di Pino Cabras – da Megachip. Con videoeditoriale di Giulietto Chiesa.
L’energia del braccio Fiat è ancora abbastanza forte da non farsi fermare il bastone che impugna. Ha inflitto un’altra randellata, a Mirafiori dopo Pomigliano. Vittime i lavoratori sotto ricatto, quelli che hanno avuto lo straordinario coraggio di votare No all’«accordo estorsivo», così come quelli che hanno votato Sì a malincuore. Però, però... Il numero di chi resiste alla cancellazione dei diritti sta crescendo, e sta trovando alleanze sociali forti. Molti dirigenti del PD si erano già dichiarati pronti a salire sulla vettura del vincitore annunciato, intanto che presumevano di mettere il loro cappello su percentuali elevate del Sì. Da buoni Re Mida all’incontrario, finanche in questa votazione sono stati brutalmente ridimensionati. Il No, seppure sconfitto nell’urna, ha una forza cospicua, che darà un grande sostegno alla FIOM in vista dei prossimi appuntamenti, a partire dalla mobilitazione del 28 gennaio.
Diceva bene Giulietto Chiesa, mentre a notte fonda, durante lo spoglio, commentava a caldo i primi segnali della forza di questo No nei seggi collocati presso i reparti più esposti ai lavori usuranti: «quale che sia il risultato finale, ormai è chiaro che i lavoratori di Mirafiori ci dicono che l’Italia non è mai stata quella che ci hanno raccontato». Giorgio Meletti sul suo blog sembra condividere: «la classe dirigente di questo Paese, tutta insieme (locale e nazionale, politica e sindacale, di destra e di sinistra, di governo e opposizione, e naturalmente con Sergio Marchionne per l’occasione alla sua testa, non ha capito niente di che cosa hanno in testa gli italiani. La rumorosa minoranza Fiom si è trasformata di colpo, a mezzanotte, in una quasi maggioranza.» Ecco, una «quasi maggioranza» non è una maggioranza, innegabilmente. Però è una base su cui si può mettere valore aggiunto, in forma di due componenti essenziali: la prima – non sembri una categoria prepolitica - è la componente morale del coraggio e della dignità, che può abbattere persino le pavidità e i tradimenti degli ex referenti politici e sindacali fuggiti nel loro nulla; la seconda componente è quella della visione dei problemi economici globali, la sola dimensione che consentirà un’alternativa alla distruzione delle relazioni industriali e degli istituti democratici anche nella provincia italica.
Paolo Barnard scrive in proposito un articolo duro e visionario, un’invettiva disperata ancorché documentata, in cui dà dei polli anche agli operai e alla FIOM, perché si beccano su aspetti che ritiene marginali, mentre la sostanza della battaglia si gioca su altri tavoli: «Cosa dicono a voi le sigle QNX, Nvidia, Entune, Prius V hybrid, Microsoft Bing app, BlueLink in-car, Moustick, In-dash navigation? Vi dicono che fra una manciata di anni le Fiat saranno 80% Information Computer Technology e 20% metalmeccanica da far sbrigare a qualche robot. Riga. Voi, quelli con la tuta e due braccia e due gambe? Un ricordo della preistoria.» A queste condizioni - ricorda Barnard a chi crede a Marchionne e ai suoi bluff (buoni per qualche speculazione in borsa e non per improbabili espansioni del settore auto) - «voi perderete ogni singolo posto di lavoro, è già deciso ma non ve lo dicono». E invita a lottare per recuperare sovranità monetaria, come altri hanno fatto di fronte a queste sfide, perché è lì che si sposta il potere, il lavoro, la base economica delle formazioni sociali.
Al di là dei toni duri, l’invito di Barnard ad aggiornare la battaglia ha una sua verità interna che va colta per non sprecare proprio una cosa che invece lui sottovaluta: ossia l’esistenza, la consistenza e – prevedo – la persistenza di una grande forza sindacale, politica e morale, quella che si è cementata intorno alla FIOM e le più piccole entità sindacali resistenti, che diventa maggioranza fra chi manovra i macchinari.
Non c’è da aspettarsi nulla da Marchionne che, secondo Chiesa, è il «rappresentante della scimmia che pilota l'aereo verso il disastro.»
E intanto tremano le vene ai polsi di fronte al compito di FIOM, che fa il mestiere del sindacato, ma che per poterlo fare bene si trova nella necessità di dover pensare in grande, anche se non è attrezzato per una supplenza : gli scenari finanziari, la fine della crescita, la divisione internazionale del lavoro, le alleanze sociali, i referenti politici.
Assisteremo a questo sforzo di aggiornamento. Ma nel frattempo si parte dalla speranza. Dalle fabbriche torinesi hanno preso il via in altri momenti della storia italiana alcuni segnali molto forti. Nel marzo 1943, in piena guerra, con la polizia segreta di Mussolini e i soli sindacati fascisti dentro le fabbriche, esplosero a sorpresa grandi scioperi contro le condizioni di lavoro e di salario che andavano peggiorando. Non c’era ancora nessuna vittoria sindacale, la guerra sarebbe durata oltre due anni ancora, fra lutti e tempi di ferro e fuoco. Però si segnò un passaggio politico e morale che infuse coraggio a molti, fino a combattere contro chi, anche allora, diceva che non c’erano alternative.
Chi proponeva un’altra politica era ancora debole e disperso, ma poi si trovò nelle condizioni storiche per costruire una nuova stagione politica.
Oggi – di fronte alla battaglia nei luoghi di lavoro - emerge l’incapacità di poter dire alcunché di utile da parte dell’attuale sistema dei partiti. Le risposte verranno da soggetti nuovi.
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