Traduzioni diverse e inconciliabili, versioni misteriosamente sforbiciate, altre versioni arricchite da frasi mai pronunciate, un crash del sito presidenziale iraniano, pagliacci in sala, grandi assenti, alcuni presenti che se ne vanno in gregge. Tutto si può dire, sui discorsi del presidente dell’Iran, Mahmūd Ahmadinejād, ma non certo che passino lisci. Il suo discorso tenuto a Ginevra il 20 aprile alla Conferenza Onu sul razzismo non ha fatto eccezione. Si è visto il solito grande putiferio, le indignazioni e i trionfi. Ma soprattutto, grandissime manipolazioni a corto e a lungo raggio mediatico. Sullo sfondo, la questione della natura dello stato israeliano e le minacce di guerra all’Iran.
Si è ripetuto il solito schema in cui tutti sembrano presi da un’incombenza senza sapersi distaccare da essa.
Ahmadinejād si è fatto interprete di parole d’ordine dure, vulgate della storia che rappresentano Israele come una costruzione artificiosa e dannosa, e ha enfatizzato posizioni largamente condivise dall’opinione pubblica dei paesi islamici. Nelle parole pronunciate nel suo discorso non ha mai messo in dubbio l’Olocausto - come ha invece fatto ambiguamente in precedenti occasioni - ma diversi reportage del suo discorso di Ginevra si sono basati su questa frase non pronunciata.
Israele da parte sua ha mobilitato una campagna di influenza e comunicazione su scala planetaria che pretende di considerare l’Iran come una minaccia militare terribile, immediata e concreta. Assieme agli USA, Israele è l’unica potenza in grado di esercitare una pressione così efficace e coordinata, totalmente integrata con le strategie d’intelligence e militari, nei confronti delle posizioni di politici, diplomatici e direttori dei media di tantissimi paesi.
Gli organi d’informazione hanno amplificato una manipolazione della realtà che, parafrasando il padre dei neocon, Leo Strauss – potremmo definire «Reductio ad Hitlerum».
La Reductio ad Hitlerum (o «reductio ad nazium») è un modo di dire ironico che indica, nelle vesti di una locuzione latina falsa, un trucco dialettico volto a squalificare un interlocutore politico. Lo stratagemma sta nel paragonarlo a un personaggio scellerato (nel caso di massima, Adolf Hitler). Questo espediente polemico, secondo una tipica fallacia logica che ricalca l'«Argumentum ad hominem», vuol portare a estromettere la persona che ne è bersagliata dal terreno del normale dibattito politico fino a impedire un confronto sostanziale con le sue tesi.
Anche per Ahmadinejād i riferimenti a Hitler si sono sprecati, con il sottinteso che l’Iran, con il suo regime zeppo di poteri e contropoteri e la sua retorica anti-israeliana, non sia altro che la replica del ferreo regime totalitario e bellicista della Germania nazista. Una paragone storicamente insensato, ma su cui si baserà l’aggressione lungamente auspicata, il giorno che qualcuno porterà alle porte di Teheran un’altra guerra preventiva.
Così, un discorso del tutto privo di novità rispetto al verbo iraniano degli ultimi trent’anni è diventato in tutto e per tutto un pretesto per alimentare un’isteria mediatica ben guidata, che ha coinciso con bandiere israeliane in mondovisione da Auschwitz, minuti di silenzio per ricordare la Shoah, e minacce militari sempre più esplicite nei confronti dell’Iran – quasi un ultimatum a Obama - da parte degli scalpitanti generali israeliani.
Chi avesse voluto leggersi il discorso di Ahmadinejād sul sito ufficiale della Conferenza lo avrebbe trovato praticamente dimezzato, privo della sua reale portata argomentativa, già caricaturizzato. Come in altre occasioni, le sfumature sono state forzate dai traduttori. La mattina del 22 aprile il sito della presidenza iraniana è stato messo fuori uso e non ha potuto mostrare la versione ufficiale in inglese del discorso, intanto che le agenzie battevano la grancassa con le traduzioni “apocrife”. La versione “ufficiale” è infine ricomparsa, consentendo di risalire più fedelmente a quanto detto veramente dal presidente iraniano, anche nella versione italiana.
Per quanto il discorso non sia un capolavoro di raffinatezza, esprime una posizione politica legittima. La presenza in Israele di norme che discriminano in base a un’appartenenza “razziale” è un dato di fatto. Qualche anno fa l’ex presidente statunitense Jimmy Carter è stato fatto bersaglio di critiche estremamente aggressive per aver scritto un libro intitolato, non a caso, Palestine, Peace Not Apartheid.
Con Ahmadinejād la «Reductio ad Hitlerum» ha associato la critica a Israele a un odio nazista contro gli ebrei, e il polverone non ha più consentito distinzioni né valutazioni serene. L’operazione di mistificazione ha trovato molti complici.
Esemplare in proposito un articolo di Gad Lerner su «la Repubblica» del 22 aprile 2009, intitolato “Astuzie iraniane”. Pur concedendo che Ahmadinejād «non è il nuovo Hitler», Lerner trova il modo di infilare una sottile falsità: «Non ha più ebrei da perseguitare in casa propria.»
Invece l’Iran ospita la più numerosa comunità ebraica fra tutti i paesi a maggioranza mussulmana. Non solo: dopo Israele, l’Iran è la patria della seconda popolazione ebrea del Vicino Oriente. Gli ebrei sono esplicitamente tutelati dalla costituzione iraniana. A Teheran sono aperte 20 sinagoghe. E ci sono scuole, biblioteche, un grande ospedale gestito da un’organizzazione caritativa ebrea, frequentatissimi ristoranti kosher. Gli ebrei, in base alla legge, hanno diritto a eleggere un loro deputato in mezzo all’oceano demografico islamico. Sono dati facilmente verificabili e innegabili.
Ahmadinejād può non piacerci e può farci rimpiangere la presidenza del suo predecessore Khātamī, che irresponsabilmente l’Occidente ha lasciato consumare senza risultati. Possiamo usare metri diversi per giudicare Israele. Ma nulla giustifica le falsificazioni e i loro fini bellici.
Il dato di fondo è che la campagna va avanti insistente, da molti anni. Nel maggio 2006 circolò ad esempio in tutto il mondo la storia raccontata da un eminente neocon in merito a una nuova presunta legge in Iran che imponeva agli ebrei e alle altre minoranze religiose l’obbligo di indossare dei distintivi colorati. L’articolo da cui si era originato il tam tam era stato pubblicato sul quotidiano conservatore canadese «National Post» e portava la firma dell’iraniano-americano Amir Taheri, un editorialista di casa anche al «Wall Street Journal» (Amir Taheri, A Colour Code For Iran’s ‘Infidels’, «National Post», 19 maggio 2006). A corredo dell’articolo c’era una foto del 1935 che mostrava un uomo d’affari ebreo di Berlino che aveva cucita sulla sua giacca la stella gialla a sei punte, come imponeva il regime nazista. L’articolo del 2006, e talvolta anche la foto del 1935, vennero ripresi da vari giornali, come il «Jerusalem Post» e il «New York Post» di Rupert Murdoch. La notizia, assieme alle dichiarazioni indignate che ne seguirono, era falsa. Taheri aveva preso spunto da una discussione nel Parlamento iraniano sul codice di abbigliamento appropriato per i mussulmani. In nessun punto della discussione ci furono mai riferimenti a distintivi da far indossare alle persone di altre confessioni. Il direttore del «National Post» cinque giorni dopo la pubblicazione dell’articolo di Taheri scrisse un contrito editoriale di scuse per il grave errore (Douglas Kelly, Our mistake: Note to readers, «National Post», 24 maggio 2006).
Nel frattempo però la notizia aveva fatto il giro del pianeta, macchiando l’immagine iraniana con un persistente alone di falsa nazificazione. Come spesso accade, le smentite hanno meno spazio e arrivano tardi sulle emozioni che si sono sedimentate nella fase sensazionalista della notizia.
Tralasciamo pure altri esempi di episodi e frasi pesantemente manipolati (su tutti la frase mai pronunciata su Israele da “eliminare dalle cartine geografiche”). Sarebbero troppi i casi da citare. Possiamo limitarci a notare che in corrispondenza di fasi cruciali di valutazione della questione iraniana, in Occidente si moltiplicano gli articoli che mettono in cattiva luce l’Iran, ad esempio sui settimanali femminili. Ogni singolo caso di ingiustizie denunciate, preso per sé, è degno di attenzione. Ma un lettore davvero attento deve accorgersi che il tutto fa parte di un clima, di uno stato spirituale finalizzato alla demonizzazione coordinata, la “reductio ad Hitlerum”. Poiché la guerra di questo millennio tende a integrarsi sempre di più con il sistema delle percezioni dominato dai media, e poiché i piani di attacco all’Iran sono sempre presenti in questo scorcio di storia, la copertura mediatica sull’argomento dovrà essere sempre vista con un’attenzione critica in più.
Cioè non credete di primo acchito neanche a una parola. Rileggete tutto. Confrontate tutto.
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