aprile 2010: «Un'inchiesta del Department of Justice accusa i più importanti hedge fund (Soros, Paulson, Grenlight, Sac capital) di aver concordato un attacco simultaneo all'euro, in una cena segreta l'8 febbraio a Wall Street. Il giorno dopo, 9 febbraio, al Chicago Mercantile Exchange i contratti futures che scommettevano su un tracollo dell'euro erano schizzati oltre 54.000, un record storico. Con Goldman Sachs e Barclays in buona vista nelle cronache su quelle grandi manovre.»
La grande finanza anglosassone sta decidendo che gli europei saranno divisi in nordici e sudici. Noi sudici a ciucciarci il default, da subito.
In realtà anche la Gran Bretagna è seduta su una voragine di debiti e bugie contabili, che si rinvia il più possibile, almeno a dopo le elezioni politiche.
E sullo sfondo, irrisolvibile con gli strumenti ordinari, c’è il nodo più grosso, gli USA.
Tanti Stati, non solo i PIGS mediterranei, per coprire i debiti e le scadenze,  avranno scelte estremamente costose da fare: aumentare le imposte, scatenare l’inflazione per ridurre il peso del debito, altrimenti fare bancarotta. Quel che è peggio, queste situazioni possono addirittura arrivare in contemporanea, anche negli Stati Uniti.
La politica sarà investita naturalmente da tensioni e novità di enorme portata, che spazzeranno via interi sistemi.

Fonte: Megachip

1 commento:

Anonimo ha detto...

A mio avviso questa crisi sistemica ha ulteriori fini che non sono a breve termine almeno per quel po' che mi è dato di intendere e in base agli indizi a disposizione ovvero:
1) le modalità con cui è stata gestita e "risolta" la crisi finanziaria venuta alla luce a settembre 2008 premiando gli speculatori e gravando il debito sulla società
2) tale soluzione ha avuto come effetto immediato una maggiore disgregazione della società americana e l'aumento della forbice tra ricchi e poveri, eliminando o quasi il concetto di classe media e separando la società in due gruppi high class e low class senza la classe media a fare da cuscinetto
3) anche la crisi del 2008 è stata gestita come una bomba ad orologeria con una regia occulta ma attenta alla tempistica anche del passaggio di testimone al nuovo presidente
4) il livello di contraddizione tra semantica del reale e comunicazione si è divaricato fino al parossismo con buona pace della logica e il livello di manipolazione dell'informazione è giunto al paradosso dell'assurdo
5) la crisi sistemica che sicuramente c'è in america, ma non solo, espressione del raggiungimento di un limite espansivo dell'imperialismo ha avuto una prima fase chiamata globalizzazione che è essenzialmente un redistribuzione del costo del benessere anche su chi in precedenza non ne era stato incluso in modo netto se non tramite l'eliminazione nominale delle classi e la stratificazione della società in funzione dei livelli di consumo secondo una piramide sociale che forniva una forma di protezione integrata al sistema; tale prima fase di disintegrazione del paradigma pre-globalizzazione ha richiesto un decennio e ha un punto di svolta con la nuova fase a partire dall'inizio del terzo millennio
6) tale nuova fase è caratterizzata dal nuovo nemico globale ed invisibile creato ad arte con grande dispendio di vite umane, come pretesto per un controllo globale e capillare del pianeta e si autoalimenta in un circolo vizioso di controllo tecnocratico e militar-poliziesco
7) questa fase è quasi completata e ne sono testimonianza queste crisi come pure la creazione di una zona geopoliticamente in fermento che si pone al confine di tre continenti
8) al contempo l'Europa da un lato avrebbe compiuto i passi necessari ad assumere una sua natura politica soprassedendo le fonti primarie di diritto alias costituzioni dei singoli stati dall'altro però non essendo espressione di un popolo europeo ma di una elite che non è neanche europea bensi transnazionale deve trovare un modo per rendere tale passaggio effettivo non solo sulla carta e quale migliore strumento per farlo se non proprio ciò che rappresenta ed è ovvero la speculazione finanziaria, la manipolazione dell'informazione e ultimo ma non ultimo il suo potenziale militare anch'esso contiguo con entità tutt'altro che europee
9) la crisi greca è il punto di partenza per il superamento degli stati nazionali e le forme di diritto democratico che almeno sulla carta li hanno contraddistinti e anche qui le misure draconiane hanno molteplici scopi, da un lato quello di completare il percorso iniziato all'inizio di questo nuovo millennio e dall'altro quello di ristrutturare lo stato, le forme del lavoro, le forme di protezione sociale, il concetto stesso di società con buona pace di concetti di diritto naturale quali il diritto alla libertà al lavoro alla giustizia e questo chiaramente sempre in una rappresentazione del reale totalmente contraddittoria con ciò che realmente è e la forma che sta assumendo
10) Infine, più che altro per non dilungarmi oltre, è interessante anche vedere da chi è venuto l'input decisivo verso la situazione greca e il cerchio si chiude.
Niente accade per niente e anche un punto di debolezza può trasformarsi in un punto di forza se opportunamente gestito