di Felice Fortunaci – da Megachip.
Christine
Lagarde, direttrice del FMI, va nel solco di quanto detto più volte
negli ultimi tempi anche dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. Due
fra le figure istituzionali più potenti del mondo hanno dato via libera
al ritorno della parola Depressione, e a tutte le paure economiche e politiche da essa richiamate. Chi
ha responsabilità pubblica a quel livello non accenna alla
"possibilità" di un depressione se non c'è la concreta prospettiva di
una "reale" depressione. La depressione, a differenza della recessione,
non si presenta come una fase “ciclica” fra le tante del sistema
capitalistico. È invece una notevole flessione di lungo periodo nelle
attività economiche, per giunta in più economie di vari paesi.
Le
preoccupazioni che nascono da una recessione vengono lenite
dall’invocazione di una “ripresa”. Quando questa “ripresa” viene attesa
invano come il Godot di Beckett in un mare di frasi assurde,
allora è pienamente una “depressione”. Soprattutto se alla durata
interminabile si accompagnano incrementi massicci e anomali dei tassi di
disoccupazione, drammatiche strette creditizie collegate a crisi
bancarie e finanziarie sistemiche, cali produttivi, fallimenti non solo
di privati ma di debiti sovrani, nonché riduzioni nel commercio
internazionale. Più la deflazione.
Ecco,
la depressione, è uno scenario che sconvolge assetti politici e ne crea
di nuovi. L’ultima volta in Occidente portò a tassi del 30% di
disoccupazione, e al diffondersi dei fascismi.
Come
se ne uscì è controverso nella storia disegnata dagli economisti, anche
se molti pensano che avesse ragione Schumpeter. Si organizzò una
«distruzione creatrice» (quando si dice "si" organizzò non ci si
immagini qualcuno che fa piani segreti: si arrivò per la forza delle
spinte cieche degli interessi e delle dinamiche intrinseche ai sistemi
geografici - politici - economici e culturali).
La
distruzione fu la Seconda Guerra Mondiale, la creazione furono i
successivi gloriosi trent’anni, quel periodo che va dal 1945 al 1975 (o
poco prima).
Identificare
se si tratti di recessione o depressione cambia la percezione delle
cose. Se ci illudiamo che sia recessione avremo anche noi quella sorta
di fiducia messianica («tanto poi le cose s'aggiustano») che va da Mario
Monti a Vendola, fino a insinuarsi addirittura in chi anima i Comitati
No Debito.
Se invece interpretiamo quel che accade con lo schema della depressione economica, le implicazioni sono molto più spaventose.
S'impone infatti un problema grosso ed imminente, la sparizione del lavoro e del reddito, la base stessa della cittadinanza.
Un
problema sistemico che le ideologie neoliberali aggravano, ma che si
pone come un enigma irrisolto anche per chi critica il sistema economico
e politico. La macchina non funziona più, e non funziona per tutti.
La
Grande Depressione che seguì il 1929 fu effettivamente risolta solo con
la II Guerra Mondiale, non con il keynesismo, che venne attuato dopo,
nei primi decenni del ciclo sistemico di accumulazione statunitense
aperto da Bretton Woods.
La
Grande Depressione del 1929 era il secondo atto della crisi sistemica
del ciclo di accumulazione ad egemonia britannica. La crisi di questo
ciclo iniziò con la Grande Depressione 1873-1896, che sfociò nella
finanziarizzazione della Belle Epoque e poi nella I Guerra Mondiale
(preludio alla seconda).
Il concetto di distruzione creatrice di Schumpeter è stato visto tipicamente come un fatto economico. Si distrugge, così si può ricreare: si distrugge il vecchio così si può creare il nuovo, ad esempio con l'innovazione.
Ma ha anche un’altra valenza (che però era solo implicita nell'economista Schumpeter): è anche una distruzione di un assetto geopolitico mondiale per dar luogo a un assetto differente.
In entrambi i casi si ha a che fare con il meccanismo, vitale per il capitalismo, di «conquista di “esternalità”».
Queste
esternalità sono nella Società (forza-lavoro), nella Natura
(trasformata in innovazione di prodotto), ancora nella Natura per
accaparrarsi le materie prime, nella Geografia per conquistare mercati e
risorse.
Ebbene,
oggi queste esternalità sono in evidentissima crisi. Scarseggiano. Sono
insufficienti per limiti naturali (picco del petrolio, inquinamento,
etc.), difettano per via di limiti geopolitici (enormi spazi geografici -
e quindi naturali - sono sotto la giurisdizione di enormi stati-nazione
continentali, India, Cina, Russia, Brasile, e delle loro aree
d'influenza).
Per
farla breve, se vogliamo fare un paragone, con le bolle di
Reagan-Clinton (bolla finanziaria e bolla new economy) abbiamo vissuto
una seconda Belle Epoque finanziaria. Poi le bolle sono scoppiate. Hanno tentato di rigonfiarsi succhiando dai debiti sovrani.
Dopo l'11 settembre 2001
è come se fossimo arrivati alla I Guerra Mondiale (Afghanistan, Iraq,
Libia, Yemen, Somalia, Siria, e il resto della tabella di marcia del
Pentagono spifferata dal generale Wesley Clark).
E
allora, quant’è grande ed estesa questa Depressione? Ogni crisi
sistemica è in scala più alta delle precedenti, ogni crisi sistemica ha
bisogno di maggiori risorse delle precedenti per essere risolta
capitalisticamente, ogni crisi sistemica ha però a disposizione minori
risorse fisico-socio-geografiche delle precedenti.
Ne segue che potremmo essere di fronte ad una III Guerra Mondiale prima di quanto si possa pensare.
O
si affronta di petto il problema assieme a chi ne è più consapevole,
oppure faremo solo i buoni samaritani movimentisti. Nessun proposito
politico ed economico può ignorare in quale quadro geopolitico andrà a
collocarsi. Richard K. Moore avverte:
«È una scacchiera multi-dimensionale, e con una posta in palio cosi
alta, si può esser certi che il tempismo delle varie mosse sarà
attentamente coordinato. E dalla forma complessiva della scacchiera,
sembra che ci avviciniamo alla fine del gioco.»
Fonte: http://www.megachip.info/tematiche/kill-pil/7361-la-depressione-la-distruzione-creatrice-e-la-guerra.html.
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