12 aprile 2011

Terrore a Minsk. Cui prodest?

di Stefano Grazioli - East Side Report. Con Nota di Pino Cabras in coda all'articolo.


È stato un attentato terroristico quello che ieri sera ha scosso la capitale della Bielorussia. Una bomba é esplosa nella metropolitana, a pochi passi dal palazzo presidenziale dove risiede Alexander Lukashenko. Il bilancio, che potrebbe aggravarsi, è per ora di 11 morti e un centinaio di feriti.
È avvenuto tutto nell’ora di punta nella stazione di incrocio delle uniche due linee della metropolitana, proprio nel cuore della città. Lo stesso Lukashenko, accorso subito sul luogo della strage, è stato il primo a indicare come probabile la pista terroristica. Il presidente ha parlato di un atto per destabilizzare il regime e ha ipotizzato che sia stato organizzato al di fuori del Paese.
Finora la Bielorussia non è mai stata colpita da attentati terroristici in grande stile. Solo nel 2008 lo scoppio di una bomba artigianale aveva causato una cinquantina di feriti alla vigilia di un concerto, ma le circostanze non furono mai davvero chiarite. Lukashenko guida con pugno di ferro l’ex repubblica sovietica ed è stato rieletto nel 2010 tra proteste e repressioni.
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Ora il terrore arriva direttamente a Minsk. Resta da capire, dato che al momento non ci sono rivendicazioni, chi possano essere i veri responsabili. Qualche ipotesi a caldo:
A – Lukashenko. La teoria della bomba targata Kgb (quello bielorusso, quello russo si chiama ora Fsb, meglio ricordarlo) è la più classica: dopo le repressioni di dicembre, gli oppositori in carcere, l’economia alla canna del gas, la sanzioni dell’Unione Europa, gli screzi con Mosca, al presidente mancava solo l’attentato fai da te per poter dare un altro giro di vite e far precipitare il Paese nel terrore. A Lukashenko ormai non interessa più nulla né di Mosca né di Bruxelles, vuole il completo isolamento e dare ragione a chi lo chiama “l’ultimo dittatore d’Europa”. L’episodio del 2008 e quello del 2005 a Vitebsk potrebbero essere dei precedenti.
B – L’opposizione. Termine abbastanza vago, che racchiude una galassia ampia. Andrebbero fatte distinzioni. All’interno e all’estero. Definiamola quindi generalmente “radicale”: Dopo 16 anni di Lukashenko e di metodi gandhiani è arrivata l’ora di mandare segnali forti, senza pietà e rispetto per tutti quelli che hanno la disgrazia di vivere sotto lo stesso regime. Il presidente va abbattuto con una strategia che lo destabilizzi e l’unico mezzo per farlo, visto che sanzioni dell’Ue sono come l’acqua fresca, è quello di piazzare bombe in metropolitana.
C – Il complotto internazionale occidentale. Variante simile alla B, ma un po’ più sofisticata. Dato che Lukashenko è irrecuperabile e sta finendo nelle braccia di Mosca, meglio farlo saltare prima. Mandare gli F16 su Minsk non sarebbe politically correct. Destabilizzare il regime con ogni mezzo per sostituire il presidente alla prima occasione con qualcuno di più gradito. Strategia terroristica come antipasto e variante per un regime change colorato.
D – Il complotto internazionale russo. L’unico modo per non farsi scappare la Bielorussia è quello di utilizzare metodi rodati. Isolando e destabilizzando Minsk l’unica opzione per Lukashenko è quella di cadere definitivamente nella braccia del Cremlino. Mosca ha già offerto aiuto nelle indagini.
E – Al Qaeda. Qualcuno dal Caucaso è andato in vacanza a Minsk per fare un esperimento. Da ripetere poi in qualche altra repubblica ex sovietica limitrofa. Ucraina, tanto per fare un nome. A sentire i proclami, gli infedeli filorussi si annidano ovunque e i pretesti si trovano a ogni angolo di strada. Minsk come Mosca, Londra o Madrid.
Al momento, senza una firma, credibile e meno, è però difficile dare un vero giudizio. Quando e se arriverà una rivendicazione si potrà ragionare seriamente. Se non arriverà, si potrà in ogni caso riflettere con maggiore attenzione.

Fonte: http://esreport.wordpress.com/2011/04/12/terrore-a-minsk-cui-prodest/.



Nota di Pino Cabras per Megachip.
Le ipotesi di Grazioli sul gravissimo attentato di Minsk sono costrette a rincorrere ancora scenari tutti diversi. Non siamo a bocce ferme e tutto resta da capire. Ma almeno, da osservatore attento dell'Est Europa, Grazioli cerca di iniziare i passi per conoscere i fatti. Colpisce invece il divario fra la gravità dell'attentato, dodici morti in metropolitana, e la copertura giornalistica davvero minima dei nostri media, i quali, per episodi di gran lunga meno gravi, ma collocati in città vicine al cuore (e al portafoglio) dei media, in passato hanno subito dedicato prime pagine e acceso "breaking news" scatenate. C'è di fondo un problema più generale, una deriva, un autentico "provincialismo" del sistema mediatico occidentale, che non a caso ha perso molto terreno nella capacità di narrare il mondo. Di recente ad esempio il sistema è stato colto impreparato, senza corrispondenti e senza antenne sul campo, dal sorprendente sommovimento arabo. Anche sull'Est Europa la logica è "hic sunt leones": oltre certi confini non si fa nessuno sforzo conoscitivo. Notizie che andrebbero esplorate per capire sviluppi più vasti vengono bellamente ignorate.

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