“La maggior parte delle persone si inganna con una duplice fede errata:
crede nella Memoria Eterna (delle persone, delle cose, delle azioni, dei
popoli) e nella Riparabilità (di azioni, errori, peccati, ingiustizie). Sono
entrambe fedi false. In realtà avviene proprio il contrario: ogni cosa sarà
dimenticata e a nulla sarà posto rimedio. Il ruolo della riparazione (della
vendetta come del perdono) sarà assunto dall'oblio. Nessuno rimedierà alle
ingiustizie commesse ma tutte le ingiustizie saranno dimenticate.”
(Milan Kundera, “Lo scherzo”).
di Piotr.
da Megachip.
La cara amica
Marinella, già giornalista del Manifesto
quando questo quotidiano esprimeva ancora qualche scampolo di dignità, mi ha
chiesto di scrivere un post basato su un nostro recente scambio di e-mail.
Lo faccio
volentieri, perché ne vale la pena. Ne vale la pena per l’importante quesito
che Marinella mi aveva posto. Ragionando sul visibile avvicinamento dell’Arabia Saudita e la Russia, l’amica infatti
commentava:
«E come al solito i Golfisti e i
Natoisti che scatenano guerre e ammazzano e sfasciano paesi e sostengono
terroristi, NON pagheranno per i loro crimini. La speranza di un'alleanza
economica fra paesi NON aggressori che emargini l'asse della guerra NATO/GOLFO
e costruisca relazioni internazionali pacifiche, sostenibili e meno diseguali
delle attuali, è una totale illusione, mi sa.»
Voglio
articolare la mia risposta su due piani. Il primo è morale, il secondo
politico.
Sul piano
morale devo purtroppo rispondere che la disillusione di Marinella è
totalmente motivata. Nessuno pagherà per i suoi crimini. Se qualcuno pagherà
sarà perché gliel’ha fatta pagare una compagine statale avversaria, non un
giudice incorrotto che sta dalla parte delle vittime. Oggi non vedo come la,
sacrosanta, giustizia possa essere fatta dalle masse che hanno
subito i crimini, le uniche che possono farla, che possono richiederla. La
“giustizia” di uno Stato, ad esempio la Russia, sarebbe una sola possibile:
bombardare chirurgicamente Riad e azzerare la Casa Saud che ha creato e armato
al-Qaida e l’Isis, facendo piombare una civilissima e pacifica nazione, la
Siria, in un incubo sanguinoso che ormai dura da sei anni. Lo stesso dovrebbe
fare con Washington, complice e socia dei Saud e ideatrice dell’attacco alla
Siria (come rivelato da quasi dieci anni dal generale statunitense Wesley Clark
in contrasto con gli utili idioti che ancora credono nella narrazione delle
“primavere arabe”). E lo dovrebbe fare con Ankara. E con Doha. Con Parigi e con
Londra.
Ma sarebbe
vera giustizia? No, perché solo nei sogni si può pensare ai “cattivi” che
vengono eliminati dai “buoni”. Se questi bombardamenti – che ovviamente non
sarebbero tanto chirurgici – avvenissero, vuol dire che quella era la linea di
politica estera decisa dalla potenza chiamata Russia, sic et simpliciter.
E in politica estera ci sono concetti tabù: il primo è “giustizia”, poi ci
sono “amicizia”, “democrazia” e infine “libertà”. Ce n'è invece uno
obbligatorio: interessi.
È difficile
ammetterlo, persino capirlo, ma il nostro problema non è quello di rendere
giustizia ai massacrati, ai torturati, agli sgozzati, ai bombardati, ai
crocefissi, ai bruciati vivi, alle donne e alle bambine violentate, alle madri
lapidate, ai bimbi uccisi per inscenare le false flag chimiche.
No, questi martiri rimarranno nei cuori e nella coscienza dei loro cari
e di chi ha sete di giustizia finché essi vivranno, ma alle vittime non sarà
resa mai vera giustizia. Poi rimarrà solo un rumore di fondo, continuo,
disturbante, ma inesprimibile, prossimo all’oblio.
Possiamo solo
sperare, e aiutare fattivamente questa speranza, che il piano criminale che ha
falcidiato quegli innocenti fallisca. Questa sarebbe già una sorta di
giustizia. Perché fallisca gli aggressori USA, NATO, Saud, Turchi e Qatarioti
(col solito appoggio attivo israeliano, britannico, francese e UE) devono essere
messi in grado di non poter nuocere. E la prima cosa da fare è quindi gettare
scompiglio nel loro fronte, nelle loro alleanze.
La posta in
gioco non è la giustizia, ma la vita sulla Terra, perché negli Usa (e in Israele) c’è chi pensa seriamente al first
strike, cioè pensa che sarebbe il caso di rischiare una guerra atomica
totale (in realtà sarebbe garantita). Allora, anche se non sono immacolati
– anzi, a volte non lo sono proprio – bisogna fare in modo che chi si oppone a
questa follia abbia la meglio in quei Paesi e all’interno del loro fronte.
Ben venga
quindi l’avvicinamento tra Riad e Mosca, così come quello già iniziato della
Turchia e quello del Qatar, avvicinamento, questo, “comprato” con una bella
quota di azioni della Rosneft. E ben vengano anche gli strani rapporti di
odio-amore tra Russia e Israele.
Niente di
tutto questo è edificante, ma tutto questo può essere utile.
Il tempo è
contro l’Impero statunitense - che in questa fase storica è il pericolosissimo
aggressore globale - e Russia e Cina devono guadagnare tempo. In un punto del
prossimo futuro non sarà più possibile, nemmeno ai più folli, pensare a una
guerra totale. A quel punto, quindi, dobbiamo arrivare. È un
obbligo etico, è un obbligo verso i nostri figli e l’umanità tutta. Per chi è
credente è un obbligo verso il Signore, che tutti gli altri obblighi racchiude.
Non solo, se si guadagna tempo sarà anche sempre più difficile fare le guerre
parziali, cioè i sanguinosissimi “pezzetti” di guerra mondiale che vediamo da
un quarto di secolo a questa parte, per dirla con papa Francesco.
Queste, al
contrario della guerra totale, sono tuttora possibilissime, come dirò adesso
nel mio commento politico. E quindi bisogna renderle fin da ora più difficili.
Passiamo
allora al piano più prettamente politico.
Il “progetto
ISIS” sta andando in frantumi (da qui molte delle motivazioni di quegli
“avvicinamenti” alla Russia). Ora assistiamo ad altri due progetti. Il primo è
il “progetto Kurdistan”. L’SDF/YPG curdo si è rivelato essere semplicemente
una Legione Straniera al servizio di Washington,
esattamente come prima l’ISIS era una Legione Straniera al servizio dei Sauditi
e, quindi, degli USA.
È una Legione
Straniera per il ruolo che sta ricoprendo e per il fatto che le regioni che ha
“liberato”, in gran parte non sono affatto curde e l’YPG/SDF non vuole
ridarle alla Siria, ma ci compie continue pulizie etniche per
“curdizzarle” (le ONG e i dirittumanisti non dicono nulla, nemmeno stanno a
sentire le denunce dei prelati e dei vescovi che vivono là). Il vantaggio per
gli USA è che questa Legione Straniera è direttamente sotto il suo controllo e
quindi aliena dalla molteplicità di interessi che l’ISIS serviva.
[Per inciso, era prevedibile, e tuttavia insopportabile, che oggi noi si
debba sorbire la santificazione di persone come Karim Franceschi, che con lo
stemma di Mao all’occhiello e tanti begli ideali “marxisti” e “libertari” nella
zucca, si sono messe al servizio di questa Legione Straniera, cioè al servizio
della CIA e del Pentagono. Se concedo loro che lo hanno fatto per idealismo,
devo arrivare alla conclusione che l’idealismo spesso fa fare idiozie. In tutti
i casi le conclusioni descrivono uno scenario penoso.]
I loro amici
curdi sono anche quelli che stanno agevolando il secondo piano imperiale nella
regione. Cioè il riciclaggio dei rimasugli dell’ISIS. Essi vengono
oggi riconcentrati, reinquadrati e riaddestrati nella base americana di
al-Tanf, in territorio siriano al confine con la Giordania – quindi una base
totalmente illegale per il diritto internazionale. Sono in gran parte
provenienti da al-Raqqa e da Deir-Ezzor, arrivati lì con l’aiuto statunitense e
la complicità curda (tutto documentato da informazioni di intelligence e da
foto satellitari e aeree rese note dalla Russia).
Questo nuovo
esercito, che è composto all’incirca da 20mila uomini, servirà a molti scopi.
Innanzitutto
per operazioni di terrorismo e guerriglia in vista di un possibile
nuovo conflitto nell’area. Un conflitto che forse partirà dal Libano,
investirà di nuovo la Siria e l’Iraq e solo un miracolo ne terrà fuori l’Iran.
E il suo preludio potrebbero proprio essere le dimissioni - ostili ad Hezbollah
e al presidente libanese, il generale cristiano Michel Aoun - che il premier
libanese Saad Hariri ha annunciato, guarda un po’, proprio dall’Arabia Saudita.
Sia i sauditi che Israele sono spaventati dal successo di
Hezbollah e dei corpi militari iraniani in Siria e vogliono distruggere ogni
possibilità di consolidamento del cosiddetto “asse sciita”.
Ma questi
conflitti devono essere iscritti nella crisi sistemica globale. In
essa le cose non stanno mai ferme e una strategia messa a punto oggi può rivelarsi
controproducente in poco tempo o non essere più attuabile. Perché lo scenario
muta e perché qualcuno, anche tra i cattivi, guarda più in là. In termini
sistemici, il caos protratto in Medio Oriente significa anche uno stop alle nuove vie della seta e quindi
a una globalizzazione 2.0, cioè non più sottomessa agli interessi statunitensi e
di importanza vitale per moltissimi Paesi, tra i quali quelli europei.
Ecco allora
l’opposizione europea alla minaccia di Trump di “de-certificare” il “nuclear deal” con l’Iran e la recente
contestazione dell’Agenzia nucleare dell’ONU nei confronti del presidente
americano.
Ecco il
crescere dei mugugni europei contro il protrarsi delle sanzioni alla Russia. E,
perché no, ecco che il Nobel per la pace viene assegnato all’International Campaign to Abolish Nuclear
Weapons (ICAN). Ecco i sospetti su possibili voltafaccia della Germania
(uno per tutti, si legga questo articolo - in realtà una sintesi di un articolo più vasto - di George Friedman, da leggere bene ma con occhio critico).
Ma ecco
allora anche il secondo compito della Legione Straniera ex ISIS
riciclata: condurre un pressing terroristico contro la UE per
evitare che segua le sirene orientali (e questa minaccia dobbiamo
denunciarla a squarciagola prima che succedano tragedie).
Se dunque il
riavvicinamento Arabia Saudita-Russia servisse ad evitare queste nuove
carneficine, sarebbe già un buon risultato.
La
successione degli eventi in Arabia Saudita è stata frenetica, tipica della
frenesia delle fasi finali (e lunghe) delle crisi sistemiche. Pochi giorni dopo
la sua visita a Mosca il principe reale Mohammad
Bin Salman, in quanto presidente di un’Alta Commissione Anticorruzione
creata ad hoc dal padre, re Salman, ha ordinato una clamorosa retata:
11 principi della Casa Saud, 4 ministri in carica, dozzine di altri funzionari.
Tra di essi il principe al-Waleed Bin Talal, ultramiliardario, azionista di
riferimento di Twitter, CitiBank, Four Seasons e Lyft (è stato anche socio di
Rupert Murdoch). E, soprattutto, il punto di riferimento della CIA in
Arabia Saudita.
Diversi commentatori
“addentro alle segrete cose”, dicono che Mohammad abbia fatto il passo più
lungo della gamba, che si è isolato dal resto della Casa, essendo sostenuto
solo dal padre che è sì re, ma ha contro quasi tutti i parenti. Ed è un
avventurista perché si è messo in rotta di collisione con la CIA e con
l’Esercito del Regno. Cioè sostanzialmente è un pazzo che si è scavato la fossa
da solo.
Ma Mohammad
non sembra un folle.
Penso invece
che a Mosca abbia ricevuto la promessa di qualche tipo di appoggio, di “copertura
aerea”. E non solo a Mosca. Prima del sorprendente e inedito viaggio a Mosca di
Mohammad, a Riad ne aveva compiuto uno Donald Trump. Che Mohammad sia anche una
pedina della lotta tra il Presidente e la CIA/neo-liberal-cons? Una lotta che sembrava persa dal presidente in
carica che però è improvvisamente tornato alla controffensiva con la minaccia
delle carte segrete sull’omicidio Kennedy, con lo scandalo Weinstein-Hollywood
(centro di propaganda per i Democrats e
di riciclaggio dei loro fondi neri), con lo scandalo Uranium One e quello “del Dossier Russia”, una controffensiva che
ha fortemente indebolito Hillary Clinton (con sempre meno potere e sempre più
scaricata dal suo fronte, dai media che la osannavano e persino dagli amici e dalle amiche –
automaticamente accusati di essere agenti della propaganda russa, siamo e ormai
alle patologie psicotiche; una Clinton vista come una palla al piede e da
qualcuno addirittura già con un piede in galera).
Una lotta
fuori dai radar dei media mainstream ma
davanti agli occhi di tutti.
Ebbene, che
rassicurazioni avrà dato il Presidente al Principe? Perché di sicuro Mohammad
ne deve aver ricevute per arrestare il beniamino locale della CIA e altri
mammasantissima, posto, per l’appunto, che non sia un folle.
Perplessità
ha suscitato tra i commentatori anche la sua Vision 2030, ovverosia il
piano di differenziazione dell’economia saudita che per quella data non dovrà
più basarsi sull’esportazione netta di petrolio. Mohammad deve avere buone
ragioni per perseguire questo progetto. Di esse dovremo riparlare, perché
coinvolgono le risorse energetiche planetarie. Qui sottolineo solo che di
sicuro questo piano implica un cambiamento sensibile nella politica estera
dell’Arabia Saudita e la fine del rapporto privilegiato e a doppio filo con gli
Stati Uniti, a favore di uno slittamento verso il Gruppo di Shanghai, cioè
verso l’Eurasia. E’ la logica della crisi sistemica che detta questi
slittamenti (e ogni Paese sta lavorando alla propria Vision 2030, spesso senza dirlo troppo in giro, vedi i Paesi
europei: da che altro deriva la famosa “instabilità europea”?).
La retata è
un atto dovuto in questa Vision, per via dei legami politici di
alcuni arrestati coi neo-liberal-cons americani (e Trump si
ricorda bene i milioni dati dai Saud alla Clinton per la sua campagna
elettorale) e per via della loro visione delle cose, totalmente statica, legata
alle rendite petrolifere e allo status quo delle relazioni internazionali
saudite.
Lo status
quo, così come il legame doppio Washington-Riad, è infine basato sul wahhabismo, la visione settaria,
estremistica, fondamentalista dell’Islam che da più di due secoli fa da
sostegno ideologico alla Casa Saud. Ecco allora il principe Mohammad che
auspica che l’Arabia Saudita si faccia promotrice di un “Islam moderato,
aperto al mondo e a tutte le religioni” (e questo vorrebbe dire anche fine
della strategia di radicalizzazione per arruolare carne da cannone e quadri
jihadisti da scatenare in mezzo mondo – un’operazione che adesso ha come
oggetto i Curdi).
Se è questo
che gironzola dentro la testa quasi-coronata di Mohammad Bin Salman, o è
veramente matto da legare o ha fatto i suoi conti, ma con l’aiuto di qualcuno.
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