di Piero Pagliani.
da Megachip.
Prima osservazione. La crisi in corso in Ucraina è l’ennesima riprova che le crisi sistemiche portano inesorabilmente a guerre mondiali. Per favore, basta stupirci delle guerre. La crisi sistemica del Seicento fu risolta dalle guerre anglo-olandesi che durarono più di vent’anni. La crisi sistemica scorsa fu risolta da una guerra mondiale di trent’anni che iniziò nel 1914 e terminò solo nel 1945. La guerra mondiale scatenata dall’odierna crisi sistemica è iniziata ufficialmente l’11 settembre del 2001, cioè tredici anni fa e oggi rischia di entrare in una fase nuova e più devastante.
Seconda osservazione. L’odierna
crisi sistemica, si è conclamata ufficialmente il 15 agosto del 1971
quando Nixon dichiarando che il Dollaro non era più convertibile in
oro, dichiarò implicitamente che la moneta imperiale era
garantita esclusivamente dalla potenza politica, militare,
diplomatica, culturale e solo infine economica degli Stati Uniti. Gli
stessi motivi per cui quella moneta aveva corso mondiale
obbligatorio. Basta, per favore, ripetere che la crisi attuale è
iniziata con lo scoppio della bolla dei subprime o, al più,
con quella della “New Economy”. Sono due episodi della
crisi sistemica principale.
Terza osservazione. La crisi
ucraina sembra confermare l’ipotesi che ho avanzato in “Al
cuore della Terra e ritorno”: siamo entrati in una fase
di deglobalizzazione, ovvero di suddivisione del sistema-mondo in
compartimenti geo-economici separati e potenzialmente contrapposti.
Un’altra conferma è il Transatlantic
Trade and Investment Partnership (Ttip), cioè la
cosiddetta “Nato economica”, in corso di negoziazione. Di
conseguenza la finanziarizzazione come l’abbiamo sperimentata a
partire dal Volcker shock del 1979 e poi diventata virulenta
negli ultimi venti anni, subirà una radicale trasformazione, dato
che era sostenuta dalla globalizzazione. In relazione a questa
accezione del concetto di “finanziarizzazione”, dobbiamo
aspettarci una fase di definanziarizzazione che accompagnerà,
anche se non in modo meccanico, quella di deglobalizzazione. Questa
definanziarizzazione richiede di scambiare il più possibile valori
finanziari con valori reali. Il che, in parole povere, vuol dire
cercare di riempire un enorme sacco vuoto con ricchezza reale, cosa
che non può non portare a disastri e scompensi per innanzitutto
richiede un aumento del saggio di profitto (da cui le “riforme del
lavoro”) e l’assalto all’arma bianca del dominio pubblico. Come
placebo per l’ormai irrecuperabile “piena occupazione”, al fine
del necessario controllo sociale verrà probabilmente introdotto un
“reddito di sussistenza”, operando così una ghettizzazione
istituzionalizzata di parti sempre più ampie delle crescenti
“classi subalterne”, per più di una generazione. Uno scenario
sociale, culturale e antropologico agghiacciante.
Quarta osservazione. Con la
crisi ucraina gli Stati Uniti e la Nato sono ritornati ai vecchi
amori della Guerra Fredda: le forze politiche fasciste.
L’accoglienza di Kerry al nazista Oleh Tjahnybok, leader di
Svoboda, ne è l’emblema. Nel 2009 era stata la volta
dell’Honduras a subire un golpe old
fashion orchestrato dall’entourage della
famiglia Clinton ed eseguito da gorilla fascistoidi addestrati nella
“Scuola delle Americhe”. In Medio Oriente ormai non si nasconde
più l’utilizzo imperiale di manovalanza fondamentalista
antidemocratica. Ad ogni modo, in Europa era dai tempi del colpo
di stato dei colonnelli in Grecia che non si assisteva più a un uso
aperto di personale fascista in Europa (utilizzo coperto c’è
stato invece ad esempio durante le guerre che hanno distrutto la
Jugoslavia. Anzi, possiamo considerare le guerre nei Balcani un punto
di snodo, in cui forse per la prima volta cooperarono con
le forze imperiali sia fascisti sia jihadisti. La
differenza è che oggi, per l’appunto, il loro utilizzo è
palese, aperto, quasi rivendicato.
Quinta osservazione. Il ricorso
da parte imperiale di forze che formalmente sono direttamente
contrastanti coi valori professati dall’Impero, è un probabile
sintomo dell’indebolimento delle sue capacità egemoniche,
cioè delle sue capacità a far condividere come universali i propri
interessi particolari. Da tempo, infatti, il “modello”
occidentale ha dimostrato di non essere in grado di essere
universalmente applicato e di creare più problemi di quanti ne
riesca a risolvere, sia in termini di sviluppo, sia in termini di
stabilità sociale e internazionale.
Sesta osservazione. Il colpo
di stato in Ucraina (ché tale è stato, indipendentemente dal
fatto che il regolarmente eletto presidente Janukovič
fosse corrotto e incapace), eseguito come avevo previsto assieme ad
altri osservatori, pochi purtroppo, durante lo svolgimento dei giochi
olimpici di Soči, è
avvenuto grazie a finanziamenti statunitensi e tedeschi (non solo
accertati, ma addirittura dichiarati), è stato politicamente
sostenuto, a volte persino in loco, da pezzi grossi della politica e
della diplomazia Atlantica (Kerry, McCain, Ashton) e infine è stato
attuato utilizzando reparti paramilitari fascisti a volte addestrati
direttamente in basi Nato. In poche parole, è stato un assalto
atlantico alle frontiere occidentali della Russia, con ciò
stracciando in una volta i Trattati di Parigi ed Helsinki su cui si
basava la sicurezza collettiva europea dopo la fine dell’Urss.
E’ stata quindi una mossa
pericolosissima, cosa che testimonia delle gravi difficoltà che
l’Occidente sta sperimentando a causa della crisi sistemica.
Settima osservazione. La
reazione della Russia era obbligata. Ciò non vuol dire che non
apra scenari da brivido, ma solo che segue ferreamente e
coerentemente la logica della terza guerra mondiale in cui
siamo immersi. L’avventurismo occidentale, che è testimone di una
preoccupante dose di arrogante disperazione, sta nel fatto che
si è compiuta la mossa ucraina pur sapendo che al 90% Mosca avrebbe
reagito in modo brutale e deciso. Do per scontato che le dinamiche
concitate di questo scorcio di crisi sistemica possano indurre anche
mosse particolarmente pericolose e imbecilli. Ma qui mi sembra
che siamo di fronte a una inquietante amnesia storica. Non ci si
ricorda più che la Russia (e spero che si capisca perché non dico
“Unione Sovietica” in questo contesto) al costo di centinaia di
migliaia di morti sgominò la VI armata del generale
Friedrich Paulus a Stalingrado, invertendo le sorti della II
Guerra Mondiale? Non ci si ricorda più che la Russia al prezzo di
venti milioni di morti ricacciò i nazisti fino a issare la
bandiera rossa sul Reichstag? Si pensa che quelle cose siano
successe perché c’era Stalin al Cremlino? Sbagliato. Stalin ebbe
bisogno di evocare non una resistenza comunista, bensì la Grande
Guerra Patriottica benedetta dai pope.
Una guerra le cui radici affondavano totalmente nella tradizione russa, dove i Tedeschi erano i Cavalieri Teutoni e l’Armata Rossa gli stormi di contadini-soldati guidati dal principe Aleksandr Nevskij.
Non dice niente il fatto che Putin abbia avuto per la Crimea anche l’appoggio delle opposizioni?
Cosa credete che pensino i Russi quando vedono i nazisti della Galizia prendere in ostaggio le piazze ucraine? Non si chiamava “Galizien” la prima unità non tedesca di SS?
Una guerra le cui radici affondavano totalmente nella tradizione russa, dove i Tedeschi erano i Cavalieri Teutoni e l’Armata Rossa gli stormi di contadini-soldati guidati dal principe Aleksandr Nevskij.
Non dice niente il fatto che Putin abbia avuto per la Crimea anche l’appoggio delle opposizioni?
Cosa credete che pensino i Russi quando vedono i nazisti della Galizia prendere in ostaggio le piazze ucraine? Non si chiamava “Galizien” la prima unità non tedesca di SS?
Se i decisori occidentali non hanno più
voglia di leggersi la Storia si vadano almeno a vedere il film di
Eisenstein e quando
il Cavalieri Teutoni caricano i Russi sul lago Peipus gelato si facciano venire anche loro un po’ di sano, istruttivo e saggio
gelo alla fronte vedendo come è andata a finire:
Morale. C’è necessità di
Pace. C’è un’enorme necessità di Pace. C’è
un’urgentissima necessità di Pace. Per il nostro Paese c’è
bisogno di una politica di neutralità. Innanzitutto dovrebbe
ritornare a svolgere quel ruolo di mediazione che lo ha
contraddistinto a partire dalla fine della II Guerra Mondiale almeno
fino all’inizio degli anni Novanta. Già questo sarebbe un notevole
passo avanti. Alternativamente, il nostro Paese potrebbe essere
tirato dentro una guerra devastante in men che non si dica, senza che
nemmeno se ne accorga. C’è bisogno che si rilanci un movimento di
pacifismo attivo. C’è bisogno di capire che guerra e crisi sono
due facce della stessa medaglia. C’è bisogno di un rilancio
dell’idea stessa di “democrazia”. All’inizio della crisi, tra
gli anni Sessanta e Settanta c’era coscienza di ciò. Oggi che
questa coscienza è ancora più necessaria di allora siamo invece
paralizzati in uno stato catatonico sia delle capacità di analisi e
comprensione, sia di quelle di mobilitazione politica. Non abbiamo
più la capacità di elaborare un’idea indipendente, che guardi al
di là del nostro naso. Al massimo siamo al carro dei problemi
suscitati dall’avversario e riusciamo – spesso malamente – solo
a ragionare su quelli. Eppure siamo di fronte a un cambio di
civiltà. Forse a un cambio dell’idea stessa di civiltà.
Dovremmo con tutte le nostre forze evitare che ciò si trasformi in
una catastrofe, perché la catastrofe non è assolutamente
ineluttabile (la storia del mondo è piena di cambiamenti di
civiltà), ma evitarla dipende da noi. Eppure non riusciamo a
far niente e la catastrofe la rischiamo in continuazione.
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