28 marzo 2012

Siria: le soluzioni sono possibili invertendo le formule. Ecco come


di Johan Galtung – transcend.org.
Tratto da Megachip.

Ci sentiamo tutti disperati nell’assistere alle orribili uccisioni, e nel percepire la sofferenza di chi è privato di tutto, dell’intero popolo.
Ma che fare?
Non potrebbe essere che l’ONU, e i governi in generale, abbiano la tendenza a commettere sempre lo stesso sbaglio, ogni volta di nuovo, cioè mettere il carro davanti ai buoi?
La formula che usano di solito è:
[1] Liberarsi del Numero Uno visto come responsabile chiave, usando sanzioni; ergo:
[2] Cessate-il-fuoco, appellandosi alle parti, o intervenendo e imponendolo;
[3] Negoziato fra tutte le parti legittimate; ergo:
[4] Una soluzione politica quale compromesso fra le diverse posizioni.

Sembra così logico... 

C’è un responsabile chiave, il presidente Assad, che ordina gli ammazzamenti. Dunque via, liberarsi di lui con ogni mezzo!
Quindi la tregua e il cessate-il-fuoco; poi ancora i negoziati, e alla fine la soluzione emerge. 

Logico, va bene; ma forse non molto saggio.

Il Numero Uno: così come viene identificato dallo stesso interessato, dagli stranieri, e dai media appartenenti a una cultura occidentale orientata a individuare sempre il Numero Uno, è indubbiamente rilevante.
Ma proprio perché è così importante, può anche avere in mano qualche chiave per conseguire soluzioni. Potrebbe anche dimettersi o essere mandato via in seguito, ma prima si ascoltino le sue parole.
Il cessate-il-fuoco: ma perché, senza che ci sia una soluzione accettabile in vista? Non sarebbe forse una capitolazione, addirittura verso gli stranieri? Risulta utile come pausa nei combattimenti, come riposo per i belligeranti, e dà loro il tempo per ricollocarsi e riarmarsi; ma non è una condizione né necessaria né sufficiente per una soluzione.
Il negoziato: in presenza di una parte essenziale eliminata, e una capitolazione di fatto monitorata? L’ordine del giorno di chi ne risulterà così favorito?
Una soluzione politica? In effetti sì, ma sottostando a queste tre condizioni il risultato è dato anzitempo.

Guardiamo alla sequenza contraria: [4]-[3]-[2]-[1]. Cominciamo con una soluzione, poi un negoziato sui dettagli; se ha successo o è perfino avvincente, può emergere un armistizio. E allora, forse, il Numero Uno si dimette, avendo fatto la sua parte nel lavoro.
Ma come è possibile, per chiunque, trovare una soluzione, quando il massacro è fuori controllo? Beh, la motivazione è alta. Metti in atto un cessate-il-fuoco, la motivazione si attenua, come abbiamo visto in Sri Lanka. Il turismo si è ripreso, ma la ricerca di soluzioni è precipitata a zero, mentre la tregua veniva usata da entrambe le parti per gli obiettivi sopra menzionati.
Ma come può esserci una soluzione quando gli attori chiave sono armati fino ai denti? Chi ha detto che dovessero farlo? Hanno dei delegati; inoltre, il paese è pieno di gente che ha ragionato sui problemi, non solo su chi sia cattivo e chi sia buono. Gente che non è solo orientata alla vittoria, ma anche alle soluzioni.
La ricerca potrebbe volgersi alle soluzioni, non alla soluzione. Si facciano fiorire mille dialoghi in ogni quartiere, in ogni villaggio, arricchendo la Produzione di Idee Nazionale Lorda, PINL. E che ci siano facilitatori sostenuti dall’ONU, armati di competenze in materia di mediazioni, anziché di mitra e binocoli.
Per far questo si operi affinché le parti, fuori e dentro la Siria, si parlino. Le si lasci dichiarare i propri obiettivi e descrivere la Siria che vorrebbero vedere.

In primo luogo, un quadro degli obiettivi di alcuni contendenti esterni:
  • Israele: vuole una Siria divisa in parti più piccole, distaccate dall’Iran, lo status quo per le alture del Golan, e una nuova mappa per il Medio Oriente;
  • USA: vogliono quel che vuole Israele nonché il controllo su petrolio, gas, oleodotti e gasdotti;
  • Regno Unito: vuole quel che vogliono gli USA;
  • Francia: corresponsabile con il Regno Unito della colonizzazione post-Ottomana nella regione, vuole un’amicizia confermata Francia-Siria;
  • Russia: vuole una base navale nel Mediterraneo, e un “alleato”;
  • Cina: vuole quel che vuole la Russia;
  • UE: vuole sia quel che vogliono Israele e gli USA, sia quel che vuole la Francia;
  • Iran: vuole il potere sciita;
  • Iraq: a maggioranza sciita, vuole quel che vuole l’Iran;
  • Libano: vuol sapere cosa vuole;
  • Arabia saudita: vuole il potere sunnita;
  • Egitto: vuole emergere come gestore di conflitti;
  • Qatar: vuole quel che vogliono l’Arabia saudita e l’Egitto;
  • Stati del Golfo: vogliono quel che vogliono USA e Regno Unito;
  • Lega Araba: vuole che non ci sia alcuna ripetizione della Libia, si cimenta con i diritti umani;
  • Turchia: vuole affermarsi in relazione ai successori (Israele-USA) dei successori (Francia-Regno Unito-Italia) dell’Impero Ottomano, e una zona cuscinetto in Siria.
  • ONU: vuole emergere come il gestore dei conflitti.
Su tutto questo incombe una nuvola oscura: la Siria si trova nella zona posta fra Israele-USA-NATO e la Organizzazione di Cooperazione di Shanghai (SCO), entrambe in fase di espansione.
Di seguito, un quadro degli obiettivi di alcuni contendenti interni:
  • Alawiti (15%): vogliono rimanere al potere, “per il bene di tutti”;
  • Sciiti in generale: vogliono la stessa cosa;
  • Sunniti: vogliono il governo della maggioranza, il loro governo, la democrazia;
  • Ebrei, Cristiani, minoranze: vogliono sicurezza, mentre temono il governo sunnita;
  • Curdi: vogliono un alto livello d’autonomia, qualche comunità con altri Curdi.
Ciascuna di queste singole affermazioni può essere continuamente messa in discussione.
Ma concediamoci di ipotizzare - per fare un esperimento mentale - che questo quadro con 16 contendenti esterni e 5 interni sia più giusto che sbagliato.
La terribile violenza del “terrorismo” esterno, o di quello interno “di stato”, vanno contro coloro che vogliono la democrazia? Entrambe, ma non serve chiedersi chi sia il principale responsabile in una polveriera: se il nitrato, lo zolfo, il carbonio, o l’esplosione, oppure chi ha costruito la polveriera (la Francia). Piuttosto, c’è forse qualche soluzione in vista?
Non con la violenza. Chiunque vinca sarà profondamente inviso agli altri, in una casa e una regione così profondamente divisa contro se stessa.
Non con sanzioni, indipendentemente da quanto siano profonde e ampie, o con la partecipazione di Russia e Cina. È come punire una persona con i microbi, e il suo sistema immunitario che sta lottando all’interno per via della febbre. Più il paziente è debole, più è contagioso.
Quel che viene in mente è una soluzione svizzera. Una Siria Una, federale, con autonomie locali, perfino a livello di villaggio, con sunniti, sciiti e curdi che abbiano rapporti con i propri omologhi attraverso i confini. Un peacekeeping internazionale, anche per la protezione delle minoranze. E non-allineata, il che esclude basi straniere e flussi di armi, ma non esclude un arbitraggio obbligatorio per le Alture del Golan (e le posizioni sorte nel giugno 1967 in generale), con lo status giuridico di membro dell’ONU messo in questione per Israele.
Napoleone invase la Svizzera per controllarla nel 1798-1806, ma vi rinunciò. I Napoleoni di oggi, Netanyahu-Obama, faranno lo stesso?
Le alternative sono due ulteriori catastrofi: guerra aperta con Arabia saudita-Giordania-Qatar; oppure R2P (Responsabilità di Proteggere) alla libica, con 7.700 bombe e missili. Il vincitore è detestato; e senza alcuna soluzione sostenibile in vista.


Titolo originale: Syria.
Traduzione a cura di Pino Cabras per Megachip.

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