di
Paul Joseph Watson.
Con
nota di Pino Cabras in coda all'articolo.
La famosa telefoto ANSA sul ritrovamento di Aldo Moro, il 9 maggio 1978.
In mezzo alle feroci polemiche scatenate dall’accordo che ha visto la liberazione di cinque talebani, l’ex funzionario del Dipartimento di Stato Steve Pieczenik ha rivelato in esclusiva all’Alex Jones Show di essere stato incriminato dall’amministrazione Obama per complicità nell’assassinio delo statista italiano Aldo Moro, in quanto si era rifiutato, a quel tempo, di negoziare con i terroristi delle Brigate Rosse.
Pieczenik ha rivelato in esclusiva a Infowars di aver recentemente ricevuto un mandato di comparizione dall’FBI della Florida, su intimazione sia di Eric Holder a nome del Dipartimento della Giustizia, sia del giudice distrettuale della Florida Cecilia Altonaga, che richiede la sua comparizione e l'eventuale incriminazione per aver seguito la “politica della fermezza”, rifiutando di negoziare con i terroristi, al tempo in cui lavorava per il Dipartimento di Stato durante il rapimento e il successivo assassinio dell'eminente politico italiano Aldo Moro nel 1978.
«Ho subito un’incriminazione per...essere stato coerente nel seguire la nostra “politica della fermezza” rifiutando di collaborare con i terroristi delle Brigate Rosse...35 anni dopo il Dipartimento di Stato e il Dipartimento di Giustizia, agli ordini di Obama, giusto una settimana fa, mi hanno intimato di comparire davanti alla Corte....su ordine di un procuratore italiano, con l’implicita ipotesi di venire incriminato nel caso non dovessi rivelare cosa ho fatto nel salvare l’Italia e nel rifiutare la negoziazione con i terroristi», ha dichiarato Pieczenik all’Alex Jones Show.
Pieczenik ha negato che queste accuse contro di lui abbiano a che fare con i suoi frequenti e controversi commenti espressi nel corso degli ultimi anni e quasi tutti trasmessi dall’Alex Jones Show.
Come ricordano i resoconti giornalistici, Pieczenik, uno sperimentato gestore di crisi internazionali nonché negoziatore di ostaggi per il Dipartimento di Stato, ha dichiarato che era necessario “sacrificare” Moro per la “stabilità” dell’Italia al fine di impedire che l’Italia cadesse in mano ai comunisti.
Il ruolo di Pieczenik era quello di rendere chiaro ai terroristi delle Brigate Rosse che nessun negoziato avrebbe avuto luogo e che gli Stati Uniti già consideravano Moro come morto.
Moro venne rapito da terroristi armati che lo prelevarono dalla sua auto a Roma e fu tenuto prigioniero per 55 giorni prima che lo uccidessero sparandogli.
Si era impegnato per stabilire un’alleanza tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano: una scelta che, come Henry Kissinger disse alla moglie di Moro, questi avrebbe “pagato a caro prezzo”.
La potenziale incriminazione di Pieczenik per aver sostenuto la “politica della fermezza” con i terroristi è estremamente rilevante data la valanga di critiche che in questi giorni vengono rivolte all’amministrazione Obama in merito all’accordo che ha permesso la liberazione del Sergente Bowe Bergdahl, un disertore, in cambio di cinque prigionieri talebani.
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Fonte: http://www.infowars.com/obama-administration-pursues-ex-state-department-official-for-refusing-to-negotiate-with-terrorists/
Traduzione per Megachip a cura di Tullio Cipriano.
Link su Megachip: http://megachip.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=104695&typeb=0.
Nota di Pino Cabras.
Steve R. Pieczenik è una vecchia conoscenza, l'autentico regista del caso Moro, un habitué dei media “controinformativi” di Alex Jones, eppure uno che frequenta i piani alti del potere globale, come vedremo. Ne parliamo, Giulietto Chiesa e io, nel libro Barack Obush. È un personaggio la cui biografia riempirebbe una biblioteca: «È al tempo stesso tanto l'ispiratore quanto il ghost-writer di molti romanzi spionistici di Tom Clancy, e autore egli stesso. [...], uomo dalla carriera mirabolante, che ha frequentato contemporaneamente Harvard e il Massachusetts Institute of Technolgy (cumulando le disparate qualifiche di medico psichiatra e di esperto di relazioni internazionali), che viene considerato uno dei massimi esperti al mondo di psy-ops (le operazioni di guerra psicologica), che fa parte del rockefelleriano Council on Foreign Relations, il think tank dell’élite globale.
D'accordo, un originale. Se non fosse che è stato anche vice sottosegretario con ministri del calibro di Henry Kissinger, Cyrus Vance, James Baker negli anni più delicati della Guerra Fredda, quando – ancora giovanissimo - ricopriva in giro per il mondo incarichi in stile “sono il signor Wolf, risolvo problemi”, quisquilie tipo orientare la trattativa durante il sequestro di Aldo Moro (era lui il super-consulente americano che si vedeva costantemente al fianco di Francesco Cossiga, ministro degl'Interni, nei fatidici 55 giorni).»
In cosa consisteva questo orientamento della trattativa?
Pieczenik dichiarò ad Emmanuel Amara, un giornalista investigativo francese, nel libro-intervista Abbiamo ucciso Aldo Moro:
«Francesco Cossiga ha approvato la quasi totalità delle mie scelte. Moro era disperato e doveva senza dubbio fare ai suoi carcerieri rivelazioni importanti su uomini politici come Andreotti. È stato allora che Cossiga e io ci siamo detti che era arrivato il momento di mettere le BR con le spalle al muro. Abbandonare Moro e lasciare che morisse con le sue rivelazioni. Sono stato io a preparare la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Aldo Moro, allo scopo di stabilizzare la situazione italiana».
Una piena rivendicazione della logica che ha ispirato la strategia della tensione.
In realtà, come ha dichiarato Ferdinando Imposimato, il magistrato che istruì le inchieste sul caso moro nonché autore con Sandro Provvisionato del libro "Doveva morire", Chiarelettere 2008) «non c'è stata alcuna fermezza, c'è stata una vergognosa messa in scena: il falso comunicato numero 7 che concorse ad accelerare la uccisione di Moro da parte delle BR. Il piano fu attuato da uomini della P2 al vertice dei servizi militari, attraverso mafiosi della Magliana. Lo disse Pieczenik e lo ripetè Danilo Abbruciati al giornalista Luigi Cavallo: “per Moro abbiamo fatto tutto e subito”».
L'articolo odierno su Pieczenik fa un riferimento a una rogatoria italiana rivolta alle autorità statunitensi. Se rievochiamo la cronaca del settembre 2013 dovremmo dedurre che si tratti dell'indagine del pm Luca Palamara, titolare del più recente procedimento aperto sul sequestro e l'omicidio dello statista democristiano.
Eppure, data l'abilità e l'opacità con cui Pieczenik abitualmente imprime gli effetti del suo “spin” mediatico, è d'obbligo chiedersi cosa veramente voglia muovere, e se ci siano in ballo ricatti legati alla gestione di trattative controverse più recenti, come pure lascia presagire l'autore dell'articolo.
La carriera di Pieczenik non si era certo fermata al caso Moro. Lavorò «con Saddam Hussein, quand'era nostro alleato, e contro Saddam, quando non lo era più»; guidò la squadra dei negoziatori durante gl'incontri israelo-egiziani di Camp David; partecipò alla trattativa durante la crisi degli ostaggi USA in Iran nel 1979; fu mandato dal governo americano a comunicare a Manuel Noriega che doveva andarsene da Panama, e tante altre cose ancora.
In Barack Obush ci divertiamo a snocciolare i picchi più bizzarri della sua fiammeggiante carriera: «E se molti dei lettori possono vantare alcune altre caratteristiche in comune con Pieczenik – come, ad esempio, essere maestri di pianoforte, essere nati all’Avana da madre ebrea russa e padre polacco, crescere a Tolosa e New York, aver scritto un musical all’età di otto anni - e mentre altri lettori ancora saranno autori di corposi e citati saggi sulla “Disfunzione mitocondriale e le vie molecolari per le malattie”, scritti fra un romanzo best-seller e un altro, oppure saranno insigniti per due volte dell’Harry C. Solomon Award della facoltà di medicina di Harvard e ispireranno un ruolo dell’attore Harrison Ford – si può essere quasi certi che nessuno dei lettori potrà vantarsi, senza apparire un fanfarone, di aver conosciuto personalmente Osama Bin Laden e aver lavorato con lui, naturalmente “quand'era nostro alleato”.
Steve R. Pieczenik può dirlo: ha incontrato molte volte Osama, ha collaborato con lui in Afghanistan, conosce il milieu del personaggio, sa come è stato usato, da chi e perché, e in questi anni ha continuato a frequentare gli ambienti dell’amministrazione statunitense che curavano il dossier bin Laden. Pieczenik è insomma una voce molto interna, legata all’ala più realista dell’establishment nordamericano. Soprattutto conosce – e non ne fa mistero - le strategie che hanno maneggiato il terrorismo.»
Tutto limpido, come no?
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