15 aprile 2011

ADDIO VITTORIO

di Pino Cabras – da Megachip - ARTICOLO AGGIORNATO.



Non hanno nemmeno aspettato il farsesco ultimatum che avevano inscenato. Vittorio Arrigoni, un uomo mite e coraggiosissimo, è stato ucciso. Con il contrappasso del soffocamento dopo il contrappasso degli occhi bendati, per giunta: per dirci - a tutti noi che in tanti paesi del mondo perdiamo un fratello - che saranno soffocate le voci libere, i corpi che respirano, gli occhi che vedono e non nascondono.
Gli israeliani bombardavano da due settimane la popolazione civile di Gaza, quel 13 gennaio 2009, quando scrissi con angoscia un articolo che denunciava una concreta e incombente minaccia alla vita di Vittorio Arrigoni. Vi ripropongo ora quel pezzo, perché aiuta a capire il lungo rodaggio della macchina preparata per stritolare l’attivista italiano, testimone del dramma di Gaza. L’articolo racconta di come nel 2009 certi ambienti "anti islamici" incitavano pubblicamente a ucciderlo. Oggi vediamo invece la drammatica conclusione nelle mani di islamisti fanatici. È assurdo questo passaggio di testimone fra carnefici così lontani e tra loro nemici?
Per chi ha studiato quali sono i veri obiettivi della galassia di terroristi più estremisti questa non può essere una sorpresa. La stessa Hamas era nata come creazione dell’intelligence israeliana, che voleva rendere permanente l’emergenza e dividere il campo palestinese, ma poi la creatura politica aveva seguito una traiettoria tutta sua che la rese irriconoscibile e meno malleabile. La fabbrica delle emergenze ha sfornato però nuovi prodotti, gruppuscoli sempre pronti ad alimentare la strategia della tensione, e con essa fomentare la totale militarizzazione dell’agenda politica. Colpisce sapere ad esempio che Azzām al-Amrīki, Azzam l’Americano, l’«anchorman» bilingue di quei “video di al-Qa’ida” costruiti con la stessa cifra stilistica del video in cui compare Arrigoni nelle mani dei “salafiti”, si chiami in realtà Adam Pearlman, e sia nipote di uno dei più eminenti esponenti della lobby dei falchi filoisraeliani in USA.
Il potere nel mondo post 11 settembre si è giovato ampiamente del terrorismo come instrumentum regni. Ha fatto passi enormi nel distruggere un ordinamento giuridico internazionale che ammetteva norme non basate sul solo diritto di potenza, inquinare i punti di riferimento concettuali per la definizione di ciò che è aggressione o tirannia o resistenza, far abdicare gli Stati dalla difesa dei loro prevalenti interessi nazionali a vantaggio di una coalizione dominata da interessi imperialistici, condizionare l’economia – vicina a un baratro finanziario – entro la gabbia delle priorità militari.
Il lavoro di Vittorio Arrigoni nel decennio post 11/9 va nella dimensione “micro”: è azione concreta e locale, nella Gaza assediata e massacrata, nella prigione a cielo aperto più grande del mondo, nel tiro a bersaglio per droni, fra i pescatori che non possono pescare, i muratori che non possono edificare, i bambini che non si possono curare. Ma è anche azione globale, racconto, narrazione, rivendicazione della verità, pacata polemica nei confronti dei silenzi e delle menzogne politiche e mediatiche che hanno dato forza all’incubo militarista del Sionismo Reale. Aprirà bocca, vorrà dire qualcosa su Arrigoni quel Roberto Saviano che si accompagna ai falchi israeliani e alla Casta politica, al quale Arrigoni diceva: «scendi dal carro armato dei carnefici, e vieni ad abbracciare le vittime»?
Mentre tutto il Vicino e Medio Oriente è ora soggetto a un immenso scossone, ovunque, molti conti saranno regolati. I ponti, in guerra, sono i primi a saltare in aria. Appena il 4 aprile scorso era stato ucciso Juliano Mer-Khamis, il  pacifista "al 100% ebreo e al 100% palestinese". La morte terribile di Vittorio "Utopia" Arrigoni, come molti amavano chiamarlo, annuncia un tempo drammatico, annuncia una fase diversa della vita politica in un'area vasta del pianeta. Dovete sentirlo questo pericolo, e capire l'enigma delle parole semplici che ci lasciano gli uomini giusti: Restiamo umani. Restiamo umani. Restiamo umani.

Quelli che vogliono ammazzare i testimoni della strage

di Pino Cabras, Megachip – 13 gennaio 2009.
L’incitazione è esplicita: uccidere un gruppo di persone, con nome e cognome, abitudini e idee, appartenenze politiche e immagini facilmente identificabili. Chiedono la collaborazione di delatori per completare le liste con gli indirizzi. La schedatura è esplicitamente rivolta ai militari, quelli israeliani, se non ci pensano altri killer, per facilitarli nell’eliminazione fisica di “pericolosi” bersagli: i nemici da colpire sono gli attivisti occidentali – infermieri e altri volontari - che lavorano e sono testimoni di quanto succede nei Territori occupati.
Tutto questo lo potete leggere in un sito web, gestito da un gruppo di estremisti, una sorta di Ku Klux Klan ebraico americano: Stop the ISM. Può essere di interesse far notare che fra i bersagli c’è anche un cittadino italiano, Vittorio Arrigoni, di cui abbiamo letto i toccanti reportage da Gaza. Il tenutario del sito è Lee Kaplan.
Kaplan è uno dei tanti agitatori fascisteggianti della pancia reazionaria americana, un coagulo che ultimamente ha preso piede sia nell’ambito dei movimenti cristianisti, sia nelle frange del fondamentalismo ebraico, ora uniti in un inedito oltranzismo anti-islamico.
In USA la saldatura fra questi ambienti si è rafforzata, tanto che Kaplan talora ascende anche al salotto buono, si fa per dire, dei talk show con la bava alla bocca, su Fox News.
Ma si rafforza soprattutto in Terrasanta.
I fondamentalisti ebrei controllano gli insediamenti coloniali più estremisti dei territori (come già si leggeva in un libro di Israel Shahak e Norton Mezvinsky, Jewish fundamentalism in Israel, London, Pluto Press, 1999). I fondamentalisti cristiani li appoggiano per accelerare l’avvento dell’Armageddon, la lotta finale fra il Bene e il Male, che proprio da quelle parti dovrà svolgersi.
Forse per portarsi un po’ di lavoro avanti, il signor Kaplan lascia briglia sciolta al sito per sollecitare l’eliminazione di Arrigoni e altri. Non senza profetizzare che il governo italiano non si preoccuperà più di tanto se qualcuno provvederà all’auspicata «rimozione permanente» del nostro connazionale. Lo ripetiamo: questi auspici criminali non appaiono in un forum semiclandestino, ma in un sito accessibile gestito da un noto personaggio pubblico.
Ora, dal momento che anche le forze armate israeliane non vogliono testimoni nello scempio di Gaza, e il nostro mainstream si è subito docilmente accodato rispettando il divieto, siccome l’unica voce ci giunge da Arrigoni, in tal caso facciamo due più due e fiutiamo un grosso pericolo. Abbiamo visto che lì non si va per il sottile, se già vengono bombardati ospedali, ambulanze, scuole, e se si prende di mira qualunque soccorso.
Mentre la conta dei morti ammazzati a Gaza si avvicina a quota mille, accade una cosa singolare. Il cumulo di cadaveri non si può più nascondere sotto un editoriale di Bernard-Henry Lévy, l’uso di armi orrende – che un domani vedrete proibire - nemmeno. I giornali nostrani cominciano timidamente a parlarne. Ma non in prima pagina e in apertura, come abbiamo fatto già diversi giorni fa su questi schermi, ma a pagina dieci e in taglio basso. Nascondere non si può. Ma diluire, questo sì. E questo i nostri grandi organi di informazione lo fanno benissimo. In attesa di chissà cosa, un successo politico militare, una chimera, la fine di Hamas. A che prezzo? È in atto la censura più sottile, ma questa sottigliezza non la salva dall’essere accostata alla censura più violenta e più minacciosa, quella che vuole colpire chi vuole salvare il popolo palestinese dalla sua distruzione.
Tanti intellettuali italiani indicano inorriditi il dito insanguinato del Movimento di Resistenza Islamico (Hamas), ma non vedono la luna desolata degli altri fondamentalismi che egemonizzano sempre di più la classe dirigente israeliana. L’idea che le forze armate israeliane difendano i Lumi contro la barbarie è un ideologismo foriero di tragedie, dal quale è bene liberarsi con un’operazione onesta di ricognizione storica e politica della memoria mediorientale. Il racconto di quel che accade ora è un passo fondamentale, con tutti i testimoni da rispettare.

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