Siamo
stati zitti quando i nostri governanti hanno riscritto le
regole del commercio internazionale per consentire alle
multinazionali di spadroneggiare contro le piccole imprese, contro i
lavoratori, addirittura contro gli stati che corrono il rischio di
finire in tribunale se si azzardano a fare leggi che per difendere
ambiente e salute pongono limiti alle attività delle imprese
straniere.
Siamo
stati zitti quando ci hanno prospettato un’Europa costruita
sul principio supremo della concorrenza selvaggia.
Siamo
stati zitti quando ci hanno trascinato in una moneta unica senza
alcun meccanismo a difesa delle economie più deboli.
Siamo
stati zitti quando le imprese tedesche hanno avuto buon gioco
a invadere i mercati degli altri paesi europei grazie a leggi di casa
propria che hanno abbattuto i costi di produzione sulla pelle dei
loro lavoratori.
Siamo
stati zitti quando hanno progettato l’euro avendo come unico
obiettivo quello di renderlo appetibile per la finanza
internazionale affinché il suo valore salisse sempre più su.
Siamo
stati zitti quando il governo dell’euro è stato affidato al
sistema bancario europeo che ha a cuore solo l’interesse delle
banche contro i cittadini e i governi.
Siamo
stati zitti quando i governi sono stati scippati del potere di
stampare moneta non avendo nessun’altra possibilità di
finanziare i propri deficit se non ricorrendo a banche e investitori
privati che si comportano come strozzini.
Siamo
stati zitti quando i trattati europei hanno anteposto l’interesse
dei creditori ai diritti dei cittadini imponendoci l’austerity
come regola di vita.
Siamo
stati peggio che zitti. Siamo stati assenti considerando tutto
ciò roba noiosa da lasciare ai professionisti della politica.
Ed
è successo l’inevitabile.
Senza
un fronte popolare che mantenesse la rotta, la politica ha
deragliato. Ha trovato più conveniente mettersi d’accordo con i
poteri forti che in cambio di denaro hanno preteso regole a proprio
favore. Ed oggi che tutti i nodi vengono al pettine, non sappiamo da
che parte rifarci. Sopraffatti dalla complessità ci limitiamo alla
protesta rendendoci simili a bambini che strillano nella speranza che
qualcuno venga in loro soccorso per ripristinare i bisogni
insoddisfatti. La delega continua ad essere l’atteggiamento
dominante, ma ormai dovremmo averlo capito che solo la
partecipazione e la proposta possono tirarci fuori dai guai.
Ma
per proporre, prima ancora che idee di tipo tecnico, occorrono
chiarezze di obiettivi.
E
qui si aprono due strade di fronte a noi: quella della difesa
degli interessi corporativi e quella della difesa dei valori.
Ad oggi sembrano avere prevalso le logiche corporative, per cui le
piccole imprese, i professionisti, le partite iva di ogni ordine e
grado, scendono in strada per protestare contro tasse, vincoli
burocratici, ingerenza delle merci tedesche, che compromettono i loro
affari.
L’attenzione
rivolta al proprio ombelico, non si rendono conto che la crisi
è il frutto di una lunga concatenazione di eventi prodotti dai
meccanismi su cui questo sistema mercantil-finanziario è fondato:
concorrenza sfrenata, taglio dei salari, aggravarsi delle disparità,
licenza di azzardo fino al fallimento, intervento statale a favore
delle banche, indebitamento pubblico, austerity per garantire il
pagamento degli interessi.
In
definitiva, invece di andare all’origine della frana se la
prendono con gli ultimi sassi che cadono sulle loro teste. In
particolare la pressione fiscale, da sempre odiata, e l’euro, come
se il problema fosse l’estensione territoriale delle monete e non
il loro governo.
È
arrivato il tempo di capire che la situazione di impoverimento
in cui ci troviamo è il frutto di un’impostazione economica
organizzata per consentire ai forti di arricchirsi usando come
strategia la concorrenza sfrenata e la demolizione di tutto
ciò che è collettivo affinché ogni bisogno personale e sociale
sia trasformato in occasione di guadagno per loro.
Per
cui o arrestiamo questa logica o saremo perdenti. Finché il progetto
rimarrà il predominio dei forti, euro o lira, Europa o Italia, non
farà differenza.
Anzi
il ritorno ai vecchi confini nazionali può renderci ancora più
vulnerabili e più esposti al ricatto delle forze transnazionali
che libere di muoversi sullo scacchiere mondiale eviteranno i paesi
che osano sfidarle per rifugiarsi in quelli disponibili a soddisfare
i loro interessi.
Per
questo, la lotta per un cambio di progetto, ossia di valori, a
livello di più paesi europei, è la vera strada per uscire
definitivamente da una situazione di crisi che non è solo economica,
ma anche sociale e ambientale. Ed è proprio la difesa della
dignità personale di tutti, nel rispetto dei limiti del pianeta,
la battaglia di valori che dobbiamo condurre se vogliamo garantirci
un futuro.
Un
simile progetto richiede cambiamenti a tutti i livelli, da
quello globale a quello continentale, da quello
nazionale a quello locale, in numero così ampio da non
poterli esporre neanche in forma di elenco. Ma alcuni passaggi
meritano di essere evidenziati per la loro urgenza e la loro
importanza strategica.
Dopo
secoli di cultura mercantile ci siamo convinti che non esiste altra
formula economica all’infuori del mercato. Abbiamo dimenticato
che oltre alla produzione per la vendita affidata al mercato,
esiste anche la produzione gratuita per il godimento di tutti
affidata alla comunità.
Abbiamo
accettato di trasformarci in piccoli imprenditori di noi stessi che
intrattengono rapporti con gli altri solo sulla base della
compravendita e della concorrenza. Ma così facendo siamo finiti in
una guerra di tutti contro tutti: milioni di gladiatori pronti
al corpo a corpo con chiunque si pari davanti. Eppure dovremmo averlo
imparato che la logica del divide et impera è funzionale solo
al potere. Ai deboli, la storia lo ha dimostrato, conviene
l’alleanza, la cooperazione, la solidarietà. Per cui dovremmo
rafforzare e riformare la dimensione comunitaria in modo da
costruire una grande casa comune
dentro la quale tutti possano trovare rifugio come tripla
area di sicurezza.
Prima
di tutto la salvaguardia dei beni comuni
(aria, suoli, fiumi, boschi, spiagge, mari) perché la nostra
esistenza dipende da un ambiente in buona salute.
In
secondo luogo il soddisfacimento dei bisogni
fondamentali (acqua, cibo, alloggio, energia, salute,
istruzione e altro ancora) affinché la vita non sia più
un’angoscia, ma una gioia.
Infine
la garanzia di un lavoro affinché
tutti possano sentirsi utili e socialmente apprezzati.
Per
questo la nostra prima battaglia dovrebbe essere a difesa
dell’economia pubblica contro chi oggi vuole depredarla in nome del
debito. Basta continuare a farci spennare dai signori della
finanza sull’onda del senso di colpa. Se abbiamo duemila
miliardi di debito non è per colpa dei nostri eccessi di spesa, ma
degli interessi che ci hanno strangolato.
Per
cui non dobbiamo pagare solo noi ma pretendere che lo facciano
anche i creditori accettando riduzioni
sostanziose degli interessi e abbattimenti del capitale.
E sullo sfondo di tutto ciò, la riforma fiscale in senso progressivo, la riqualificazione della spesa pubblica per liberarci dalle spese inutili e dannose, la regolamentazione delle attività finanziarie per impedire la speculazione sui titoli del debito pubblico, la riforma dei trattati europei e della sovranità monetaria affinché l’euro sia messo al servizio degli stati per la creazione della piena occupazione, la promozione dei servizi pubblici, la soluzione del debito pubblico fuori dalle logiche di strangolamento.
Sogno
impossibile? Dipende da noi, dalla nostra capacità di smettere di
venerare il mercato come un dio assoluto e cominciare, invece, a
prenderci cura della nostra casa comune.
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Centro Nuovo Modello di sviluppo.
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1 commento:
paura!
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