11 settembre 2016

15 anni dopo l'11/9: sulla fisica dei crolli dei grattacieli



L'11 settembre 2001, il mondo ha assistito al crollo totale di tre grandi grattacieli in acciaio. Da allora, gli scienziati e gli ingegneri stanno lavorando per capire perché e come questi disastri strutturali senza precedenti si sono verificati.
di Steven Jones, Robert Korol, Anthony Szamboti e Ted Walter.


Nota della Redazione di Europhysics News*
«Questo pezzo è un po' diverso dai nostri soliti articoli puramente scientifici, in quanto contiene alcune congetture. Tuttavia, data la tempistica e l'importanza della questione, riteniamo che questo articolo sia sufficientemente tecnico e interessante da meritare la pubblicazione per i nostri lettori. Ovviamente, la responsabilità del contenuto di questo articolo è in capo agli autori.»

*  Europhysics News è la rivista della comunità dei fisici europei. È posseduta dalla European Physical Society e prodotta in cooperazione con EDP Sciences. È distribuita a tutti i soci individuali e a numerosi abbonati istituzionali. È distribuita in 25mila copie per numero.


Nell’agosto del 2002, il National Institute of Standards and Technology (NIST) ha lanciato quella che sarebbe diventata un'indagine lunga sei anni sui tre disastri costruttivi che si sono verificati l’11 settembre 2001 (11/9): i ben noti crolli delle Torri Gemelle del World Trade Center (WTC) avvenuti quella mattina e il meno conosciuto crollo avvenuto nel tardo pomeriggio, quello dell’Edificio 7 del World Trade Center, di 47 piani, che non era stato colpito da un aeroplano. Il NIST ha condotto la sua indagine basata sulla premessa dichiarata che «le Torri e l’Edificio 7 del WTC [erano] gli unici casi noti di collasso strutturale totale di grattacieli presso i quali gli incendi avessero avuto un ruolo significativo». In effetti, né prima né dopo l’11/9 degli incendi hanno mai causato il crollo totale di un grattacielo in acciaio, né lo ha fatto un qualsiasi altro evento naturale, con l'eccezione del terremoto del 1985 di Città del Messico, che rovesciò un edificio per uffici di 21 piani. In alternativa, l'unico fenomeno in grado di far crollare completamente tali edifici è stato tramite una procedura nota come demolizione controllata, nella quale esplosivi o altri dispositivi sono utilizzati per abbattere una struttura in modo intenzionale.
Sebbene il NIST abbia infine concluso dopo diversi anni di indagine che tutti e tre i crolli dell’11/9 erano principalmente dovuti a incendi, quindici anni dopo l'evento un numero crescente di architetti, ingegneri e scienziati rimangono non convinti da questa spiegazione.


Prevenire i disastri dei grattacieli
I grattacieli in acciaio hanno subito incendi di grandi dimensioni senza dover subire il crollo totale per quattro motivi principali:
1) Gli incendi tipicamente non sono abbastanza caldi né durano abbastanza a lungo in ciascuna singola area da generare abbastanza energia in grado di riscaldare i grandi elementi strutturali fino al punto in cui cedano (la temperatura alla quale l'acciaio strutturale perde abbastanza forza da cedere dipende dal fattore di sicurezza utilizzato in fase di progettazione. Nel caso del WTC 7, per esempio, il fattore di sicurezza era generalmente pari a 3 o superiore. Qui, si sarebbe dovuto perdere il 67% della forza per farne derivare il cedimento, il che avrebbe richiesto che l'acciaio venisse riscaldato sino a circa 660 °C);
2) La maggior parte dei grattacieli hanno sistemi antincendio di soppressione (spruzzatori d’acqua), che impediscono ulteriormente a un incendio di rilasciare energia sufficiente a riscaldare l'acciaio fino a uno stato critico di cedimento;
3) Gli elementi strutturali sono protetti da materiali ignifughi, che sono progettati per impedire loro di raggiungere temperature di cedimento entro periodi di tempo specificati;
4) i grattacieli in acciaio sono progettati per essere sistemi strutturali altamente ridondanti. Pertanto, se si verifica un cedimento localizzato, esso non finisce per causare un crollo sproporzionato dell’intera struttura. Nel corso della storia tre grattacieli in acciaio sono noti per aver subito crolli parziali a causa di incendi; nessuno di questi ha portato a un crollo totale. Innumerevoli altri grattacieli con struttura in acciaio hanno sperimentato grandi incendi di lunga durata senza subire un crollo né parziale né totale (vedi, per esempio, le figure 1A e 1B) [1].

FIG. 1: Il WTC 5 è un esempio di come i grattacieli con struttura in acciaio si comportano tipicamente durante incendi di grandi dimensioni. È bruciato per più di otto ore, l’11 settembre 2001, e non ha subito un crollo totale (Fonte: FEMA).

FIG. 2: Il WTC 7 è caduto in modo simmetrico e con accelerazione in caduta libera per un periodo di 2,25 secondi durante il suo crollo (Fonte: NIST).

Oltre a resistere ai sempre presenti carichi gravitazionali e agli incendi occasionali, i grattacieli devono essere progettati per resistere a carichi generati durante altri casi: in particolare, forti venti e terremoti estremi. Progettare per i fenomeni di venti forti e per gli eventi sismici richiede principalmente che la struttura abbia la capacità di resistere a carichi laterali, che generano sollecitazioni sia di trazione che di compressione nelle colonne, dovute alla flessione, Le seconde poi vanno combinate con sollecitazioni di compressione indotte dalla gravità dovute ai carichi verticali. Solo quando l’acciaio è diventato diffusamente prodotto in quantità industriale è stata raggiunta la capacità di resistere a grandi carichi laterali e la costruzione di grattacieli è diventata possibile. L'acciaio è sia molto forte che duttile, il che gli permette di resistere alle sollecitazioni di trazione generate dai carichi laterali, a differenza dei materiali fragili, come il calcestruzzo, che sono deboli in tensione. Sebbene il calcestruzzo venga oggi usato in alcuni grattacieli, il rinforzo in acciaio è necessario praticamente in tutti i casi.
Per consentire la resistenza dei carichi laterali, i grattacieli sono spesso progettati in modo tale che la percentuale di carico delle loro colonne usata per carichi verticali è relativamente bassa. Le colonne esterne delle Torri Gemelle, ad esempio, utilizzavano solo circa il 20% della loro capacità di sopportare carichi verticali, lasciando un ampio margine per i carichi laterali supplementari che si verificano in presenza di venti forti ed eventi sismici [2].
Poiché gli unici carichi presenti durante l’11/9 dopo l'impatto degli aerei erano la gravità e il fuoco (non c'erano forti venti quel giorno), molti ingegneri sono rimasti sorpresi per il fatto che le Torri Gemelle siano crollate completamente. Le torri, infatti, erano state progettate specificamente per resistere all'impatto di un aereo di linea, come spiegò l'ingegnere strutturale capo, John Skilling, in un'intervista al Seattle Times a seguito dell’attentato con bomba del 1993 al World Trade Center: «La nostra analisi ha indicato che il problema più grande sarebbe il fatto che tutto il carburante (dall'aereo) verrebbe riversato all'interno dell'edificio. Ci sarebbe un incendio terribile. Parecchia gente rimarrebbe uccisa», dichiarò, ma aggiunse: «La struttura dell'edificio sarebbe ancora lì.» Skilling proseguì dicendo che non riteneva che una singola auto bomba da 200 libbre [90 kg] riuscirebbe a buttare giù né a fare gravi danni strutturali a ciascuna delle Torri Gemelle. «Tuttavia», aggiunse, «Non sto dicendo che degli esplosivi appropriatamente applicati - cariche cave - di una tale magnitudine non possano fare una quantità enorme di danni .... Immagino che se si disponesse del massimo esperto in questo tipo di lavoro e gli si desse l'incarico di demolire questi edifici con esplosivi, scommetterei che ce la farebbe». In altre parole, Skilling riteneva che l'unico meccanismo che avrebbe potuto far crollare le Torri Gemelle era una demolizione controllata.


Tecniche di demolizione controllata
La demolizione controllata non è una pratica nuova. Per anni era prevalentemente attuata con gru che facevano dondolare pesanti palle di ferro per rompere semplicemente degli edifici in piccoli pezzi. Di tanto in tanto, c’erano strutture che non potevano essere demolite in questo modo. Nel 1935, le due torri Sky Ride, alte 191 metri, della Esposizione universale del 1933 a Chicago sono state demolite con 680 kg di termite e 58 kg di dinamite.
La termite è un incendiario contenente un combustibile fatto di polvere metallica (di solito alluminio) e di un ossido di metallo (di solito ossido (III) di ferro o "ruggine"). Alla fine, quando ci furono a sufficienza grandi edifici in acciaio e muratura che dovevano essere abbattuti in modo più efficiente ed economico, l'uso di cariche cave di taglio è diventato la norma. Poiché le cariche cave hanno la capacità di concentrare l'energia esplosiva, possono essere collocate in modo da tagliare diagonalmente le colonne in acciaio in modo rapido e affidabile. In generale, la tecnica usata per demolire grandi edifici implica il tagliare le colonne di una superficie sufficiente dell'edificio per far sì che la porzione integra sopra quella zona cada e schiacci sé stessa nonché qualsiasi cosa rimanga sotto di essa.
Questa tecnica può essere realizzata in un modo ancora più sofisticato, fissando una successione di tempi in cui le cariche esplodano in sequenza in modo che le colonne più vicine al centro vengano distrutte prima. Il cedimento delle colonne interne crea all'esterno una spinta verso l'interno e causa il fatto che la maggior parte dell'edificio sia trascinato verso l'interno e verso il basso mentre i materiali vengono schiacciati, mantenendo così i materiali frantumati entro un’area in qualche modo alquanto limitata, spesso addirittura all’interno della «impronta» dell'edificio. Questo metodo viene spesso definito come «implosione».

FIGURA. 3: il frame finale del modello computerizzato del WTC 7 a cura del NIST mostra grandi deformazioni verso l'esterno niente affatto osservate nei video (Fonte: NIST)


Il caso del WTC 7
Il crollo totale del WTC 7 alle ore 17:20 dell’11/9, mostrato in fig. 2, è degno di nota perché ha ben esemplificato tutte le caratteristiche che suggellano un’implosione: l'edificio è precipitato in caduta libera assoluta per i primi 2,25 secondi della sua discesa su una distanza di 32 metri ovvero otto piani [3].
Il suo passaggio dalla stasi alla caduta libera è stato improvviso, accadendo in circa mezzo secondo. È caduto simmetricamente verso il basso. La sua struttura in acciaio è stata quasi completamente smembrata e depositata in gran parte all'interno dell’impronta dell'edificio, mentre la maggior parte del suo cemento è stata polverizzata in minuscole particelle. Infine, il crollo è stato rapido, essendosi verificato in meno di sette secondi. Data la natura del crollo, qualsiasi indagine aderente al metodo scientifico avrebbe seriamente preso in considerazione l'ipotesi della demolizione controllata, quando non avrebbe addirittura iniziato con essa. Invece, il NIST (così come la Federal Emergency Management Agency (FEMA), che aveva condotto uno studio preliminare prima dell'indagine NIST) ha iniziato con la conclusione predeterminata secondo cui il crollo fu causato dagli incendi. Cercare di dimostrare questa conclusione predeterminata era apparentemente difficile. Lo studio di nove mesi della FEMA si è concluso dicendo che «le specifiche degli incendi nel WTC 7 e il modo in cui essi hanno causato il crollo dell'edificio rimangono ignoti in questo momento. Sebbene il carburante diesel totale nei locali contenesse un’enorme energia potenziale, l'ipotesi più accreditata ha solo una bassa probabilità che si verifichi». Il NIST, nel frattempo, dovette rimandare il rilascio della sua relazione sul WTC 7 da metà 2005 al novembre 2008. Ancora nel marzo 2006, dell’investigatore capo del NIST, il Dr. Shyam Sunder, si registrava questa dichiarazione: «In verità, io non lo so davvero. Abbiamo avuto difficoltà a capirci qualcosa sull’Edificio numero 7».
Per tutto il tempo, il NIST era irremovibile nell’ignorare la prova che confliggeva con la sua conclusione predeterminata.
L'esempio più notevole è stato il suo tentativo di negare che il WTC 7 avesse subito una caduta libera. Quando venne pressato su questa materia nel corso di una conferenza tecnica, il dottor Sunder respinse l’obiezione dicendo: «[un] periodo a caduta libera consisterebbe in un oggetto che non ha componenti strutturali sottostanti.» Ma nel caso del WTC 7, affermò, «c'era una resistenza strutturale che veniva assicurata». Solo dopo essere stato sfidato da un insegnante di fisica delle superiori, David Chandler, e dal professore di fisica Steven Jones (uno degli autori di questo articolo), che avevano misurato la caduta in un video, il NIST ammise un periodo di 2,25 secondi di caduta libera nella sua relazione finale.
Eppure il modello computerizzato del NIST non mostra tale intervallo di caduta libera, né il NIST tenta di spiegare in che modo il WTC 7 non avrebbe potuto avere «nessuna componente strutturale sottostante» per ben otto piani. Invece, il rapporto finale del NIST fornisce uno scenario contorto che implica un meccanismo di rottura senza precedenti: ossia la dilatazione termica delle travi del piano che spingono via dalla sua sede una trave adiacente. Il presunto distacco di questa trave ha quindi presumibilmente causato una cascata di otto piani di cedimenti dei pavimenti, che, combinati con il cedimento di altre due connessioni delle travi – anch’esso legato alla dilatazione termica – ha lasciato una colonna fondamentale senza supporto lungo nove piani, facendo sì che la colonna si deformasse. Questo cedimento di una sola colonna presumibilmente innescò il crollo dell'intera struttura interna, lasciando l'esterno non supportato come un guscio vuoto. Presumibilmente le colonne esterne a quel punto si piegarono lungo un intervallo di due secondi e l'intera parte esterna cadde in simultanea come una sola unità [3].
Il NIST è stato in grado di arrivare a questo scenario solo omettendo o travisando caratteristiche strutturali critiche nella sua modellazione al computer [4].
La correzione anche di uno solo di questi errori rende l’avviamento del crollo raffigurato dal NIST indiscutibilmente impossibile.
Eppure, anche in presenza degli errori di partenza che risultavano favorevoli alla sua conclusione predeterminata, il modello computerizzato del NIST (vedi Fig. 3) non riesce a replicare il crollo osservato, mostrando invece grandi deformazioni verso l'esterno che non sono affatto osservate nei video e che non mostrano invece nessun intervallo di caduta libera. Inoltre, il modello termina, senza alcuna spiegazione, in meno di due secondi, all’interno di un collasso di sette secondi. Purtroppo, la modellazione computerizzata del NIST non può essere verificata in modo indipendente poiché il NIST ha rifiutato di rilasciare una gran parte dei suoi dati di modellazione sulla base del fatto che così facendo «potrebbe mettere a repentaglio la sicurezza pubblica».


Il caso delle Torri Gemelle
Mentre il NIST ha cercato di analizzare e modellare il crollo del WTC 7, non lo ha fatto nel caso delle Torri Gemelle. Secondo le stesse parole del NIST, «L'obiettivo dell’indagine era la sequenza degli eventi dal momento dell'impatto dell'aereo fino all'inizio del collasso per ciascuna torre ... Questa sequenza è indicata come la “probabile sequenza del crollo”, ancorché ricomprenda ben poca analisi del comportamento strutturale della torre dopo che le condizioni per l'inizio del crollo sono state raggiunte e il crollo diventava inevitabile» [5].
Pertanto, il rapporto definitivo sul crollo delle Torri Gemelle non contiene alcuna analisi del motivo per cui le loro parti inferiori non siano riuscite ad arrestare o addirittura rallentare la discesa delle sezioni superiori - che il NIST ammette siano «venute giù sostanzialmente in caduta libera» [5-6] - né spiega i vari altri fenomeni osservati durante i crolli. Quando un gruppo di firmatari ha presentato una richiesta formale di correzione chiedendo al NIST di effettuare tale analisi, il NIST ha replicato che non riusciva «a fornire una spiegazione esauriente del crollo totale», perché «le modellazioni computerizzate non [erano] in grado di convergere su una soluzione». Tuttavia, il NIST fece una cosa, nel tentativo di giustificare la sua affermazione sul fatto che i piani inferiori non sarebbero stati in grado di arrestare né rallentare la discesa delle sezioni superiori in un crollo guidato dalla forza di gravità. A pagina 323 del documento NCSTAR 1-6, il NIST ha citato un articolo di un professore di ingegneria civile, Zdeněk Bažant, e del suo studente laureato Yong Zhou, che era stato pubblicato nel gennaio 2002 [7], che, secondo il NIST, «ha affrontato la questione del perché si sia verificato un crollo totale» (come se quella domanda fosse naturalmente al di fuori della portata della propria indagine). Nel loro documento, Bažant e Zhou sostennero che ci sarebbe stato un colpo potente quando la parte superiore in caduta impattò sulla sezione inferiore, causando un carico amplificato sufficiente per avviare la deformazione nelle colonne. Sostennero inoltre che l'energia gravitazionale sarebbe corrisposta a 8,4 volte la capacità di dissipazione di energia delle colonne durante la deformazione. Negli anni successivi, i ricercatori hanno misurato la discesa della sezione superiore della WTC 1 (la Torre Nord, ndt) e hanno scoperto che non ha mai subito una decelerazione: cioè non vi fu alcun potente colpo improvviso [8-9].
Dei ricercatori hanno anche criticato l'uso da parte di Bažant dell'accelerazione di caduta libera lungo la prima fase del crollo, quando le misurazioni mostrano in realtà che corrispondeva a circa la metà dell’accelerazione di gravità [2].
Dopo la caduta per un piano, le misurazioni mostrano una velocità di 6,1 m/s anziché la velocità di 8,5 m/s che avrebbe causato la caduta libera. Questa differenza di velocità raddoppia in effetti l'energia cinetica, perché è una funzione del quadrato della velocità.
Inoltre, i ricercatori hanno dimostrato che la massa di 58x106kg che Bažant ha utilizzato per la massa della sezione superiore era il carico massimo del progetto, non l'effettivo carico di servizio pari a 33×106 kg [10].
Insieme, questi due errori ingigantirono l'energia cinetica della massa in caduta di 3,4 volte. Inoltre, è stato dimostrato che la capacità di dissipazione dell’energia delle colonne utilizzata da Bažant era almeno 3 volte troppo bassa [2].
Nel gennaio 2011 [11] Bažant e un altro suo studente laureato, Jia-Liang Le, hanno tentato di respingere la critica sulla mancanza di decelerazione sostenendo che ci sarebbe stata una perdita di velocità pari ad appena circa il 3%, che sarebbe stata troppo piccola per poter essere osservata, data la risoluzione della fotocamera. Bažant e Le hanno inoltre sostenuto che la perdita di velocità della conservazione della quantità di moto sarebbe stata solo dell'1,1%. Tuttavia, sembra che Le e Bažant abbiano erroneamente utilizzato una massa della sezione superiore pari a 54,18×106 kg e una massa del piano impattato di soli 0,627×106 kg, che contraddiceva la massa del piano di 3,87×106 kg che Bažant aveva usato nei documenti precedenti. La prima massa del piano è rappresentativa solamente della soletta in cemento, mentre la seconda massa del piano comprende tutti gli altri materiali presenti su quel piano. Il solo correggere questo dato aumenta la perdita della velocità della conservazione della quantità di moto di oltre 6 volte, fino a un valore del 7,1%. Inoltre, la dissipazione dell'energia della colonna si è dimostrata essere molto più significativa rispetto a quanto accampato da Bažant. I ricercatori hanno conseguentemente fornito dei calcoli che dimostrano che un crollo naturale sopra un piano non solo rallenta, ma in realtà si arresterebbe dopo uno o due piani di caduta (vedi Fig. 4) [2, 10].

FIGURA 4: Il grafico qui sopra [10] mette a confronto la misurazione di David Chandler [9] della velocità della linea del tetto del WTC 1 con il calcolo errato di Bažant [11] e con i calcoli di Szamboti e Johns con l’utilizzo di valori di input corretti per la massa, l'accelerazione attraverso il primo piano, la conservazione della quantità di moto, e il momento plastico (il momento flettente massimo che una sezione strutturale può sopportare). I calcoli mostrano che - in assenza di esplosivi – la sezione superiore del WTC 1 si sarebbe arrestata dopo essere caduta per due piani (fonte: Rif. [10]).


Altre prove inesplicate
La meccanica del crollo di cui sopra è solo una frazione delle prove disponibili che indicano che gli impatti aerei e gli incendi che ne derivarono non hanno causato il crollo delle Torri Gemelle. Dei video dimostrano che la parte superiore di ciascuna torre si disintegrò entro i primi quattro secondi del crollo. Dopo quel punto, nemmeno un video mostra le sezioni superiori che si è supposto siano discese fino a terra prima di essere schiacciate. Video e fotografie mostrano anche numerose scariche ad alta velocità di detriti che vengono espulsi da sorgenti puntiformi (vedi Fig. 5).

FIGURA 5: Scariche ad alta velocità di detriti, dette anche “squibs”, furono espulse da sorgenti puntiformi nel WTC 1 e WTC 2, così come da un tratto da 20 a 30 piani più in basso del fronte del crollo (Fonte: Noah K. Murray).

Il NIST li definisce come "sbuffi di fumo", ma non riesce ad analizzarli in modo appropriato [6]. Il NIST non fornisce una spiegazione nemmeno per la polverizzazione a mezz'aria della maggior parte del calcestruzzo delle torri, lo smembramento quasi totale dei telai in acciaio, né l'espulsione di tali materiali fino a 150 metri in tutte le direzioni. Il NIST aggira la questione della presenza ben documentata di metallo fuso in tutto il campo di detriti e afferma che il metallo arancione fuso che si è visto colare fuori dal WTC 2 per sette minuti prima del crollo fosse alluminio proveniente dall’aeroplano combinato con materiali organici (vedi Fig. 6) [6].

FIGURA 6: Il metallo fuso è stato visto colare fuori dal WTC 2 ininterrottamente per i sette minuti che precedono il suo crollo (Fonti: WABC-TV, NIST).

Eppure degli esperimenti hanno dimostrato che l'alluminio fuso, anche in miscela con materiali organici, ha un aspetto argenteo: il che suggerisce che il metallo fuso arancione fosse invece emanato da una reazione con la termite utilizzata per indebolire la struttura [12].
Nel frattempo, del materiale nano-termitico che non ha subito reazione è stato da allora scoperto in diversi campioni indipendenti di polvere del WTC [13].
Per quanto riguarda ciò che hanno riferito i testimoni oculari, di circa 156 testimoni, tra cui 135 primi soccorritori, sono stati documentati degli interventi in cui hanno affermato di aver visto, sentito, e/o percepito esplosioni prima e/o nel corso dei crolli [14].
Che le Torri Gemelle siano state abbattute con esplosivi sembra essere stata l'opinione prevalente iniziale tra la maggior parte dei primi soccorritori. «Ho pensato che stesse esplodendo, in realtà», ha dichiarato John Coyle, un comandante dei vigili del fuoco. «Ciascuno credo che a quel punto ancora pensasse che queste cose siano state fatte saltare» [15].


Conclusione
Vale la pena ripetere che gli incendi non hanno mai causato il crollo totale di un grattacielo in acciaio prima o dopo l’11/9.
Abbiamo dunque assistito a un evento senza precedenti per ben tre volte distinte l'11 settembre 2001? Le relazioni del NIST, che hanno tentato di sostenere questa conclusione improbabile, non riescono a convincere un numero crescente di architetti, ingegneri e scienziati. Al contrario, le prove sono schiaccianti in favore della conclusione secondo cui tutti e tre gli edifici sono stati distrutti con demolizione controllata. Date le implicazioni di vasta portata, è moralmente imperativo che questa ipotesi sia oggetto di un'indagine veramente scientifica e imparziale da parte delle autorità competenti.


Gli autori


Steven Jones è un ex professore ordinario di fisica alla Brigham Young University. I suoi principali interessi di ricerca sono stati nei settori della fusione, dell'energia solare, e dell’archeometria. È autore o co-autore di svariati articoli che documentano le prove di temperature estremamente elevate durante la distruzione del World Trade Center e le prove della presenza nella polvere del WTC di materiale nano-termitico che non ha subito reazione.


Robert Korol è professore emerito di ingegneria civile alla McMaster University dell’Ontario, Canada, ed è inoltre membro della Canadian Society for Civil Engineering e dell’Engineering Institute of Canada. I suoi principali interessi di ricerca sono stati nei settori della meccanica strutturale e delle strutture in acciaio. Più di recente, ha intrapreso una ricerca sperimentale sulla resistenza post-cedimento di colonne in acciaio a forma di H e nell’assorbimento di energia associata con la polverizzazione di pavimenti in calcestruzzo.


Anthony Szamboti è un ingegnere di progettazione meccanica con oltre 25 anni di esperienza di progettazione strutturale nel settore aerospaziale e della comunicazione. Dal 2006, è stato autore o co-autore di una serie di documenti tecnici sui crolli dei grattacieli del WTC che sono stati pubblicati nel Journal of 9/11 Studies e nell’ International Journal of Protective Structures.


Ted Walter è il direttore della strategia e sviluppo per Architects & Engineers for 9/11 Truth (AE911Truth), un'organizzazione no-profit che rappresenta oggi oltre 2.500 architetti e ingegneri. Nel 2015, è stato autore del saggio dell’AE-911Truth Beyond Misinformation: What Science Says About the Destruction of World Trade Center Buildings 1, 2, and 7 (trad.: “Oltre la Disinformazione: ciò che la scienza dice a proposito della distruzione del World Trade Center Edifici 1, 2 e 7”). Ha conseguito un Master in Public Policy presso la University of California, Berkeley.


Riferimenti e note

[2] G. Szuladziński and A. Szamboti and R. Johns, International Journal of Protective Structures 4, 117 (2013).
[6] NIST: Questions and Answers about the NIST WTC Towers Investigation (Updated September 19, 2011).
[7] Z. Bažant, Y. Zhou, Yong, Journal of Engineering Mechanics 128, 2 (2002).
[8] A. Szamboti and G. MacQueen, The Missing Jolt: A Simple Refutation of the NIST-Bažant Collapse Hypothesis, Journal of 9/11 Studies (April 2009).
[9] D. Chandler, The Destruction of the World Trade Center North Tower and Fundamental Physics, Journal of 9/11 Studies (February 2010).
[10] A. Szamboti and R. Johns, ASCE Journals Refuse to Correct Fraudulent Paper Published on WTC Collapses, Journal of 9/11 Studies (September 2014).
[11] J.-L. Le and Z. Bažant, Journal of Engineering Mechanics 137, 82 (2011).
[12] S. Jones, Why Indeed Did the WTC Buildings Collapse Completely? Journal of 9/11 Studies (September 2006).
[13] N. Harrit et al., Open Chemical Physics Journal (April 2009).
[14] G. MacQueen, Eyewitness Evidence of Explosions in the Twin Towers, Chapter Eight, The 9/11 Toronto Report, Editor: James Gourley (November 2012).
[15] Fire Department of New York (FDNY): World Trade Center Task Force Interviews, The New York Times (October 2001 to January 2002).



Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras.


2 settembre 2016

11/9 - QUINDICESIMO ANNIVERSARIO


di Giulietto Chiesa.
da Megachip.


Il prossimo 11 settembre coinciderà con il 15-esimo anniversario del più grande attentato terroristico della storia. Si sono spesi ettolitri d’inchiostro per argomentare sul tema: chi lo ha fatto? Quali erano gli obiettivi politici che i suoi organizzatori perseguivano?

È una disputa che non si può riproporre qui. Chi scrive ha sostenuto da sempre che i diciannove presunti “dirottatori”, guidati da Osama bin Laden, non avrebbero potuto, in ogni caso, realizzare un tale piano. Ci sono prove in abbondanza che nell’operazione intervennero forze potenti che avevano legami con diversi servizi segreti, a cominciare da settori della CIA e dell’FBI, per arrivare fino all’ISI pakistano, ai servizi segreti sauditi e a quelli, sicuramente coinvolti, del Mossad israeliano.

Il lavoro della “9/11 Commission” (cioè la “versione ufficiale”) non regge di fronte a una sterminata quantità di contestazioni, mosse da ricercatori e giornalisti indipendenti di tutto il mondo. Chi volesse sincerarsene può consultare il sito Consensus911.org, dove molte di queste contestazioni e incongruenze sono state esaminate in questi anni da un gruppo di specialisti di cui anch’io faccio parte. Quella Commissione — come adesso sappiamo ufficialmente dopo le rivelazioni dell’ex senatore democratico Bill Graham (che fu presidente della Commissione del Congresso che per prima indago sull’11/9) e di numerosi senatori e deputati americani — rifiutò di esaminare documenti e prove di quelle oscure manovre che precedettero l’attentato. Le 28 pagine del primo rapporto, recentemente desecretate, rivelano e documentano inequivocabilmente, che il governo saudita aiutò e finanziò i “capri espiatori” a installarsi negli Stati Uniti. E questo fatto, da solo (senza tenere conto che FBI e CIA erano — e tutto ciò è stato provato— al corrente della preparazione dell’attentato), dimostra che la 9/11 Commission fornì una versione falsa dell’intera vicenda, per coprire i veri responsabili.
A questa falsificazione — già provata — se ne possono aggiungere decine. Quanto basta per concludere che ci furono interessi potenti, all’interno dell’élite americana e dei circoli dirigenti occidentali, per coprire i veri protagonisti dell’attentato.  Basti pensare che il presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, Ferdinando Imposimato, ha dichiarato, e scritto, in diverse interviste, che esistono ormai indizi più che sufficienti per incriminare, di concorso in strage, di fronte a un corte internazionale, l’Amministrazione americana di George W. Bush e Dick Cheney. Sfortunatamente una tale corte esiste, ma non è abilitata a processare l’Amministrazione americana.


Il fatto è che — altro indizio importante — tutto il mainstream mediatico occidentale ha coperto in tutti questi 15 anni una versione ufficiale totalmente falsa, fino al ridicolo, impedendo l’emergere della verità. Gli ideatori e organizzatori dell’attentato, i loro amici e sodali, avevano ed hanno il controllo quasi totale della comunicazione mondiale, e dunque hanno potuto giovarsi della completa ignoranza dei fatti in cui centinaia di milioni di persone sono state confinate.

Il problema è dunque, al tempo stesso politico e comunicativo. Ed è questione cruciale risolverlo prima che sia troppo tardi. Gli organizzatori dell’11/9 sono ancora non solo a “piede libero”, ma sono tuttora in grado di creare danni, irreparabili, alla pace mondiale. Si deve ricordare che essi sono dei vincitori: la potenza della loro azione ha modificato drammaticamente la storia del pianeta. Dopo l’11/9 ha preso inizio una serie di guerre sanguinose (Afghanistan, Iraq, Libia, Siria) e di mutamenti del sistema delle regole internazionali: tutti motivati con la necessità di combattere il “nuovo nemico” dell’Occidente, l’Islam fondamentalista.

La guerra al terrorismo internazionale, che prese inizio fin da quella data, è in corso da quindici anni. Ma, paradossalmente, non solo non sembra produrre risultati tangibili, ma sta estendendo il caos e il disordine in tutte le direzioni.  A prima vista la situazione attuale sembra dimostrare che l’Impero americano — il più potente e armato di tutto il mondo, coadiuvato dalle armate dell’Occidente inquadrate nella NATO — non sia in grado di fermare il nuovo nemico, artificialmente evocato mediante “il più grande spettacolo del mondo”, cui assistettero in diretta televisiva, live, circa 3 miliardi di persone. 

Non credo che questa impressione di sconfitta sia giusta. Piuttosto gli sviluppi cui stiamo assistendo sembrano delineare una situazione di caos globale, che corrisponde agl’interessi degli stessi inventori della “guerra al terrorismo internazionale”. Si tratta di un “caos organizzato”, il cui scopo principale è quello di nascondere ai popoli dell’Occidente, ormai terrorizzati, che l’origine della crisi mondiale è tutta interna all’Occidente. Essa deriva direttamente dal fatto che il sistema bancario mondiale, creato dalla globalizzazione e che, a sua volta, ha sorretto la globalizzazione, non è più in condizione di resistere a lungo senza esplodere in una crisi mondiale di proporzioni cento volte superiori a quelle che portarono alla crisi del 1929.

Il “terrorismo islamico”, che si sta trasformando, giorno dopo giorno, in una “guerra irregolare” diffusa (secondo la definizione datane da Vladimir Putin) equivale a una grande “distrazione di massa”, per disorientare l’opinione pubblica mondiale, ma consente anche agli Stati Uniti di sfruttare terroristi e gruppi radicali estremisti per i propri scopi di parte. Lo prova a dismisura la teoria — inventata per l’occasione proprio dalle fonti ufficiali occidentali per mascherare  il proprio sostegno al terrorismo nel corso della guerra contro la Siria — dei “terroristi moderati”, contrapposti ai “terroristi cattivi”. Teoria che si è spinta fino a far considerare come potenziali alleati, nel tentato abbattimento del regime di Bashar al-Assad, dei raggruppamenti affiliati ad Al-Qa’ida.  Guarda caso, proprio la stessa Al Qa’ida cui 15 anni fa venne attribuita la paternità del grande attentato contro il World Trade Center e il Pentagono.

Dopo la crisi del 2008, innescata dal crollo di Lehman Brothers, nessuna ricetta dei centri del potere finanziario globale è stata in grado di rimettere in moto la macchina finanziaria mondiale. Il denaro è stato moltiplicato in forme vertiginose, attraverso il quantitative easing praticato da tutte le banche centrali dell’Occidente.  Ma la macchina globale non riesce a ripartire. Al contrario, tutte le previsioni (che vengono tenute accuratamente nascoste al grande pubblico degl’investitori) dicono che, da qui al 2020-2025, la crescita del PIL globale si avvicinerà al punto zero, segnando la fine delle illusioni di crescita economica che sono state sparse a piene mani, contro l’evidenza dei fatti, negli ultimi dieci anni.

Il problema richiede una soluzione politica rapida, essendo quella economico-finanziaria al momento impossibile. L’esplosione sistemica avverrà in un periodo di tempo indeterminato, relativamente procrastinabile, ma non superiore al decennio. Questo spiega la fretta (e anche i segnali di panico) con cui l’Occidente sta cercando di mescolare le carte e di destabilizzare il mondo cancellando tutto il sistema di regole che aveva resistito durante la guerra fredda.
Si ripete così lo scenario che precedette l’11 Settembre del 2001. Qualche anno prima, nel 1998, il gruppo di neo-con guidato da Paul Wolfowitz, aveva predisposto il “Progetto per il Nuovo Secolo Americano” (PNAC, Project for the New American Century). Il titolo era già indicativo della follia dei suoi creatori: proporsi di imporre un altro secolo dominato dall’America, in un pianeta che si avviava a contare oltre 7 miliardi di esseri umani, nel quale esistono ormai giganti come la Cina e l’India, era equivalente a una dichiarazione di guerra contro il resto del mondo. Gli autori neo-con erano perfettamente consapevoli della violenza che un tale progetto avrebbe richiesto per essere realizzato. Sapevano — e lo scrissero — che la Cina, al 2017, sarebbe divenuta un concorrente oggettivo e non controllabile con il quale fare i conti. Rovesciando le parti, la definirono una “minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”. E si prepararono a rafforzare un differenziale militare strategico che sarebbe dovuto essere incolmabile, per sempre, per ogni Stato o gruppo di Stati che avesse tentato anche soltanto di avvicinarsi alla potenza dell’Impero.

Essi, già allora, erano consapevoli della fragilità dell’immenso inganno finanziario su cui si reggeva il dollaro. E, infatti, i primi segni di recessione apparvero proprio nel 2001. Nello stesso tempo si trattava di imporre un cambio psicologico nella popolazione americana (e in quella di tutto l’Occidente, Europa inclusa) che, ignara di tutto e all’inseguimento della carota consumistica, mantenuta dal mainstream a poca distanza dal suo naso, non era disposta a farsi trascinare in nessuna avventura. Bisognava dunque creare qualche cosa di straordinario, di tremendo; qualcosa di “simile a una Nuova Pearl Harbor”, affinché le masse percepissero un pericolo smisurato e incombente, potenzialmente distruttore della loro sicurezza e del loro benessere. 
Un tale pericolo esterno non esisteva alla fine del secolo XX. La Russia — così pensavano, e questo fu il loro errore più grande — era già stata tolta dal gioco, conquistata, colonizzata culturalmente e politicamente. Non c’era più il “nemico rosso” che aveva angosciato l’élite americana nel corso della guerra fredda. Dunque la Russia non poteva essere inclusa nel novero dei concorrenti. Il Muro di Berlino era caduto. Come scrisse sarcasticamente Gore Vidal, «quando i russi ci hanno colpiti alle spalle abbandonando il loro impero nel 1991, siamo rimasti con molte idee errate su di noi e, quel ch’è peggio, sul resto del mondo»[1] .

Il pericolo bisognava dunque crearlo artificialmente. E così fecero. Potrà sembrare strano, ma lo dissero e lo scrissero apertamente. Basti ricordare cosa pensava, nel 1997, Zbignew Brzezinski: «Bisogna considerare che l’America sta diventando sempre di più una società multiculturale e, in quanto tale, può essere più difficile creare il consenso su questioni di politica estera, tranne che in presenza di una minaccia nemica enorme, direttamente percepita a livello di massa».[2]
La previsione di una Cina al di fuori del loro controllo era giusta. Ma occorreva subito un “nuovo nemico”. L’Islam venne cucinato per le mense di tutto il mondo come “quel” nemico. George W. Bush e il suo ministro della Difesa, Donald Rumsfeld gridarono ai microfoni e alle telecamere del mainstream che «stava cominciando una guerra che sarebbe durata un’intera generazione» (Rumsfeld disse “cinquant’anni”).

I primi quindici di questi “cinquant’anni” li abbiamo già visti e vissuti. È evidente anche ai ciechi che la situazione mondiale sta degenerando. Ma l’Occidente si rifiuta di prendere atto del mutamento dei rapporti di forza planetari.
Soprattutto insopportabile, per i circoli dirigenti americani, è la constatazione che la Russia è riapparsa sulla scena come protagonista. Nella previsione dei neo-con sbagliata era l’idea che la Russia fosse stata messa definitivamente fuori gioco. E questo errore di calcolo rendeva problematico tutto il resto del loro piano. Pensavano che, tolta di mezzo la Russia, ci sarebbe stato abbastanza tempo per reinventarsi la Cina come nuovo impero del Male, al posto della Russia. Ma si rivelò sbagliata anche la previsione che, una volta inventata la “nuova Pearl Harbor”, i sette miliardi di abitanti della Terra si sarebbero messi in fila per comprare tutto il comprabile nei supermercati predisposti per loro.  Sbagliata anche l’idea che sarebbe bastato creare denaro dal nulla per sistemare ogni cosa.

La sommatoria di questi errori e di questi successi consentì all’Impero di reggere — tra una nuova guerra e l’altra — per sei anni. Il settimo fu il 2008, e ci vollero dieci trilioni di dollari, inventati in tutta fretta dalla Federal Reserve di Alan Greenspan, per salvare dalla bancarotta tutte le banche dell’Occidente. E — come abbiamo già ricordato — gli ultimi otto anni sono stati il regno del caos.
Ecco perché l’Impero si trova di nuovo nella necessità di compattare il proprio sistema di alleanze, esattamente come fece attraverso l’attentato terroristico dell’11/9.  Nel 2008 lo stratagemma fu la destabilizzazione dei “piccoli nemici”. Affidato a Barack Obama, che lo realizzò mediante una moltiplicazione di rivoluzioni colorate e, soprattutto con l’uso delle “primavere arabe” per fare piazza pulita di regimi ormai scomodi, o inutili, nel Medio Oriente. E si deve riconoscere che questa operazione strategica ha funzionato, ma solo nel senso di incrementare la destabilizzazione globale.

Ma la presenza della Russia, tornata ad essere potenza mondiale, ha costretto i neo-con a cambiare strategia, e a tornare sul luogo del delitto. Di nuovo la fretta ha fatto capolino.
La crisi incombe e, a est, ci sono ora due “nemici”, Russia e Cina. Non solo il grande, ma unico, “Paese del Centro”. Solo così si spiega il colpo di Stato in Ucraina, l’abbattimento di Janukovic con le squadre naziste e ultranazionaliste russofobe da lungo tempo preparate e istruite con l’aiuto della Polonia e delle Repubbliche baltiche. 
La trappola, ben preparata, doveva costringere la Russia a un intervento diretto a sostegno dei russi di Ucraina, sottoposti a una vera e propria pulizia etnica di nuovo tipo. Vladimir Putin non è cascato nella trappola e i russi di Ucraina — non tutti ma una parte decisiva — hanno trovato la forza di difendersi. La Crimea ha scelto di “tornare in patria”. 

Ma il risultato è stato in gran parte raggiunto dall’Impero. L’Europa si è schierata a fianco agli Stati Uniti, sono scattate le sanzioni, l’ondata russofobica ha investito tutto l’Occidente e lo ha compattato attorno a Washington. La Russia e Putin sono il vero “nemico da battere”.
Come? Hillary Clinton dovrà risolvere il problema.
Lo scontro diretto è in preparazione. Ma non tutti a Washington sono così suicidi da pensare di attuarlo. Si preparano alla guerra, ma pensano che anche la Russia di Putin potranno metterla in ginocchio, come fecero con l’URSS di Mikhail Gorbaciov. È una scommessa che potrebbero perdere.  E l’Europa è in pieno subbuglio. Potrebbe rompersi prima l’Europa.
E anche l’Impero è diviso al suo interno. Donald Trump difficilmente vincerà le elezioni, ma è un segnale che la fiducia dello stesso popolo americano nelle sue élites è ormai logorata. Si può applicare all’America il detto latino: “omne regnum in se ipse divisum desolabitur” (ogni regno, quando è diviso al suo interno, finisce per crollare).



NOTE


[2] Il corsivo è dell’autore di queste righe.