di
Pino Cabras.
È di
nuovo a piede libero Sakineh Mohammadi-Ashtiani, la donna
iraniana che aveva ucciso il marito. Concita De Gregorio, quand'era
direttrice de l'Unità, mise il suo volto accanto alla testata
per mesi e mesi.
Ma
Sakineh non è stata impiccata, no davvero. Eppure gli allarmi
rilanciati fino a l'altro ieri erano fortissimi: stanno per
ucciderla, sì, lei, quella che rischiava la lapidazione perché
adultera. In realtà perché donna in un regime che odia le donne. Ma
non era vero niente.
Giulietto
Chiesa e io abbiamo dedicato un intero capitolo all'incredibile
manipolazione legata a Sakineh nel nostro libro "Barack
Obush". Le notizie sull'uxoricida iraniana erano in un
universo parallelo, in cui l'informazione fingeva di non vedere i
dettagli. Soprattutto quelli che avrebbero fatto sgonfiare il caso
già da tempo.
I media
ignoravano ad esempio la minuzia secondo cui la legge iraniana pone
l'esecuzione della pena di morte per omicidio a discrezione dei
familiari della vittima. E già allora era possibile sapere che i
congiunti del marito accoppato da Sakineh (e dal di lei amante)
avevano rinunciato a chiedere la pena di morte. In Iran si è sempre
fatto largo uso della disposizione che permette di annullare
l'esecuzione delle pene, inclusa quella capitale, se sopravviene il
perdono dei parenti delle vittime. Ed era così anche per lei.
Bastava chiederlo.
Ma la
fabbrica delle notizie sul caso serviva per far montare un'isteria
anti-iraniana, in funzione di una demonizzazione, un clima di guerra.
Non si contano gli articoli grondanti falsità scritti in proposito
da Bernard-Henri Lévy.
Centinaia
di comuni italiani pavesarono le facciate dei municipi con
gigantografie di Sakineh.
Intanto,
il corpo di Teresa Lewis,
una "Sakineh statunitense", giace dal 23 settembre 2010, giorno
dell'esecuzione, in qualche dimenticato cimitero, senza che
«l'Unità» si sia presa la briga di mettere una sola volta la sua
foto a fianco della testata, come invece ha fatto ossessivamente per
tanti mesi per l'imputata iraniana. La morte di Teresa mediante
iniezione letale si è guadagnata soltanto qualche distratto
trafiletto. Per lei, neanche una candela in piazza.
Come
nascono queste distorsioni della percezione, il diverso peso di una
vita rispetto a un'altra? Come mai un sistema penale è
improvvisamente sotto gli occhi di tutti (l'Iran) e altri sono
dimenticati (gli USA, l'Arabia Saudita?). Tutte le pene di morte
sono uguali, ma alcune sono più uguali delle altre.
E
allora possiamo concludere quello che era evidente fin dall'inizio.
I
fomentatori della campagna su Sakineh sono stati abilissimi.
Si
parte da una causa in sé giusta, su cui già si impegna Amnesty
International come in mille altri casi che nessuno di norma si fila.
La si
deforma stuzzicando il pregiudizio antiislamico e dipingendola come
l'oppressione del Regime sulle donne.
La si
personalizza nello stile del "reality show" in base
all'assunto che se di un individuo conosci il nome automaticamente
diventa un tuo "prossimo" e tirarti fuori sarebbe disumano.
Come fai a fare un distinguo senza apparire cinico?
Si crea
un evento permanente che poi cammina da solo e diventa di
moda, con i VIP - compresi quelli davvero perbene - che
accomunano la loro faccia e la loro lacrima con quel nome concreto.
Si
lanciano coinvolgenti aggiornamenti che trascinano la stampa
"progressista" e chi ha un approccio impegnato alle notizie. È
perfetta, per subire l'operazione, la pancia della sinistra, un
vero ventre molle della propaganda.
Infine
si scarica il tutto sull'immagine demonizzata di Teheran per
costruire il consenso preventivo alla prossima guerra contro l'Iran,
durante la quale centinaia di migliaia di donne - come in Iraq e in
Afghanistan - saranno lapidate dalle bombe di un Occidente così
femminista da non voler disturbare con un ricordo i loro troppi nomi.
Chi pianifica la guerra sa che tutto questo funziona, va proprio
liscio, di lusso: basta vedere il consenso che ha fatto volare,
meglio di qualsiasi propellente, gli ordigni all'uranio impoverito
che hanno fatto strage di civili in Libia, mentre la sinistra
istituzionale applaudiva.
Alla
fine la storia vera, che aveva fatto da esca, viene dimenticata e
resta soltanto il messaggio di esecrazione e di odio che è il
vettore finale. Quello
che, magari, resta lì, inattivo, sotto il filo della coscienza, per
anni. Ma che risorge potente quando venga evocato da un'emozione
improvvisa. Ecco, quando l'emozione improvvisa viene stimolata
opportunamente, è la vigilia della guerra. Ma noi non lo sapevamo.
Fonte: http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=99999&typeb=0&Sakineh-e-libera-Come-previsto.
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